12. USQUE AD SIDERA, USQUE AD INFEROS
Freddo, umidità, femminile...
Passività, sottrazione, flemma...
Tempo, nascita, morte...
Caduta, purificazione, coesione...
Edhel si spostava piano nello spazio sacro dei Daimon. Analizzava il suo Elemento e separava le parti che non lo interessavano dagli aspetti che voleva potenziare in quell'occasione.
Grazie agli insegnamenti del libro, aveva imparato a mettere ordine e a dominare il suo potere, invece che esserne dominato. Nel piano astrale, dove non c'era percezione dello scorrere della vita, aveva ormai iniziato a muoversi con ordine e calibrata precisione. Soprattutto quando si trattava di Nén, che lo placava invece di eccitarlo, come gli accadeva quando era in presenza dell'Arcano del Fuoco.
Fuori da quello spazio interiore, sul piano reale, Edhel stava a occhi chiusi, le gambe incrociate, seduto sul basamento del torrione di Sud-Ovest, il punto scelto ad arte perché gli permetteva di essere rivolto allo stesso tempo verso il campo nemico e verso l'Occaso, dove Nén era più forte.
Stava per giungere il momento perfetto del giorno. Il calore del pomeriggio lasciava posto a una fresca brezza che gli muoveva appena i capelli sciolti. Il sole correva verso il termine del suo arco e l'oscurità planava sull'orizzonte.
L'acqua era immobile da giorni.
Silanna lo fissava da una stretta apertura, restando a debita distanza. Lo aveva detto per celia, ma ci era finita davvero a fargli da balia. Una nutrice non richiesta, a dire il vero, ma lei si sentiva più tranquilla quando poteva tenerlo sotto controllo, soprattutto nei momenti in cui lui era del tutto ignaro di ciò che gli avveniva attorno.
Edhel continuava a essere un mistero per lei. Per quanto si fosse sforzata di studiarlo, nel corso di quella giornata era riuscita a percepire soltanto un'estrema calma. L'aura magica che si spandeva attorno a lui era stabile, soffusa, equilibrata. Nessuno sbalzo, nessuna vibrazione. Non era quello che si era aspettata, non dopo ciò che aveva sperimentato a Valkano, quando era entrata con lui nel cerchio magico.
Una volta ancora si trovò a domandarsi se non ci fosse dell'altro, in lui. Qualcosa che avrebbe dovuto sapere, o qualcosa che avrebbe dovuto scoprire. Vedendolo immerso nella meditazione, fuso con il suo Daimon, Silanna pensò che forse era stata troppo dura nel giudicarlo.
Non che lui le avesse reso facile il compito: aveva pregiudicato ogni loro rapporto fin dal primo approccio, e aveva perseverato con quel comportamento a volte provocatorio, a volte indisponente. Lei, però, cominciava a pensare che, in fondo, Edhel avesse solo il disperato bisogno di una guida.
Di riflesso si trovò a chiedersi se non potesse essere lei, quella guida. Edhel era troppo presuntuoso per accettare i suggerimenti di chiunque e diventava insofferente quando venivano messi in dubbio i suoi poteri. Eppure, a Valkano, l'aveva lasciata fare. Si era fatto guidare.
Silanna distolse lo sguardo da lui e fissò un punto lontano, oltre le mura del castello. La vera domanda, quella che stava cercando di rifuggire, era se lei sarebbe stata in grado di guidare qualcuno.
Non l'avrebbe ammesso nemmeno a se stessa, ma la spedizione a Valkano l'aveva segnata. Aveva riaperto il baratro del passato che con tanta fatica si era lasciata alle spalle: l'infanzia cancellata, l'abbandono, i pericoli affrontati prima di approdare in quel luogo di pace, gli anni di studio e, infine, la Prova.
Lo scontro con il Daimon dell'Aria, il desiderio espresso per sancire il Patto...
Poteva nasconderlo a tutti, ma lei sapeva cosa aveva desiderato e perché. E non poteva ignorare che era stata proprio la sua richiesta a Vilya ad averla condotta in quel luogo, a vivere quel momento.
