Rientro dall' Iraq

Boston, Aeroporto Logan, 23 Novembre 2004

Micheal

Tornare era sempre una situazione alienante. Dopo quasi 18 ore di volo e un lunghissimo scalo ad Amman mi sentivo sempre come fossi atterrato sulla luna. In più passare dai 24° di Najaf ai 3° di Boston con tanto di spolverata di brina nei campi attorno alla pista era abbastanza traumatico. Dennis nonostante tutto era carico come una molla. Un po' lo capivo: erano più di sei mesi che non vedeva i suoi figli. Mentre uscivamo dalla zona degli sbarchi trascinando stanchi i nostri bagagli lo vedevo guardarsi attorno spaesato, ma felice. Io invece rimasi come bloccato davanti alla bandiera degli Stati Uniti d'America che campeggiava nella sala arrivi dell'aeroporto. 

Questa volta sarebbe stata l'ultima. Di questo ero certo. A 35 anni suonati era ora che la smettessi di fare il ragazzino. In più questi ultimi mesi erano stati davvero pesanti. Quello che avevo visto, quello che mi avevano chiesto di fare era andato troppo oltre. Ero ancora incantato a guadare la bandiera quando Dennis mi diede una pacca sulla spalla.

- Ehi, amico, guarda chi c'è ad aspettarti!- se la rise sotto i baffi. Non feci in tempo a rispondergli che i suoi tre figli lo raggiunsero urlanti saltandogli addosso. Salutai sua moglie e mi diressi verso l'ultima figura che avrei mai detto di poter vedere. Pensai che fosse dimagrita troppo. Aveva un colorino grigiastro e guardava fisso il pavimento davanti a sé annuendo lentamente.

- Rita - mi fermai a distanza di sicurezza a un metro da lei per valutare la sua reazione.

- Non mi aspettavo, insomma, che venissi... oggi...- aggiunsi. Le persone scorrevano attorno a noi. Lei alzò gli occhi verso di me. Era scavata in volto e aveva gli occhi lucidi. Non diceva nulla si mordeva solo la lingua.

- Che cosa è successo? C'è qualcosa che non va? - le chiesi mettendole una mano sulla spalla.

Non si scostò, ma mi disse solo:- non qui, ti prego, ti rubo solo un minuto, poi ti lascio alla tua famiglia -.  Dennis attirò la mia attenzione per sapere se mi serviva un passaggio.

- Andate pure, ci sentiamo dopo, ciao Charlene! - salutai i figli e la moglie.

Poi mi rivolsi a Rita:  - Tranquilla abbiamo tutto il tempo, prenderò un taxi dopo - le risposi.

Lei in tutta risposta mi trascinò in un posto più appartato della zona arrivi. Stava per iniziare a parlare quando la vidi sbiancare. Mi chiese di aspettare un attimo e si precipitò dentro la toilette. Io rimasi li fuori ad aspettare: ero preoccupato.  Quando uscì barcollava. La invitai a sedersi.

- Rita che succede? Stai bene? Sei malata? - le chiesi. Respirava piano per regolarizzare il battito. - Subito ho temuto di esserlo, insomma il giretto in Iraq non è stato molto tranquillo - annunciò. Sembrava stare un po' meglio seduta.

- Ho fatto tutti gli esami, mi hanno rivoltato come un calzino, ma sembra che sia tutto a posto - aggiunse.

- E non ti hanno dato nulla? - chiesi allibito.

Lei alzò le spalle:- passerà - sospirò.

- Ma che cos'è?- insistetti.

- Sono incinta, Michael - le sue parole uscirono dalla sua bocca così: un missile terra aria sparato contro di me. Rimasi senza parole alla rivelazione. Tenevo le mani alzate davanti a me come a proteggermi, ma non sapevo bene come reagire a una notizia del genere.

- Sono di tre mesi.- aggiunse.

- Ok... e tu in Iraq ... insomma...hai avuto altri...?- chiesi titubante.

-NO, ma secondo te! Dormivo in un laboratorio con armi biologiche! - mi rispose piccata.

-OK- risposi di nuovo.

- Senti, io non pretendo nulla, sono qui solo per rispetto e per scusarmi di come ci siamo lasciati. Quello che deciderai per me andrà bene. Posso prendere quella porta e non mi vedrai mai più. Davvero non sentirti obbligato a nulla. - disse Rita come a volersi togliere un peso.

- Mi lasci un minuto? - le chiesi.

- Si, certo, scusa, hai ragione. Io piombo qui, ti sgancio questa bomba... Ovviamente ci devi pensare bene, riflettere con calma. Io ho avuto tre mesi per riflettere. Il minimo che possa fare è dare anche a te il tuo tempo. Anzi adesso riprendo la mia auto e torno a casa e poi ci risentiamo con calma, quando vuoi tu - aggiunse Rita alzandosi. Le presi la mano. Tremavo.

La verità era che non volevo che facesse un solo passo. Mi sarei sentito morire un'altra volta come era successo in Iraq. Cosa ci pensavo a fare? In fondo era quello che avevo sempre voluto. Forse lei non mi amava, ma io ero pazzo di lei dal primo istante che l'avevo vista. Era inutile continuare a fingere.

- Vista la situazione è meglio essere sinceri - iniziai respirando a fondo. Rita annuì. Si mese di nuovo a sedere. Mi guardava con la fronte corrucciata. Non sapeva cosa aspettarsi credo.

