07. PRINCIPIIS OBSTA

Tutto era filato liscio, fino a quel punto. Erano solo in due, ed erano giovani e ben addestrati. Avevano cavalcato ogni giorno senza risparmiarsi, ponderando le soste. Il paesaggio mutava gradualmente sotto i loro occhi.

Si erano lasciati alle spalle la ragnatela di laghi giungendo fino ad avvistare il mare. I magnifici fiordi di Foroddir scavavano la roccia alla loro destra: il confine con Laurëlindon doveva ormai essere vicino. Lo si intuiva anche dai profili dei villaggi e delle cittadine che scorgevano in lontananza, cui si avvicinavano quando decidevano di fermarsi per la notte. Le basse e tozze costruzioni di Formenos lasciavano spazio alle strutture più sottili e slanciate, tipiche dell'architettura elfica.

Era trascorsa una settimana dalla loro partenza. Aidan stimava che, mantenendo quell'andatura e senza incontrare ostacoli, ne sarebbero occorse altre due per raggiungere Arthalion. Sarebbe stato davvero un notevole risultato. Per loro fortuna, la stagione calda era arrivata e il tempo era propizio. Forse avrebbero sofferto attraversando le Terre dell'Ambit, ma l'afa era di gran lunga preferibile ai ghiacci invernali che bloccavano i valichi montuosi.

Amalion si stava rivelando un perfetto compagno di viaggio. Gli era maggiore di qualche anno e proveniva da una simile formazione militare, così Aidan si trovò subito in accordo con lui. Passare per fratelli era stato abbastanza agevole: l'erede di Aermegil aveva occhi e capelli chiari, molto simili a quelli del principe di Arthalion. Di certo era uno dei motivi per cui Galanár lo aveva scelto: Bellator, il capitano di Medthalion, con la sua corporatura robusta, la carnagione olivastra e i capelli neri, sarebbe stato un parente davvero poco credibile. A completamento di tutto, avevano scelto abiti non vistosi, ma di ottima fattura e ben rifiniti, che davano loro l'aspetto di ricchi mercanti.

Un altro tramonto li raggiunse in prossimità di un piccolo borgo. Aveva tutta l'aria di essere un'anonima cittadina di transito, abbarbicata su una collina oltre la quale, indovinarono dalla mappa, si aprivano le terre di Laurëlindon. Decisero di cercare alloggio presso una locanda. Ne trovarono una piuttosto frequentata, dove la gente sembrava avvezza al via vai di quelli di passaggio. Nessuno avrebbe fatto caso a loro, avrebbero trovato un po' di conforto e forse dei cavalli freschi per affrontare il nuovo tratto di strada.

La mattina seguente si svegliarono riposati e con la voglia di ripartire. Avrebbero consumato un buon pasto e si sarebbero rimessi in sella. Il piano era quello di entrare nel regno di Arantar entro sera. Così a Nord, come si trovavano, il passaggio per l'Ambit era molto vicino e, superate le montagne, si sarebbero ritrovati a Calemar, che per loro significava già casa.

Ancora una volta Aidan si ritrovò a pensare a quel suo parente mai visto. Definirlo nonno gli veniva difficile, dal momento che era poco più che una creatura leggendaria per lui. Ricordava bene, però, le raccomandazioni di Galanár: non doveva avvicinarsi mai, per nessuna ragione, alla capitale. Avrebbe mai visto le torri di Laurëgil? Poteva sognare un posto che, nei suoi ricordi, non esisteva? Qualche volta aveva avuto l'impressione di averlo già visitato, nella sua mente, ma aveva sempre ricacciato indietro quell'immagine come la sciocca fantasia di un bambino.

Amalion, quella mattina, era di ottimo umore e sembrava più loquace del solito. Era giorno di mercato e la sala dabbasso della locanda era in pieno fermento. Nessuno badava a quei due ragazzi biondi seduti in un angolo, intenti a divorare farinata d'avena e formaggio.

"Ho trovato due buoni cavalli. Il proprietario della taverna me li ha ceduti per un prezzo onesto e li ha fatti preparare per il viaggio", dichiarò il principe di Aermegil, tra un boccone e l'altro.

"Ne sono lieto, fratello".

Aidan si era abituato a parlare poco quando erano in pubblico. Poiché passava per il fratello minore, lasciava che fosse il suo compagno a condurre le conversazioni e gli scambi.

Amalion rise sommessamente. Si guardò intorno per controllare la sala e i suoi avventori, quindi abbassò il tono della voce.

"Deve essere divertente avere un gemello mago con cui crescere".

"Ogni tanto", commentò l'arciere, senza troppo trasporto.

"Bellator è quanto di più simile a un fratello io abbia mai avuto. Siamo entrati nell'esercito insieme, quando avevamo la tua età, e ne abbiamo vissute di avventure, da allora!"

