Nel nulla, 11 Dicembre 2005
Rita
La mattina dopo mi svegliai verso le 6 di soprassalto. Verso le tre mi ero infilata il pigiama e mi ero trascinata a letto con l'umore sotto le scarpe e un groppone in gola. Camminai svogliatamente verso il bagno. Mi lavai la faccia. Avevo gli occhi rossi ed iniettati di sangue. Bruciavano da impazzire. L'ultima cosa che volevo era mostrare a White che avevo pianto. Mi inondai il viso di acqua gelata sperando servisse ad attenuare il rossore. Mi accorsi solo allora di avere le mutande sporche di sangue, per un attimo il terrore mi prese d'assalto.
Rividi quel quadro con le linee spezzate davanti a me. Mi appoggiai al porta-asciugamano per non cadere e cercai di respirare a fondo per calmarmi. Mi sedetti sul water. Guardavo il muro coperto di mattonelle bianche asettiche. Una fitta alla schiena mi prese all'improvviso. Era possibile fosse tutto merito di White? Poi capii, contai e ricontai i giorni almeno 3 volte e poi ringraziai il cielo fino alle lacrime. Presi un assorbente dall'armadietto e mi vestii velocemente.
Se riuscivo ad arrivare in ambulatorio senza farmi vedere potevo prendere qualcosa e sperare che facesse effetto prima di vedere White. Aprii la porta dall'interno. Nessuno mi aveva chiuso dentro come di solito facevano. Mi addentrai nella base. Incontrai un solo uomo di vedetta vicino alla porta, vedendo che mi fermavo all'ascensore per scendere giu al laboratorio non disse nulla. Quando l'ascensore si aprì chiusi il camice tremando di freddo.
Avevano lavato l'intero laboratorio e lasciato le finestre aperte perchè si asciugasse più velocemente. Mi chiusi in ambulatorio e studiai i farmaci finchè non trovai quello che cercavo. Quindi mi misi a sedere. Sul portatile campeggiava ancora la schermata che avevo lasciato la sera prima. Scorsi la lista ancora un paio di volte, annoiata. Sentii gli occhi diventare pesanti. Mi appoggiai alla scrivania. Sentivo la schiena pulsare di dolore. Chiusi gli occhi e respirai a fondo: presto sarebbe andato tutto molto meglio.
Augustus mi svegliò di soprassalto due ore dopo. Aveva il fiatone ed era bianco come un lenzuolo.
- E' per 743, ha una crisi respiratoria - disse soltanto. Io mi stropicciai gli occhi e mi alzai. lo guardai stupita mentre raspava nella borsa per prendere la siringa con l'adrenalina. Lo seguii agitata. Maggie era riversa sul pavimento appoggiata al letto e tossiva spasmodicamente. Non era incoscente, ma se gli faceva l'adrenalina in quel modo avrebbe rischiato di esserlo presto. Ernst credo stesse pensando lo stesso perchè disse ad Augustus: - ci serve un inalatore-. Augustus lo guardò terrorizzato.
-Non c'è un inalatore! Non l'abbiamo chiesto!- rispose poi.
- ok, vieni con me... - presi Maggie sotto le spalle e la trasciani fuori dalla cella. Purtroppo avevano chiuso le finestre nel laboratorio, non avevo tempo di aspettare che le riaprissero coi lucchetti. La trasciani verso il fondo del corridoio, sbucai nel garage. White e alcuni altri uomini mi guardarono perplessi.
- Dove credete di andare? - urlò White.
- Fuori - risposi soltanto. Maggie gli tossì disperata in faccia. White si allontanò.
- Un altro po' e ti vomita qui, venite fuori e ci sorvegliate dalla distanza, ha bisogno di aria - gli dissi pressata. Guardò un attimo il mio volto e poi sospirò.
- E va bene...- fece segno a due dei suoi uomini che ci seguissero. Brancarono un paio di fucili e ci fecero strada.
Era più di un mese che non mettevo piede fuori da quelle mura e Maggie forse di più. Era una sensazione alienante. La trascinai vicino ad un piccolo corso d'acqua ghiacciato e la feci sedere a terra. Tremava di freddo, le misi il mio camice. Qualche minuto dopo inaspettatmente White ci portò due coperte e battè in ritirata. Le misi una mano sulla schiena. Si stava calmando...
- Maggie guardami devi respirare piano, lentamente... col naso - le spiegai. Lei annuì e si sforzò di rallentare il battito.
