Capitolo 9
Gli aveva detto che desiderava tornare e l’aveva fatto. Per alcune sere era rimasta ad ascoltarlo, mentre lui le leggeva passi della Bibbia, cercando di tradurli per lei dal latino.
Esmeralda sedeva accanto a Claude, ormai quasi senza timore. Anzi, si accoccolava sul pavimento, accanto alle gambe del prete e lo osservava, con quei suoi occhioni spalancati, con quel suo visino rivolto verso l’alto, declamare quelle storie sconosciute. Talvolta, con noncuranza, il braccio di lei si appoggiava al ginocchio dell’uomo, senza che ella si accorgesse del fremito che gli attraversava la pelle.
Per Claude era una tortura, la più deliziosa delle torture.
- Cominciate a comprendere meglio la religione? – le aveva chiesto una di quelle sere, con tono piano, come fosse stato il suo professore.
- Con voi comprendo tutto, Maestro Frollo. – aveva sorriso, abbassando la testa – Leggereste ancora per me?
- Perché non lo fate voi? – le propose, così, per prima cosa, si sarebbe scostata dalle sue ginocchia.
- Io, veramente…
- In qualche modo dovrete pure imparare…ecco, sedetevi qui. – le cedette la sua sedia - Ovviamente vi cercherò un testo francese.
Ne aveva approfittato per allontanarsi da lei, con la scusa di prendere un volume dallo scaffale.
- Ecco, tenete.
Si sedette a debita distanza, ascoltandola compitare le parole con sforzi da scolara.
Aveva qualcosa di ancor più delizioso, mentre compiva quelle operazioni, mentre sillabava sulle sue labbra di fragola, qualcosa che egli non avrebbe saputo spiegare, ma che desiderava non avesse mai fine.
- Questa frase proprio non la capisco. – disse lei con semplicità – Perché non mi aiutate, Maestro Frollo?
Meccanicamente, si avvicinò ad Esmeralda, per soddisfarne la richiesta. Poggiò le mani sull’alto schienale della sedia, lesse, ma senza ricordare nulla l’istante dopo.
I suoi capelli avevano il profumo più penetrante che avesse mai sentito, come la pugnalata dell’odore dei garofani.
La fanciulla intanto attendeva ancora la sua risposta e, stanca di aspettare invano, si era rimessa al lavoro. Riuscita finalmente a svolgere il complesso periodo, lo lesse tutto d’un fiato, alzando poi trionfante il viso verso l’arcidiacono, come per riceverne l’elogio.
- Avete visto? Ce l’ho fatta, e prima di voi!
- Brava, piccina… - rispose distrattamente, ancora inebriato dal suo aroma.
- Non siete contento di me? – la sua voce era incrinata da un accento di delusione – Sto imparando a leggere.
Non l’ascoltava nemmeno più. Vinto dalla forza di quella tentazione posò le labbra fra quei riccioli neri e vi depose un bacio
Esmeralda si voltò di scatto, sorpresa, quasi spaventata: - Cosa state facendo?
Egli, senza dire una parola, con la bocca scivolò più in basso, fra la fronte e la tempia sinistra di lei. La baciò di nuovo. Non protestava più, quel bacio, appassionato e, tuttavia, castissimo le era parso meraviglioso. Si sentiva incredibilmente bene, in quel momento, bella, importante, amata come mai era stata o aveva creduto di poter essere.
Pensò che sarebbe stato bello se egli non si fosse fermato, se l’avesse baciata ancora con quella dolcezza. Che strano, avere avuto paura di quell’uomo fino a pochi giorni prima, aver scelto di seguirlo solo per fuggire alla morte e, ora, desiderare il contatto della sua bocca sul proprio viso.
Invece, lui si scostò piuttosto rapidamente: - Sono molto orgoglioso di voi, come allieva. Fate progressi. – si affrettò ad aggiungere, neanche avesse potuto essere una spiegazione sufficiente a giustificare quel gesto.
- Non sono offesa, Maestro. – aggiunse lei sottovoce – Intendo, per il vostro bacio.
- Non era ciò che pensate. – replicò bruscamente – Era solo un modo per dirvi che apprezzo il vostro interesse verso ciò che vi insegno.
- Capisco. - Esmeralda teneva gli occhi bassi.
- Voglio dire, non voglio nulla in cambio per avervi salvata. Non temete.