Aidan spiccò una fetta di formaggio tagliandolo con uno dei suoi pugnali e cercò di nascondere il disagio per l'argomento.

"Non hai fratelli o sorelle?", si informò.

"Solo una sorella minore, Fanelia. E credimi", ridacchiò l'altro, "se fosse stato possibile, avrei lasciato che fosse lei ad arruolarsi al mio posto. Sarebbe in grado di guidare un esercito, se solo la si lasciasse fare. Mio padre ha un bel da fare con lei. Ancora non è riuscito a convincerla a convertirsi al liuto e al ricamo".

Finalmente anche Aidan sorrise.

"Be', allora potresti darla in moglie a Bellator. Tuo padre dormirebbe sonni tranquilli e tu avresti il fratello che ti sei scelto".

"Non è una cattiva idea... ci penserò".

Buttò giù un bicchiere di birra leggera e lo fissò con uno sguardo ilare.

"Hai una bella testa, Aidan, e mi piaci davvero. Sposala tu, se ti va. Di certo non ti annoierai, ma ti avverto: potresti dover passare la prima notte di nozze discutendo su chi è più abile a tirare con l'arco".

Scoppiarono entrambi in una risata, ma quella dell'arciere non era del tutto spontanea. Una parte della sua mente era corsa a lei. Aveva sbagliato tutto con Adwen. Continuò a ridere per non sentire il pugno che gli stringeva il cuore.

In quel momento un'alta figura si avvicinò al loro tavolo. Era un elfo anziano, dalla lunga barba argentea come i capelli. Indossava un saio bianco e il cordone dei guaritori. I due ragazzi interruppero di colpo il loro scherzo.

"Vi chiedo scusa, signori: posso sedermi con voi?"

Lo sguardo di Aidan, che s'era fatto serio, si posò su Amalion che, con un gesto della mano, invitò l'ospite inatteso a unirsi a loro.

Per primo gli giunse il suono, basso, crescente, come il mugghiare dell'onda che si gonfia prima di sollevarsi e infrangersi contro la roccia.

Poi vide la scura linea che divideva cielo e terra, e che avanzava inspessendosi.

L'assedio stava iniziando.

I Nani avevano calcolato bene le loro mosse: la stagione calda era iniziata, i raccolti non erano ancora pronti e sarebbero andati persi, la pioggia non avrebbe benedetto la terra. Ma Galanár, principe di Arthalion, non aveva alcuna intenzione di rendergli facile quell'impresa.

Anárion aveva provveduto a raccogliere cibo e acqua, mentre lui aveva fatto rinforzare con il piombo i basamenti e i punti deboli. Aveva anche fatto montare due balestre sul vertice dei bastioni e altrettanti pezzi d'artiglieria sul muro di cinta che correva tra i due torrioni. Puntavano tutti contro il nemico: che fosse subito chiaro che lui li stava aspettando.

"Il nostro buon oste mi ha detto che lor signori sono mercanti".

"Vi ha informato bene", rispose Amalion. "Possiamo esservi utili in qualche modo?"

"Può darsi. Posso chiedervi dove siete diretti?"

"Torniamo ad Aermegil. Abbiamo concluso i nostri affari qui e siamo di ritorno a casa per preparare una nuova spedizione".

Il vecchio annuì, considerandolo a lungo con sguardo tranquillo. Aidan, intanto, ascoltava senza parlare. Cominciava a essere nervoso. Non potevano far trasparire la loro urgenza, ma avrebbe voluto che Amalion ponesse fine a quella discussione nel modo più rapido possibile.

"Potrebbero interessarvi delle spezie? Ho piante medicinali e preparati introvabili nelle vostre terre. Potreste rivenderle a un ottimo prezzo".

"Può darsi", gli fece il verso il giovane con un sorriso furbo. "Ma chi ci garantisce la loro efficacia? Come avete detto voi, non sono prodotti che conosciamo bene".

"Sono un maestro di Valkano, mio buon signore. Questo titolo dovrebbe esservi sufficiente come garanzia".

"Valkano?", esclamò l'arciere, non riuscendo a trattenere la sorpresa.

L'elfo spostò su di lui il suo sguardo indagatore.

"Sì, ragazzo. Ho vissuto e studiato in quel luogo fino al giorno della Caduta".

Aidan sentì un brivido freddo che gli attraversava la schiena: tutti i suoi sensi si erano messi in allerta.

"Volete dire che vi avete assistito di persona?", domandò, cercando di assumere un tono ammirato.

"Sono scampato alla morte e ho portato con me i miei libri e la mia sapienza, e adesso sono costretto a metterla al servizio di mercanti come voi per sopravvivere", fu l'amara risposta.

