La scelta
Boston, 31 ottobre 2005
Rita
Erano passate da poco le quattro del pomeriggio. Stavo camminando lentamente per le vie della città già illuminate da zucche spettrali . Sonia sgambettava nel passeggino con la sua cuffietta arancione e in mano una piccola bacchetta da fata. Ero stata molto indecisa se vestirla o meno. Infondo aveva poco più di sei mesi, gattonava appena. Era stato mio padre a convincermi.
"Hai bisogno di bei ricordi" mi aveva detto. Razionalmente lo capivo.
Le foglie coprivano i prati colorandoli di mille tonalità di rosso, arancio e giallo. La città era piana di gruppetti di bimbi intenti a cercare dolcetti. Nel mio paese di origine, la Germania, non c'era mai stata quella tradizione, ma dovevo ammettere che non mi dispiaceva. Le loro risa coprivano il rumore dei miei passi. Il silenzio era dentro di me, in quelle parole che non ero ancora riuscita a dire. Addio. Ormai la maternità era finita, ma continuavo a protrarla contando sull'aiuto economico di mio padre. Non era da me. Non l'avevo mai fatto. Era come se avessi perso una parte di me. Come se quella che ero stata fosse morta con lui. Il resto? Era vuoto. Ero un fantasma anche senza portare un costume.
Non mi era mai servito un uomo per essere felice. Non avevo mai voluto dipendere da qualcuno. Allora perché c'ero caduta così? Perché avevo lasciato che la cosa mi coinvolgesse così profondamente? Ero stata molto arrabbiata in quei mesi. Con me stessa prima di tutto. E poi anche con Michael. Come se fosse colpa sua quello che gli avevano fatto. Ora anche la rabbia si era rarefatta. Era rimasto il vuoto.
La mia vita era solo Sonia. L'unico raggio di luce. La stringevo, la annusavo, la guardavo negli occhi a pochi centimetri dalla sua pelle, come se così riuscissi a recuperare qualche particella di vita e d'amore, qualche ricordo di Michael che non c'era più e che inaspettatamente mi mancava così tanto da non riuscire a respirare. Forse avevo dipinto la nostra storia con più colori di quanti non ne avesse davvero. Forse avevo solo bisogno di voltare pagina, ma non ci riuscivo. Sonia gettò a terra la sua bacchetta. Mi chinai a raccoglierla. La misi sbuffando sotto al passeggino. Buttava tutto a terra in quel periodo Sonia. Mio padre si metteva a ridere ogni volta. Io lo detestavo. Mi faceva venire i nervi. Che bisogno aveva di sentire i rumori di tutto?
-Non gettare le cose- le dissi con voce severa. Lei mi guardò ridendo e tirandomi il naso. Mi fece sorridere. Mi rialzai appena in tempo per vedere una BMW nera che accostava accanto a noi. Scesero due uomini in giacca e cravatta. Mi mostrarono il cartellino. FBI. Agenti Donovan e Taylor. Di nuovo? Ormai conoscevo i loro volti a memoria. Ero stufa dei loro interrogatori. In ogni caso la verità non gliela potevo dire.
- Signora Vane dovrebbe seguirci- disse Taylor senza dare altre spiegazioni. Già detestavo che mi chiamassero col nome del mio defunto marito. In più quel pomeriggio non volevo passarlo in una stazione di polizia o in un qualunque ufficio.
-Non se ne parla, io adesso finisco la passeggiata con mia figlia e poi voi venite con calma a casa domani e ne parliamo- dissi decisa.
-Signora Vane, mi dispiace, è per la sua sicurezza e quella della bambina, la stanno seguendo...- aggiunse Donovan. Percepii un tono di allarme nella sua voce. Lo studiai negli occhi. Era appena più alto di me. Teneva una mano sulla pistola e l'altra sulla mia spalla. Guardava nervosamente Sonia e poi il viale. Solo allora vidi un uomo con un impermeabile chiaro che ci scrutava dal parco poco distante.
-Nel parco, alle mie ore 2:00?- chiesi soltanto.
Lui non si voltò e disse solo: -Impermeabile chiaro, capelli brizzolati- aggiunse. Io annuii e poi lo abbracciai.
