Autobahn 6
Authobahn 6, 18 Gennaio 2006
Rita
Ero immobile davanti ad uno specchio di un lurido bagno di una stazione di servizio dell'Autobahn 6. Mi tolsi il cappello da baseball che avevo trovato nello studio di White liberando la cascata di capelli neri. Rimasi a fissare incredula la mia immagine con gli occhiali da sole dal taglio maschile e la giacca troppo grossa per la mia taglia. Che volto ha una terrorista? Me l'ero chiesta spesso in quelle 48 ore. La mia faccia era ancora su tutti i giornali. Ero stata fortunata ad aver trovato quella carta di credito nella cassaforte. Forse Marc me l'aveva lasciata apposta per controllarmi. Non importava. Non intedevo scappare. Dovevo solo annullare il vantaggio che lui aveva. Dovevo poter girare indistirbuta. Il passaporto non mi serviva per ora, ma dovevo cambiare il mio profilo e trovare un telefono non tracciabile. Presi dalla borsa quell'orrenda tintura rosso fuoco e un paio di guanti. Non avevo trovato di meglio. Non era la miglior scelta e di certo non era qualcosa che mi avrebbe fatto passare inosservata, ma non avevo molta scelta. Dovevo farmela bastare. La tintura mi colava sulla fronte, mi bruciava gli occhi, ma non mi fermai. Quando finii il tempo di posa, mi asciugai sommariamente i capelli, quindi presi le forbici. Allungai la frangetta fino ad arrivare agli occhi. Poi presi una ciocca e mi guardai allo specchio. Rita Groitgang stava sparendo, la terrorista stava sorgendo. Non c'erano alternative o vie di uscite. Chiusi gli occhi e tagliai i capelli poco sotto all'orecchio. Quindi mi lavai la faccia e indossai le lenti a contatto verdi. Misi il cappotto che avevo rubato poco prima. Feci sparire giacca e occhiali nella borsa della spesa, insieme alle forbici. Ripulii attentamente il lavandino per non lasciare tracce quindi gettai anche i guanti nella borsa . Indossai un paio di occhiali da vista viola con bassa gradazione. Mi facevano uno strano effetto, ma non avevo trovato qualcosa senza gradi. Più avanti mi sarei disfatta di quelle lenti. Uscii lasciandomi dietro chi ero stata fino a pochi giorni prima. La mia vita, la mia famiglia, la mia laurea, il mio matrimonio. Marc e l'icosaedro avevano mandato tutto a puttane. Avevano infangato il mio nome. Si erano presi tutta la mia vita. Pezzo dopo pezzo. Ora avevo due strade : la morte o la vendetta. E per quanto fosse difficile, l'unica che mi dava la forza di respirare era la seconda.
Stavo per uscire dalla stazione di servizio quando mi bloccai davanti alla televisione. C'era un convoglio di auto nere che si stava fermando davanti al senato. Guardai quella figura esile e pallida coperta di cicatrici e bruciature scendere dall'auto. Era il fantasma di Karen, ma almeno era ancora viva, per adesso. Solo allora notai l'uomo in uniforme che le faceva scudo conducendola tra la folla. Strabuzzai gli occhi. Quell'uomo sembrava venire da un universo parallelo: quello che io e Michael avevamo lasciato. Dennis... Dovevo ammettere che era una buona scelta. Poteva consegnare un messaggio a Karen senza farsi vedere e poteva proteggerla o per lo meno provarci. Respirai profondamente e presi la porta. Mi diressi a testa bassa verso l'auto, gettai la borsa all'interno e guidai in direzione del paese più vicino. Come cavolo aveva fatto Michael? Mi chiesi sorridendo. Forse se testimoniava contro di me avrebbero potuto farla sparire. Forse infondo avevamo ancora una possibilità. Avevo un asso dalla mia, Michael, e Marc non doveva sospettarlo per nessuna ragione al mondo. Ero certa che quel posto poteva salvarlo, ma non avrei immaginato che finisse lui per salvare quel posto dopo l'uragano che l'aveva investito: la mia storia, che era costata il posto a Berger. Svoltai distrattamente allo svincolo costeggiando la strada principale del paesino. La base si trovava nella foresta a poco meno di 15 km da lì. Analizzai le indicazioni e i cartelli stradali ad uno ad uno finchè non trovai quello che mi serviva. Negozio di tatuaggi. Parcheggiai e mi diressi con fare determinato verso la porta. Dovevo convincerlo che ero il suo capo e che non gli conveniva tradirmi. Non avevo armi per ora, ma forse non mi sarebbero servite. Era pur sempre un ragazzino coperto da tatuaggi e io una terrorista. Lui non sapeva cosa potevo fare e non sapeva cosa avevo già fatto o meno.
