Homme a la guitare

Nel nulla, 10 Dicembre 2005

Rita

Ricordo bene il giorno che Jacobs tornò per vedere i risultati. Ricordo quanto ero nervosa quella mattina. L'isolamento nel sangue del virus stava andando bene, molto bene. Ero riuscita a sottoporre alla procedura ormai tutti i 15 ostaggi e nessuno era ancora morto o in gravi condizioni.  Quindi Marc Jacobs sarebbe stato furioso, con noi. Dovevo giocarmi bene le mie carte. E non mostrarmi mai incerta o indecisa su nessuna delle fesserie che avrei dovuto dire. White non era meno nervoso di me. Era una settimana che mi chiedeva ogni ora.

- Perchè non è ancora morto nessuno? E' normale? - ovviamente il vero motivo non glielo potevo dire. Una parte di me sperava tanto che Jacobs gli sparasse una pallottola in fronte. Era ciò che si meritava per  quello che aveva fattto a mio marito e a quelle povere cavie. Quando ci avvertirono dell'arrivo di Marc annuii ma rimasi con lo sguardo fisso sul computer perchè non vedessero le mie vere emozioni. Di quel braccialetto ovviamente nemmeno l'ombra, ma le cose lentamente stavano cambiando. White mi ascoltava di più. Noi tre eravamo lasciati spesso da soli, anche in posti senza telecamere e ci facevano mangiare in mensa con loro e non più nelle nostre camere.

Con le cavie non andava molto bene, specie con le signore. Credo mi odiassero. Credo che ritenere una del loro stesso genere capace di quello che stavo facendo loro desse loro un senso di totale e completo disgusto. Soprattutto per il fatto che volte alla mano chi era entrata di più in quella stanza era Maggie, una povera quindicenne rapita. Maggie era l'unica che non sembrava nutrire per me sentimenti negativi, anche se non mi capacitavo bene del perchè. Forse anche io mi sarei odiata. Forse mi odiavo già. Eppure se volevo salvare le loro vite dovevo giocarmi attentamente le mie carte: non c'era tempo per piangersi addosso. 

-Rita- la sua voce mi fece drizzare sull'attenti.

- Ciao Marc - lo salutai voltandomi verso di lui.  Vedevo il terrore negli occhi di Augustus ed Ernst. Sapevo che avevano paura che non saremmo mai usciti vivi da lì. Era una possibilità.

- Allora come andiamo? - vidi gli uomini che portavano le cavie fuori dalle celle. Mentalmente vedevo che li contava.

- Nessuna donna è morta? - fece perplesso.

- E' una arma selettiva, colpisce più gli uomini e specialmente in base all'età e alla possenza muscolare - gli ricordai cercando di non scompormi.

Lui annuì: - è che White mi aveva detto che le hai sottoposte più... spesso - aggiunse guardando i loro volti stravolti che mi lanciavano occhiate d'odio.

- C'è un problema con la sostanza - non nascosi. Marc si girò perplesso.

- I contenitori devono essersi danneggiati nel trasporto, la sostanza è sbilanciata e stiamo cercando di ribalanciarla - confessai. Mi avvicinai a lui.

- Contando le circostanze in cui sono stati ... ehm presi in consegna. Non mi stupirebbe che siano stati nella migliore delle ipotesi sballatottai, colpiti o gettati in mezzi di strasporto di fortuna non predisposti... - azzardai. Marc alla velata minaccia mi guardò male , ma non disse nulla. Poi si girò verso il tavolo e diede un pugno alla superfice che fece sussultare tutti i vetrini presenti su di essa.

- Non voglio vedere altro qui. White porta Rita nel tuo ufficio. Gli altri in cella. Ora! - ordinò Marc furioso. Augustus ed Ernst mi guardarono terrorizzati come se avessero paura di non vedermi mai più. Scossi la testa e seguii White volontariamente.  Quando chiusi la porta dietro di me , Marc si era già accomodato dietro alla scrivania.

- Perchè vengo a sapere di queste carenze solo ora? - tuonò guardando me e White.

- Io sono sempre stata cristallina, ho detto fin dall'inizio che alla sostanza mancava ossigeno - dissi decisa guardando Marc.

Lui per tutta riposta voltò lo sguardo verso White : - è vero?- .

- Boh si , ricordo qualcosa, ma aveva anche detto che poteva sistemarlo - si scusò White. - Io gli ho dato tutto quello che mi ha chiesto - protestò lui.

- Non lo metto in dubbio, White! Ma non mi hai fatto parola di questi problemi.  -aggiunse Marc.

- Io mi ero dimenticato ... e poi dopo l'inizio la dottoressa non mi ha più detto nulla - aggiunse guardandomi malissimo.  Era ovviamente vero.

