01. ALIQUID CONSILII NOVI

"È possibile che un sogno sopravviva, se chi sogna decide di rinunciarvi?"

La domanda si perse nel vuoto della stanza. Non intendeva nemmeno esprimerla ad alta voce, ma era venuta fuori da sola, come una richiesta d'aiuto disperata e indesiderata. Con un sospiro, allontanò da sé la coppa di vino che aveva vuotato una volta ancora, rassegnato ad affrontare il suo incubo, dal momento che lo aveva appena reso reale e concreto attraverso le parole.

"Ed è possibile che quello stesso sogno, immutato, posso passare ad altri?"

Mellodîn lo scrutò con preoccupazione. In quelle rapide e convulse settimane, Galanár era diventato l'ombra di se stesso. I lineamenti del suo viso, tesi e affilati, emergevano per la prima volta in tutta la loro finezza elfica. Sembrava che la sua tempra umana si stesse prosciugando, divorata dall'interno da un male indicibile, lasciando spazio alla fragile e diafana essenza degli Eldar, che il generale aveva sempre cercato di nascondere sotto i muscoli e sotto l'armatura.

Ti avevo avvertito, avrebbe voluto dirgli il comandante, assieme a un mucchio di altre considerazioni che, parimenti, decise di tenere per sé. Al punto in cui erano giunti, non avrebbe fatto la differenza. Inoltre, avere ragione su Galanár non gli aveva mai dato soddisfazione: preferiva di gran lunga essere smentito, piuttosto che misurarsi con le fatali passioni del suo generale.

"Se passasse ad altri, non sarebbe più lo stesso", si limitò a osservare.

"Potrebbe diventare migliore"

Mellodîn ignorò quella considerazione.

"La noia ti rende fastidioso, Galanár, e il vino troppo filosofo. E le due cose insieme non ti sono mai calzate bene, sai? Preoccupiamoci piuttosto di Anárion, che sembra aver perso la testa".

Il principe non replicò, ma i suoi occhi si fissarono sull'amico, finalmente interessati a qualcosa che non fosse il liquido ambrato che stava versando per l'ennesima volta.

"Si è fatto rintuzzare fin qui", proseguì il comandante, "ci ha fatto perdere il poco vantaggio conquistato e ci ha riportati al punto di partenza. Può solo ringraziare il re di Gonthond se le perdite sono state limitate. Non pensi che sia giunto il momento di fare qualcosa?"

Nelle ultime settimane, in effetti, il generale e i suoi ufficiali avevano dovuto assistere impotenti a un caotico susseguirsi di azioni.

Le campagne condotte fino a quel momento da Galanár avevano sempre avuto l'aspetto ordinato di una inevitabile calamità, e lui era del tutto impreparato ad affrontare quella maniera umorale di gestire lo scontro. Non aveva idea, né esperienza di ciò che una guerra di logoramento poteva generare nei combattenti. Cominciava a capire solo allora quali danni potesse produrre la disperazione e lui, che avrebbe dovuto essere il tassello risolutivo di quel mosaico, si era sentito invece trascinato all'interno di una spirale di errori, senza riuscire a imporre davvero la propria visione della battaglia.

Quando era arrivato a Formenos aveva giudicato lo zio inadeguato al compito di condottiero. Vivendo per mesi alla sua ombra, però, era stato contagiato dalla sua stessa malattia. Non riusciva più a opporsi a lui perché una parte del suo cuore non riusciva a biasimarlo.

"Non essere così severo", replicò con voce arrendevole. "È anche colpa mia se accade questo. Quando sono arrivato qui con tutto l'esercito, Anárion si è sentito minacciato da me: si è sentito in dovere di mostrare i muscoli, di manifestare al suo popolo che non mi teme. Non posso rimproverarlo, perché avrei agito anch'io così".

"È strano pensare che perfino gli Elfi, longevi come sono e saggi come dovrebbero essere, possano talvolta dimenticare cosa sia la ponderazione", considerò Mellodîn in risposta.

Galanár annuì.

"Vale anche per te, comunque", sottolineò l'amico. "E ciò non giustifica il fatto di averti considerato una minaccia, invece di concentrarsi su chi continua ad attaccarlo. Anárion ha cercato di ridimensionare al massimo la tua forza, e cosa ne ha ottenuto? Una mezza vittoria, un inutile inseguimento e una vergognosa ritirata. E ora siamo di nuovo in stallo, a fronteggiare di tanto in tanto una scaramuccia o una sortita nemica, senza che nessuno si decida davvero ad attaccare l'altro e a farla finita".

