III. Stai giocando col fuoco

Martha aveva sempre pensato che fare parte dell'Accademia portasse con sé due grandi vantaggi. Prima di tutto, quando camminava per strada tutti la ignoravano, quasi come se fosse una persona qualunque.

Ovviamente ogni singolo abitante di quel piccolo villaggio sapeva bene che i ragazzi che abitavano nel grande edificio di mattoni rossi in periferia non erano persone tanto normali. Trovava quindi soddisfacente sapere che quella tendenza a fare finta che loro non esistessero fosse dettata dalla paura. Era questo il secondo grande vantaggio: se tutti la evitavano, i problemi diminuivano.

Il fiume scorreva placido nel suo letto mentre lei cercava di stare dietro ai suoi stessi pensieri, e non era facile.

Avrebbe tanto voluto poter essere come i sassolini che si lasciavano trasportare da quello specchio d'acqua che attraversava la città, tagliandola in due. Non desiderava altro che lasciarsi andare allo scorrere degli eventi, senza dover preoccuparsi di dove sarebbe finita un giorno.

Magari da lì a pochi anni qualcuno avrebbe avverato quel suo pazzo desiderio... chi poteva dirlo? Un ragazzino sarebbe uscito per andare a lanciare sassi sulla superficie dell'acqua insieme ai suoi amici e, con gli occhi pieni di orrore, avrebbe visto il suo corpo senza vita scivolare pian piano in direzione del mare.

Non le sarebbe dispiaciuto, a dirla tutta. Aveva sempre preferito il mare alle montagne: c'erano più movimento, più rumore, più modi per poter divertirsi e passare il tempo.

Scalciò una lattina vuota, abbandonata lì sul marciapiede da chissà quanto. Le punte dei suoi anfibi neri si alternavano nel colpirla da così tanto che, con ogni probabilità, se la portava dietro già da qualche decina di metri.

Gli occhi di Martha vagarono assenti sulle poche persone che, come lei, quella mattina stavano camminando sulla strada che costeggiava il fiume. Erano tutte facce già conosciute, nessuna delle quali avrebbe detto nulla se avesse deciso di accendersi una sigaretta, e così fece: nel giro di pochi minuti il fumo aveva iniziato a uscire impudente dalle labbra e il suo cuore a battere più lentamente.

Tanto presto morirò anch'io, pensò tra un tiro e l'altro.

Il cielo quella mattina era di una bella tonalità di azzurro e un paio di nuvole bianche facevano da cornice a un paesaggio montano che a tutti avrebbe fatto spalancare la bocca per la sua bellezza, ma che a lei stava stretto. Non come gli skinny jeans che tanto avrebbe voluto poter indossare tutti i giorni, ma come una gabbia starebbe stretta a un pappagallo tropicale abituato a volare libero tra un albero di cocco e un banano.

Per questo i suoi occhi non lasciavano le pietre larghe del marciapiede che stava percorrendo: quello non era il suo posto, e non lo sarebbe mai stato.

Non schiacciare le linee bianche, pensò con un leggero sorriso sulle labbra. Non le interessava come doveva apparire dall'esterno: una strana ragazza dai capelli neri, con uno zaino in spalla più grande di lei, che alla veneranda età di quasi diciotto anni camminava ancora giocando a una delle sue varianti preferite di "the floor is lava".

Non c'era nessuno lì che sapeva chi fosse, né avrebbe mai potuto scoprirlo. Tanto valeva divertirsi e trasformare quell'uscita di lavoro in una vera e propria pausa dalla sua prigione personale.

I pacchetti di sigarette le riempivano così tanto lo zaino che sembrava minacciare di traboccare da un momento all'altro. Non era difficile recuperarli, bastava eludere il circuito di sorveglianza del magazzino di un piccolo bar del paese e il gioco era fatto.

Non aveva nemmeno la preoccupazione di essere fermata dalla polizia, non quando quelli che si occupavano della sicurezza erano le persone che lavoravano in Accademia.

Doveva fare attenzione solo una volta arrivata all'entrata nascosta sul retro, ma superato quel piccolo ostacolo e raggiunta la tranquillità della sua stanza singola, l'unica cosa a cui avrebbe pensato sarebbe stata la quantità di soldi che poteva guadagnare dispensando morte tascabile a ragazzini anche di cinque anni più piccoli di lei.

Avrebbe dovuto sentirsi una persona spregevole, ma annegare tra le lacrime di coccodrillo non era tra i suoi piani: c'erano modi molto più dignitosi di morire.

Scalciò un'altra volta la lattina di Red Bull che continuava a portarsi dietro da un po', senza riuscire, però, a evitare che questa cadesse dritta dritta nel fiume alla sua destra. La guardò affondare leggermente e poi tornare a galla.

