V. Non finirà bene

«Giuro, non capisco perché ti applichi così tanto.» Il ragazzo che aveva parlato aveva le mani occupate ad aggiustare una vecchia console Nintendo che aveva visto tempi migliori. «Stiamo parlando di Martha Rainer in fondo, sai benissimo com'è fatta.»

«La verità, Oskar,» disse Ulrich sovrappensiero, lanciando in aria una mela e prendendola al volo, «è che nessuno di noi la conosce davvero. A te non incuriosisce la sua storia?»

«No, soprattutto se per saperla devo essere sacrificato a qualche entità superiore» rispose Oskar senza pensarci due volte.

I capelli castani gli ricadevano davanti agli occhi, costringendolo a soffiarli via a intervalli regolari per vedere cosa stava facendo. Era una giornata come tante: lui cercava di aggiustare qualcosa, Ulrich perdeva tempo steso sul letto pensando al suo enigma preferito del momento e Leopold era in giro a combinare qualche guaio.

L'unica cosa che non quadrava era l'improvviso interesse di Ulrich verso quella ragazzina odiosa che gli dava i martìri dal giorno zero in Accademia.

«Mi chiedo quando verrà a sfondarmi la porta» mormorò Ulrich, con la testa ciondoloni fuori dal materasso. Un sorriso che non prometteva nulla di buono gli si aprì sul viso. «A quest'ora dovrebbe averlo capito ormai.»

«Capito cosa? Che è più simpatica un'eruzione cutanea di lei?» Ulrich alzò gli occhi al cielo – o meglio, al pavimento vista la sua posizione. «No, non credo. Non la vedo così intuitiva, sai?»

Ulrich ignorò il sarcasmo di Oskar e continuò: «Le ho detto che la cercava Keller, quando invece non era vero».

«Tu hai fatto cosa?» Gli sfuggì il cacciavite a stella di mano e quello rimbalzò sul tappeto che separava i loro letti, prima di rotolare verso i piedi dell'armadio. «Per tutti i goomba, Ul! Perché fare una cosa del genere?!» chiese trafelato mentre si affrettava a recuperare l'attrezzo.

«Curiosità» rispose atono Ulrich, senza perdere di vista i movimenti frenetici di Oskar. «Volevo mettere alla prova una nuova teoria».

«Le tue teorie prima o poi ti faranno uccidere.» Il più piccolo uscì trionfante da sotto l'armadio, con il cacciavite in una mano e un ciuffo di polvere attaccato alla manica della felpa arancione. Lo guardò incuriosito, prima di sbatterlo nel cestino della carta che tenevano sotto la scrivania. «Si dovrebbe fare una spazzata lì sotto, a proposito.»

«Questa settimana tocca a Leo fare le pulizie» ribattè Ulrich, riportandosi finalmente seduto sul materasso. Era stato così tanto a testa in giù a pensare che gli si erano arrossate le guance.

«Bene, allora moriremo sommersi dal pulviscolo.» Il fastidio nella voce di Oskar era palpabile e, in cuor suo, non se ne sentiva nemmeno in colpa. Il pensiero era semplice: se ci si divideva i compiti da fare, ognuno doveva fare il suo. Leopold non ne voleva sentir ragione? Allora gliel'avrebbe fatta sentire lui quando sarebbe tornato in stanza quella sera.

«Non sei curioso di sapere la mia ultima teoria?» chiese Ulrich all'improvviso, mentre lui riprendeva in mano la carcassa semi-distrutta del Nintendo DS. Oskar lo guardò come se fosse impazzito. «No che non sono curioso. Qualsiasi cosa riguardi Martha Rainer sta bene dove sta.»

«Sei noioso, Oskar. Lo sai, vero?» Il biondo si allungò per prendere lo zaino senza alzarsi dal letto, rischiando di cadere con la faccia a terra.

«Almeno io ho hobby meno mortali dei tuoi» rispose Oskar convinto, alzando la console in aria. Stava per ridere della sua stessa battuta, quando vide il pacchetto di Camel alla menta che Ulrich aveva appena tirato fuori dallo zaino. Il sorriso gli morì sulle labbra. «Ehi!»

«Cosa?» Ulrich aveva già una sigaretta piantata tra le labbra e faceva finta di non sapere di che cosa si stesse parlando.

