INTERMEZZO - 𝐴𝑆𝑆𝐼𝐸𝑀𝐸 𝐴𝐿 𝑃𝑅𝐼𝑀𝑂 𝐴𝑀𝑂𝑅𝐸
INTERMEZZO
Assieme Al Primo Amore
174° anno del Principato,
Ferra Nova, Cerchia Privilegiata, Frazione Zivel.
«Ragazzino! Non ho forse ragione?»
Il ringhio dell'omone panciuto davanti al bancone dell'Oreficeria Beryl riscosse Eamon dal sogno di un bagno ghiacciato in quella giornata bollente. Erano quaranta minuti che lo assillava per degli orecchini d'oro assieme alla sua secchissima metà e un fiato acido quanto l'aceto.
«Sì, signore», iniziò piatto, «sono un ottimo regalo per sua moglie.»
La donnicciola, incipriata all'eccesso, s'impettì inorridita. «Sono per tua moglie?» strillò. «Mi tradisci ancora con lei?»
L'omone agitò il grosso gozzo. «Come faccio a tradirti con lei, se la tradisco con te?»
«Ah! Bestia!» Artigliò la sua borsetta e buttò il mento in aria, stizzita. «Aspetta solo che lo sappia mio marito! Vedrai cosa succederà!» E schizzò via, oltraggiata.
«È tutta colpa tua, ragazzino!» abbaiò il cliente contro Eamon. Batté un poderoso pugno sul bancone e subito rincorse le gonne dell'amante.
«L'ha rotto, non è vero?»
Sopraggiunse da lontano una voce alle spalle di Eamon, che sospirò osservando la crepa sul marmo.
«Non pensavo fosse un Domen» rispose. Si voltò, fece un paio di passi e scostò la tenda che dava sul retro e vide il suo datore di lavoro: Mr. Beryl Bee. «Qui gli Iskra non-Zivel si contano sulle dita di una mano.»
Beryl era uno Zivel Ghisa burbero, tirchio e con l'alito che sapeva di birra già al sorgere del sole, ma alla mano. Gli permetteva addirittura di chiamarlo per nome, sorvolando inutili cerimonie. Non gli dispiaceva lavorare per lui. Nel suo continuo girovagare dopo la morte della madre, si era barcamenato tra un mestiere e l'altro: era stato uno strillone, un lustrascarpe, un garzone di bottega, un tintore, un falegname, un cacciatore di topi. E i capi spesso erano addirittura più scorbutici di Beryl. Almeno, si diceva, con lui sapeva dove dormire e mangiare senza preoccuparsi di quale fosse l'umore del cielo sopra la sua testa.
Ora, seduto, l'orafo terminava la pulizia d'una fibbia d'argento. «Il tuo lavoro non è pensare, è ingraziarti chi entra da quella porta. Anche baciandogli i piedi, se servisse. Il costo del bancone lo detrarrò dalla tua paga.»
«Ma non è colpa mia se tradisce la moglie!» lamentò Eamon.
«La tua colpa è la tua lingua» abbaiò. Non lo guardava, gli occhi verdognoli erano fissi sulla fibbia. «Non deve fregarti per chi o perché comprano, basta che lo facciano. E sii grato che te la dia, una paga», posò lo straccio e si grattò l'amata barba bionda, «perché quelli come te neanche dovrebbero averla.»
Eamon si fece cadere sulla sua sediolina, sgangherata e incastrata in un angolino che a malapena conteneva le sue spalle ossute da quindicenne. «Quando sono venuto qui, mi hai promesso la paga ogni mese.»
«Non provarci, poppantello. Ho detto che ci avresti pagato vitto e alloggio con quei soldi», gli ricordò. Poi mugugnò, restio: «e che se fosse avanzato qualcosa, avresti potuto tenertelo».
«È lo stesso.»
«Per nulla» Fu perentorio. «Che ci devi fare?»
Eamon abbassò sguardo e voce. «La figlia di Mrs. Hudson compie gli anni domani, quindi...»