Talvolta, quando gli incubi e il terrore dei ricordi tornavano a farle visita, era stata sul punto di cedere alla tentazione e di confidare tutto a Galanár, ma puntualmente si era trattenuta. Se lui avesse pensato che la sua era solo astuzia femminile, per tenerlo al suo fianco quando aveva altri pensieri per la testa, lei non sarebbe riuscita a perdonarlo per quell'accusa. Così, mentre l'immobilità forzata dell'assedio lasciava sempre più spazio ai pensieri e alle preoccupazioni, Silanna scelse di affrontare da sola le proprie paure.
Qualcosa stava cambiando.
All'inizio era solo un sussulto impercettibile ma, nello spazio dell'assenza in cui si trovava, dove poteva annullare qualsiasi altro movimento, il tremore si trasmise subito e in maniera crescente, e si mescolò al fremito di trionfo che lo attraversò da parte a parte.
Edhel perse il controllo solo in quell'attimo, quando gustò il piacere di avere avuto ragione, ma subito tornò a concentrarsi e cercò di individuare il punto del perimetro esterno dove si era generato quel turbamento.
Aprì gli occhi. Un raggio verde di purezza spettrale colpì le sue iridi che scintillavano trasparenti. Gli sembrò di essere tornato a galla. Si voltò verso la sentinella di guardia in quella parte delle mura.
"Chiamate subito il generale".
Andarono insieme fino al punto del camminamento in cui Edhel aveva percepito la vibrazione dell'acqua. La conferma della sua intuizione era sotto i loro occhi: la superficie del liquido contenuto nel catino si increspava e sussultava a intervalli regolari. Qualcosa si muoveva molto al di sotto dei loro piedi e risaliva come un brivido dalla terra lungo le mura.
"Hanno atteso il calar del sole per riprendere a scavare", li informò Edhel. "Per tutto il giorno non c'è stato un solo movimento".
Galanár studiò il punto della cinta muraria in cui si trovavano. Era ben scelto: non troppo esposto, non troppo protetto, non abbastanza di rilievo, se si considerava che il lato Sud, con lo schieramento nemico, era sempre l'oggetto principale della loro attenzione. Militarmente parlando, era perfetto. Cercò di osservare lo spazio oltre le mura, ma non trovò nulla. Gli scavi partivano di certo da un punto ben nascosto.
"Abbiamo fatto un passo avanti", commentò alla fine della sua ispezione, rivolgendosi a Mellodîn ed Aegis, che lo avevano seguito sugli spalti. "Ma è solo il primo. Come possiamo contrattaccare?"
"Attenderli al varco appena avranno finito il lavoro sarebbe una bella sorpresa", rispose il comandante, "ma è una scelta parecchio avventata: la galleria potrebbe comunque mettere a repentaglio la stabilità delle mura".
"E avventato sarebbe inviare dei drappelli di soldati alla ricerca del punto di scavo. Senza contare che potrebbero impiegare giorni. I Nani si stanno dimostrando più furbi del previsto, avranno preso le loro precauzioni".
Solo a quel punto Aegis prese la parola, con enorme sollievo di Edhel.
"So che l'idea di rado vi entusiasma, generale, ma come ultima soluzione potreste prendere in considerazione di usare ancora una volta la magia?"
Il principe elfo gli fu grato per ciò che aveva detto: c'era ancora qualcuno, in quel consesso, che la pensava come lui e che aveva facoltà di parlare.
"La magia? E in che modo?"
"Abbiamo sempre i nostri Arcani da mettere a disposizione. Troveremo un modo per impedire loro il passaggio. Semplice, efficace e senza rischio".
Appunto, senza rischio!
Edhel sospettava sempre più che fosse quello il motivo per cui l'impiego della magia in guerra piaceva così poco a suo fratello: gli toglieva il suo maggiore trastullo, la parte interessante del gioco. Non avrebbe perso un'altra occasione per dimostrargli che si sbagliava!