-Grazie di essere venuto a prenderci.Mio padre sarà contento di vederti!- aggiunsi urlando perchè tutti mi sentissero. Vidi l'uomo allontanarsi e perdersi tra la gente. L'ufficiale più giovane, Taylor, prese in braccio mia figlia e ci spinse in auto. Solo dopo aver preso un respiro profondo su mia richiesta tornò all'esterno dell'auto a recuperare il passeggino. Tenni Sonia in braccio.
-Il professor Groitgang dov'è?- chiese Donovan mettendosi al volante.
-In Europa per una conferenza, perché? L'ho sentito questa mattina. Dite che è in pericolo? Dove ci portate? - chiesi in allarme.
-In una casa sicura per ora, poi vedremo. Avviseremo noi suo padre. Non credo corra rischi in Europa. Ci sono cose di cui dobbiamo parlare- aggiunse sgommando.
Guardavo scorrere le case colorate fuori dalla finestra. Quella maledetta chiavetta, quella maledetta missione. A cosa avrei dovuto rinunciare ancora per riuscire a sopravvivere all'Iraq? Forse era ora di dire la verità. Era la mia ultima possibilità in fondo. Ed era una mia responsabilità. C'erano diverse armi batteriologiche sul mercato per colpa nostra, mia e di Michael. Per non parlare di quella che io avevo inventato e che non era più sotto controllo del governo. Forse era ora di smettere di piangersi addosso e reagire.
Lasciammo Boston dietro di noi. Ci fermammo in periferia in un quartiere poco distante dall'aeroporto. Scesi dall'auto con una pessima sensazione. Sonia si era addormentata tra le mie braccia. Entrai senza guardarmi intorno. Mi diressi verso l'unica stanza di quel monolocale. Appoggiai Sonia sul lettone e la coprii con una copertina. I due uomini attesero nel salotto. Taylor chiuse la porta dietro di se con fare guardingo.
- Chi sono questi che ci stanno seguendo?- chiesi senza preamboli. Donovan estrasse una fotocopia da un fascicolo e mi mostrò un simbolo. Chiusi solo gli occhi. Ricordavo benissimo quel simbolo. Il sangue di Serge che colava sul muro. Non è un immagine che qualcuno può scegliere di togliersi dalla mente.
-Gli stessi che hanno ucciso Michael, quindi. Vogliono fare fuori anche me?- chiesi spaventata.
-Deve ascoltare un'intercettazione- disse solo l'ufficiale. Mi sedetti al suo fianco. Si sentivano vari rumori in sottofondo poi la voce di Thomas Bart prese campo. L'avrei riconosciuta anche in mezzo a mille.
-Abbiamo un problema, uno dei miei ha fatto delle foto in Iraq- diceva concitato.
-Mi avevi garantito di poterli controllare, mi avevi detto che non avrebbero fatto domande- rispondeva un altra voce abbastanza cammuffata.
- Abbiamo fatto quello che volevi tu, in tutto per tutto, se tu avessi fatto bruciare quella base prima del loro arrivo, non avrei dovuto dare io l'ordine - protestava Bart. Ordine che io stessa avevo dovuto eseguire, nonostante la contrarietà di Michael. Era stato il male minore quello... Portare a casa i loro corpi non poteva riportarli in vita.
-Sarebbe stato sospetto, che c'è nelle foto?- diceva l'uomo.
-Non lo so esattamente , ha parlato del logo e dei cadaveri- confessò Bart.
-Fai sparire le foto. Mandalo in Alaska che mi frega- suggerì la voce.
-Non mi ha dato le foto, mi ha dato solo le dimissioni- aggiunse Bart. Allora Bart aveva mentito. Quelle che avevano trovato in tasca a Michael erano una copia di quelle che aveva consegnato?
-Bart, Bart, mi deludi. Questo è un tuo problema e tu devi trovare una soluzione veloce- disse la voce.
-Che pensi possa fare io? Non posso seguirlo e farlo fuori in pieno giorno. Io non posso lasciare l'ufficio o sono fottuto.Ci hanno visto tutti litigare poco fa!- disse Bart agitato.
