IX. Ultima arrivata

C'era una fogliolina arancione adagiata sul davanzale esterno della finestra, portata lì dal vento. Louise l'aveva osservata arrivare, volteggiare leggera e ricadere sul marmo, rimanendo immobile tranne che per un leggero dondolio.

Non sapeva neanche da quanto tempo fissava quel piccolo dettaglio, il mento appoggiato sul palmo della mano, mentre le palpebre minacciavano di chiudersi da un momento all'altro.

Avrebbe dovuto essere in biblioteca per studiare e riorganizzare gli appunti di Psicologia Applicata presi quella mattina, ma qualsiasi cosa sembrava più attraente di quello. Sospirò involontariamente e, quasi per ironia, la foglia al di là del vetro volò via, proprio come avrebbe voluto fare lei.

Desiderava trovare il suo posto nel mondo, un posto che non fosse lì, seduta a quella scrivania, sola e consapevole degli sguardi ironici di almeno una ventina di ragazzi. Non erano passati che pochi giorni dalla sua prima lezione, eppure la situazione non era cambiata di una virgola.

Si mosse a disagio sulla sedia, sentendo il tessuto della gonna marrone scuro tendersi sulle cosce. Forse avrebbe potuto chiudere gli occhi per una decina di minuti... giusto il tempo di recuperare un po' del sonno perso nelle ultime notti a causa degli incubi ricorrenti.

Si svegliava spesso nel buio, con la fronte imperlata di sudore e il respiro affannato, come se avesse corso per chilometri. In quei momenti, Martha la guardava dall'altra parte della stanza, immobile sotto le coperte, per poi tornare a fissare il computer appena si accorgeva di essere stata notata.

Non si erano rivolte la parola da dopo la lezione con Nikolaev, ma a Louise non importava. La solitudine non la spaventava; se il suo destino era l'isolamento, lo avrebbe accettato. Quello che la tormentava era la debolezza che sentiva nelle cosce quando camminava, nelle braccia quando si muoveva, nella testa quando pensava.

Avrebbe solo voluto dormire.

Una pila di libri e quaderni fu scaraventata senza delicatezza sulla scrivania di fronte a lei, facendola quasi saltare sulla sedia. In piedi, un ragazzo con ricci capelli corvini la fissava con un'aria incerta, come se stesse per scusarsi. «Disturbo?»

Louise scosse la testa dopo un attimo di esitazione, e lui si sedette, facendo strusciare la sedia sul pavimento. Un paio di ragazzi li guardarono male, ma lei li ignorò, come aveva fatto fino a quel momento.

Rivolse lo sguardo ai propri appunti, con la penna già stretta tra le dita, ma non riusciva a ricordare cosa voleva aggiungere alla fine della frase. I suoi pensieri erano tutti rivolti al ragazzo che ora la osservava curioso con i suoi occhi color nocciola. «Ti ricordi di me?»

Louise annuì con convinzione, poi gli rivolse un sorriso tirato. «Sei Oskar.»

«Bingo!» Sorrise raggiante, visibilmente soddisfatto che Louise ricordasse il loro primo incontro. Lei strinse la presa sulla penna. «Ho pensato che ti avrebbe fatto piacere avere un po' di compagnia, così—»

«Che cosa stai facendo, idiota?» Louise sentì la rabbia ribollire nelle vene al suono di quella voce, ma non disse nulla, limitandosi a girare la testa dove si era fermata Martha.

«Ho trovato un posto dove studiare, mi sembra ovvio» rispose acido Oskar, senza nemmeno alzare lo sguardo dalla cartellina che aveva aperto e dai documenti che aveva iniziato a sfogliare.

«Noi non...» La mora strinse i pugni dal nervoso, per poi scambiare uno sguardo di fuoco con la ragazzina che aveva ancora tutta l'attenzione rivolta a lei. Riportò l'attenzione su Oskar prima di sillabare: «Noi non possiamo studiare qui, Vogel».

«Perché no? Lo sta facendo anche Louise.» Il tono ovvio con cui si era rivolto a Martha fece sorridere la più piccola, felice che qualcuno per una volta prendesse le sue difese. Il ragazzo inarcò un sopracciglio nella sua direzione. «Vero?»

«Verissimo» rispose Louise, sostenendo con fermezza la sua posizione. Oskar sorrise, rincuorato dal supporto, ma Martha non sembrava affatto convinta.