-Tienila coperta almeno fino a domani- stava spiegando ad un ragazza alla cassa. Io finsi di guardare un catalogo lasciato nel tavolino di fronte a lui. Non volevo che mi guardassero in faccia per il momento. Rimasi ferma guardando una foto di un tribale costruito con edera attorcigliata che mi aveva catturato. Mi fermai a pensare: potevo costringerlo a coprirmi l'icosaedro? Nemmeno per sogno, era troppo spaventato da loro e non potevo dargli torto dopo quello che avevo visto.
-E' perfetto, grazie!- la ragazza uscì dal negozio contenta. Aspettai di sentire la campanella della porta prima di fare un bel sospiro di sollievo.
-Per oggi hai chiuso- dissi poi senza voltermi. Il ragazzo mi guardò perplesso.
-Come scusi?- mi chiese. Non mi aveva riconosciuto, questa era un buon segno. Battei con la mano sull'edera. Forse non dovevo per forza coprire l'icosaedro bastava che fosse qualcosa di così visibile che l'icosaedro in confronto non sarebbe rimasto nella memoria di nessuno. Una parte del corpo che era sempre scoperta. Come la mani per esempio? Era una follia. Chiunque l'avrebbe notato, ma infondo quel tatuaggio non portava a Rita Groitgang, quindi poteva venirmi comodo. Sospirai e mi voltai verso di lui. Mi guardò negli occhi come si guarda qualcuno che hai già visto, ma non ti ricordi dove. Poi si portò le mani alla bocca allibito.
- Come ti chiami ragazzo?- gli sorrisi avvicinandomi.
- Andi- sussurrò lui.
-Bene , Andi, oggi hai chiuso, siamo intesi?- dissi accarezzandogli il viso. Al contatto fisico con le mie mani gelide, lui cominciò a sudare. Vedevo le sue mani tremare.
- Abbassa la saracinesca- gli ordinai. Lui scattò dalla sua posizione e si affrettò a chiudere. Io presi il raccoglitore con l'edera e andai tranquillamente a sedermi sulla postazione dove faceva i tatuaggi.
In fondo forse non mi serviva una pistola, almeno con lui. Quando ebbe chiuso si affacciò sulla porta.
- Pensavo che ti avessero ucciso - disse Andi con franchezza.
- Ci hanno provato - annuii.
- Stai scappando? - disse agitato.
- No... o non sarei ancora qui non ti pare! - gli feci un mezzo sorrisetto ironico.
- L'icosaedro mi ha dato in gestione la base - aggiunsi sospirando e mettendomi comoda.
- Cosa?- lui mi guardò allibito. -E il palestrato americano che fine ha fatto?- aggiunse poi agitato. - Oh, lui non è più un problema - lo rassicurai.
- E gli altri? - deglutì a fatica mentre me lo chiedeva.
- Cenere alla cenere.- risi. Ero molto soddisfatta di quella parte. Nessun rimorso.
- Ma tu non eri una dottoressa? - fece spaventato.
- Sono brava a fare morire la gente, il governo mi ha pagato per anni per trovare tanti modi di ucciderla, ora mi paga l'icosaedro. Non c'è poi molta differenza, non trovi? - aggiunsi scrollando le spalle. Ovviamente era una provocazione. Il ragazzo abbassò lo sguardo, ma non osò rispondermi.
- Andi, caro, sono venuta qui perchè sei davvero bravo e vorrei un altro tatuaggio- respirai a fondo.
- No, no, sono stato chiaro, non importa se sei tu al comando ora, l'icosaedro non lo copro - fece lui sulla difensiva.
