Capitolo 2
Aveva scelto lui! Quel suo sì gli era rimbombato nella testa dall'uscita della cella fino alla sua stanza in cima alla torre più alta di Notre Dame. Aveva camminato per le vie secondarie, come d'abitudine, per non incontrare gente, con quel suo fare strano di passare quasi inosservato, di confondersi coi muri, con quel suo gesto elegante di riportare ordinatamente a sé le vesti, col cappuccio del mantello calato sugli occhi. Nonostante tutto fosse apparentemente normale, temeva che qualcuno potesse accorgersi di una nota di soddisfazione nella sua andatura, nel suo sguardo.
Esmeralda, la mia Esmeralda, si ripeteva, sorprendendosi di come facilmente quel nome gli scivolasse sulle labbra.
Ha scelto me, io la libererò, devo trovare un modo, un piano... Il cuore gli martellava nel petto. Decise di rimandare ogni strategia a quando fosse stato lucido e solo, nella sua camera.
Nel frattempo poteva soltanto assaporare il piacere di quel momento, l'idea che avrebbe potuto averla per sé. La desiderava da tanto tempo, troppo. Da quando l'aveva vista ballare sul sagrato di Notre Dame, con l'insolenza della giovane età e la grazia della sua innocenza. E quella bellezza degna di una dea era un potere che mai il cielo aveva concesso a donna mortale.
L'aveva stregato, gli aveva rapito il cuore e ora lo teneva prigioniero in quelle sue adorabili manine.
Lo torturava con il suo disprezzo, da un lato, poi dall'altro lo resuscitava con quel suo semplice sì.
L'amava, nonostante tutto, e mentre camminava per le vie di Parigi la sua mente era lontana anni luce. La sua mente era sempre con lei, l'abbracciava in un sogno, la trascinava nelle coltri bianche del suo letto fino ad allora casto.
Come in un'allucinazione, ora, la immaginava lontana da quella cella, al sicuro con lui, in qualche stanza remota della cattedrale. E lei gli diceva: vi amo, con quella sua voce dolce, per questo ho scelto voi. Allora lui, a quelle parole, l'avrebbe tratta al suo petto, avrebbe placato con la stretta ferma delle sue braccia il tremore della fanciulla ancora spaurita.
Poi l'avrebbe baciata, piano, dolcemente, sulla fronte, sugli occhi, sulle gote, per giungere infine alla sua bocca. Lì si sarebbe fatto strada, schiudendole le labbra con la lingua, assaggiandola, nutrendo il proprio spirito del sapore di lei.
Poi le mani sarebbero corse sul suo corpo, rimanendo impigliate tra i capelli d'ebano, facendo fremere quella pelle ambrata dai seni alle gambe, dal collo ai fianchi. Si chiese se sarebbe stato capace di dispensare piacere ad una donna, lui che non ne aveva mai conosciuta una.
Ma l'urgenza dei sensi avrebbe preso il sopravvento: lui le avrebbe sussurrato all'orecchio "Ti voglio, qui, ora" e l'avrebbe presa ovunque si fossero trovati, sul pavimento, sul suo tavolo di alchimista, nel suo letto.
Avrebbero imparato insieme a fare l'amore, lei vergine e lui sposo verecondo della Chiesa.
Immaginava di muoversi su di lei con una sicurezza che molto probabilmente non possedeva e di esplorare il suo corpo con le mani, con la bocca, e di riempirsi della sua Esmeralda.
Poi sarebbe toccato a lui di soggiacere alla sua volontà, alle sue carezze. Che facesse della sua persona ciò che voleva, che lo inchiodasse sotto di lei con quelle piccole mani delicate, che lo straziasse negandogli e concedendogli baci a suo piacere, così per gioco, tanto sarebbe stata piacevole quella tortura.
Non osò continuare a svolgere quella fantasia profana quando giunse dinnanzi alla facciata di Notre Dame. Dio lo stava giudicando attraverso gli occhi glaciali e severi delle statue. Era un prete, aveva giurato di conservare intatto il suo voto di castità, ma niente, più niente importava da quando aveva conosciuto lei.
Si accorgeva di non avere mai vissuto, nell'attesa di un'estasi divina, di un po'di eternità, ma improvvisamente, questi valori perdevano di senso davanti alla prospettiva dell'ebbrezza terrena.
Dopo essere entrato dalla navata laterale di sinistra, si sentì mancare il fiato: la santità del luogo contrastava brutalmente con la peccaminosità dei suoi desideri, ingaggiava una lotta con essi dentro il suo petto.