Quel piccolo cilindro di alluminio si fece ben presto trascinare dalla corrente e l'unico pensiero di Martha al riguardo fu: Se Greta Thunberg mi vedesse in questo momento mi imbottirebbe dei suoi "bla bla". Per fortuna, almeno per come la vedeva lei, una lattina in più o in meno rispetto ai quintali di spazzatura che già occupavano gli oceani non avrebbe poi cambiato molto.

Ritornò presto sui propri passi, così da riprendere la strada che la separava dall'Accademia.

Un anziano signore sembrò guardarla con un misto di rimprovero e contrarietà per quel che aveva fatto, ma quando incontrò gli occhi scuri di Martha abbassò lo sguardo a terra. Le passò accanto poco dopo senza proferire parola e lei non riuscì a trattenere un ghigno divertito: frequentare quel posto dimenticato da Dio aveva senz'ombra di dubbio i suoi vantaggi e lei era contenta di non sprecarne nemmeno uno.

Era ancora lontana e il fumo le offuscava la vista, ma non abbastanza da nasconderle la presenza di qualcuno sotto il suo acero. Qualcosa nello stomaco non apprezzava per niente quella scoperta: si rivoltava avanti e indietro; le faceva venire voglia di correre lì con i pugni alzati e rompere il setto nasale a chiunque avesse deciso di occupare il suo posto quella mattina.

C'erano diversi motivi per cui quell'albero le stava a cuore. Il primo era la vista sull'Accademia in lontananza; copriva gran parte della città, tuttavia dava la possibilità di osservare tutta la campagna e le montagne che circondavano l'edificio in mattoni rossi che da anni era la sua casa.

Le altre motivazioni, invece, non le avrebbe ammesse volentieri ad alta voce.

Era stata cresciuta con la convinzione che mostrarsi deboli avrebbe solo dato una ragione in più ai propri avversari di affondarla... e lei non moriva dalla voglia di fare la fine del Titanic. Desiderava per se stessa una chiusura più degna.

Ciononostante, non poteva non apprezzare l'odore di erba che riusciva a sentire dal posto sotto l'acero, quando la rugiada ancora doveva andare via. In quei momenti era come sentire la natura svegliarsi, insieme a tutti quegli animali che zampettavano al di fuori delle proprie tane per dare inizio alla nuova giornata che gli si stava presentando.

Quell'acero era l'unico a tenerle compagnia sempre. Non le chiedeva nulla in cambio e mai lo avrebbe fatto, così come non si aspettava di ricevere qualcosa in più di un po' di fumo passivo.

Era lì per Martha e basta.

Quindi com'era possibile che potesse dare rifugio a qualcun altro che non fosse lei? Questa domanda le ronzava in testa in loop mentre si arrampicava sulla piccola collinetta su cui si innalzava il tronco.

Ai piedi dell'albero trovò, disteso, un ragazzo all'incirca della sua età. I capelli biondi erano spettinati e gli ricadevano leggeri sulla fronte e sulle braccia che teneva piegate dietro la testa. Se già questo non le aveva dato abbastanza indizi su chi fosse il ladro di posti, bastò una veloce occhiata al modo in cui la camicia non era infilata bene nei pantaloni e alla cravatta poggiata sulle spalle, slacciata, a farle riconoscere Ulrich Schneider: in tutta l'Accademia era l'unico che aveva il coraggio di andare in giro conciato in quel modo.

Non si prese nemmeno la briga di degnarla di uno sguardo quando arrivò al suo fianco, nonostante fosse consapevole che non poteva non averla sentita: aveva fatto in modo di risultare il più rumorosa possibile, schiacciando quante più foglie secche poteva.

Solo quando Martha sporse la propria testa sopra di lui, Ulrich aprì gli occhi. Lei aveva sempre pensato che un azzurro così chiaro fosse innaturale: sembravano quasi grigi. Due iridi in tempesta, in totale disaccordo con il carattere del loro proprietario.

Il biondo le rivolse un ghigno divertito e alzò un sopracciglio in una domanda muta che lei aveva tutta l'intenzione di evitare. Per quanto il sollievo di vedere una faccia conosciuta piuttosto che una qualsiasi altra persona l'avesse fatta sentire meglio, non era comunque così stupida da mostrarsi debole e infantile davanti a uno dei migliori allievi dell'Accademia.

Avrebbe usato ogni mossa a sua disposizione per distruggerla appena Martha gli fosse stata d'intralcio, proprio come avrebbe fatto lei a parti invertite.

«Ti diverti, Schneider?» chiese, mentre si lasciava cadere scompostamente accanto a lui, con la schiena poggiata al tronco dell'acero e lo zaino buttato in malo modo a pochi passi da loro.

