Il funerale

Boston, 5 Maggio 2005

Rita

Dicono che si deve piangere. Dicono che fa bene piangere. Dicono che è sbagliato tenersi tutto dentro. Ricordo quel giorno come fosse oggi, come fosse sempre davanti ai miei occhi. Mi sembra ancora di sentire le lacrime scendere sulla guancia e scivolare giu fino al collo e sparire sotto al vestito, i colpi di fucile sparati in aria e mia figlia Sonia che inizia a strillare. Avevo paura a guardarla, paura di cosa avrebbe visto nei miei occhi. In quel momento ho odiato quei cappelli blu che si stagliavano contro il cielo cinereo di Boston.  Io non era una vedova qualunque, ma quel piccolo essere che tenevo in braccio e gridava non mi lasciava molto scelte. Quei cappelli, quelle uniformi erano il mio passato. Un tempo ero stata una di loro. US Marshall. Come mio marito, Michael. Chi faceva il nostro mestiere sapeva che il domani era sempre un forse, ma così... così non lo accettavo.

Sentivo il mio capo stringermi le spalle in segno di incoraggiamento. Tremavo come una foglia. Lui pensava che io non sapessi nulla del perchè era morto mio marito o per colpa di chi. Certo non avevo le prove. Non più. Se le avessi avute, gli avrei puntato una 38 alla gola e invece me ne stavo lì buona con mia figlia in braccio e tremavo. Li guardai riavvolgere la bandiera. La stessa che avevo servito anche io per anni. Come facevo a raccontare a quella meraviglia che tenevo in braccio quello che avevo fatto per quella bandiera? Come facevo a dirle quello che avrei voluto fare per vendicare suo padre se lei non ci fosse stata? Ma Sonia c'era. Aveva solo una settimana e già non sapevo come spiegarle il mondo, come spiegarle che suo padre non c'era più. Eravamo sole. Passai la piccola Sonia a mio padre e presi la bandiera in mano.

- Siamo qui oggi per onorare un uomo che ci è stato portato via troppo presto. Come vice Maresciallo degli Stati Uniti, Michael Vane si è dedicato a proteggere l'America e a sostenere le leggi e gli ideali che ci rendono ciò che siamo, prestando anche servizio in Iraq per ben due volte. -  disse la voce del mio capo. Thomas Bart, Maresciallo Capo del distretto degli US. Marshall di Boston. Aveva fegato quell'uomo a parlare davanti a tutti fingendo di non avere anche lui un coinvolgimento in questa storia. 

- L'America sarà sempre grata agli uomini e alle donne che si mettono in pericolo per tenere al sicuro la nostra nazione . Onoriamo il suo servizio coraggioso e altruista- aggiunse l'uomo. Michael non era morto in servizio e all'ospedale mi avevano consegnato una lettera di dimissioni dagli US. Marshall coperta di  sangue. Quella mattina aveva appuntamento con Bart, ma lui aveva giurato che se ne era andato con le sue gambe e che non gli aveva mai consegnato la lettera. Dovevo credergli? Mi era molto difficile.

- Mi dispiace molto di aver perso , non uno, ma due dei più valenti US Marshall del nostro distretto, spero che finito il congedo per maternità ci ripenserai, Rita, ma capisco che per ora tu debba salvaguardare tua figlia - si rivolse direttamente a me. Ricordo di aver stretto l'angolo di quella bandiera con tutta la forza che avevo. Non sarei tornata uno US. Marshall, nemmeno sotto la minaccia di morte: quello che avevo visto, quello che mi avevano chiesto di fare... Era troppo. Forse avrei dovuto convincere Micheal a dimetterci ben prima di quel giorno perché io sapevo bene perché aveva scritto quella lettera e di cosa voleva parlare al nostro capo.