«Conosci le regole, Ulrich: niente sigarette in mia presenza» sputò acido Oskar. Non voleva respirare quella merda: gli offuscava i pensieri e non riusciva a ragionare lucidamente. Nonostante ciò, Ulrich sembrava non dare peso alla cosa. «Quando morirò potrai fare tutto ciò che vuoi, ma fino a quando camminerò su questa Terra non ho intenzione di respirare quella roba.»

«E se finissi sulla sedia a rotelle? Varrebbe anche se, invece di camminare, andassi in giro su due ruote?» Una risata a malapena accennata riempì la stanza quando Ulrich fece notare quella falla nel piano di Oskar, mentre nascondeva il pacchetto nuovo tra il muro e il materasso.

«Molto divertente,» il sarcasmo di Oskar era palpabile, «davvero molto—»

BUM. BUM. BUM.

Tre colpi alla porta della loro stanza li fecero sobbalzare. Ulrich rischiò di sbattere la testa sotto il marmo della finestra, mentre Oskar lasciò cadere di nuovo il cacciavite a terra: «Maledizione!»

«Apri questa stramaledetta porta, Schneider!» La voce di Martha li raggiunse dall'altra parte, accompagnata da nuovi colpi.

«Io lo avevo detto che le tue teorie prima o poi ti avrebbero ucciso» disse Oskar con disprezzo. Per quanto fosse soddisfacente avere ragione, non aveva alcuna voglia di sopportare la presenza di Martha anche in camera sua: vederla a lezione tre volte a settimana era già troppo per lui.

«Oh, sta' zitto.» Anche Ulrich sembrava nervoso, ma sotto quel cipiglio serioso si notava ancora la scintilla di divertimento nei suoi occhi.

Una volta in piedi, ci mise poco ad aprire la porta al suo nuovo passatempo e, nonostante lei sembrasse sul punto di prenderlo a pugni, le sorrise raggiante. «Ciao, Rainer. Posso fare qualcosa per te?»

«Prima di farti tumulare vivo intendi?» Martha entrò nella stanza, ignorando Oskar – per sua somma felicità –, in uno svolazzare di capelli neri. Sbatté la porta alle proprie spalle, poi puntò un dito contro il petto di Ulrich. «Potresti iniziare a spiegarmi perché sei così stronzo, magari.»

Oskar non riuscì a trattenere una risatina di scherno, seduto a gambe incrociate sul materasso. «Da quale pulpito.»

«Non intrometterti, Vogel, potresti pentirtene» sibilò la ragazza nella sua direzione, riuscendo a zittirlo in un attimo.

«Non parlargli così.» Lo sguardo di Ulrich si era indurito all'improvviso alle parole di Martha: non era la prima volta che correva in suo soccorso, nonostante Oskar non fosse una persona che avesse bisogno di protezione. Alzò una mano in direzione del dito che gli puntava contro e glielo abbassò.

«Tu spiegami che cosa avevi in mente di fare e io, forse, sarò più gentile con entrambi,» la ragazza incrociò le braccia al petto nel parlare, un gesto che lasciò Oskar con un sopracciglio alzato e più confuso di prima, «ti sembra un buon compromesso?»

Ulrich fece un cenno di assenso, ma dal sorriso sghembo che fece non c'era da aspettarsi nulla di buono. Era lo stesso che aveva quando, per convincere Oskar a lasciare la stanza dopo settimane di autoisolamento, aveva deciso che fosse una buona idea nascondere tutti i suoi progetti del momento fuori in cortile. Inutile dire che non gli erano stati più restituiti, né lui si era impegnato più di tanto per ritrovarli davvero.

«Per me non ci sono problemi,» esordì infatti il biondo, anche lui con le braccia incrociate al petto per imitare la ragazza che era in piedi davanti a lui, «sappi solo che già sai il motivo per cui l'ho fatto».

Martha ridusse gli occhi a due fessure scure. Per un attimo Oskar ebbe la bruttissima sensazione di star guardando un demone: era molto simile a quelli che facevano vedere nei film. Non lo rincuorava quel dettaglio anzi, se possibile, gli dava solo ulteriori motivi per pensare che la cosa migliore da fare sarebbe stata darsela a gambe levate.

«Tu e Keller dovete smetterla di parlare per enigmi, non tutti hanno tempo da perdere per stare dietro ai vostri giochetti.» La voce era ridotta a poco più di un sussurro, rendendola ancora più temibile di quanto sarebbe stata se avesse urlato in preda alla rabbia.

