Porto di salem

Salem, Massachusetts, 27 Aprile 2005

Michael

Mi appiattii contro il muro dell'edificio. Un leggero alito di vento si era alzato dal mare e spostava le cime degli alberi. Feci segno al mio collega di entrare da una porta laterale dello stabile. Parlai alla ricetrasmittente :- Entriamo dal lato sud, tra trenta secondi-

-Affermativo, vi seguiamo a ruota dal lato nord.- risposero alla radio. -ok, soggetti armati e pericolosi- aggiunsi. -Più silenziosi di un serpente, niente fuoco incrociato come sempre, capo- risposero alla ricetrasmittente. - Cercate di non farli a polpette, intendevo- sussurrai divertito. -Affermativo capo- aggiunse la voce, poi chiuse la conversazione. -Perché complicano sempre le cose?- sospirai poi. Dennis mi sorrise voltandosi verso di me. Mi massaggiai le spalle contratte, feci ruotare il collo di lato. Lui contò fino a dieci e diede un calciò alla porta penetrando nell'edificio. Lo seguii a ruota. Avevamo inseguito le tracce di quei fuggitivi per tutta la giornata fino ad arrivare a quel magazzino non distante dal porticciolo di Salem. Non era una zona abitata, ma prevalentemente industriale. Molti magazzini erano stati abbandonati dopo la crisi ed erano spesso il rifugio per senzatetto e spacciatori. Era strano che quattro fuggitivi dal carcere non cercassero di separarsi. Questo mi inquietava. Di solito il comportamento dei fuggitivi era abbastanza standardizzato, mimetizzarsi e sparire, ma fin dalla fuga questo gruppo aveva lasciato una scia dietro di sé non indifferente. Una scia di morte. Due cadaveri al carcere, tre guardie ferite, un tassista in prognosi riservata con un colpo di pistola al petto, un campeggiatore ritrovato morto sulla high way poco distante da lì e il suo camper era ora davanti a loro all'interno dell'edificio. Dennis mi mostrò un fumogeno. Annuii e lo aiutai a spalancare leggermente uno dei finestrini posteriori. Ci appostammo quindi al coperto. Lo scoppio del fumogeno venne amplificato dal magazzino quasi vuoto a parte gli attrezzi abbandonati qua e là e le vecchie macchine utensili utilizzate dall'industria e ormai ferme da anni. Vidi un uomo uscire dal camper, barcollando. Si accasciò a terra, lo trascinai in un angolo. L'uomo fece per rialzarsi, ma lo stesi con un destro dritto in faccia. -Dennis, legalo- sussurrai. Dennis eseguì all'istante, poi gli mise un fazzoletto in bocca. -Non fiatare- si raccomandò Dennis. Vedemmo i nostri compagni entrare dal portellone posto a nord. Il silenzio dopo lo scoppio non era naturale. Passai mentalmente in rassegna le schede per individuare il profilo dell'uomo che era stato catturato. Se la mia memoria fotografica non faceva cilecca si trattava di James Price, pesce piccolo, spacciatore, sospettavano che avesse scambiato dosi con uno dei secondini feriti per farsi aprire l'armeria. Lo volevano vivo. Era l'unico che potesse testimoniare su quale guardia era stata complice della loro fuga. Lo nascondemmo dietro ad un barile abbandonato, gli legammo i piedi. Poi ci riunimmo al gruppo e feci loro segno di separarsi per trovare gli altri. Non sparavano, non si facevano vedere. Gli U. S. Marshall avevano chiuso le porte dietro di loro con pesanti catenacci e i rinforzi stavano arrivando: quegli uomini erano in trappola eppure non cercavano di fuggire. C'era un'altra uscita? Mi spostai lateralmente lungo un condotto. Il magazzino mitigava un po' l'aria esterna, ma le pareti non fornivano un grande