L'altro uomo sospirò. - Perché devo sempre essere io a salvarti le chiappe, amico?- aggiunse la voce. Pensai che sembravano molto in confidenza.
-Quel White, gli hai dato il prepagato?- aggiunse la voce.Io guardai quel registratore allucinata. Aveva fatto fuggire un detenuto? Thomas Bart?
- Sì, certo. - giurò Bart.
-Ok, per stavolta te la abbuono, ma mi devi un favore e vedrai che ti costerà cara. - aggiunse la voce prima che il silenzio tornasse nella stanza. Avevo le lacrime agli occhi. Taylor mi passò un fazzoletto. Lo accettai seppur malvolentieri.
- Perché non l'avete arrestato?- chiesi soltanto.
-L'altra voce ... lei la riconosce?- disse Donovan.
- Stiamo rischiando in tanti per incastrarlo, mi creda, non è facile. Quell'uomo è ... una falla del sistema, invischiato nel sistema a tutti livelli, come un invasione di piattole - Donovan lanciò una smorfia che non dava adito a dubbi. Odiava quell'uomo ed era qualcosa di personale. Non mi sentivo di giudicarlo anche per me era personale ormai.
-Chi può valere tanto da lasciare Bart al suo posto dopo tutto questo e la fuga di armi biologiche?- chiesi arrabbiata. Lui mi allungò una foto. Fu un lampo. Lo rividi il giorno del funerale che mi stringeva la mano.
-Bastardo- mi sfuggì.
- Marc Jacobs, oltre che a dirigere una ditta farmaceutica in Europa, è un militare e dirige una sezione dell' NSA. Noi pensiamo sia stato lui a rubare la sua arma biologica e anche le altre, dottoressa. E non sappiamo dove siano o a chi le abbia vendute, ma credo che lei le serva, perché non sa come trattarle e questo probabilmente gioca a nostro favore perché le avrà stoccate da qualche parte cercando di capire cosa farne e come funzionano. Non sono tante le persone al mondo che lo possano aiutare, per questo a suo marito ha sparato e a lei invece ha dato un biglietto da visita- spiegò Donovan. Io strinsi il pugno asciugandomi le ultime lacrime dagli occhi. Ora stavo iniziando a capire.
-Il tempo è scaduto?- chiesi allora. Taylor annuì.
- Ieri Marc Jacobs ha chiamato di nuovo Bart, ha disposto di farvi seguire, se entro la prossima settimana lei non lo chiama, l'uomo con l'impermeabile ha l'ordine diretto di farvi fuori entrambe- deglutì Taylor.
-L'uomo con l'impermeabile chi è?- chiesi per valutare la gravità.
-Non è facile trovare qualcuno disposto a fare fuori una donna che ha appena partorito e la sua bambina, ma le assicuro che quell'uomo potrebbe farlo, l'ha già fatto a sua moglie e sua figlia, anni fa. Si chiama Ron Stevenson, è un ergastolano . E' evaso da un carcere di massima sicurezza 3 settimane fa, esattamente con la stessa modalità di White e supportato da una squadra- mi rivelarono. Avevo la pelle d'oca alla sola idea che quell'uomo mettesse le sue mani su mia figlia.
-Quindi devo chiamare Jacobs?- feci stordita.
-Questo dipende da lei dottoressa. In ogni caso vi faremo lasciare il paese oggi stesso. Se suo padre è a Monaco, contando che lei sa bene il tedesco, quella potrebbe essere una buona sistemazione iniziale- propose Taylor.
-Con nome falso? Identità falsa? In una località sperduta chissà dove sui monti ?- feci sconvolta.
-Mi dispiace dottoressa, non possiamo fare altrimenti per garantire la sua sicurezza- disse Donovan in tono greve.
- E se invece accettassi di infiltrarmi?- fu la mia voce a parlare senza che nemmeno la controllassi.
-In quel caso Berlino sarebbe la sua destinazione- mi risposero.
- E di mia figlia che ne sarebbe?- feci allibita.
- Non si deve preoccupare per sua figlia- mi assicurarono.
-Non andrò da nessuna parte finché non mi direte che fine farà mia figlia- aggiunsi decisa.