Quando lanciai la prima manciata di terra su quella bara mi sentii un peso crescente sul cuore. Ogni spalata di terra che cadeva con frastuono sul legno mi sentivo soffocare, come se stessero seppellendo anche me insieme a lui. In realtà ero quasi imbarazzata ad avere tutti quegli occhi pietosi addosso. Conoscevo Michael da poco. Dov'era la sua famiglia? Le persone che avevano condiviso una vita intera con lui?  Il fratello non lo vedeva ormai da anni. Avevo provato a chiamarlo più volte senza successo. Il padre era morto diversi anni prima e la madre era ricoverata in un istituto psichiatrico da qualche anno. La sua famiglia erano gli US Marshall. Eppure quello che avevamo visto gli aveva fatto decidere di abbandonarli.  Perché non ne aveva parlato prima con me? Ora anche io mi sarei dovuta cercare un nuovo lavoro.

Salutai alcuni dei colleghi di Michael con cui ero più in confidenza e li ringraziai per le condoglianze. Infine mi diressi verso mio padre per recuperare mia figlia. La guardavano tutti con un'aura di pietà che detestavo. Ero stata anche io un'orfana, conoscevo bene quello sguardo.  Mi fermai a inspirare a fondo per scacciare le lacrime. Quel giorno una strana foschia aleggiava tra gli alberi.  Camminavo a testa bassa osservando la terra brulla e il prato. All'improvviso un uomo di mezza età coi capelli a spazzola leggermente argentati mi si parò davanti.

- Le mie più sentite condoglianze - fece l'uomo.

- Conosceva mio marito?- chiesi sicura di non averlo mai visto, nemmeno alle nozze.

- Non personalmente, no. Conosco più lei di fama, veramente...- aggiunse lasciando la frase sospesa.

- In quale ambito lavora?- chiesi stupita.

- Ricerca farmaceutica, in effetti capisco che sarà molto pressata in questo momento, ma avrei un'offerta da farle, se ha voglia di cambiare aria, in Germania avremmo tremendamente bisogno delle sue competenze - aggiunse allungandomi un biglietto.

- Non lavoro più in campo farmaceutico da diversi anni - tagliai corto.

- Sappiamo a cosa stava lavorando per il governo... Le sue conoscenze sulle malattie virali e le mutazioni genetiche potrebbero venirci molto utili - mi disse senza troppi preamboli. Mi chiesi se sapesse veramente cosa facevo per lavoro o se facesse solo finta. I miei compiti erano segretati di questo ero certa.

- Lo terrò in considerazione, la ringrazio... lei si chiama?- dissi per cortesia.

- Marc Jacobs -  si presentò lui stringendomi la mano.

- Ha tutti i contatti, ci faccia sapere - insistette lui. Misi in tasca il suo biglietto da visita, poi mi affrettai ad aiutare mio padre che stava tentando invano di assicurare Sonia al seggiolino dell'auto.

- Chi era quell'uomo?- aveva chiesto mio padre curioso. - Nessuno - tagliai sedendomi accanto a mia figlia. Mio padre avviò l'auto.

- Mi dispiace così tanto tesoro - mi disse studiandomi. Forse voleva capire se ero a rischio di crollare.

- Ho preso qualche giorno all'università. Per quel che posso ti do una mano. So che non è come avere qui tua madre, ma...-  non sapeva continuare.

- Non fa niente papà, staremo bene io, te e Sonia, tranquillo - gli dissi mettendogli una mano sulla spalla. Ero grata di non rimanere sola con Sonia.

- Cosa farai dopo?-  osò chiedermi mio padre.

- Ancora non lo so - ammisi.

- Sai che se vuoi insegnare posso sempre mettere una buona parola al dipartimento di Chimica...- mi ricordò.

- Ci penserò.- alzai le spalle. Per ora volevo solo sprofondare nel lettone con la mia bimba e dimenticare quella giornata orribile.

- Hai fatto bene a dare le dimissioni - aggiunse dopo un attimo di silenzio. Mio padre aveva sempre sofferto il mio arruolamento, non era un mistero.

- Non avevo altra scelta. Comunque ormai è acqua passata... -  dissi soltanto. Mi bruciava ovviamente, ma comunque non potevo discutere di questo con lui.

- Sono stata una moglie per così poco. Non sarà così strano tornare come prima...- dissi quasi più a me stessa che a mio padre.

- Non è più come prima. Ora non sei più sola - mi ricordò lui.

- Già - baciai la piccola Sonia che si era addormentata.       

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