«Quindi avresti dovuto pensarci prima.» Gli lanciò un'occhiataccia dardeggiante quando sentì il campanello avvertirli dell'ingresso di nuovi clienti. «Ora, o alzi quelle chiappe e lavori o smammi. Non me ne faccio un fico secco di un ragazzetto moralista che mangia il mio cibo e che non muove la mani.»
In uno sbuffo, Eamon si tirò in piedi e andò. Quando arrivò al bancone crepato e vide foltissimi ricci rossi, s'animò. «Ciao, Cassidy.»
La ragazzina, intenta ad ammirare la merce esposta, sollevò gli occhioni azzurri e gli sorrise. «Ciao, Eamon.»
Per Eamon, non esisteva persona più bella di Cassidy Hudson, col suo visetto a cuore dalle guance piene. L'aveva conosciuta lì, in oreficeria: era apparsa sulla soglia per far saldare la chiusura saltata di una collana. Si erano solo guardati e il cuore di Eamon, per la prima volta, aveva preso a battere all'impazzata. Lo stesso doveva essere valso per Cassidy perché era tornata, ancora e ancora, coi più disparati motivi, sempre rossa quanto un pomodoro maturo. Da allora, erano trascorsi tre mesi ed Eamon non aveva intenzione di andarsene.
«L'educazione impone che si salutino prima le signore.»
Sorridente quanto un beota, Eamon faticò a distogliere lo sguardo da Cassidy per spostarlo sulla madre. «Mrs. Hudson, ha ragione, mi scusi.» Schiarì la voce. «Come posso esservi utile?»
La signora Hudson era una Zivel Aeris di primordine e una Privilegiata con un gran gusto, ma spesso il suo interesse per Beryl superava quello per l'artigianato. Infatti, gli fece: «Il bracciale che ho acquistato è largo. Mr. Bee è qui?» Lui la indirizzò al retro e, dopo che ebbe scambiato due parole con la figlia, si dileguò.
Cassidy fu subito da Eamon, protesa sul bancone crepato. I grandi occhi azzurri luccicavano. «È domani.»
Il sorriso gli ricomparve sulle labbra. «Emozionata?»
«No. Cioè, sì», balbettò. Si spostava in continuazione i capelli ricci che le cascavano sul viso ed Eamon s'inteneriva. «Sono terrorizzata.»
«Non devi. I quattordici anni arrivano una volta sola.»
«Tu», mormorò lei, «sarai con me?»
Annuì. «In piazza?»
«A mezzogiorno.»
Un chiacchiericcio alle loro spalle li interruppe. Beryl e Mrs. Hudson stavano tornando; uscirono dal laboratorio nell'esatto momento in cui Cassidy si sporse e scoccò al ragazzo un bacio sulle labbra.
Il primo.
Le orecchie di Eamon smisero di funzionare. Non sentì il risolino di Mrs. Hudson o il rimprovero di Beryl. Immobile, sorrise e fissò il viso porporino di Cassidy finché non lasciò l'oreficeria con la madre.
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A cena, rimestò il cucchiaio nell'economica e quotidiana zuppa di cipolle preparata dall'orafo, in un sospiro dopo l'altro. Pensava e ripensava a Cassidy e non mangiava.
Nel mezzo del suo ruminare i grossi pezzi di cipolla, Beryl imperò: «Dacci un taglio».
Eamon si riebbe. «Come?»
«La figlia di Mrs. Hudson.» Il ragazzo avvampò. «Asserviti come te possono solo sognarsele le signorine delle Casate Nobili. Pensi davvero che ti voglia?»
S'indispettì. «Sa cosa sono»
«Ma sua madre no.»
Eamon corrucciò la fronte. «Sei stato tu a farle credere che fossi un Iskra.»
«Certo», esclamò, «per le tasse! Il principato impone uno sproposito sugli Asserviti! Tu sei uno sbandato, uno straccione, costi meno. Invece di fare storie, dovresti ringraziarmi per...»