- A volte forse mi sono espressa con termini troppo complicati - sussurrai soltanto da dietro di lui. Marc aggrottò la fronte. Sapeva che White era poco più di un energumeno. Si alzò in piedi.

- Vattene - disse a White.

- Ma capo, io... - protestò lui.

- Ti conviene prendere quella porta prima che mi ricordi quanti soldi ho speso per tirarti fuori dalla gattabuia ... e per cosa??? - Marc prese in mano un ferma carte e fece per gettarlo contro White che battè in ritirata all'istante. Poi respirò a fondo per calmarsi , mi fece segno di sedermi. Io tentennai, ma lui insistette. Girò attorno alla scrivania e si sedette dal mio lato. Alla fine cedetti e mi appoggiai sulla sedia. Non avevo la più pallida idea di come salvarmi in quel momento. E di come salvare anche i miei due colleghi.

- Dammi un buon motivo per cui non dovrei disfarmi di te e di loro oggi stesso - disse senza guardarmi nemmeno.

- La posso sistemare - dissi soltanto. Lui mi mise una mano sulla bocca.

- Rita, Rita. Tu pensi che dipenda da me? Ti sbagli di grosso - si avvicinò fino al mio orecchio.

- Forse non ho il tuo tatuaggio su un braccio, ma ti garantisco che non serve, l'ordine non è una democrazia, è un oligarchia e io ho altri 11 vertici che mi chiedono conto di questa operazione per cui hanno sborsato fior di quattrini. Adesso guardami dritta negli occhi. E dimmi la verità: è sistemabile? -  sibilò.

- Non ne sono sicura - la mia bocca parlò senza che la controllassi. Forse anni di addestramento avevano lasciato un segno più profondo di quanto io non pensassi. Questa era quello che dovevo dirgli: anche se mi sarebbe costato la vita. Lui doveva credere che l'arma non funzionasse più. Per il bene del mondo.  Lui prese quel famoso fermacarte e lo gettò contro il muro. Un quadro appeso sulla parete franò a terra seminando vetri ovunque.

- E adesso io che cosa dico agli altri 11? eh? Che abbiamo sbagliato a trasportare l'unica arma selettiva letale al mondo? No, cara, io non andrò laggiù con questa notizia e basta. Se  così non la posso vendere , devi farte venire in mente un'idea brillante. Qualcosa che ci faccia almeno ritornare della spesa. E in fretta!  Non sono stupido, so quanto è dura piazzare queste armi, specie se non funzionano... - mi prese il collo tra le mani. Non strinse rimase solo a guardarmi.

- Tu non hai paura di morire, forse. Questo me lo aspettavo. Ma ti giuro che conviene per te avermi come amico che come nemico. Se vuoi bene a tua figlia o tuo padre ... - tuonò. Io tremai quando pronunciò i loro nomi. Nonostante fossero al sicuro, non potevo essere certa che Marc non avessi agganci in Europa o addirittura nel GTAZ.  Dovevo pensare a qualcosa in fretta.  Lui si alzò in piedi. Guardai per un attimo quel quadro distrutto a terra.

- E se potessi farti un fumogeno vendibile come il pane? - dissi improvvisamente. Lui mi guardò corrugando la fronte.

- Un fumogeno 10 volte migliore di quelli in commercio! Con la quantita di gas che hai ne possiamo produrre tantissimo. Rientresresti economicamente, sono facili da piazzare... e anche a più gruppi diversi -  lo tentai. Lo vidi tentennare.

- Fumogeni hai detto?Potrebbe funzionare... Hai un mese, nemmeno un giorno di più. Usa quelle cavie per testarli. Quando torno voglio una dimostrazione - disse risoluto. Annuii soddisfatta. Mi fece segno di andare.  Quando uscii White era ancora lì. Io gli sorrisi contenta. Lui mi guardò male e mi fece segno di andare nella mia cella.

Dopo cena ero  nell'ambulatorio , seduta alla scrivania per prepare la lista delle cose che ci mancavano per realizzare quei fumogeni. Ernst ed Augustus erano scettici. Non era la loro formazione, ma si dovevano fidare di me. Mi bastava mescolare il vendicatore con alcuni gas inerti. Ero intenta a guardare il computer  quando udii degli strani rumori provenire dalle celle. Mi affacciai in corridoio perplessa. Vidi un ombra di uomo che trascinava una donna nella cella che usavo per i test col gas. Lo guardai incerta. Mi avvicinai cautamente. Tutte le donne stavano urlando, battevano contro il muro.

Chi aveva osato tanto? Mi affacciai e rimasi a bocca aperta. Davanti a me White con la cinta dei pantaloni slacciata stava tentando di legare Maggie al lettino con le cinghie.