"Io, un'idea, l'avrei", disse, catalizzando di nuovo la loro attenzione.
Galanár gli lanciò un'occhiata infastidita. Non riusciva ancora a digerire del tutto l'abitudine del fratello di parlare senza essere interpellato o di agire senza chiedere il permesso. Un atteggiamento che scatenava in lui il terribile desiderio di volerlo addomesticare.
"Sono sorpreso, Edheldûr", osservò con pungente ironia, "Passare dalla totale indifferenza all'eccessiva solerzia... non sarà troppo, per te?"
Il fratello si sforzò di non reagire in maniera impulsiva. Era combattuto tra la voglia di piantarlo in asso a risolvere il problema da solo, e il desiderio di sfoggiare le proprie arti. Come spesso gli accadeva, fu la seconda tentazione a surclassare la prima, quindi incassò la battuta, fece spallucce e proseguì a testa bassa.
"Acqua", disse come se fosse, ancora una volta, la risposta più ovvia a tutti i loro problemi.
In realtà, dopo aver studiato il Libro dei Daimon Elfici, Edhel aveva davvero iniziato a comprendere il valore dell'Arcano dell'Acqua.
Negli anni in cui si era affidato solo al proprio istinto, aveva sempre prediletto il Fuoco, perché soddisfaceva in modo rapido ed efficace la sua carica offensiva. La custodia di Nén, però, si stava rivelando sempre più vantaggiosa.
"Posso riempire d'acqua la galleria".
A quella frase fu Aegis a guardarlo con sospetto.
"Riempire d'acqua l'intera galleria? È un'evocazione parecchio complessa, principe. Siete davvero sicuro di poterlo fare?"
Sicuro, non lo era affatto. Un'evocazione di tale portata l'aveva fatta una sola volta, e in quella circostanza era spinto dalla disperazione e dalla necessità di sopravvivere. Non era certo di poterci riuscire di nuovo, ma non lo avrebbe ammesso nemmeno sotto tortura.
"Posso", rispose, mentre sentiva il peso dello sguardo di Aegis su di sé.
Prima di spiegare meglio il piano che aveva in testa, Edhel aveva bisogno di fare delle precise valutazioni. Scrutò gli occhi del Maestro elfo con attenzione: quanto poteva fidarsi di lui?
Non aveva avuto occasione di osservarlo in compagnia di Vargas e non era al corrente di quali fossero i loro rapporti. D'altra parte, però, Galanár aveva voluto lui e non Vargas nell'esercito, e sapeva quanta poco simpatia il fratello avesse per il maestro Quenthar. Forse quella poteva essere una garanzia sufficiente per ritenere Aegis affidabile e riservato. Doveva farselo bastare. Doveva fidarsi.
"Posso, sì, ma non da solo", riprese. "Perché non sono in grado di raggiungere un luogo che non percepisco. Mi occorre il supporto della Terra".
L'incantatore annuì. Aveva compreso cosa Edhel gli stesse chiedendo di fare.
"Allora lo faremo insieme", sentenziò. "Vi aiuterò io".
Attesero che fosse notte. Il castello doveva piombare in una calma profonda e silenziosa, così che potessero pensare che nulla era mutato nelle abitudini dei difensori.
Edhel seguiva Aegis in silenzio. Erano soli, coperti da lunghi mantelli scuri e procedevano lungo il basamento delle mura. Galanár aveva disposto che nessuna guardia presidiasse la zona, per lasciarli liberi di agire. Individuarono l'area che corrispondeva verticalmente a quella in cui avevano osservato il movimento dell'acqua. Sotto i loro piedi, a metri di distanza, il nemico si stava avvicinando.
Aegis si inginocchiò, poggiò sul terreno il palmo destro aperto, cominciò a entrare in mistica risonanza con il proprio Arcano. Cercò nella mente il punto in cui la terra veniva aggredita, quindi si girò verso Edhel, che era rimasto indietro di qualche passo, e gli tese l'altra mano.