«Ti giuro, Vogel, io—»

«Che sta succedendo qui?» I tre si voltarono in contemporanea verso Ulrich, che si era avvicinato con un computer sotto un braccio e una cartellina sotto l'altro.

«Il tuo amico sfigato vuole studiare con lei» disse la mora con le labbra inarcate verso il basso, in un'evidente espressione di disgusto. Louise abbassò gli occhi sulle proprie mani, a disagio nel vedere qualcuno così tanto infelice di vederla... non che lei fosse contenta della presenza di Martha lì, ma non era abituata a non andare d'accordo con le persone.

Aveva già ripreso a scrivere quando la voce fredda di Ulrich risuonò tra di loro. «Non possiamo stare qui, Oskar, lo sai.»

«Ogni tanto, provate a dire la verità» sbottò il moro, mentre le sue scarpe sfioravano quelle di Louise al di sotto della scrivania. «Dite che non volete farlo, non che non possiamo.»

«Oskar—»

«Possiamo studiare qui, Ulrich,» lo interruppe Oskar. Louise avvertiva l'irritazione di Martha anche solo dal modo in cui batteva nervosamente la punta della polacchina a terra. Tuttavia, riportò l'attenzione su Ulrich, osservando con curiosità il ragazzo dai capelli biondi spettinati e dalla mascella ben definita. Oskar ripeté: «Lo possiamo fare, Ul».

Le sue spalle si rilassarono alla fine, proprio nel momento in cui Ulrich trasse un sospiro profondo. Louise sentì il cuore saltarle un battito quando si rese conto che, forse, quel giorno sarebbe stata un po' meno sola.

«Va bene... va bene, studieremo qui,» acconsentì Ulrich, sedendosi accanto all'amico. Martha, invece, rimase in piedi, incredula, con lo sguardo che passava da un viso all'altro.

Tuttavia non disse nulla. Possibile che si fosse resa conto che avesse esagerato? Louise non ne era così convinta anzi, a giudicare dal modo rigido in cui sedeva, era ancora legata alle proprie convinzioni.

«Che stai studiando?» Louise si voltò verso Oskar, trovandolo intento a curiosare sui suoi appunti. Abbassò lo sguardo sulla pagina per metà bianca, mordendosi l'interno della guancia prima di rispondere. «Psicologia Applicata.»

«Non ti invidio» commentò Oskar, aggiustando gli occhiali sul naso e spostando un ciuffo ribelle dai suoi occhi. «È la materia più inutile che devono studiare i novizi

«Non chiamarli così, fai sembrare l'Accademia una setta,» intervenne Ulrich. Il modo in cui svuotava meticolosamente la sua borsa sulla scrivania, posizionando ogni oggetto con una precisione maniacale, fece venire la pelle d'oca a Louise. C'era qualcosa di inquietante in quell'ossessione per l'ordine.

«Non lo è?»

«Noi non facciamo sacrifici umani, Vogel.» Martha aveva appena avviato il proprio computer, facendo attenzione a non sfiorare il gomito di Louise con il suo. «Anche se sacrificherei volentieri te».

«Simpatica,» sbottò Oskar, ma lasciò cadere il discorso, concentrandosi nuovamente su ciò che stava scrivendo Louise. «Hai una bellissima scrittura, comunque. Se i miei quaderni fossero così ordinati, studierei anche io più volentieri.»

«Tu non hai quaderni, Oskar.»

«Potrei averne però!»

Louise soppresse un sorriso divertito a quell'intervento di Ulrich e allo scambio di battute che aveva avuto con l'amico, ma lui sembrò notarla comunque; per un attimo, ebbe la sensazione che fosse soddisfatto di essere riuscito a creare quell'attimo di leggerezza.

I tre ragazzi si concentrarono sui loro documenti, le dita che volavano sulle tastiere. Louise abbassò la testa sui suoi appunti, facendo oscillare la penna mentre cercava di rileggere quanto aveva scritto.

"La prima e più evidente fonte di stress in operazioni critiche è la minaccia diretta alla vita dell'operatore. Durante un confronto armato, l'operatore deve affrontare il costante pericolo di essere ferito o ucciso. Questo tipo di stress è acuto e immediato, richiedendo una risposta istantanea e spesso istintiva. Esempi di minacce possono essere considerati i confronti armati, le esplosioni e i pericoli ambientali, l'essere presi come ostaggi o la tortura fisica e psicologica."