- Non ho più paura di voi. È passata una settimana da quando sono arrivata qui e, da voi, non ho ricevuto che gentilezza. A volte penso che voi fingiate di essere più cattivo di quanto non siate.
Maestro Frollo, quel pugnale che non avete usato, quella notte che sareste potuto entrare nella mia stanza ma non l’avete fatto…
- Come lo sapete?
Esmeralda arrossì completamente: - Vi ho spiato, dalle assi della porta…
Claude scosse la testa con un mezzo sorriso: - Decisi che non era giusto costringervi con la forza a concedervi a me. Anche se sarebbe l’unico modo per avervi. Non sarete mai mia.
Lei si era accorta dell’amarezza posta in quelle parole.
- Però sono comunque qui con voi. Non è la stessa cosa, lo so. Ma non siete contento nemmeno un po’?
- Cara Esmeralda, perché vi preme tanto che sia felice, adesso? Fino a poco fa mi credevate l’uomo più mostruoso di questa terra.
Ella si strinse nelle spalle, come a dire che razionalmente non lo sapeva, che si trattava solo di una sorta di affetto istintivo che stava nascendo dalla convivenza forzata.
Lui le prese una mano, questa volta con dolcezza.
- Che belle mani avete. – disse la ragazza – Datemi anche l’altra.
Passò le proprie dita sui palmi delle sue mani. Erano sottili, lunghe e nervose le mani di lui, ma allo stesso tempo morbide e calde. Si immaginò come sarebbe stato bello se l’avesse abbracciata, come si sarebbe sentita al sicuro, dopo tanti spaventi. Pensò anche a cosa avrebbe provato, se lui l’avesse accarezzata come aveva fatto Phoebus. Sembravano più delicate le mani di quel prete, che quelle di un soldato, più adatte ad sfiorare la sua pelle.
Ma che cosa mi sta succedendo? Si chiese. Perché sto pensando a lui sempre più spesso?
Giocherellò con l’anello che Claude portava, finché egli non si sottrasse. Il gesto di lei gli aveva ricordato di essere un prete.
- Ecco, vedete, è questo anello che impedisce al mio amore per voi di essere lecito, di essere possibile. Io sono un uomo di Chiesa, appartengo a Dio eppure vi amo. Se solo fossimo diversi da ciò che siamo! Mi amereste, allora, Esmeralda?
Scrollò la testa con decisione: amo un altro, disse semplicemente, e contro questa verità non c’era alcun modo di lottare.
- Amate un altro o piuttosto l’immagine che vi siete fatta di lui?
Rimase a lungo in silenzio, a riflettere sulle parole del prete come se non fosse riuscita ad afferrarne il senso.
- Intendevo dire, non amate forse l’ufficiale che vi ha salvata, l’eroe dalla splendente armatura e dal nobile sembiante? Che sia lui o un altro, che importanza ha? Ciò che conta è che corrisponda alle vostre fantasie. Questo non è amare, Esmeralda, è idealizzare, se permettete che ve lo dica. E idealizzare porta a non accorgersi di quello che abbiamo vicino, di quello che veramente avrebbe un senso nella nostra vita.
- Cosa ne sapete voi dell’amore? Io amo Phoebus perché… non lo so perché però lo amo.
-Biondo era e bello e di gentile aspetto… - citò la Commedia in italiano, con una nota di sarcasmo comprensibile solo a lui.
- Cosa avete detto?
- Il a été blonde, beau et avec un gentil semblant– tradusse senza troppaconvinzione.
- Tacete – ribatté posandogli la punta delle dita sulle labbra – Perché mi fate così soffrire?
Lambì appena quella manina con un bacio lieve.
- Soffrire? Mia cara piccina, vorrei soltanto che voi foste sincera con voi stessa.
- E sia. Forse non lo amo, forse mi attrae soltanto, perché avevo sognato un uomo come lui fin da quando ero bambina. Ma se credete che io possa amare voi vi sbagliate. Ho giurato a Phoebus di essere solo sua. Lui è stato il mio primo amore e vi resterò fedele finché avrò vita, anche non dovessi più incontrarlo.
Aveva pronunciato quelle parole con una veemenza talmente forzata da aver implicitamente confessato il contrario.
Non ne era più così certa, di amare Phoebus. Qualcosa in lei stava vacillando, aveva pericolosamente vacillato sotto il bacio di quell’uomo.
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