"Siete pronto?"
Lo era? Per tutto il lasso di tempo trascorso nell'attesa di quel momento, il ragazzo non era riuscito a pensare ad altro.
Era la prima volta che avrebbe dovuto eseguire un rito magico da Daimonmaster con un altro Daimonmaster, e non aveva la più pallida idea di quali sarebbero potute essere le conseguenze. L'esperienza con Silanna a Valkano non gli forniva informazioni utili. Quella notte sarebbe stato diverso perché lui era diverso.
"Sì", mentì per cancellare la paura.
Si inginocchiò accanto a Aegis.
In fondo al cuore, era felice che fosse lui, e non un altro, il primo con cui avrebbe fatto quell'esperienza. Il Maestro era calmo, rassicurante, solido. Era un vero Custode della Terra: l'Arcano sembrava emanare da lui attraverso ogni suo gesto.
Cercò la posizione più comoda, quindi avvicinò il palmo destro a quello sinistro dell'incantatore. Attraverso quel contatto avrebbe percepito la Terra, nella quale affondava la mano destra di Aegis.
La mente del Maestro era chiarissima. Appena lo raggiunse nello spazio sacro, Edhel vide subito ciò che gli interessava. Attraverso le visioni di Aegis si insinuava nella terra come la radice di una pianta. Percepiva ogni tremore, intuiva dove le particelle venivano spostate. In maniera astratta, ricostruì l'assenza e individuò la galleria.
"Nén", mormorò.
La sua suadente ninfa acquatica rispose e gli invase la testa. Edhel l'accarezzò con il pensiero, quindi la inviò con tutte le sue energie nel percorso scavato in profondità, ordinandole di espandersi a dismisura.
Quando Aegis percepì il potere di Edhel che si precipitava verso un punto indistinto sotto di loro, gli andò dietro. Quella forza doveva essere accompagnata, per evitare che potesse mutarsi in un pericolo. Così, mentre il giovane elfo faceva salire l'acqua a coprire il passaggio, lui cominciò a ingrossare e allungare le radici delle piante, a colmare gli spazi tra le pietre, a solidificare la sabbia, affinché il terreno attorno alla galleria diventasse un sicuro contenitore per la furia di Nén.
Nella stretta galleria semi-illuminata, i Nani che procedevano nel lavoro di scavo si trovarono a calpestare qualche pozzanghera. Non si interrogarono sul perché di quel fenomeno, e continuarono ad avanzare. Quando l'acqua arrivò loro alle caviglie, però, furono costretti a fermarsi. In breve si diedero alla fuga, per sottrarsi a quell'improvvisa e inspiegabile alluvione che stava riempiendo il passaggio. Coloro che erano rimasti indietro riuscirono a risalire all'aperto, ma la maggior parte dei minatori rimase intrappolata tra la superficie liquida e il soffitto.
Edhel arrestò il flusso di Nén: il cunicolo allagato era inagibile e la magia di Aegis scongiurava ogni possibile cedimento interno.
Sorrise con maligna soddisfazione, quindi chiuse gli occhi sull'immagine dell'ultimo nemico che aveva cessato di respirare.
Morte in acqua... la più dolce che potessi darvi!
La gioia di quella riuscita, però, avrebbe avuto vita breve.
NOTA DELL'AUTORE
Se qualcuno di voi studia Giurisprudenza, questo titolo potrebbe essergli familiare 😄
Usque ad sidera, usque ad inferos (fino al cielo, fino agli inferi), nel Diritto Romano, era una delle caratteristiche fondamentali del dominium ex iure Quiritium (dominio secondo il diritto dei Quiriti), il più antico tipo di diritto di proprietà di un immobile, riconosciuto solo ai cives, cioè ai cittadini romani.
Tale possesso si estendeva, appunto, fino alle stelle e fino agli inferi (cioè era verticalmente illimitato). Un po' come il potere esercitato da Edhel in questo capitolo, se volete 😉
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