Il principe ascoltò tutta la tirata e non rispose. Si limitò a sospirare e a trangugiare un altro sorso di vino. Osservandolo in quel momento, Mellodîn realizzò che la situazione era peggiore di quanto avesse creduto: il suo generale, l'amico e il futuro re non poteva essere quel tipo stanco che gli stava seduto vicino e che cercava nel vino una consolazione ai pensieri più oscuri. Quella doveva essere solo una pessima copia di Galanár. Capì che era giunto il momento di affrontare con lui una discussione che aveva a lungo rimandato.

"Senti, Galanár...", esordì un minuto e un sorso di vino dopo. "Non mi piace tornare su questo argomento, ma ti avevo già messo in guardia tempo fa: non farò scendere in campo nemmeno l'ultimo dei miei uomini se tu non sarai tornato in te. Io ti voglio bene, ma tutte queste vite non saranno mai il prezzo pagato per la nostra amicizia".

"Tornare in me? Cosa dovrei fare, di preciso, per tornare in me?".

"Cosa non lo so... ma penso che dovresti mandare via Silanna. Almeno per il momento".

Il principe rise apertamente e con amarezza di quella richiesta.

"Come se Silanna si facesse mandare via così, senza far storie, da me, da te o da chiunque altro!"

Il comandante scosse il capo.

"A Valkano, Aidan è stato bravo, o fortunato, o entrambe le cose. Resta il fatto che concederle quella spedizione non è stata una buona idea. Non conviene sfidare gli Dei più di una volta, come invece tu sembri sempre disposto a fare ogni qualvolta lei te lo chieda".

Il principe non replicò. Rimase in silenzio, rimuginando su quelle parole, e Mellodîn ne approfittò per rafforzare il suo discorso.

"Non sarà mica per sempre. Non è mai morta nessuna donna alla quale è stato chiesto di farsi da parte e di aspettare. Sopravviverà anche lei".

Sopravvivere? Aspettare?

Era chiaro che Mellodîn non aveva mai visto gli occhi di Silanna durante le loro discussioni, e non conosceva il suo sguardo di trionfo ogni volta che otteneva su di lui una qualche discutibile vittoria. Galanár non avrebbe mai confessato ad anima viva quanto si sentisse sopraffatto da lei, eppure quella notte sentì che ammetterlo sarebbe stato l'unico modo possibile per essere aiutato.

Prese un profondo respiro prima di parlare.

"Riesci a credermi, Mellodîn? In nessun momento della mia precedente esistenza avrei mai immaginato di volere proprio l'unica donna che non posso avere".

"Ti credo senza ombra di dubbio. Sono certo che, se l'avessi potuta avere, adesso non saremmo qui a fare questo discorso".

Galanár sorrise di quell'appunto: l'amico aveva di certo una parte di ragione. Avrebbe dovuto ascoltarlo molto tempo prima, ormai era tardi.

"Dicono che l'amore renda più forti", considerò, quasi ragionando ad alta voce. "Nelle leggende, ci raccontano delle grandi imprese che gli eroi compiono sotto la spinta di questo sentimento".

"E non potrebbe essere lo stesso anche per te?"

"No, perché Silanna non ha acceso in me l'audacia. Al contrario, mi ha fatto provare qualcosa che non conoscevo: la paura di scendere in battaglia, la paura di morire. Prima d'ora non avevo mai nemmeno pensato che sarei potuto morire. Era un'idea remota, aveva a che fare con la vecchiezza, lo scorrere del tempo, discorsi del genere... ma quando ero sul campo, non ricordo una sola volta in cui ho pensato di morire".

A quelle parole, Mellodîn rabbrividì fino al midollo: un generale che ha paura di morire condanna a morte tutti i suoi soldati. Mai come in quel momento, avvertì l'urgenza di riportarlo indietro, di fargli recuperare la passione per le proprie idee a qualsiasi prezzo.

Galanár aveva sempre perseguito ogni obiettivo con una costanza e una determinazione che sfioravano l'annientamento della sua persona. Doveva solo trovare il modo per indirizzare le sue energie nel verso giusto. Era suo amico, il suo migliore amico. Al di là di qualsiasi possibile divergenza di opinione, non lo avrebbe mai voluto vedere distrutto.