«Anche a me fa piacere rivederti, Martha» rispose Ulrich. Quel giorno aveva l'aria da insolente che assumeva ogni qual volta era a conoscenza di qualcosa di cui la ragazza era ancora all'oscuro. E, proprio a voler confermare la sensazione che aveva appena avuto, le chiese: «Allora, questa nuova compagna di stanza è ancora viva o l'hai fatta fuori?»

«Molto divertente» sbuffò Martha, accendendosi una sigaretta. Fumava come una ciminiera e più glielo si faceva notare, più ci provava gusto a soffiare il fumo in faccia a chiunque tentasse la sorte. «Sai benissimo che non ho mai condiviso la stanza con nessuno.»

Un flebile soffio di vento faceva muovere le foglie sopra le loro teste. Quel rumore l'aveva sempre rilassata, nonostante non avesse lo stesso effetto di un'onda di mare che si infrangeva sugli scogli. La faceva rimanere ancorata al presente, ma le dava anche la possibilità di pensare che ci fossero tante cose positive al mondo quante quelle negative: l'Accademia cercava di convincere tutti loro del contrario, ma lei non aveva mai abboccato all'amo.

«Hai già declassato Lena? Certo, è passato un anno da quando è diventata una Bambina Perduta, ma non pensavo fosse così semplice per te dimenticare qualcuno.» Quell'affermazione fece guadagnare a Ulrich un calcio sulla spalla, ma non sembrò soffrirne: il suo sguardo indignato lo fece scoppiare in una risata rumorosa.

«Ho condiviso la stanza con lei solo per un paio di giorni, idiota» sibilò, mentre si portava la sigaretta alle labbra per un lungo tiro. L'odore acre del fumo passivo le fece arricciare il naso a causa di un leggero pizzicore al quale, ne era sicura, non sarebbe mai riuscita a fare l'abitudine.

«Giusto,» disse Ulrich, mentre si spostava più su rimanendo comunque disteso, cosicché la sua testa sfiorasse il tronco e la sua spalla la coscia di Martha, «avevo dimenticato per un attimo che è della favorita di Keller che stiamo parlando».

«Non dire stronzate, Schneider. Se davvero esistesse una favorita di Keller, allora sarebbe la Scholz... non di certo io» sputò acida la ragazza in risposta.

«Anja non ha una camera singola—»

«Ma ha tutto quello che si possa desiderare in quel posto di merda,» Martha fece un cenno con il mento verso il palazzo in mattoni rossi che avevano davanti, «non ti pare?»

Ulrich esitò un momento prima di emettere un flebile: «Forse».

La sigaretta che aveva stretto tra le labbra, nel mentre, si era del tutto consumata. Martha fece una faccia disgustata quando il sapore del filtro le arrivò in gola e, senza sopprimere un'imprecazione, prese dallo zaino un portacompresse in cui era solita spegnere i mozziconi di sigaretta quando era fuori casa.

Certo era che Greta Thunberg non le andasse proprio a genio, ma non al punto tale da inquinare volutamente il suo pianeta: a eccezione di tutti i pensieri suicidi che ogni tanto le stuzzicavano la mente, aveva intenzione di godersi la Terra quanto più poteva.

Con la coda dell'occhio vide Ulrich accavallare le gambe e portarsi le mani al petto. Ora la testa era poggiata del tutto a terra e, osservando di nuovo quei fili di grano che si mescolavano al verde dell'erba, Martha si rese conto che non gli aveva ancora fatto la domanda che la tartassava da quando lo aveva visto da lontano.

Quindi, mentre richiudeva il portacompresse di ferro, chiese: «Piuttosto, cosa ci fai qui? Mi sembra che l'ultima volta eravamo rimasti d'accordo che non mi avresti più teso imboscate nei miei posti preferiti».

«Te l'ho detto,» rispose lui in un attimo, senza nemmeno aprire gli occhi a quel nuovo interrogatorio, «volevo sapere come andasse con la nuova compagna di stanza... e poi ho finito le sigarette».

«Non ho nessuna nuova compagna di stanza.» Martha alzò gli occhi al cielo, sentendo per l'ennesima volta quell'assurdità, anche se un po' la turbava: non l'avrebbe mai ammesso, ma era raro che Ulrich spargesse notizie false. Se decideva di parlarne con qualcuno, si poteva star certi che lui fosse sicuro di quell'informazione almeno al novanta per cento.

Ciononostante, decise di concentrare le proprie attenzioni sull'ultima parte del discorso: se aveva finito le sigarette, significava che aveva intenzione di comprarne almeno un pacchetto e chi era lei per dirgli di no?