Tentando di non farsi scorgere, si appoggiò ad una colonna e fece il segno della croce.
Perdonami, Signore. Non sono degno di essere un ministro della tua Chiesa. Se lei è un demone infernale inviato dal Diavolo a tentarmi o è Lucifero stesso, ti ho dimostrato di non essere abbastanza perseverante. Oppure hai avuto la prova di aver creato lui troppo più forte di noi.
Si precipitò nella sua stanza e si lasciò cadere sul letto, stremato dalle troppe emozioni di quel giorno. Fra i suoi libri, le sue pergamene, i suoi oggetti di studio stava riacquistando lentamente la lucidità, proprio come aveva immaginato.
Ma andava ritrovando anche i contatti con la realtà: realizzò che non ci sarebbero stati né baci né carezze né voluttà. Se ella aveva deciso di seguirlo era perché la forca era un'alternativa che non poteva fare piacere a nessuno, tanto meno ad una creatura vitale come quella.
Non poteva amarlo. Dopotutto, chi avrebbe amato un misero, triste prete come lui?
Il suo aspetto non ispirava fiducia o simpatia, ancor di meno il suo carattere.
Sempre meglio che la morte, è vero, ma non doveva illudersi, non doveva permettere che la sua fantasia di innamorato confondesse una decisione di comodo con una prova d'affetto.
Si alzò dal letto per dirigersi allo specchio. Com'era vecchio e lei tanto giovane e bella.
In realtà aveva appena trentacinque anni, anche se ne dimostrava almeno un lustro di più.
La colpa era delle rughe precoci che lo segnavano e della giovinezza consumata sui testi antichi.
Lasciò cadere il mantello, dopo averne sciolto i lacci, per vedere la sua figura libera dal fagotto di vesti. Certo, il suo non era un corpo adatto a un prete, troppo elegante, troppo prestante con quella sorta di indolente sensualità, visibile anche attraverso la tunica che lo mortificava.
Se solo lei se ne fosse accorta...
Ma ora basta! Doveva pensare a liberarla. E forse qualcosa aveva già in mente.
Mandò a chiamare Quasimodo.
Il campanaro arrivò quasi immediatamente, attendendo con rispetto sulla soglia.
Non sarebbe mai entrato nella cella del suo Maestro senza permesso.
Lo amava come un cane ama il padrone, con le viscere più che con la ragione.
- Ho bisogno del tuo aiuto. - gli disse, scandendo la parole, affinché l'altro le leggesse sulle sue labbra. Poi con quel linguaggio fatto di gesti che condividevano e che loro soli comprendevano, gli spiegò qualche dettaglio.
Il ragazzo sembrava aver capito a sufficienza e con lo sguardo dell'unico occhio rispondeva che avrebbe fatto qualsiasi cosa per lui.
Frollo gli fece cenno di lasciarlo solo.
Quella sera non cenò e si coricò presto ma non fu capace di prendere sonno.
Un clamore proveniente dall'esterno lo riscosse all'alba.
Sulla piazza stavano conducendo scalza e in camicia la sua Esmeralda. Guardò la folla pervasa di una curiosità morbosa, accorsa perlopiù per vedere lo spettacolo di una bella fanciulla discinta, strega o no che fosse. Si sentiva ribollire il sangue nel vedere che una parte di essa sputava e gridava contro di lei, mentre l'altra s'indignava, proclamandola innocente, non già perché fosse interessata alla sua sorte, ma piuttosto all'idea di non vederla più danzare.
Che disgustosa marmaglia! Pensò, pieno di un aristocratico disprezzo. E ad essa la mia piccina si offriva danzando impudica, sotto gli occhi di tutti, regalando il soave spettacolo della sua grazia.
Il boia la strattonò senza troppo riguardo giù dal carretto. La poverina, che non si reggeva per la ferita al piede, cadde a terra. Frollo si coprì il viso per non vedere.
Ah, ma quando sarà con me nessuno le mancherà di rispetto. Nessuno le farà più del male. Sarà amata soltanto, come nessuna donna è stata amata mai.
Si rivestì in fretta e scese le scale. Aveva un piano da mettere in atto.
Non aveva sceso che un paio di rampe quando udì delle grida concitate.
Poi una voce di sordo che invocava chiaramente "Diritto d'asilo".
Claude sorrise di soddisfazione.
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