- Stai tranquillo... altro braccio - aggiunsi.
- Altro braccio - ripetè lui guardandomi come ipnotizzato. Gli allungai il raccoglitore. Lui studiò l'immagine.
- Andi, fai un bel respiro e calmati, se tremi ti verrà di merda il tatuaggio. Non ti ammazzerò oggi. Tu mi servi. Mi servono 5 telefoni criptati e un paio di altre cosette, quindi rilassati, fai un paio di commissioni per me e poi tutti ce ne torniamo a casa, che dici? - gli proposi. Lui cercò di respirare profondamente.
- Io posso essere la tua migliore amica, Andi, ... Sono qui vicino alla base, se hai problemi mi chiami in 10 minuti arrivo - gli proposi. Lui annuì cercando di calmarsi.
- Finchè pensano che gli serviamo, siamo al sicuro - gli sussurrai avvicinandomi al suo orecchio. - Ok, ok. Rita, giusto? - aggiunse lui inspirando ancora. Probabilmente l'aveva sentito in televisione.
- Si, esatto- annuii.
- Non ti chiederò cosa avete in quella base - disse deciso.
- Mi sembra un'ottima idea, Andi - gli sorrisi io. Una parte di me temette che mi chiedesse degli ostaggi, ma ora che ci pensavo gli ostaggi non avevano un icosaedro addosso, li avevano solo marchiati come bestie. Erano i dipendenti di medio/basso profilo che tatuavano. Scelta interessante.
- Dove volevi farlo?- chiese con fare più professionale.
-Dalla mano fin sul braccio.- dissi decisa.
- E' una zona molto sensibile, ti farà molto più male dell'altro - si premunì Andi.
- Più del male che mi hanno già fatto loro? - lo provocai. Lui abbassò lo sguardo.
- Mi dispiace - aggiunse.
- E' un tatuaggio che ha un significato, è importante. - dissi ad alta voce mentre iniziava. Era come se stessi creando la storia anche per me stessa, però ad un certo punto iniziai a sentirla quella storia.
- In realtà questo rappresenta l'icosaedro molto più del loro simbolo. Hanno distrutto la mia vita, Andi. Mi sento stritolare da loro, ogni giorno che passa. Eppure non voglio mollare, non voglio farmi schiacciare...- aggiunsi.
- Conosco la sensazione. Hanno ucciso qualcuno che amavi?- chiese poi.
- In un certo senso si - ammisi. Non so come fece a capirlo.
- Mi hanno minacciato di farlo tante volte, ma infondo so che ne sono capaci. Per questo non scappo. C'è sempre qualcuno che hai paura di perdere - aggiunse amaramente. Quanto aveva ragione. Eravamo tutti così facilmente ricattabili.
- Potresti mettere la data della sua morte sul tatuaggio. All'icosaedro non importerà - buttò lì. Lo guardai stupita.
- Molte persone lo trovano rinfrancante, come un omaggio, come una promessa... mi ricorderò sempre di te...- spiegò. Credo parlasse di altri clienti con lutti che aveva avuto.
Pensai a come mi ero sentita al funerale. Pensai a come mi ero persa nel nulla nei sei mesi successivi. Se Michael era vivo era un miracolo di persone che pur avevo odiato: quei due agenti dell'FBI. Dovevo trasformare la rabbia, la paura, il senso di smarrimento, l'indolenza... tutta quella nebbia di sentimenti doveva essere incanalata in unica direzione. Vendetta.
- 3 Maggio 2005 - dissi soltanto. Lui si segnò la data su un foglio e poi continuò.
- Posso farti una domanda? - disse dopo alcuni minuti di silenzio. Gli feci cenno di continuare.
- Come farai a tenere testa a dei terroristi? - la sua domanda rimbombò nel silenzio del locale.
- Sei tosta per carità, ma sei sola - aggiunse preoccupato che mi offendessi.
- Posso scegliere quttro uomini miei. Ma a questo penserò io, tranquillo, da te mi bastano i telefoni - risposi. Lui annuì. Rimasi a lungo a pensare alla sua domanda. Era veramente una domanda da jackpot. La verità era che non ne avevo idea.
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