isolamento termico. Dennis era pochi passi davanti a me. Gli fece segno di proseguire sopra una scala verso gli uffici del piano superiore. Dennis annuì e iniziò a salire lentamente. Arrivammo in un ufficio. C'erano un sacco di fogli sparsi sul tavolo tutti con lo stesso disegno. Aggrottai la fronte. La mia memoria cercava di dirmi qualcosa a riguardo, ma non arrivava ad un punto fermo. Dennis attirò la sua attenzione verso l'ufficio a fianco. Un uomo era chino su un tavolo: immobile. Dennis si avvicinò, sentì il polso e scosse la testa. Guardai il braccio dell'uomo: rimase costernato. Aveva lo stesso tatuaggio dei disegni impresso sulla spalla. Doveva avevo già visto quel disegno? Perché non riuscivo a ricordare? Doveva essere importante per quegli uomini. Un lampo e un rumore improvviso dall'altro ufficio ci fece voltare. Ci nascondemmo dietro la scrivania. Rispondemmo al fuoco. Mi sporsi. Individuai nel buio una sagoma che attraversava il corridoio davanti a noi: sparai al vetro dell'ufficio che si infranse in mille pezzi. L'uomo si abbassò, si nascose dietro il montante della porta e poi rispose al fuoco. Sentii i proiettili dei miei compagni provenire da terra. Poi lo stesso silenzio innaturale riprese possesso della scena. Dennis si alzò in piedi. Si avvicinò all'uomo e mi fece un cenno negativo. Dove era il quarto? Mi avvicinai all'uomo riverso a terra. Il sangue colava dalla testa sulla parete e piano piano scivolava sul pavimento. Lanciai nuovamente un'occhiata all'uomo disteso sulla scrivania. Fred Milligan, afro americano, era un uomo grande e grosso, evidentemente era stata preso di sorpresa per non porre resistenza. Quello sdraiato a pochi passi da me invece era James Slutter. Aveva fatto più che altro rapine in banca nella sua aitante carriera. Studiai il ciuffo di capelli umidicci e fradici che gli copriva il volto. Cosa ci facevano uno spacciatore, un ladro di banche e una testa calda come Milligan, tutti insieme? Se il loro piano non comprendesse solo la fuga? Dove era il quarto uomo? -Manca quel bastardo di White- mi sussurrò Dennis. Mi ricordavo che Dennis l'aveva scortato ad un paio di udienze, gli aveva sempre detto che non aveva mai pronunciato una sola parola davanti al giudice, nemmeno il suo nome. Terminarono di ispezionare l'ultimo studio. Nulla di sospetto, quindi tornarono al piano terra. Stavo scendendo le scale quando vidi del movimento vicino all'uomo che avevano lasciato legato . Anche Dennis lo vide perché si irrigidì e puntò dritto verso quella direzione. -Arrenditi White, non hai scampo!- gli urlò puntando l'arma contro di lui. White sbucò in quel momento da dietro il barile ed iniziò a correre sparando a caso verso le porte. -Fermo!- intimò Dennis. White lo ignorò e continuò nella sua corsa. I colpi della squadra non si fecero attendere a lungo. Crivellarono le pareti vicino alle porte. White si avvicinò alla porta e senza il minimo tentennamento sparò alla catena che la teneva chiusa. Dennis gli sparò dritto addossò. Lo colpì ad una spalla , poi White sparì nell'oscurità. Due uomini gli corsero dietro, mentre io e Dennis raggiungevamo finalmente l'uomo dietro al barile. Mi chinai su di lui, aveva la gola recisa di netto. Misi la mia mano sulla ferita per tentare di fermare l'emorragia. Dennis intanto stava comunicando via radio del ferito e del fuggitivo. Alzai la mano e solo allora mi resi conto di avere sotto le dita lo stesso disegno visto tatuato sugli altri uomini.

