Tic, tac , dottoressa
Nel nulla, 31 Dicembre 2005
Rita
Era strano passare le feste in quel non luogo. Se ci penso ancora oggi non mi so bene spiegare quella strana atmosfera. Come se alla fine potessimo accettare la nostra condizione e illuderci di un minimo di normalità. La produzione di fumogeni era in piena evoluzione. La formula era stabile; i test molto buoni. Ero chiusa nella mia camera dopo cena quando sentii bussare. White si affacciò soltanto e mi fece segno di seguirlo. Io deglutii a stento, ma feci come suggerito. Per fortuna ero riuscita a tenerlo lontano a distanza di sicurezza dopo quella notte. Ma l'ultimo dell'anno non era una notte come le altre e sentivo dal suo alito che aveva bevuto molto. Forse avevo paura di lui o forse più che succedesse ancora. Del mio bracciale ancora non c'era ombra. Non so se l'avesse cercato davvero o se mi avesse promesso di farlo solo per tenermi buona: più passavano i giorni e più avevo paura di non trovarlo in tempo. Mi ricordavo bene la promessa di Jacobs. Due mesi. Rimanevano due settimane. Poco. Entrammo nel suo studio, una bottiglia con due bicchieri aspettava sul tavolo. Deglutii a fatica. Mi invitò ad accomodarmi. Dovevo pensare in fretta.
- Aspettiamo la chiamata di Marc e poi brindiamo - aggiunse con un ghigno di soddisfazione. Mi imposi di non voltarmi verso quel quadro. Gli sorrisi un po' forzatamente.
- Ehi, dottoressa, tranquilla, i fumogeni sono buoni... - fece per stemperare la tensione. Non era quello a preoccuparmi in quel momento. Quando suonò il telefono quasi sussultai sulla sedia. White mise il viva voce tutto contento.
- Sono qui con la nostra dottoressa - salutò Jacobs. Io non dissi nulla.
- Pensavo fosse ora del coprifuoco - rispose Marc sospettoso. Io guardai White in attesa di una reazione.
- Eh dai, capo, solo un bicchierino e poi la mando a letto - rise White. Credo che Marc non si lasciò sfuggire il tono.
- Cosa sta succedendo laggiù, White? - disse infine.
- Non è un reato divertirsi un po'- rise ancora lui palesemente ubriaco e senza freni.
- Non ti ho fatto uscire da quel carcere per farti sollazzare con la donna dell'uomo che ti ho chiesto di ammazzare - quelle parole rimbombarono nella stanza come un fucile a salve in una grotta vuota.
Dovevo fingermi stupita? Non lo ero affatto. Io lo sapevo da sempre. Era lui a non saperlo. White mi guardò e allora seppe. Seppe che lo avevo usato, in quei giorni. Avevo usato la sua infatuazione nonostante il mio disprezzo per salvare Maggie e per darci una possibilità di fuga. Torse il pugno, ma non reagì, non davanti a Marc. Avrebbe atteso la fine della telefonata e poi sarebbe esploso. Cosa dovevo fare?
- Come vanno i lavori coi fumogeni? - chiese invece Marc spezzando il silenzio. White non rispondeva perciò intervenni io.
- I test sono buoni. La miscela è stabile, stiamo scegliendo il contenitore più adatto poi si potrà procedere all'ordine e allo riempimento massivo - mi finsi professionale e ignorai volutamente White nel dire quelle parole.
- Molto bene, dottoressa, mi aspetto di ricevere l'ordine per i contenitori entro tre giorni. Dopo di che voglio che lei istruisca gli uomini della base per continuare la produzione... autonomamente... anche per i prossimi mesi...- disse la voce al telefono. Nessun tentennamento. Ai miei occhi sembrava una condanna a morte per noi, per gli ostaggi. Guardai la rabbia negli occhi di White.
- Buon anno, dottoressa - chiuse la voce al telefono. Jacobs non salutò volutamente White.
Io rimasi ammutolita a fissare quel grosso uomo davanti a me. Avevo una sola speranza, che fosse davvero molto ubriaco. Comunque allo scontro ci saremmo arrivati. Che senso aveva cercare di rimandare? Salvare gli ostaggi? Salvare i miei colleghi? Salvare me stessa?
- Ora che la commedia è finita, puoi darmi il mio braccialetto? - gli dissi seria.