- Rita, io so che abbiamo fatto tutto alla rovescia, ma non siamo due ragazzini e da quando ti ho incontrata non riesco più a fare finta di niente. Lasciarti andare in Iraq è stata la cosa più difficile che abbia mai fatto. Io sono pazzo di te. Non posso più ignorare la cosa. Ti prego dacci una possibilità. Proviamoci almeno! Poi se non funziona resteremo amici. Io per te e per il bambino ci sarò sempre, per qualsiasi cosa vi serva, questo te lo giuro - le confessai.

Mi sentivo un imbecille, lì tremante davanti a lei. Mi guardava sbalordita. Vedevo molti sentimenti mischiarsi nei suoi occhi. Paura anche. Per la prima volta dopo molto tempo Rita aveva di nuovo paura. Presi il suo viso tra le mani.

- Andrà tutto bene, Rita, non sei sola adesso. Non rifarò l'errore che ho fatto in Iraq, te lo prometto, lo giuro. Non ti lascerò più sola... - aggiunsi. Quelle parole la colpirono perché vidi i suoi occhi riempirsi di lacrime.

- Grazie - mi sussurrò all'orecchio prima di baciarmi. Rimasi senza fiato. Attonito, come sempre.  - Sei venuta qui da sola in macchina? - le chiesi.

- Mi sono fermata lungo la super strada a vomitare solo un paio di volte - ammise sorridendomi.

- Dai, guido io. Ho fatto 18 ore di volo, ma tu sei davvero uno straccio - aggiunsi aiutandola ad alzarsi.

- Grazie per l'incoraggiamento - protestò dandomi un pugno sul braccio. Uscimmo insieme dall'hangar. Mi sembrava diverso quell' aeroporto e il cielo cinereo mi sembrava meno cupo.

- Ti va se ti porto in un posto? Te la senti? - le chiesi mentre salivamo. Rita alzò le spalle e montò a bordo.

- Bella auto! - dissi mettendo le mani sul volante di pelle della sua BMW.

- credo che la dovrò vendere, il passeggino non entra nel bagagliaio - sospirò lei. Mi chiesi quanto l'aveva pagata il governo in quegli anni per il suo lavoro. - A volte mi sento così stanca che vorrei addormentarmi e non svegliarmi per giorni - confessò mentre spianavo i cavalli della sua auto.

- La gravidanza va bene? Non sono molto esperto. È normale vomitare così tanto?- chiesi dispiaciuto.

- Nei primi mesi si a quanto pare, dal quarto dovrebbe andare meglio. Dopo ti trasformi direttamente in un transatlantico... - sbottò. - Che cretina che sono stata! Come ho fatto a non accorgermi che le pillole che prendevo erano scadute! - aggiunse picchiandosi sulla fronte con la mano.

- Per quanto mi riguarda è stato veramente bellissimo - tentai di portarla sul ridere.

- Non giocarti la carta macho con me, sai che non funziona - aggiunse Rita divertita.

Rita

Girò verso il porto e parcheggiò l'auto a pochi passi dalla banchina. Micheal pensava di fare colpo forse, ma io odiavo il mare e l'acqua in generale. Ero sempre stata una montanara. Sapevamo così poche cose l'uno dell'altra. Come poteva funzionare? Ero rimasta stupita della sua proposta, felice, certo, ma avevo i miei timori. Tuttavia dovevo ammettere che mi serviva tutto l'aiuto possibile. Mi prese la mano e camminammo un po' lungo il porto per lo più deserto data l'orario di metà mattina. Sentivo le catene delle barche tirate sul molo.

- Hai mai pensato di... insomma... Di non tenerlo? - osò chiedere Micheal nel silenzio.

- Non l'avevo programmato certo, ma non me la sentirei mai di ucciderlo, lui o lei che sia - ammisi. Sembrò soddisfatto della risposta. Mi fermai un attimo di troppo a fissare le onde, sentii il mio stomaco rigirarsi su se stesso. Prima che potessi muovermi mi accasciai a terra a vomitare.

- Ok, forse il mare non è il massimo per te ora - disse Micheal sorreggendomi. Tossii più volte prima di riuscire a rialzarmi.

- Ho il mal di mare da sempre se per questo, ma di solito non sulla terra ferma - sbottai affannata riprendendo fiato.

- Non l'avrei mai detto! Sto scoprendo un sacco di cose su di te! - rise Micheal passandomi un fazzolettino. Mi ripulii la faccia.

Poi mi fermai, lo guardai negli occhi e gli chiesi: - Lo vuoi vedere? -. Era un test forse, ma non ero riuscita a trattenermi. Erano giorni che guardavo incredula quella foto nell'ecografia. Lui la prese dalle mie mani emozionato.

- E' lungo appena sette centimetri e ha la dimensione di un gamberetto - riportai.

- Non riesco a crederci... Questo è nostro figlio... Wow... - Micheal non trovava le parole adatte. Attirai l'attenzione di Micheal perché mi stavo ancora sentendo male. Mi portò verso l'auto e mi disse che quella settimana era esentato dal lavoro, poteva stare da me e aiutarmi finché non fossi stata meglio. Non se ne andò più. Tre mesi dopo prendemmo in affitto una casa assieme. Quattro mesi dopo si presentò a casa con un anello. Era il padre di quella che sarebbe stata mia figlia, litigavamo certo, ma ero felice. Non pensai mai che fosse un errore. E non lo penso ora. Perché il nostro miracolo non sarà mai un errore per me.

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