-Che cos'è?- dissi rivolto all'uomo ferito. - Dimmi cos'è il tatuaggio?- strinsi più forte il collo all'uomo che sussultò.

-Dimmelo o ti lascio morire qui!- lo minacciai. La faccia dell'uomo si contrasse in un sorriso innaturale e forzato, vomitava sangue. Il suo fu quasi un sussurro:- I morti non parlano- aggiunse un attimo prima che gli occhi gli si girassero nelle orbite. Dennis mi costrinse a lasciare l'uomo. -Michael, è inutile-

-Ma quel segno?- protestai. - Sarà un loro tatuaggio, magari si erano fatti tutti lo stesso tatuaggio perché erano amici in carcere- ipotizzò Dennis. - Un amico non l'ammazzi così- dissi indicando il cadavere nell'ufficio. - Tranquillo, White non andrà lontano, l'ho beccato- Dennis mi aiutò ad alzarmi. Mi ripulii le mani sporche di sangue nella tuta. Ci dirigemmo verso l'uscita. Fuori si sentivano le sirene in avvicinamento. -Io l'ho già visto quel tatuaggio, Dennis- insistetti. -se lo sarà fatto qualche rapper, sai come sono i carcerati, parte una moda e poi lo vogliono tutti- alzò le spalle Dennis.- Sì, forse hai ragione- annuii. Vidi la Mercedes nera del mio responsabile scorrere davanti alle altre auto coi lampeggianti accesi. Gli feci un cenno di saluto attraverso il finestrino, l'uomo mi fece segno di entrare in auto.

-Una volante ha intercettato White sulla statale, si è buttato nel traffico per sfuggire alla polizia, ora è un budino sull'asfalto, ottimo lavoro, Vane, come sempre- mi strinse la mano l'uomo con un sorriso cordiale. Studiai un secondo l'uomo che aveva davanti. A volte faticavo a credere che Thomas Bart avesse mai abbracciato un fucile. In quanto a me preferivo farmi sparare addosso che finire in un bell'ufficio col parquet e una poltrona di pelle e un gessato grigio.

-Grazie, signore, avrei sperato almeno di riportarne uno dentro, sospettiamo che uno di loro abbia venduto droga ad una guardia in cambio dell'accesso all'armeria- sospirai.

-Avete prove a riguardo?- Bart alzò gli occhi verso di me, scettico. I capelli bianchi candidi si perdevano nell'oscurità. Gli occhi scuri mi scrutavano con fare incuriosito dietro i suoi occhiali rotondi. Avevo già avuto modo di conoscere in passato le idee del mio responsabile. I buoni erano i poliziotti, i cattivi erano i carcerati: fine della storia. Fosse stato per lui avrebbe ripristinato la pena di morte all'istante in tutte le carceri degli Stati Uniti d'America. Bart era un uomo morbido quanto una colata di cemento. Una persona che vedeva sempre tutto o in bianco o in nero.

-No, signore, ma di solito i gruppi di evasi si disperdono, non scappano insieme e poi avevano tutti lo stesso tatuaggio. E' strano!- insistetti.

-quale tatuaggio?- chiese Bart voltandosi verso lui. Vidi il dubbio passare nei suoi occhi.

-Una strana figura geometrica- descrissi.

-Credo sia solo una coincidenza- alzò le spalle Bart - Non spenderò soldi federali perché quattro imbecilli si sono divertiti a pitturarsi lo stesso disegno su un braccio come delle liceali.- chiuse il discorso con fare deciso.

-Ma, signore, se potessi, insomma, anche solo per un breve periodo... - insistetti.

-Il caso è chiuso, ottimo lavoro, Vane- sorrise più forzatamente Bart. Mi chiesi se quello fosse il suo sorriso di circostanza, quello che riservava ai suoi avversari delle alte sfere. In quel momento qualcuno bussò alla portiera dell'auto. Aprii : Dennis mi trascinò fuori senza troppe cerimonie. Salutai maldestramente Bart, prima di richiudere la portiera.

-Ehi , collega, che ci fai ancora qui ? - lo guardai stranito.

-Hanno telefonato dall'ospedale... tre volte... Rita sta per partorire... - Dennis gli diede un pacca sulla spalla.

-Rita? Adesso? - mi guardai intorno stordito. - Congratulazioni capo- fece un membro della squadra.

- aspetta, aspetta, mi daresti un passaggio? - gli chiesi all'improvviso. Non sapevo perché, ma mi girava la testa. -Agli ordini, missione pupo!- sorrise il mio sottoposto felice di darmi una mano. Aspettò che entrassi in auto, poi mi chiese:- mettiamo la sirena, Capo?-. Risi. - Fa come ti pare!- aggiunsi mentre sgommava a tutta velocità e si immetteva nell' high way diretto verso Boston.

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