Aidan lanciò uno sguardo allarmato ad Amalion. Così abituato a dialogare con Edhel con una semplice occhiata, sperò di trovare nel suo compagno di viaggio una comprensione altrettanto acuta.

"Mi sembra parecchio strano che siate riuscito a scampare a quell'assedio", osservò fosco.

L'elfo lo squadrò con occhi di ghiaccio.

"Davvero? Parecchio strano? Non più strano di due fratelli che parlano con due accenti atani tanto diversi".

Amalion si lasciò sfuggire un lieve moto di sorpresa, ma Aidan si limitò a rispondere con uno scatto del braccio.

"Dovremmo andare a discutere di affari in un posto più tranquillo, signore. Questa stanza è troppo affollata".

Nascosto dal pesante tavolo di legno, il suo pugnale elfico pungeva il costato del loro ospite.

Solo un lieve sospiro, che lasciava sfuggire l'ansia, la tensione, l'intimo timore di quel momento. La linea scura all'orizzonte aveva preso forma e l'esercito dei Nani si era dispiegato di fronte alle mura a Sud del castello.

Per un istante, Edhel ebbe paura.

Cercò Galanár alla sua sinistra. Il fratello stava fiero sugli spalti, poggiando entrambe le mani sulla pietra della merlatura. Guardava dritto davanti a sé, senza un fremito, come se persino da quella distanza potesse sfidare il nemico. Quella vista gli infuse coraggio e placò il battito del suo cuore. L'elfo tornò a fissare le truppe avversarie che si sistemavano sulla spianata.

Un filo di vento sollevò una ciocca di capelli che gli sfiorò il viso. Ne aveva tirato indietro solo una parte, legandoli in alto, mentre il resto della lunga capigliatura rossa gli ricadeva sciolta sulle spalle: che si vedessero bene, nella luce splendente di quel mattino. Quel giorno lui sarebbe stato solo lo specchietto per le allodole, mentre Aegis, con l'aiuto di Silanna, si spostava lungo il camminamento coperto, intessendo incantesimi della Terra che saldavano tra loro le pietre della fortezza.

Edhel era già diventato una storia da raccontare intorno ai fuochi dell'accampamento nemico: il mago elfo dai capelli di fuoco che aveva riversato una pioggia di fiamme sui soldati. Era una preda ambita, quasi al pari del principe Mezzelfo che portava scompiglio con la sua cavalleria. Così i due fratelli se ne stavano lì, nel vento, in bella vista sulle mura della fortezza. Fianco a fianco in quella prova di forza preliminare.

D'un tratto parve che lo schieramento del nemico si fosse definito. Gli squadroni si erano allineati, i comandanti avevano cessato di urlare ordini. Con un unico gesto, un manipolo di arcieri sollevò l'arma. Le punte vennero incendiate un attimo prima di essere scagliate verso il cielo.

La pioggia di fuoco si piegò verso di loro.

"Che sciocchezza...", mormorò Edhel.

Sollevò la mano destra, pronunciò un paio di parole in elfico e le bende incendiarie si riempirono d'acqua. Le fiamme si spensero e le punte, appesantite, trascinarono al suolo i dardi, che non arrivarono nemmeno a sfiorare le mura.

"Sfidarmi con il mio stesso Elemento!", commentò con fredda ironia.

"Resta concentrato", gli intimò Galanár. "Questo è solo l'inizio".

In effetti il gruppo di arcieri si era separato, creando un corridoio di passaggio per alcuni soldati. Trainavano un vecchio trabucco che cigolava sulle pesanti ruote di legno. Lo collocarono in testa all'esercito, al centro dello schieramento, proprio davanti agli occhi dei principi di Arthalion.

Sugli spalti non si udiva nemmeno un sussurro. Tutti seguivano la scena senza respirare. Galanár restava immobile e non dava ordine di contrattaccare. Sembrava in attesa, aspettando che l'avversario muovesse per primo sulla scacchiera. Edhel, al contrario, era pieno di domande che non osava esprimere ad alta voce: un solo trabucco, e tanto esposto al tiro della loro contro artiglieria? che uso avrebbero potuto mai farne?

La risposta gli giunse poco dopo, quando i Nani liberarono lo scatto e la pesante leva si proiettò in avanti, scagliando nel cielo il suo primo proiettile.

Il generale non batté ciglio. La traiettoria non era letale e non era diretta contro le mura. La gittata era più corta e il colpo andò a impattare sul terreno, a pochi metri dalle pesanti porte che sigillavano il castello. Il generale guardò in basso, mentre il rumore di un secondo scatto suggeriva che un altro colpo era stato caricato. Quando anche questo si schiantò, l'orrore serpeggiò nelle fila degli assediati.

"Che stanno facendo?", chiese Edhel, incapace di dare un nome a ciò che stava fissando.

"Sono le teste dei soldati di Anárion, quelli caduti durante la ritirata", rispose secco Galanár.