Ne afferrò uno di Camel alla menta e, con una smorfia di disgusto nei confronti di quell'abominio, disse: «Sono venti euro, Schneider. Conosci le regole: prima i soldi, dopo la merce».

Ulrich si tirò su dal tappeto d'erba sul quale era steso da prima che lei arrivasse e, dal portafoglio, estrasse un paio di banconote che le porse senza battere ciglio. Il pacchetto blu gli atterrò in grembo appena un attimo dopo.

«Ho visto Keller in modalità "guida turistica" giusto un paio d'ore fa» farfugliò il biondo, mentre provava al contempo ad accendersi una delle sigarette appena comprate. «Adoro quell'uomo quando accoglie gli ultimi acquisti dell'Accademia: è capace di far sembrare l'Inferno un vero e proprio resort a cinque stelle extra lusso.»

Martha lo osservò in silenzio, ma le dita afferrarono pronte una ciocca di capelli. Quando era interessata a una conversazione o era persa tra le proprie congetture, non era raro vederla arricciarsi un ciuffo di capelli tra i polpastrelli. Sentirne la morbidezza sulla pelle e come scivolavano leggeri tra le dita la rilassava in un modo indescrivibile.

Era un vizio che più volte avevano provato a farle perdere, ma nessuno ci era mai riuscito, nonostante la maggior parte delle persone fosse convinta che non lo facesse più. Aveva imparato ad arricciarseli lontana da occhi indiscreti e da tutti quelli che le avrebbero dato fastidio vedendola.

«Arrivano bambini quasi tutti i mesi, Schneider, perché mai dovrebbero assegnarle proprio il posto in camera mia?»

«Perché Keller mi ha chiesto di venirti a cercare» affermò sicuro Ulrich, senza riuscire a trattenere un sogghigno soddisfatto nel vedere le pupille di Martha dilatarsi dalla sorpresa. «Sembrava abbastanza urgente, sai? E poi non faceva altro che fare cenno alla ragazzina al suo fianco. Sappiamo entrambi che l'unica stanza libera al momento è quella di Brad, ma stamattina stavano ancora cercando un modo per pulire tutto quel casino. A quel punto mi è bastato fare due più due.»

Le dita di Martha si strinsero attorno a una delle bretelle del suo zaino; la presa era così stretta da sbiancarle le nocche. A quel punto mi è bastato fare due più due, pensò, scimmiottando la voce di Ulrich. Una persona più idiota di lui non c'era. Avrebbe tanto voluto tirare un pugno a quel ragazzo pieno di sé che le stava davanti, ma non aveva alcuna voglia di dare inizio a una rissa.

«Quanto tempo fa te lo ha chiesto?» domandò la ragazza, mordendosi la lingua per evitare di tirare troppo la corda.

«Un'ora? Due al massimo» sentenziò Ulrich, con lo sguardo rivolto al cielo. Fu quando la sentì mettersi in piedi per tornare verso l'Accademia che la guardò di nuovo. «Buona fortuna allora, favorita di Keller. Spero tu possa riuscire a riconquistare la tua stanza singola.»

«Sei uno stronzo, Schneider.»

«Stronzo o meno, prima o poi scoprirò il tuo segreto» rispose Ulrich, con un sorriso che non prometteva nulla di buono.

In qualche modo sembrava avere sempre la risposta pronta, quasi come Martha aveva il dito medio sempre sull'attenti. Infatti, quando glielo mostrò senza voltarsi a guardarlo, ma continuando a scendere dalla collina dove si trovava il suo acero, lui non ne fu tanto sorpreso.

L'ultima cosa che le urlò dietro prima di tornare con la schiena sull'erba fu: «Stai giocando col fuoco, Rainer, e prima o poi finirai per bruciarti».


Angolo autrice
Vi sono mancata? (A Moriarty piace questo elemento) 👀

Qui per ringraziare tutti per il sostegno che state dando ad ANG, non mi aspettavo di raggiungere questi risultati già con così pochi capitoli e ne sono davvero contenta! 💛

Allora, in questo c'è una novità: il punto di vista cambia e vediamo per la prima volta i personaggi di Martha e Ulrich. Cosa ne pensate? Vi piace il multiple pov? 🥹

A me piace tantissimo e, infatti, per ANG ho deciso di usarne quattro differenti. Abbiamo visto quello di Louise, ora quello di Martha... di chi saranno i prossimi? A uno potete arrivarci, l'altro è abbastanza impossibile che lo indoviniate; ciò non mi ferma, però, dal dare il via alle scommesse! ✨

Spero che la storia vi stia piacendo! 💫

Alla prossima settimana! 💛

eu_phero

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