- Cercherò di convencere White a farti stare fuori ogni tanto, anche se sorvegliata. E' meglio che stare sempre in quella cella. Tu mi devi solo promettere che non scapperai , non ci proverai per nessuna ragione al mondo. Perchè loro ti sparerebbero a vista. Spero di poter trovare un modo per farti uscire di qua, ci sto lavorando. Devi avere pazienza. Adesso ti lascerò stare per un po' e cercherò di farti avere un po' di ossigeno in cella a disposizione - le dissi. Lei annuì , aveva ancora dei lacrimoni che le rigavano la faccia.
- Ti prometto che un giorno questo ti sembrerà solo un brutto sogno - aggiunsi accarezzandole la testa. Mi persi a guardare il lago.
- Grazie per ieri sera - aggiunse lei con un sussurro. - Loro adesso mi credono che tu non sei una di loro- aggiunse. Capii che si riferiva alle sue compagne di cella.
- Prossimamente userò molto gli uomini per i test, lo posso giustificare, loro non saranno molto contenti, ma sono test diversi, niente vomito, solo qualche vertigine. Non dire alle tue compagne di cella del mio piano per ora, basta che ne parlino tra loro e salterà tutto, posso fidarmi di te? - aggiunsi guardandola dritta negli occhio. Lei annuì. Io sorrisi.
Rimanemmo li a goderci l'aria fresca di quel sole malato.
- Posso farti una domanda?- chiesi cercando il coraggio fino in fondo al mio cuore. Lei annuì.
- Cosa senti quando accendo il vendicatore, il gas?- le chiesi. Lei rimase in silenzio a guardare il lago.
- La prima volta è stato molto brutto, c'era qualcuno in quel fumo, qualcuno di molto spaventoso, vedevo i suoi occhi, comparivano e scomparivano. Erano prondi e neri, come dei vortici - mi descrisse infine.
- Le volte dopo non ricordo bene, ma adesso dopo un po' se mi rilasso dal fumo esce qualcos'altro... - aggiunse . Sorrideva guardando la sua immagine riflessa nel fiume come se fosse persa in un altro mondo.
- Qualcosa di brutto? Altre allucinazioni?- chiesi preoccupata.
- No, in quel fumo vedo la mia casa, mia sorella che gioca in giardino e cade, mio padre che corre ad aiutarla... un ricordo insomma... - ammise lei.
- Se tu riesci li rivedrò?- chiese speranzosa. Io annuii.
- Ma acqua in bocca... - annunciai. Lei annuì ancora , finse di chiudere la bocca con una cerniera e gettò via una chiave immaginaria.
Sentimmo i passi di White dietro di noi. Mi alzai e mi avvicinai a lui, lasciando indietro Maggie. Ernst ci raggiunse dal garage, gli feci segno di aiutare Maggie che procedeva lentamente, ma a distanza di sicurezza. Io feci un bel respiro e misi un braccio attorno alle spalle di White, lui sorrise e mi chiese soltanto:- cosa ti serve stavolta?-
GTAZ, 11 Dicembre 2005
Michael
Intirizzito dal freddo sulla mia sedia a rotelle fissavo alternativamente il lago ghiacciato e il cronomentro. Sentivo le quattro squadre nella boscaglia dietro di me. L'obbiettivo era molto semplice, passare dall'altra parte del lago senza farsi vedere e raggiungere una gabbiotto sulla sponda opposta, entrare e sventolare la bandiera della propria squadra. Presi il binocolo e studiai la foresta attorno per vedere segni di squadre in avvicinamento. Tra meno di un mese il tempo di Rita sarebbe scaduto. Un mese era pocchissimo. Il mio corpo militare era ancora molto indietro, eravamo mal equipaggiati, dovevo sempre inventarmi di tutto per farli allenare. La parete di schermi di Berger era tutta bella attiva e funzionante; l'intera sala era stata riempita di macchinari e postazioni e computer. Mi sembrava tutto inutile. A cosa sarebbero serviti quegli schermi nel momento in cui Rita avesse schiacciato quel segnalatore? Cosa poteva fare quella parete? Mostrare molto grossa una cartina, con un punticino rosso sopra... e poi? Non era un computer a poterla salvare, ma questo Berger non lo capiva. Continuava a includere telecamere, a portare filmati. Di quel camioncino non c'era più stata alcuna traccia. Non volevo trovare la traccia successiva in una fossa. Non volevo perdere mia moglie. Non ero pronto. Guardai il cronometro e lo gettai a terra arrabbiato. Presi un fischietto che avevo appeso al collo e fischiai. Le squadre uscirono a gruppetti, lentamente, le spalle basse. Era la quarta volta che fallivano quell'esercitazione. Molti nemmeno si capivano tra di loro. Non ero abituato a queste differenze linguistiche. I segni che facevano ed usavano e con cui erano stati addestrati erano tutti diversi tra loro. Era snervante. Jason fu il primo a raggiungermi, col fiatone si mise sull'attenti.