«Non sto parlando per enigmi, Rainer» rispose con tranquillità Ulrich. Il ragazzo rannicchiato sul letto, con la console smontata a pezzi sul materasso, quasi lo invidiava per la compostezza che riusciva a mantenere anche in quei momenti. «Ne stavamo parlando poco tempo fa, pensavo te lo saresti ricordato.»

Beep, beep.
Beep, beep.

Nessuno di loro diede peso al rumore che si era sentito all'improvviso nella stanza, troppo presi dalla conversazione che stavano avendo o, com'era per Oskar, che stava avvenendo davanti ai propri occhi. Se avesse saputo che avrebbe avuto l'occasione di assistere a una discussione del genere, avrebbe fatto in modo di farsi trovare con una busta di popcorn da sgranocchiare nel mentre.

«Sto iniziando a stancarmi, Schneider» minacciò Martha.

«Forse dovresti riposarti allora, Rainer» rispose Ulrich.

È meglio di una partita di tennis, pensò Oskar.

La ragazza spinse il biondo per le spalle, ma quello non si mosse di un millimetro da dove aveva piantato i piedi, complice anche la sua altezza e gli allenamenti a cui erano sottoposti tutti loro da anni. «Smettila di prendermi per il culo!»

«Io non sto facendo nulla, sei tu che sei piombata nella mia stanza per avere risposte che già ti ho dato» disse Ulrich, per poi afferrare al volo le mani di Martha prima che avesse l'occasione di spingerlo di nuovo in direzione della scrivania.

Beep, beep.
Beep, beep.

«Rispondi a quell'affare, idiota!» La rabbia della mora si spostò all'improvviso sull'unica persona nella stanza che non era stata coinvolta nella conversazione.

Oskar, dal canto suo, saltò sul posto dalla sorpresa. Si guardò attorno, come se si aspettasse di veder spuntare qualcun altro dalle pareti bianche impolverate, ma si rese quasi subito conto che Martha si riferiva proprio a lui. Puntò l'indice contro il proprio petto e, con un sopracciglio alzato dalla confusione, chiese: «Ma stai parlando con me?»

«Vedi qualcun altro nella stanza, sfigato?»

«Smettila di prendertela con lui» ordinò perentorio Ulrich. Dalla piega verso il basso che avevano in quel momento le sue labbra era evidente che non fosse proprio felice della situazione che si stava creando pian piano.

Beep, beep.
Beep, beep.

«E tu, Oskar, per l'amor di Dio: rispondi a quel dannato cercapersone!»

Oskar rimase paralizzato nel ritrovarsi all'improvviso oggetto della rabbia di entrambi e, senza distogliere lo sguardo dalle due figure in piedi al centro della stanza, afferrò l'apparecchio dalla tasca posteriore dei pantaloni.

Guardò lo schermo lampeggiare di verde a intervalli regolari: sullo schermo riconobbe il numero del capitano Keller, cosa che gli fece seccare la gola all'improvviso. Ciononostante, con la voce più tranquilla che riuscì a mettere insieme disse: «Oh, ma guarda: è proprio il mio».

Martha e Ulrich lo guardarono come se gli fosse appena cresciuta una seconda testa, ma lui decise che non avrebbe dato peso alla cosa. Si alzò dal letto, in un paio di passi si ritrovò alla porta e, una volta sull'uscio, li salutò. «Mi spiace, ragazzi. Mi sarebbe piaciuto vedervi mentre vi scannate a vicenda, ma che dire... il dovere mi chiama!»

Oskar si chiuse la porta alle spalle con uno scatto e, nello stesso momento, dall'altra parte ripresero le urla di Martha. Sperò di non trovarli ancora lì quando sarebbe tornato dall'ufficio di Keller... sempre che quello che lo attendeva di lì a pochi minuti lo lasciasse in vita fino ad allora.

Oskar non aveva affatto sentito la mancanza di quell'ufficio.

L'aria viziata, dovuta alla scarsa abitudine del capitano a ventilare la stanza, era così pesante da fargli arricciare il naso. Sapeva di fumo, vecchi documenti e polvere da sparo. Il profumatore alla lavanda che gli inservienti si ostinavano a posizionare in cima allo schedario non aiutava; anzi, se possibile, peggiorava la situazione.