I due uomini si guardarono incerti poi presero un telefono e composero un numero. Taylor sembrava molto agitato, ma Donovan gli fece qualche cenno di calmarsi. Dopo un po' mi passò la cornetta facendomi un mezzo sorriso.
-Rita- la voce che mi chiamò sembrava venire dall'oltretomba, come un sussurro. Li guardai a turno in ricerca di conferme. Loro annuirono lentamente allontanandosi come per lasciarmi un po' di privacy.
-Michael?- mi sentivo il cuore esplodere nel petto. Sei mesi. Un funerale. Ed era tutto finto? Il mio dolore. Le mie lacrime. Perché?
- Controlla la bambina- ordinò Donovan al collega. Taylor annuì e scomparve. Mi aggrappai alla seggiola per non cadere.
- Ho visto il tuo sangue sul foglio, mi hanno detto che ti avevano colpito alla colonna vertebrale! - aggiunsi.
- E' vero. Ho rischiato grosso. Mi hanno detto che sono stato in coma un mese. Sto cercando di riprendermi, ma è dura. Giuro che ho chiesto di voi, ma non potevo contattarvi. Non volevo che vi sparassero a causa mia!- aggiunse Micheal tra le lacrime.
- Sei paralizzato?- chiesi pentendomi subito dopo della domanda.
- Sento dolore fino all'inguine, ma più giù il nulla assoluto - mi confessò Micheal. Rimasi senza parole, incapace di reagire. Avrei voluto avere una pistola tra le mani. Avrei voluto prendere quell'imbecille di Bart per i capelli e sbattere la sua testa contro la scrivania fino a farlo vomitare sangue. E Marc Jacobs? Non riuscivo nemmeno a pronunciare il suo nome.
Avevo una possibilità di pareggiare i conti. Mi chiedevano se ci volevo provare, ovviamente si. Il più era convincere Micheal che non mi sarei fatta ammazzare.
- Veniamo a Berlino- annunciai al telefono. Donovan mi guardò stupito, forse non si aspettava che accettassi di infiltrarmi per loro, ma potevo dare a Sonia ancora un padre. Non avrei gettato al macero questa occasione unica.
- Quando arrivo facciamo i conti- chiusi la conversazione. Gli agenti rimasero costernati. Appoggiai il telefono sul tavolo. Stavo per scoppiare: come una bomba ad orologeria.
-E' venuto un dottore a dirmi che avevano fatto il possibile... ma con quale cazzo di diritto potete fare una cosa del genere?- sbottai su Donovan. Vidi Taylor indietreggiare.
- Lo so e mi dispiace, ma era l'unico modo per proteggere suo marito!- fece per giustificarsi.
- Chi c'era nella bara?- insistetti.
- Non lo so, forse sacchi, non lo so- ammise Donovan.
- L'ho sepolto 6 mesi fa!- la mia voce rimbombò nel silenzio della casa.
- Mi rendo conto che sia una rivelazione abbastanza ... difficile da digerire- cercava invano le parole.
- Datemi le chiavi dell'auto!- dissi imperativa.
- No, Signora Vane, la prego, non può andarsene in giro. Quell'uomo vi starà cercando!- mi ricordò Taylor.
- Se volete che chiami quel pezzo di merda ho bisogno del suo biglietto da visita, che è a casa. Sonia ha bisogno di cambi e del suo pupazzino - aggiunsi decisa.
-Non può uscire di casa con una valigia, sarebbe troppo sospetto- mi ricordò Taylor.
-Butterò i vestiti nella culla in cui dorme - proposi.
- Ok, Taylor, vi chiamo una scorta di altri agenti. Accompagnerai la signora Vane a prendere quello che le serve e tornerete qui a prenderci. Dottoressa, ha un 'ora al massimo- aggiunse verso di me come fosse un ultimatum.
-Ottimo, se mia figlia dovesse svegliarsi c'è un omogenizzato nello zaino- gli dissi con un gran sorriso indicando lo zainetto di Dora che avevo lasciato sulla tavola. Donovan alzò gli occhi al cielo, ma non commentò oltre.
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