Louise sospirò, incapace di concentrarsi. Non era solo la noia a bloccarla, ma anche quel vuoto che la attanagliava ogni volta che rifletteva su quanto fosse anomala quella scuola.

Che tipo di istituto costringeva i propri studenti a prepararsi per situazioni così estreme? In quale parte del mondo dovevano preoccuparsi della gestione dello stress di fronte a minacce di morte dirette?

Distolse lo sguardo dai suoi appunti e lo posò su Oskar. Lui era immerso nella scrittura, la pagina bianca riflessa nei suoi occhiali. Quando le sue dita si fermarono, il ragazzo alzò gli occhi su di lei. Il sopracciglio inarcato sembrava chiedere se avesse bisogno di qualcosa, ma Louise esitò, incerta se fosse il caso di porre la sua domanda davanti a Ulrich e Martha.

Oskar le sembrava una persona affidabile, ma non sapeva cosa pensare degli altri due.

Optò, allora, per una domanda che comunque le stava ronzando in testa da quando avevano preso posto alla sua scrivania vicino alla finestra. «Come mai voi avete i computer?»

Oskar e Ulrich si bloccarono all'istante; Martha, invece, continuò a digitare imperterrita. Louise ignorò la reazione della ragazza e chiarì: «Il capitano, durante il giro, ha detto che non sono permessi telefoni, tablet o qualsiasi dispositivo che possa metterci in contatto con l'esterno.»

Ulrich annuì, ma rimase silenzioso per un attimo, lo sguardo perso nel vuoto. Louise si agitò sulla sedia; gli occhi verdi di lui sembravano guardare un punto poco distante da lei.

«Questi non sono nostri, ci sono stati affidati dal sovrintendente dopo essere diventati agenti operativi.» Il biondo abbassò un po' lo schermo del computer e quello andò in blocco in automatico. Poggiò poi una guancia sul pugno chiuso e continuò a guardarla mentre parlava. «Non possiamo fare nulla senza che loro lo sappiano. Inoltre, a meno che non sia necessario per la missione, sono bloccati tutti i possibili canali di comunicazione: social network, e-mail, software di messaggistica... se provassimo ad avviarne uno non solo non funzionerebbe, ma ci farebbe guadagnare almeno una settimana di contenimento.»

Il cuore di Louise si appesantiva sempre di più: erano intrappolati, isolati dal mondo e controllati da persone che nemmeno conoscevano. Che posto era mai quello? Ma soprattutto, come poteva essere legale?

Si leccò le labbra secche prima di rispondere. «Io... io non capisco che posto sia questo.»

«Questa è l'Accademia delle Nuove Generazioni» disse Oskar, grattandosi una guancia con un gesto nervoso. «Keller non te l'ha spiegato quando sei arrivata?»

«Sì, ma non capisco in quale scuola si studino argomenti come...» Louise abbassò lo sguardo sul quaderno, leggendo ad alta voce mentre seguiva le parole con un dito. «"Gestione dello stress in situazioni ad alto rischio". La gente normale studia matematica, scienze, letteratura tedesca... qui sembra che vogliano—»

«Trasformarci in spie?» Ulrich la interruppe. Louise rimase a bocca aperta per un momento, ma cercò di ignorare la risatina di Martha. Annuì, sentendosi subito sciocca. «È quello che stanno facendo.»

«Ma...» Louise intrecciò le dita, appoggiando i gomiti sulla scrivania mentre cercava di contenere i pensieri che le si affollavano nella mente. «Ma è legale?»

«È dell'esercito che stiamo parlando, ragazzina,» intervenne Martha all'improvviso. Aveva gli occhi puntati su Louise, ma questa volta non c'era traccia del disprezzo che aveva mostrato in precedenza; sembrava piuttosto sconfortata. «Decidono loro cos'è legale e cosa no.»

«E non si può andare via?»Oskar lasciò andare una risata amara, e il cuore di Louise si strinse ancora di più. «Pensi che se fosse possibile, non saremmo già andati via?»