"Allora usa il tuo desiderio per vincere la paura. Hai ancora un sogno, un grande sogno: riunire sotto la stessa corona due regni, due popoli, due civiltà. Non è da uomini qualsiasi avere un'aspirazione di questa portata. Tu non sei un uomo qualsiasi".

"Silanna ribadirebbe che, a rigor di termini, non sono neanche un Uomo", sorrise il principe.

"Be', a rigor di termini, ha ragione lei. E resti comunque l'unico, in tutta Amilendor, che potrebbe davvero farlo. Diventa re e, a quel punto, scriverai tu le regole... a quel punto, chi potrebbe impedirti di scegliere Silanna? In più, se davvero agli Elfi non piaci perché ti considerano troppo umano per i loro gusti, una regina Elfo al tuo fianco potrebbe perfino rivelarsi una soluzione".

Aveva parlato con sincera veemenza. Non era solo un modo per convincerlo a uscire dal suo torpore: quello di Mellodîn era un piano vero e proprio, e Galanár non poté fare a meno di analizzarlo, come avrebbe fatto con una strategia di guerra.

"Una regina Elfo potrebbe", rispose. "Ma un Elfo Scuro sarebbe troppo per chiunque. Mettere sul trono di Laurëgil una stirpe di traditori della razza non credo che mi attirerà molte simpatie".

"Non puoi saperlo adesso. Gli equilibri cambiano, il mondo cambia... chi può dire cosa accadrà? Potresti tenerla separata da ogni incarico, presentarla solo come la tua sposa regina. Potresti affidare Edhel alle cure di Aegis e, col tempo, accentrare su di lui ogni carica legata alle tradizioni e al culto della magia. È un Daimonmaster ed è tuo fratello, ma è anche un Elfo e, al pari tuo, è nipote del re. Questo potrebbe piacere agli Elfi e, dopo un po', si dimenticheranno di Silanna. Con il tempo, le persone dimenticano sempre, se credono che le loro richieste e i loro bisogni siano stati soddisfatti".

"Non è un brutto pensiero", riconobbe il principe, quando l'altro ebbe concluso. "Anche se non credo che Vargas rinuncerà al suo allievo tanto facilmente".

"Il maestro Vargas, che gli Dei mi perdonino, è il passato. Lui e tutta la corte di Arthalion, con le sue infinite cerimonie, sono il passato. Tu, amico mio, forgerai un nuovo mondo".

Il principe avrebbe mentito se, in quel momento, avesse negato la fascinazione che stava provando nei confronti di quel discorso. Quel mondo, lui già se lo vedeva davanti agli occhi. Ogni fibra del suo corpo stava urlando la sua approvazione a quel piano. Mellodîn gli aveva appena fornito un altro motivo per cui lottare. Un motivo per sovvertire ogni regola.

"Be', per cominciare, dovrei scoprire che fine hanno fatto le mie armate", considerò a quel punto con decisione, come se il piano appena abbozzato fosse già divenuto esecutivo. "Ho il forte sospetto che, da un po' di tempo a questa parte, non arrivino più missive al castello, e che nemmeno le mie giungano a destinazione".

"Manda qualcuno", ribatté il comandante. "Qualcuno di cui ti fidi. Cerca di capire se davvero ci hanno isolati, e dove sono giunte le tue truppe".

Galanár annuì.

"Chiama Aidanhin. Chiamalo adesso. Non abbiamo più tempo da perdere".

"Ho il dubbio che sia accaduto qualcosa di cui non sono al corrente. Gli Arconti non sono mai venuti meno agli impegni presi con Arthalion, quindi ho motivo di credere che qualcuno stia interferendo nelle nostre comunicazioni. Tu sei sveglio, abile e rigoroso nell'obbedire agli ordini, e io ho grande fiducia in te".

Aidanhin seguì ogni parola del fratello con attenzione. A dispetto dei sentimenti contrastanti che lo avevano agitato al ritorno da Valkano, il desiderio di non deluderlo il fratello aveva preso di nuovo il sopravvento.