-Eravamo a circa 30 metri dall'obbiettivo, signore- riportò. Io guardai il lago.
-Trenta metri o 100 che differenza fa? - grugnii voltandomi verso di lui.
- Sì, signore, ha ragione, Signore. - non tentò nemmeno di ribattere.
- Mettetevi a girare questo benedetto lago, non voglio vedere un solo stivale all'interno della base prima che faccia buio- urlai.
- Si, signore - rispose. Si mise a correre trascinando i suoi compagni. Man mano che li incontravo ad uno ad uno si fermavano e si impettivano facendo il saluto. Io nemmeno li degnavo di un cenno. Ero arrabbiato. Deluso. Con me stesso prima di tutto.
Rientrai in silenzio. Sonia dormiva , la baby sitter si stava rilassando sulla balconata della camera, le feci un cenno e proseguii lungo il corridoio. Sentivo indistintamente la voce di Berger parlare con alcuni tecnici, continuai dritto, ma lui mi vide e mi chiamò indietro. Era tutto soddisfatto, mi invitò ad entrare nella stanza. Una sfera cava. Vuota. L'eco si spandeva nella stanza . Contai che doveva essere alta almeno 8 metri. Berger era molto eccitato.
-Voglio che lui veda- disse convinto Berger. Un tecnico gli sorrise e mi porse un paio di visori. Ci spostammo dal centro della stanza verso un lato, al centro c'era una specie di pedana mobile. Cominciò a spostarsi su stessa ruotando e poi la sala precipitò nel buio.
-Questo è il magic cube, un prototipo che ci ha regalato la Francia, stanno facendo molte ricerche sulla realtà tridimensionale nell'area di Bordeaux e volevano contribuire in qualche modo alla costituzione del GTAZ- mi disse sottovoce.
- Ma non è un cubo, è una semi sfera...- protestai.
- Aspetta e vedrai...- aggiunse soltanto. Attorno a noi la stanza si colorò di luci e suoni. Sentivo gli uccellini e vedevo quella piante attorno a me, mi sembrava davvero di poterle toccare allungando la mano. Era un'illusione quello che stavo vedendo? Era impressionante!
- Abbiamo pochi scenari militari per ora, ma ci manderanno alcuni ragazzi in tesi. Pensa qui potresti far sparare ai tuoi ragazzi tutti i proiettili che vuoi... costo zero - rise Berger. Al di là della sua straffottenza non era una brutta idea. Fece un segno ai tecnici che bloccarono il filmato.
- Immagino che tutte queste luci non siano gratis. Quante elettricità serve per mandare avanti tutto questo?- protestai.
- Ma come Michael? Non hai visto i pannelli solari che hanno montato sul tetto... Non abbiamo problemi di energia... Questa è il terzo millennio... ti ci dovrai abituare!! - mi prese in giro battendomi la mano sulla spalla e raggiungendo i tecnici.
Una volta solo, rimasi a guardare la stanza inebetito. Una cosa così poteva aiutarmi a salvare Rita? Forse si. Potevo provare e riprovare i comandi con una squadra alla volta, osservarli da vicino, correggerli, stoppare il filmato quante volte volevo. Era questa la differenza tra me e Berger. Lui vedeva la tecnologia, io vedevo come l'uomo poteva trarne vantaggio.
- Quando arrivano i tesisti? - urlai a Berger.
- Lunedì prossimo - mi rispose.
- Quanti occhiali abbiamo?- chiesi ancora.
- Dieci perchè?- chiese perplesso.
- Se mi possono caricare un AK47 e metterne uno in mano ad ogni partecipante si può fare - stavo riflettendo a voce alta mentre veleggiavao nella stanza col sedia a rotelle.
- Non è facile simulare un proiettile, ci vorrà il lavoro di mesi - sospirò lui.
- Chi ha detto che devono sparare?- stavolta fui io a lasciarlo senza parole.
- Lo scenario va bene anche la foresta dei puffi nella campagna francese - alzai le spalle e me ne andai dalla stanza senza voltarmi.
- Mandali nel mio ufficio, Lunedì!- urlai mentre ero sulla porta. Lo sentii sospirare. Uscii rinfrancato da quella stanza. Ora sapevo come trasformare quei militari in un esercito.
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