Si mosse a disagio sulla sedia nera e imbottita mentre aspettava che Keller ritornasse per spiegargli cosa stesse succedendo. Qualcosa gli diceva che non sarebbe stata una buona notizia, ma il suo grillo parlante interiore gli ricordava che non lo era mai. L'Accademia non regalava nulla di buono a nessuno, a meno che non fosse sicura che quel qualcuno sarebbe morto a breve.

Morti magari, ma mai sconfitti. Il motto continuava a rimbombargli in testa come un gong. Quanto avrebbe desiderato un bottone che mettesse a tacere i propri pensieri.

Si strinse le braccia al petto e, consapevole che non aveva altro da fare se non guardarsi intorno e parlare con se stesso, fece scorrere gli occhi alla ricerca di qualcosa di nuovo da notare. Tuttavia, a parte la mancanza di una pianta grassa sul davanzale della finestra, tutto era al proprio posto; anche la scatola da scarpe in cui erano conservate le tessere di riconoscimento da smaltire o riciclare.

La porta alle sue spalle si aprì all'improvviso e, dopo aver udito il click di chiusura, la schiena di Keller, fasciata nella divisa blu notte, entrò nel suo campo visivo. «Mi scusi per l'attesa, Vogel. Il professor Nikolaev mi ha trattenuto con una delle sue solite fesserie.»

Keller appariva scocciato e già al limite della sopportazione. Per quanto a Oskar non facesse piacere dover conversare con lui in quelle condizioni, tirò un sospiro di sollievo: significava che la conversazione sarebbe durata meno del previsto.

Presto sarebbe potuto uscire di nuovo a respirare aria pulita, doveva solo avere un altro po' di pazienza. Con questo pensiero gli sorrise accondiscendente e rispose: «Non si preoccupi, signore. Non sono qui da molto tempo».

«Buon per lei, allora.» Keller sedette al suo posto dietro la scrivania, con l'aria di chi aveva bisogno di affogare i propri dispiaceri nell'alcool.

Oskar lo osservò mettere in ordine un paio di plichi di documenti, con l'ansia che ognuno di essi potesse riguardare il motivo per cui era stato convocato così all'improvviso, ma puntualmente la cartellina veniva messa da parte.

Fu solo quando arrivò all'ultima che il capitano si fermò. Aveva la copertina nera, notò Oskar, e di nuovo una vocina gli sussurrò all'orecchio che non prometteva nulla di buono. Il grillo parlante, però, quella volta rimase silenzioso.

«Non voglio trattenerla qui a lungo, Vogel, quindi andrò dritto al punto» iniziò Keller, aprendo il fascicolo per rivelare una serie di fogli segretati da innumerevoli linee nere. «A breve sarà assegnato a una nuova missione. Non mi piace parlare dei dettagli prima delle riunioni di aggiornamento, ma volevo chiederle un parere.»

Oskar rimase a fissarlo, confuso da quella richiesta: Andrian Keller che chiedeva considerazioni a qualcuno che non fosse il suo riflesso? Era davvero sveglio o stava sognando?

«Un parere, signore?»

«Sì, Vogel, un parere» confermò il capitano con astio, come se neanche lui fosse davvero convinto di quello che stava per fare. «La stupisce?»

«Devo ammettere di sì, signore.» Oskar non era mai stato bravo a girare intorno alle cose. Ulrich gli aveva detto spesso che, prima o poi, la sua sincerità lo avrebbe fatto uccidere, ma lui non aveva mai fatto nulla per cambiare. Anzi, la sua risposta di solito era: «Spero che lo faccia prima che le tue teorie uccidano te, non so quanto durerei da solo con Leopold».

«La sua sfacciataggine mi conferma che ho fatto bene a chiamare lei e non qualcun altro» rispose Keller, finalmente alzando gli occhi dai fogli e puntandoglieli addosso. Oskar avrebbe preferito che non lo avesse fatto: all'improvviso si sentì fin troppo consapevole del fatto che indossasse la sua felpa arancione preferita invece che la divisa. «A ogni modo, mi auguro che lei sappia che non l'avrei convocato se non si fosse trattato di un caso molto delicato.»

Oskar annuì, prima di spingersi meglio gli occhiali sul naso; stava sudando freddo così tanto che continuavano a scivolargli giù. Keller si assicurò che la sua attenzione fosse del tutto concentrata su di sé prima di continuare.