"Prendi con te Amalion", proseguì Galanár. "Partite leggeri e senza armi a vista. Siete giovani e vi somigliate un po'. A una prima occhiata potreste passare per fratelli, per mercanti della Lega. Taglia da Nord e non avvicinarti mai, mai, per nessuna ragione, alla capitale. Il re degli Elfi ha occhi dappertutto, quindi dovrete agire con la massima cautela, evitando la strada ogni volta che potete. Torna ad Arthalion e scopri che fine ha fatto il mio esercito".

"Quando devo partire?".

"Tra tre giorni, all'alba, vi voglio in viaggio".

Il generale di fermò un istante a squadrare il ragazzo. Sapeva che avrebbe fatto di tutto pur di portare a termine il suo compito. Glielo aveva già dimostrato una volta, e forse lui non gli era stato nemmeno grato abbastanza.

"Riportami i miei uomini, fratello", rimarcò poggiandogli una mano sulla spalla. "La nostra sopravvivenza dipende dalla riuscita di questa missione".

Tre giorni.

Aidan pensava in fretta, mentre si allontanava dalla sala e attraversava i corridoi scuri del castello. Sarebbe andato subito a cercare Amalion. In due sarebbe stato più facile organizzare le idee.

In due...

Fino a poco tempo prima, il primo a ricevere la notizia sarebbe stato Edhel. Di certo avrebbe chiesto consiglio a lui. Si accorse, con una punta di dispiacere, di non avere nessuna voglia di parlargli.

Tanto avrà sicuramente qualcosa di più urgente o interessante da fare, che non sia la mia missione.

Nelle ultime settimane, Edhel era stato totalmente assorbito dai suoi misteriosi studi, al punto da sembrargli quasi un estraneo, tanto poche erano diventate le occasioni in cui riusciva a vederlo.

Una rabbia sottile gli accarezzò i pensieri: sarebbe stato piacevole, per una volta, una soltanto, calpestare i sentimenti del suo gemello così come lui faceva troppe volte con quelli degli altri.

Sarebbe partito senza dirgli nulla.

Se riusciva ad andare senza salutare lui, però, sapeva di non riuscire a fare lo stesso con Adwen.

Da quando erano tornati a Formenos, avevano avuto parecchie occasioni per trascorrere del tempo insieme. Lei era la più giovane tra gli Elfi venuti da Valkano e sembrava non avere amici. Sembrava non essersi ancora adattata alla vita fuori dal monastero. Aidan si era sforzato spesso di mettersi nei suoi panni: essere strappati dalla propria tranquilla esistenza e venire catapultati all'interno di uno scenario di guerra non doveva essere facile. Aveva preso, quindi l'abitudine di farle compagnia quando poteva, mentre lei era in giardino a curare i fiori, l'unica distrazione dagli studi e dalla lettura che sembrava concedersi di tanto in tanto.

Ogni volta Aidan cercava di mettere insieme i pochi brandelli di conoscenza arcana che aveva collezionato in anni di discorsi con Edhel e provava a intavolare con lei una discussione. Non era molto bravo, a dir la verità, ma spesso lei gli veniva incontro e spostava l'argomento su alberi e fiori, terreno comunque accidentato per il ragazzo, ma di certo meno ostico rispetto alla magia. Con il tempo, l'arciere si era convinto che quegli incontri facessero piacere a entrambi.

Da Adwen, allora, sarebbe andato. Non sarebbe partito senza vederla.

NOTA DELL'AUTORE

Comincio questo spazio con un Bentornati! 💛

Cari, coraggiosi lettori, vi ho lasciati un po' in sospeso nel finale de Il figlio dell'Idra, ma oggi riprendiamo il viaggio e le fila del nostro discorso, per scoprire quali saranno le sorti dei nostri eroi.

Lo so, non partiamo benissimo, con Galanár così giù di corda e la guerra che si sta rivelando un mezzo disastro, ma forse Mellodîn è riuscito una volta ancora a raddrizzare la barca che stava andando alla deriva. E chissà che Aidan non riesca a regalarci qualche gioia 😊

Lo vedremo presto, vi aspetto nei prossimi capitoli!

PS - Aliquid consilii novi (Qualche nuovo/a stratagemma/decisione) è tratto da una frase di Cornelio Nepote: Se parem non esse paratis adversariis, statuit aliquid sibi consilii novi esse capiendum (Poiché capiva di non poter competere con nemici ben preparati, stabilì che doveva ricorrere a qualche nuovo stratagemma).

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