«Ma deve esserci un modo, qualcuno deve pur aver provato a—»

Martha la interruppe bruscamente, chiudendo il computer con un colpo secco. Oskar fece una smorfia di dolore, quasi come se il gesto di Martha avesse colpito lui. «Nessuno di quelli che ha provato a fuggire ha avuto una bella vita dopo. Non so cosa tu stia pensando di fare, ma qualunque cosa sia, non è una buona idea.»

«Per quanto mi dispiaccia ammetterlo,» aggiunse Ulrich, senza smettere di continuare ad allineare la cancelleria sulla scrivania come un maniaco, un dettaglio che iniziava a innervosire Louise, «Martha ha ragione. Anche se riuscissi a superare il centro abitato più vicino, ti ritroverebbero dopo poche ore... e poi dove avresti intenzione di andare? Non abbiamo più nessuno nel mondo esterno».

Alla ragazza mancò il respiro quando registrò il significato di quelle parole: non aveva detto nulla, quindi come potevano loro sapere quello che era successo a suo padre? Quello che era successo a sua madre? Quello che era successo a lei?

Oskar si schiarì la voce, forse intuendo dalla sua espressione ciò che le stava passando per la testa, e disse in quello che fu poco più di un sussurro: «So che è indelicato far uscire il discorso ora e così, Louise, ma qui siamo tutti sulla stessa barca». Di nuovo, portò una mano a grattarsi una guancia dal nervosismo, mentre il cuore della bionda accelerava. «Tutti noi ragazzi dell'Accademia abbiamo una sola cosa in comune: non abbiamo più nessuna famiglia, non apparteniamo più a nessun luogo che non sia questo.»

Li osservò uno a uno, cercando di capire se le stessero giocando un brutto scherzo, ma sembrava tutti terribilmente seri.

Oskar continuava a strofinarsi una guancia, in evidente disagio, come se desiderasse essere ovunque tranne che lì. Evitava di incrociare il suo sguardo e in quelle poche volte che i loro occhi si incontrarono, vi lesse delle scuse mute.

Ulrich era un blocco di ghiaccio. Faceva scattare a ritmo la penna che aveva in mano, un'altra cosa che a Louise faceva saltare i nervi, ma in quel momento avrebbe dato qualsiasi cosa per poter sfogare quel senso di oppressione che aveva iniziato ad attanagliarla... anche afferrare quella biro dalle sue mani e farla scattare lei al posto suo.

C'era Martha, che scriveva la stessa frase sul suo computer, la cancellava e la riscriveva, in continuazione. Di tanto in tanto, lanciava rapide occhiate di lato, osservandola con discrezione.

E infine c'era lei. 

Alle parole di Ulrich e Oskar le era precipitato il mondo addosso all'improvviso, di nuovo. Di solito le succedeva di notte: chiudeva gli occhi e davanti a lei c'erano solo fiamme, sangue, cenere e morte; ma in quel momento, sotto lo sguardo delle uniche persone con cui era riuscita a sorridere dopo mesi, si sentì sopraffatta dai ricordi.

Non aveva mai pensato, da quando era arrivata lì, che tutti quelli che la circondavano potessero essere spezzati tanto quanto lo era lei, o magari di più. Afferrò la seduta della sedia con entrambe le mani e, contando mentalmente fino a dieci, provò a calmare il respiro. 

Boccheggiò un altro paio di volte nel tentativo di trovare le parole giuste per dire che non voleva stare lì, che voleva andare via, lontano da qualsiasi cosa potesse farle ancora del male; ma un rumore di passi li interruppe.

Una ragazzina dalla chioma scura e ben tirata in una stretta coda alta entrò nella sua visuale. Non aveva più la guancia macchiata di dentifricio, ma i suoi occhi la perforavano da parte a parte. Non sembrava felice di essere lì, non più di quanto sembravano Oskar, Martha e Ulrich di vederla.

«Interrompo qualcosa?» Anja incrociò le braccia al petto e lì guardò tutti dall'alto, come se fossero tutti insetti che poteva schiacciare da un momento all'altro.

«A dire la verità, sì» rispose Martha, per poi rivolgerle un sorriso tirato. «Stavamo giusto dicendo che non ci mancava per niente la tua faccia da culo, Scholz.»

«Simpatica come sempre.» La ragazzina piegò le labbra in un'espressione di disgusto, ma non sembrò accusare il colpo, quasi come se fosse abituata. «In ogni caso non stavo cercando nessuno di voi,» fece un cenno in direzione di Louise con la testa, «Nikolaev mi ha mandato a prendere lei».