- Cosa pensi di fare White? - gli afferrai un braccio e lo tirai indietro. Le donne dalla cella stavano ancora urlando.

- Non sono fatti tuoi, dottoressa - mi spinse via. Non intendevo lasciargli fare quell'obrobrio.

- Vuoi rischiare di infettarti? Il mio virus si trasmette col sangue, basta anche solo una piccola lacerazione... - gli ricordai. Lui mi guardò sornione e mi sventelò un preservativo in faccia. Non mi aspettavo che fosse partito prevenuto.

- Non sono scemo come tu pensi - mi gridò e mi gettò contro la porta. Non sapevo cosa fare. Vedevo la sua vena sul collo pulsare. Era chiaramente frustrato ed arrabbiato per come era andata la giornata , non l'avrei lasciato sfogarsi in qual modo, non su quella povera ragazza. 

Era talmente vicino, sentivo il puzzo di alcoohol e tabacco dal suo alito. Non potevo aspettare che Marc tornasse dovevo trovare quel braccialetto quella sera. La verginità di Maggie non era una merce di scambio che ero disposta a sacrificare. Mi feci coraggio e  lo guardai dritto negli occhi.

- Non lo sei? Allora dimostralo! - gli dissi. Lui punto sul vivo mi squadrò. 

- Ho visto come mi guardi, non sono cieca. So che mi vuoi - gli sussurrai all'orecchio.

- Marc magari ti ha detto di non toccarmi, perchè gli servo, ma Marc non lo verrà mai a sapere... - lo tentai. Vedevo il suo petto ansante. Mi baciò sul collo con foga. Lo fermai.

- Non qui, rimetti quella ragazza in cella e andiamo nel tuo ufficio - gli ordinai. Il suo trasporto mi diceva che avrebbe fatto qualsiasi cosa per avermi. Non protestò infatti.  Ributtò quella ragazza malamente in cella e mi trascinò nel corridoio.

Appena entrati nel suo ufficio mi fece girare attorno alla sua scrivania, baciandomi sul collo. Repressi il ribrezzo. Non facevo che ripetermi: Maggie è salva e tu lo fai per avere il braccialetto. Lo ripetei dentro di me anche quando mi strappò il camice di dosso e lo gettò a terra e poi mi forzò a mettermi a 90° sulla scrivania. In quel momento era come se i miei sensi cercassero qualsiasi cosa attorno per escludere quello che stava accadendo. Perchè la verità era troppo orribile anche solo da pensare.   Sapevo che se mi fossi difesa, mi avrebbe fatto più male, se avessi finto che mi piacesse sarebbe riaccaduto. L'unica arma era l'indifferenza. Dargli il mio corpo , ma proteggere la mia anima.

Chiusi gli occhi. Respinsi le lacrime in gola. E piantai gli occhi sui pezzi di vetro di quel quadro a terra e poi sul dipinto vero e proprio. "Uomo alla chitarra". Pablo picasso. 1912.  Mi fece male , ma non fiatai. Mi sforzai di concentrarmi su quelle linee spezzate come il mio cuore era da troppi mesi. Non trovavo nemmeno la chitarra tra quei quadrati. Qualche corda dispersa qua e là. C'era una relazione tra la mia vita e quel dipinto. Tra una donna disperata stesa su una scrivania ad ingoiare un dolore ed un umiliazione troppo grande e quel misterioso suonatore i cui contorni si erano persi per sempre nella mente del pittore.

Entrambi eravamo ormai non più ricomponibili. Quando ebbe finito, White annusò le mie mutandine e me le passò.

- Tu sai dov'è il mio braccialetto?- gli chiesi soltanto.

- No, tesoro, ma se mi prometti che sarai carina con me , ti prometto che te lo cerco - rise lui baciandomi ancora mentre mi rimettevo il camice.

- Vai pure - aggiunse poi.

- Non mi segui per vedere se vado in cella? - chiesi stupita.

- Non serve più, dottoressa, ormai so benissimo che non te ne andrai, non senza quella ragazza... - aggiunse con un mezzo sorriso soddisfatto colpendomi sul vivo. Mi tirai dietro la porta e corsi verso la mia cella, chiudendomi dentro. Lanciai i vestiti a terra e nuda come un verme mi gettai sotto la doccia.

Continuavo a lasciare scorrere l'acqua sperando che mi lavasse dal ricordo delle mani di White su di me.  Non riuscivo mai a pulirmi, rimanevo sempre sporca. Quel suo puzzo mi era rimasto attaccato addosso. Non avevo nemmeno idea se poi avesse usato o meno il preservativo. Non ci avevo fatto troppo caso.  Alla fine franai nella doccia e rimasi li con le gambe al petto in posizione fetale. Mi tirai un asciugamano addosso e mi accoccolai al muro fino ad addormentarmi.               


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