«Il sovrintendente ha chiesto espressamente di affiancarti gli agenti Schneider e Rainer per questa missione.» Fece una breve pausa per osservare la reazione di Oskar a quella notizia; ma lui, dal canto suo, aveva imparato a gestire l'espressività del suo viso meglio di quanto il capitano stesso pensasse. «Sappiamo entrambi che il suo compagno di stanza ha un certo talento nell'ideare piani e strategie fuori dagli schemi, ma funzionanti. Il sovrintendente pensa che potrebbe fare la differenza e io sono d'accordo... ho già provveduto, però, a esternargli i miei dubbi riguardo la ragazza.»

«È un'ottima agente, signore» fu costretto ad ammettere Oskar. Odiava Martha con tutto il suo cuore, ma non poteva essere messa in dubbio la sua preparazione solo perché a lui non andava a genio. «L'agente Rainer non ha eguali quando si tratta di lavoro sul campo.»

«Deve ammettere però, Vogel, che ha un pessimo carattere» lo punzecchiò Keller.

Aveva capito dove voleva andare a parare, tuttavia Oskar doveva essere sincero con se stesso: se c'era anche solo la remota possibilità di dover prendere un'arma in mano, allora avrebbe volentieri sopportato il carattere di Martha pur di averla dalla sua parte.

«Non è nulla di ingestibile, signore» affermò senza ripensamenti. La sua mente già stava iniziando a prepararsi psicologicamente per i martìri che quella ragazza gli avrebbe fatto nelle settimane a venire.

«Non è di lei che mi preoccupo, Vogel.» Keller chiuse la cartellina, riuscendo quasi a dare l'impressione che avesse letto qualcosa di quello che c'era scritto all'interno, ma sapevano entrambi che le cose non stavano in quel modo.

«Martha Rainer è una mina vagante, adatta a missioni in solitaria. Impegnative, certo, ma di sicuro meno delicate di questa di cui stiamo parlando. Lei e l'agente Schneider avete già lavorato insieme altre volte, non posso essere più tranquillo di così con voi, ma lei...» Il capitano si inumidì le labbra con la lingua, alla ricerca delle parole giuste per dire quello che pensava senza risultare volgare e, di conseguenza, assumendo un atteggiamento sbagliato per il ruolo che aveva. «Lei potrebbe far saltare tutto con una sola frase.»

Oskar lo guardò negli occhi color del ghiaccio e, tra le rughe di espressione e le sopracciglia bionde e folte, per la prima volta ci scorse uno sguardo stanco. Raddrizzò la schiena sulla sedia e con più sicurezza nella voce di quanta ne sentisse davvero disse: «Allora faremo in modo che quella frase non lasci mai le sue labbra, signore».

Keller non rispose subito, ma lo guardò stupito. Forse nemmeno lui si aspettava una risposta del genere, ma ne parve positivamente colpito.

Quando gli tese la mano per congedarlo, però, lo attirò più vicino a sé per dare sfoggio di nuovo del suo sguardo assassino: quella debolezza che Oskar aveva notato era durata poco più di un attimo. «Non me ne faccia pentire, Vogel.»

«Non succederà, signore.»

Oskar gli voltò le spalle appena fatto il saluto e, in poche falcate, aprì la porta che lo avrebbe portato fuori, nel mondo reale. Adrian Keller, però, lo fermò di nuovo all'ultimo secondo. «Se la vedo in giro di nuovo con indosso qualcosa di diverso dalla divisa, le assegno un mese di contenimento.»

La felicità di poter respirare di nuovo aria pulita si trasformò ben presto in ansia per il suo avvenire. Inutile dire che fece una corsa diretta in camera per posare la felpa arancione nell'armadio.

Nel mentre la vocina nella sua testa aveva continuato a ripetergli: Non finirà bene. E il grillo parlante, puntuale come un orologio svizzero, le rispondeva a tono: Quando mai qualcosa qui dentro è finita bene?


Angolo autrice
Buongiorno, giovini!💛

Ditemi che non sono l'unica ad amare Oskar, vi prego, perché penso che sia il punto di vista che amo di più scrivere 🤣

A parte gli scherzi e le risate che mi faccio con lui, sembra che qualcosa stia iniziando a muoversi! Troppo tardi, troppo presto? Non so, spero però in ogni caso che la storia vi stia prendendo! 🥹

Alla prossima settimana, cuori! ✨

eu_phero

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