capitolo 1

- Ti amo, capisci? Ti amo.- le disse il prete, quasi gridando di disperazione, mentre lei rimaneva seduta sulla pietra umida della cella.
Rimasero entrambi in silenzio, sconvolti dalla rivelazione. Claude Frollo si prese il viso tra le mani, come per illudersi di poter nascondere a Dio la bocca colpevole di aver osato proferire quelle parole.
- E voi credete che sia amore quello che mi rivolgete? - replicò Esmeralda in un soffio con quella sua voce di bambina - Che sia amore uccidere l'uomo che amo nella speranza che quel sentimento, un giorno, si sarebbe riversato su voi?
- Sono pazzo, pazzo d'amore per te. Non sapevo quello che facevo e quando ho visto quel soldato avventarsi sul tuo corpo, come un falco su una tenera colomba, io... Ma a che pro, spiegarti tutto questo. Leggo nei tuoi occhi il disprezzo per me e nella mia testa rimbomba la tua voce mentre mi chiamiassassino.
Don Claude appoggiò le spalle alla parete, nemmeno se la pietra con la sua freddezza avesse potuto estinguere il fuoco che aveva nelle viscere.
- Assassino - ripeté lei - Le vostre mani sono sporche di sangue.
Si guardò le mani, quelle mani che avrebbe voluto far scivolare su di lei e che invece ora tormentavano nervosamente un lembo della cappa.
Si gettò in ginocchio sui suoi piedi. Perdonami, le diceva in un rauco gemito di dolore misto a desiderio, perdonami, dimentica, scegli me e non la forca, sono l'unico che ti può aiutare. Le sue parole erano confuse, non sapeva nemmeno se la fanciulla ne avesse compreso il senso.
Ma ella aveva capito benissimo e guardava con sdegno quel povero prete che si contorceva a terra, in preda ad un tormento che lei non riusciva nemmeno lontanamente a figurarsi.
Per un attimo, provò pietà per lui. Non seppe spiegarsene la ragione, forse era colpa di quel suo cuoricino, inadatto a sopportare le sventure, in cui continuava ad albergare un diffuso sentimento di misericordia e di pietà. Non era forse accaduto lo stesso quando aveva dissetato Quasimodo alla gogna, nonostante avesse la notte prima tentato di rapirla?
Fece un gesto con la piccola mano come per scacciare una mosca molesta e invece tentava soltanto di allontanare quel pensiero. Ritrovò la sua infantile fierezza, volgendo sdegnosamente il capo altrove per non incontrare lo sguardo ardente del prete che continuava a supplicarla di salvarsi la vita, di andarsene con lui.
- Per voi non farebbe nessuna differenza la mia salvezza...
- Ma proprio non capisci che invece la tua salvezza sarebbe anche la mia! Piccina, grazia per un povero prete innamorato... Risparmiami almeno questa tortura! - e mentre pronunciava quelle parole, protendeva le mani verso di lei, fino quasi a sfiorarne il seno delicato, a posarsi sulla vita sottile, a disegnare l'armonia dei fianchi ma senza osare farlo.
Fosse stato per lui l'avrebbe rovesciata sulla paglia, avrebbe fatto l'amore con lei fino a giacere sfinito, ma finalmente libero da quella passione che lo consumava di giorno e lo teneva sveglio la notte, strappandogli gli occhi da Dio e la mente dall'alchimia.
Tuttavia non osò. Nonostante tutto, desiderava la sua anima, oltre che il suo corpo. O forse desiderava il corpo perché era l'unico modo per raggiungere ed amare anche la sua anima.
Oppure stava impazzendo, impazzendo per la voglia di lei, per la voglia di sapere che profumo aveva la pelle di una donna, che effetto fa al cuore una parola d'amore sussurrata all'orecchio, che sapore potevano avere i suoi baci. I suoi baci! Solo una volta aveva potuto strappare un bacio a quel bel broncetto, la notte che aveva pugnalato Phoebus e lei era svenuta dal terrore. Ma allora non aveva sentito alcun sapore, solo il calore di fuoco emanato dalle proprie labbra. Tutt'altra cosa dovevano essere le dolci carezze ingenue e inesperte che le labbra di Esmeralda avrebbero potuto dispensargli volontariamente se solo l'avesse amato. Anche lui l'avrebbe coperta delle effusioni maldestre di chi non aveva mai conosciuto l'amore.
Rabbrividì. Aveva quasi paura anche solo a immaginare quale effetto devastante poteva provocare l'unirsi a lei, mescolando così il fuoco con l'alchimia.
- Andatevene! - gridò la ragazza, respingendolo - Mi fate orrore!
Quelle parole furono per lui una stilettata al cuore: avrebbe tollerato tutto tranne incutere paura o orrore proprio a lei.
Frollo si alzò in piedi, raccolse la candela che aveva portato con sé e fece per uscire dalla cella, non prima di averle sussurrato per l'ennesima volta che l'amava: - Dio abbia pietà di te. Addio. -
Raccolse a sé , con gesto elegante, il fascio della veste e del mantello e aprì la porta.
-Aspettate! - replicò di nuovo lei - Non lasciatemi sola!
L'arcidiacono richiuse la porta alle sue spalle e rimase in attesa di ulteriori spiegazioni su quell'improvviso ripensamento.
La fanciulla scoppiò in lacrime come una bambina: - Ho freddo, signore. E il buio mi fa tanta paura.
La poverina aveva i nervi logorati a causa della permanenza in cella e della tortura morale che essa esercitava sulle sue forze, senza aggiungere la tortura fisica che aveva dovuto subire.
Quell'uomo, quel prete inquietante ma che diceva di amarla, era stato il suo unico spiraglio di luce, il suo unico contatto umano dopo giorni di tenebre e solitudine.
L'indomani l'avrebbe attesa la forca. La morte! Dio, come le faceva paura la morte!
Doveva avere un volto ancor più temibile di quello dell'arcidiacono nella semioscurità della prigione. E la sua stretta doveva essere tanto più fredda delle mani di Frollo, desiderose di peccare, di possederla, ma che eppure, in fondo, conservavano qualcosa di inspiegabilmente dolce, caldo e vivo.
L'amava, dunque, non l'odiava come ella aveva sempre creduto con la sua ingenuità; ed ora le stava offrendo una via di fuga dal nulla eterno.
Era troppo giovane per morire, troppo piena di vita. Scegliendo la forca avrebbe dovuto dire addio a tutto: ballare, ridere, godere della luce del sole, al vento tra i capelli, alla gioventù, alle canzoni, alle corse a perdifiato nei prati.
E scegliendo il prete avrebbe rinunciato alla purezza e alla libertà, ma avrebbe detto sì alla vita.
E la vita valeva la pena di essere vissuta, accettata sotto qualsiasi forma. Dopotutto, Quasimodo non era forse felice almeno di essere al mondo?
- Mio signore, ho paura di morire... - disse.
- Preferisci me? - domandò Frollo e un bagliore attraversò i suoi occhi chiari.
Eccola, era giunta quella fatidica domanda. Con lo slancio di chi mette a repentaglio tutto pur di salvarsi, con l'istinto ferino di sopravvivenza più che con la ragione, Esmeralda schiuse le labbra per rispondere, ma non una parola uscì.
- Preferisci me? -
Fu con la voce che le tremava che disse: Sì.

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