«Me?» La bionda inarcò un sopracciglio: ci mancava solo quella.

«È l'ora del tuo primo allenamento, ultima arrivata» disse con fare ovvio, ma non aspettò una risposta. Voltò le spalle a tutti e si avviò in direzione dell'uscita, i tacchetti delle sue polacchine ticchettavano a terra.

«Dovresti andare» intervenne Ulrich, facendole notare che era rimasta seduta a guardare il vuoto. Lei gli lanciò un'occhiata prima di annuire e iniziare a raccogliere tutte le sue cose. Si alzò in piedi con lo zaino in spalla e, appena riuscì a districarsi tra le sedie delle due scrivanie vicine, si voltò per un attimo a guardarli. «Grazie.»

Oskar la guardò confuso, prima di mormorare: «Per cosa?»

«Per le risposte» disse Louise e sorrise a tutti e tre, anche a Martha, per poi abbassare gli occhi. «Dite che dovrei preoccuparmi?»

«Ci ringrazi per le risposte, ragazzina, ma poi fai subito un'altra domanda.» La prese in giro la mora, ridacchiando divertita prima di stringerle un braccio con la mano. «Tieni solo i nervi saldi e fa' attenzione... queste sono le regole fondamentali per sopravvivere qui dentro. Intesi?»

Louise annuì a quelle parole. I capelli le scesero sul viso, ma non nascosero comunque il piccolo sorriso. «Intesi.»

La stanza dove Anja la condusse aveva le pareti piene di specchi, fu la prima cosa che notò quando entrarono e furono salutate dai loro riflessi. Erano sole, ma Louise nel guardarsi intorno notò una videocamera, di quelle che registravano a trecentosessanta gradi, istallata al centro del soffitto intonacato di bianco.

I loro piedi nudi si appiccicavano una volta sì e l'altra pure sul tatami. Guardò la corvina avanzare con sicurezza su quella specie di pavimento morbido; si scrocchiava le dita e allungava le braccia verso l'alto, mentre lei non riusciva a fare altro che guardarsi attorno stranita. 

Non aveva idea di che cosa ci facesse lì, la più piccola si era rifiutata di parlare sia mentre camminavano per i corridoi, sia mentre passavano dalle divise color tortora dell'Accademia a un paio di tute nere, larghe e comode. «Sono perfette per gli allenamenti» si era limitata a dirle Anja. 

Louise non riusciva a smettere di ripensare a ciò che Martha le aveva detto pochi giorni prima sui combattimenti armati e corpo a corpo: era fondamentale sapersi difendere, così come essere in grado di contrattaccare. Tuttavia, mentre si posizionava di fronte ad Anja, deglutendo con difficoltà, non riusciva a ricordare un solo momento in cui fosse riuscita a far del male a qualcuno.

«Allarga le gambe e metti i piedi ben saldi a terra, ultima arrivata» ordinò Anja, prendendo anche lei posizione sul tatami. «Non vorrei che ti facessi male prima ancora di iniziare.» La guardava con sguardo tagliente, senza alcuna traccia di empatia; se in un primo momento Louise aveva sperato che non ci sarebbe andata giù pesante con lei, si sbagliava di grosso. «In guardia!»

La più grande alzò i pugni avanti al petto, imitando una posizione che aveva visto più volte fare nei film, e sperò che qualsiasi cosa avesse intenzione di fare l'altra quello sarebbe bastato per trattenerla. 

La corvina alzò un sopracciglio, ma non disse nulla. Con rapidità e senza preavviso, colpì con il lato esterno del piede la gamba di Louise, che barcollò sorpresa, ma non perse l'equilibrio. Aprì gli occhi di scatto, dopo averli chiusi in vista dell'attacco, e si guardò attorno stupita del fatto che fosse ancora in piedi.

Anja, però, non si fermò: sfruttò quel momento di distrazione per afferrare il braccio della bionda e torcerlo con forza, facendola inginocchiare a terra. «Presta attenzione, ultima arrivata» disse la corvina, per poi lasciarla andare bruscamente. Louise si rialzò, il viso arrossato per l'imbarazzo più che per il dolore. «Non basta imitare. Devi capire il perché di ogni mossa, o sarai sempre un passo indietro agli altri.»