L'incantatore indietreggiò d'istinto e si sforzò di reprimere un conato di vomito. Chiuse gli occhi per non guardare, mentre i colpi di trabucco si susseguivano come i rintocchi di una campana a morto.

"Bellator".

"Sì, generale".

"Dopo il tramonto, quando si saranno stancati di dare spettacolo, manda i tuoi fuori dalle mura. Consegna tutto a re Anárion. Sono i loro morti, è giusto che li piangano".

Il capitano assentì e tornò al suo posto.

Edhel, a quelle parole, riaprì gli occhi. L'azzurro dell'acqua era del tutto scomparso.

"Non ci sarà nessuno spettacolo", mugugnò.

Gli occorse un solo sguardo per incendiare il trabucco.

Erano usciti con calma, in silenzio. La lama di Aidan, mimetizzata, premeva contro il fianco dell'elfo. Nelle stalle, in quel momento, non c'era nessuno e i cavalli sbuffavano piano. Aidan si girò e, tenendo sempre il vecchio sotto minaccia, si spostò accanto ad Amalion per fronteggiarlo.

"Chi siete, e chi vi manda?", chiese il principe di Aermegil.

L'elfo sogghignò e non rispose. Aidan distese ancor di più il coltello e lo fece assaggiare al suo collo. Con un movimento improvviso, il falso guaritore gli fece schizzare via l'arma dalla mano e la scagliò indietro, verso il suo legittimo proprietario. Aidan si spostò per schivare il colpo e il suo piede scivolò sul terreno arenoso. Un'anomala onda di sabbia si sollevò con tanta violenza che l'elfo fu sospinto indietro e cadde rovinosamente al suolo, sbattendo il capo contro una delle staccionate di legno.

Vedendo che aveva perso i sensi, Amalion gli fu subito addosso. Gli strappò il cordone dalla vita e gli legò le mani dietro la schiena, quindi si sollevò da terra e si pulì i calzoni. Tornò a guardare Aidan e si accorse che era rimasto indietro, a fissare il coltello che giaceva ai suoi piedi, nella paglia.

"Come ci sei riuscito?", chiese, tra il sorpreso e il divertito.

Aidan raccolse il pugnale e lo osservò con lo stesso stupore.

"Non ne ho idea", confessò confuso. "Deve essere qualche strano incantesimo che mi ha fatto Edhel".

Amalion rise della sua espressione.

"L'ho detto io, che dev'essere divertente avere un gemello mago!"

L'arciere non rispose. Si chinò sull'elfo ed esaminò i suoi averi. Lanciò nell'erba il falcetto, eliminando una possibile arma, quindi sfilò da un gancio della cintura un piccolo libricino. Sembrava un taccuino di incantesimi, ma era scritto in elfico e lui non riuscì a coglierne che qualche parola.

"Ecco i momenti in cui rimpiango di non aver studiato abbastanza", sbuffò.

Sentì la mano di Amalion che si poggiava sulla sua spalla.

"Avrai tempo di lagnarti della tua somaraggine quando saremo lontani da qui. Adesso montiamo in sella e filiamo via più veloci del vento. Dobbiamo raggiungere l'Ambit. Non voglio restare un minuto di più nelle terre degli Elfi".

NOTA DELL'AUTORE

1 - La locuzione Principiis obsta, spesso citata da sola, è parte di una famosa sentenza di Ovidio tratta dai Remedia amoris: Principiis obsta, sero medicinia paratur cum mala per longos convaluere mores, cioè Opponiti ai princìpi del male dall'inizio, tardi si somministra la medicina, quando ormai il male si è rafforzato per un lungo indugio.

In generale, quindi, si usa per affermare l'opportunità di rimedi tempestivi se si vuole stroncare il male sul nascere

2 - In questo capitolo avete assistito all'inizio di un assedio che, come potete già prevedere, si protrarrà anche nei successivi.

Vi dico fin da adesso di non stupirvi di molte scene cui assisterete e di non attribuirle (ahimè!) alla mia geniale fantasia. Per quanto possano apparire bizzarre, quasi tutte le pratiche descritte sono reali, tramandate nei testi di arte ossidionale (sì, i "manuali su come fare un buon assedio"... esistono davvero! 😂) e nelle cronache storiche. Gli assedi, infatti, si giocavano non solo sugli assalti effettivi tra gli schieramenti, ma anche sul piano psicologico, soprattutto quando erano di lunga durata. Non era infrequente che si mettessero in atto azioni che miravano a demolire l'umore degli assediati o dell'esercito accampato all'esterno, giocando sulla frustrazione e sulla stanchezza delle parti.

Sfidare gli oppositori dagli spalti del castello o tirare nel campo avversario le teste dei nemici uccisi erano alcune di queste pratiche, con buona pace di Edhel 😔

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