Lui scattò come una molla, gettò i bicchieri e la bottiglia a terra, quindi venne verso di me. Mi forzò ad alzarmi e mi spinse contro la parete. Sentii la parete fredda sulla schiena, il suo braccio possente contro il mio seno.
- Perché è tanto importante quel braccialetto?- tuonò lui.
- E' l'ultimo regalo che mi ha fatto Michael - le parole mi uscirono da sole. Non potei trattenerle, forse non volevo più ignorare il mio cuore o il mio dolore o la mia rabbia.
- Ti ho già detto che non so dove sia, ma aggiungo che, anche se lo sapessi, te lo puoi scordare. Lo metterò sul tuo cadavere ...- disse truce. Mi lasciò andare. Ero sulla porta quando si mise a ridere.
- Tuo marito era ubriaco fradicio sai, se anche lo avessi affrontato non mi avrebbe nemmeno centrato, avrebbe dato un pugno all'aria! - la sua risata si sparse nell'ufficio. Io rimasi impietrita. Strinsi lo stipite della porta e continuai a respirare a fondo. Mi forzai a non rispondergli e a fare un passo dietro l'altro verso la mia stanza.
- Dovresti essermi grata, te l'ho lasciato tutto intero per il funerale, avrei potuto farlo a pezzi! - mi urlò dietro White. Iniziai a correre verso la mia camera, entrai e mi chiusi a chiave nel bagno. Rimasi dietro la porta ad ascoltare i rumori. Sentii dei passi qualche minuto dopo. Si avvicinò alla porta: io ero li dietro che guardavo la schiave sperando che tenesse.
- Piangere non può più salvarti - questo sussurrò attraverso la porta del bagno.
- E quando Jacobs mi darà il via libera, sarai mia...Tic, tac, dottoressa, presto sarai mia - rise e batté in ritirata. Sentii la serratura della porta esterna scattare.
Ero ancora immobile nel bagno. Le mani che mi tremavano. Continuavo a ripetermi che ero stata brava. Non avevo reagito alla sua provocazione. Michael era vivo. Dovevo stare attenta. Un mio errore su quei discorsi poteva costare carissimo. Mi guardai allo specchio. Ero sola. Senza speranza di trovare il segnalatore e tra quindi giorni circa Marc avrebbe dato ordine che ci uccidessero tutti. Non sapevo cosa fare. Incredibilmente però non era la paura il sentimento più grosso in me, non era ciò che stava rompendo gli argini. Nessuna lacrime mi scese dal volto quella sera, o quelle successive. Rabbia. Io ero pura rabbia. Una carica esplosiva che si caricava lentamente, da mesi. Tra i rintocchi di quella mezzanotte e i botti giurai che White avrebbe pagato con la vita. A ogni costo.
GTAZ, 31 Dicembre 2005
Michael
Guardavo gli ultimi botti sul lago. Tenevo mia figlia in braccio. Si era addormentata da poco. Studiavo i suoi occhi chiusi e il suo respiro. Ogni volta era come vedermi davanti Rita. Ogni volta lo stesso pugnale al cuore. Magic Cube era quasi pronto. Avevo solo 15 giorni ormai. E se non avesse premuto quel pulsante? Era questa la domanda che mi feci davanti a quel lago. Era questo a spaventarmi di più. Se quei 15 giorni fossero passati e poi altri quindici? Berger mi fece un cenno e si diresse verso i suoi alloggi. Ricambiai il saluto.
Pensavo che non sapere nulla fosse la peggiore delle condanne. Sbagliavo. Se quel giorno avessi saputo che Rita era nelle mani del mio aguzzino, dell'uomo che mi aveva ridotto in quello stato credo sarei impazzito. Tutt'oggi il solo pensiero che lui potesse sfiorarla, toccarla o farle del male mi lascia senza fiato. Rita non era una donna che aveva bisogno di essere difesa, sapeva il fatto suo, ma la situazione in cui si era gettata per vendicarmi era davvero un labirinto senza uscita. Ignoravo molte cose di mia moglie quella notte sul lago. Oggi che le conosco, oggi che so la storia, oggi che conosco il prezzo che le ha richiesto quello che è successo poi, mi illudo di pensare che mia moglie è dovuta diventare così, che non lo sia sempre stata. Mi illudo che l'abbia fatto per sopravvivere. Io la amo. L'ho sempre amata e sempre lo farò. E' una mia debolezza. E' la mia colpa. La verità è che per quanto terribili siano le cose che ha fatto io la perdonerò sempre. Non posso altrimenti perché io sono suo.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top