Si massaggiò il braccio e soppresse un mugolio di dolore quando lo piegò, ma annuì comunque ad Anja. «Il mio nome è Louise, comunque» rispose a denti stretti. Non era tanto il fastidio causato da quell'appellativo, ma più una rabbia repressa che sembrava iniziare a ribollirgli nelle vene all'improvviso.

«Lo so,» rispose Anja, senza aggiungere altro. Le porse una mano per aiutarla a rialzarsi e, fatti un paio di passi indietro, riprese: «Riproviamo, ultima arrivata. Metti i pugni davanti al viso per proteggerti meglio».

Louise obbedì, correggendo la postura sotto lo sguardo critico di Anja. Strinse i pugni così forte da sentire le unghie penetrargli nella pelle. Il cuore iniziò ad accelerare e la voglia di rompere qualcosa, qualsiasi cosa pur di sfogare quell'emozione che le stava facendo vedere tutto rosso, che non si accorse dell'arrivo di un altro attacco.

Riuscì a sollevare il braccio per parare all'ultimo secondo un pugno diretto al viso, ma la forza del colpo la fece indietreggiare di un passo.

«Rilassati,» disse la corvina, senza nemmeno un accenno di affanno, mentre Louise faticava a riprendere fiato, «se continui a essere così tesa sarai sconfitta in un attimo in missione. La forza non è tutto, ultima arrivata, devi avere autocontrollo».

Autocontrollo. Louise in quel momento aveva tutto tranne che autocontrollo. Le fischiavano le orecchie così tanto che a malapena capì quello che le era stato appena detto. Davanti a lei vedeva solo il volto dell'infermiera che le aveva impedito di andare a riabbracciare i suoi genitori. Partì rapida verso Anja, con l'intenzione di sferrarle un pugno sul naso, ma la ragazza la afferrò per il polso e la fece cadere di nuovo a terra.

Quando alzò lo sguardo, però, non vide lei. Non vide nemmeno l'infermiera. C'era la faccia della signora Fischer che la derideva, le diceva che la voleva fuori dai piedi perché non era una delle sue ragazze. Si alzò in piedi con rabbia e, di nuovo, corse nella direzione della mora, preparando un calcio che fu schivato senza alcuna difficoltà.

Il viso della ragazzina mutò di nuovo, quella volta c'era un viso deforme, irriconoscibile da conoscere, ma lei sapeva in qualche modo che apparteneva all'uomo che l'aveva quasi uccisa. Il cuore saltò un battito e quasi sentì le mani di quel viscido stringerle la gola, fino a quando non avrebbe più respirata e si sarebbe unita ai suoi genitori... ma lei non lo avrebbe permesso, no. 

Nuovo volto, nuova corsa. Quella volta, però, fece un salto che Anja evidentemente non aveva preso in considerazione, perché finirono entrambe a terra, la più piccola schiacciata sotto il peso della maggiore. Le mani di Louise cercarono d'istinto la gola dell'uomo che aveva provato a ucciderla, ma un pugno le arrivò al fianco e le fece mancare il respiro.

Mugugnò dal dolore mentre veniva spinta di lato, finendo rannicchiata sul tatami. Aveva le lacrime agli occhi, le guance arrossate e il respiro affannato.

«Cosa diavolo pensavi di fare?!» L'urlo di Anja le arrivò alle orecchie più violento di quanto si aspettasse, costringendola a serrare gli occhi dal fastidio. «Ti avevo detto: autocontrollo, Baumann. Autocontrollo!»

«Scusami» farfugliò lei, mentre si girava con la schiena sul tatami, il dolore al fianco non voleva sentirne di andare via. «Scusami, Anja... non so cosa mi sia successo.»

«Oh, lo so io cosa ti è successo.» Il sibilo della ragazzina fu subito seguito dal tonfo dei suoi piedi sul pavimento. Le si accovacciò a fianco, regalandole quello sguardo che tanto l'aveva congelata sul posto quando era andata a cercarla in biblioteca. «Non imparerai mai a difenderti, tantomeno ad attaccare se ti vedrai sempre come vittima della situazione. Reagisci, ma fallo con lucidità.»

Il suo corpo gridava per una pausa, aveva bisogno di fermarsi, di andare a mettere qualcosa sul livido che aveva di sicuro iniziato a formarsi, ma si morse una guancia e si costrinse a rialzarsi. Quella ragazzina piena di sé aveva ragione: aveva bisogno di reagire. 

Anja la studiò per un attimo quando finalmente fu di nuovo in piedi, poi annuì, come se avesse visto qualcosa di appena sufficiente per continuare. «Colpiscimi.» La ragazzina si mise in posizione difensiva – Come se ne avesse bisogno, pensò Louise. «Colpiscimi!»

La rabbia c'era ancora, era lì insieme alla stanchezza, insieme alla frustrazione, insieme ai ricordi e alla solitudine. Le ribolliva sottopelle, ma meno di prima. Fece un respiro profondo, sopprimendo un verso di dolore, con una sola consapevolezza: lei non era debole, non come pensava Anja.

Inoltre, imparava in fretta e glielo avrebbe dimostrato.

Respirò a fondo e avanzò, lanciando un pugno diretto al torso della corvina, ma questa lo bloccò ancora e girò la presa per spingere Louise di nuovo fuori equilibrio. «Più veloce,» scattò Anja, «e non tirare indietro il colpo, mai».

La bionda digrignò i denti e riprovò, questa volta con un pugno alto seguito da un calcio basso. Anja schivò il pugno, ma il calcio la sfiorò, facendole sollevare leggermente un piede per mantenere l'equilibrio.

Era la prima volta che Louise riusciva a sfiorarla, e sebbene fosse un piccolo successo, lei non glielo lasciò passare: con un movimento fluido, Anja afferrò la caviglia della bionda e la fece cadere a terra. «Mai abbassare la guardia, neanche quando pensi di aver vinto, ultima arrivata».

«Il mio nome,» rispose la più grande, digrignando i denti dal dolore, «è Louise». Non si sarebbe lasciata piegare, non quel giorno, non da lei, non dall'Accademia. Poteva essere un soprannome, un allenamento, una missione o una punizione... lei non si sarebbe piegata, mai.

«Dici?» Ridacchiò divertita la più piccola mentre le girava attorno, incuriosita. «Dovrai guadagnartelo il tuo nome, ultima arrivata

Louise si lasciò andare a un'imprecazione. Alzò gli occhi su di lei e, rimanendo inginocchiata a terra, chiese: «Posso almeno sapere a che serve tutto questo?»

Anja inarcò le sopracciglia in un'espressione a metà tra l'essere contrariata e divertita. «Non l'hai ancora capito?»

«Capito cosa?»

«Che le persone deboli non sopravvivono qui.» Anja si avvicinò a grandi passi, inginocchiandosi davanti a lei. I loro occhi si incontrarono, e Louise fu colpita dal color ambra delle sue iridi, simili a pietre preziose. «E tu, ultima arrivata, sei la più debole tra noi... ti mangeranno viva, ma non devi permetterglielo.»

«E chi ti dice che glielo permetterò?» Il tono di sfida nella voce di Louise era ben riconoscibile, ma Anja non sembrò dargli molto peso. Scrollò le spalle, quasi divertita e disse: «La tua mancanza di autocontrollo, ultima arrivata».

La bionda strinse i pugni e digrignò i denti: quella ragazzina presuntuosa non le piaceva per niente e le piacque ancor meno quando, dopo aver fatto una piroetta su se stessa, le sorrise; a guardarla sembrava quasi che non avesse fatto alcuno sforzo. «Che dici, riprendiamo da dove eravamo rimaste o vuoi rimanere lì tutto il giorno?»

Angolo autrice

Ciao ragazzi! ✨

Non vi nego che avrei preferito pubblicare un altro giorno, perché è un periodo un po' così... però non voglio rimandare molto l'uscita di questi ultimi due capitoli, perché comunque ho intenzione di prendermi una piccola pausa tra la fine del primo atto e l'uscita del secondo 🥹

Finalmente c'è un po' di azione, diciamo... e soprattutto Louise inizia a fare domande sull'Accademia! C'è qualche risposta: non si sa tutto, ma è pur sempre qualcosa. 👀

Che ne pensate del personaggio di Anja? Vi è piaciuto il capitolo? Cosa vi aspettate che succederà? 💛

A mercoledì prossimo, cuori! 💫

eu_phero

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