Eamon roteò gli occhi. «Per la paga che sogno di notte, Beryl. Lo so. Grazie.» S'alzò da tavola. «Ma non sarai né tu né il Principato a dirmi chi amare.» Se ne andò in camera, inseguito dalla risata dell'orafo che gli dava dell'illuso, perché ragazzini della sua età non potevano sapere cosa fosse l'amore.
Il giorno dopo, a mezzogiorno, Eamon fu nella piazza di Ferra Nova ad aspettare Cassidy, emozionato per l'Abilità della ragazza come se fosse sua. Sotto al sole bruciante, attese due ore, poi quattro. Scese la sera.
Cassidy non si presentò.
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Restò a Ferra Nova un'altra settimana. Poi, a bagaglio gonfio, ripartì. Beryl l'aveva salutato incolpandolo, dato che ora avrebbe dovuto pagare le maledette tasse. Ma l'aveva fatto con uno sbuffo che Eamon, in quei tre mesi, aveva imparato essere d'affetto.
Imboccò la via che l'avrebbe condotto a sud, verso la frazione Krafti della Cerchia Privilegiata, senza pensarci troppo. Non gli importava la direzione. Ciò che davvero gli stava a cuore, dalla morte della madre, era ben altro.
Al contrario di quella Zivel, la frazione Krafti era un miscuglio omogeneo di Iskra. Dopo meno di cinque minuti che ebbe messo piede ad Azur, cittadina lacuale sul confine, vide Domen approntavano i pesanti bancali per il mercato, Wizja che passeggiavano accompagnati dai loro Perpetui, Zivel di ogni genere e, ovviamente, i Krafti, che lo affascinavano come da bambino... Ancora non era riuscito a vedere i loro giochi di luce dal vivo.
Trovò impiego alla svelta nella casa di una vecchia e ricca vedova, dal grugno schiacciato, la parrucca in testa e il cui nome suonava come lo sturo d'un ingorgo: Mrs. Thunk.
Questa s'era detta felice d'avere giovani mani da mettere al lavoro -così da sostituire quella antica carretta del suo maggiordomo – ma era difficile da accontentare: desiderava che Eamon le leggesse, ogni due per tre, dei libri che gli rendevano il viso del colore dei suoi capelli o pretendeva che corresse in città a comparale cianfrusaglie quando non conosceva che poche vie. Ma lui guardava il lato positivo: imparava parole nuove, leggeva con maggiore rapidità e scopriva Azur e i suoi abitanti.
Poi, un mese più tardi, Mrs. Thunk lo dispensò sia dalla lettura che dalle corse in città senza un perché. Eamon non domandò; gli Asserviti eseguivano, non chiedevano, l'aveva imparato. Però il timore di perdere il lavoro ebbe presto la meglio. Quindi, una mattina, prese il coraggio a quattro mani, andò salottino adibito a biblioteca.
Adagiata sulla poltrona trapuntata, Mrs. Thunk ascoltava una graziosa Wizja in un fine abito color canarino che le leggeva uno dei suoi romanzi preferiti. E che si bloccò appena vide Eamon. Le dita scure tremarono sulle pagine, così come il piccolo Perpetuo alle sue spalle.
«Be', vuole continuare, Miss Hudson?» esortò aspra l'anziana. Poi si rivolse al ragazzo, che a quel cognome era diventato una statua di sale. «E tu? Cosa vuoi? Torna a lavorare.»
Eamon si riscosse, il viso rosso d'affetto e rabbia. «Certo, Mrs.» disse e infilò la porta, consapevole degli occhi di Cassidy sulla sua schiena.
Eamon evitò Cassidy per settimane. Se la incrociava nei corridoi, cambiava strada e quando era costretto a parlarle dalla bocca nascevano solo toni indisposti.
Cassidy, dal canto suo, tentava con fare timoroso. Un pomeriggio, mentre Eamon preparava diligente il tè corretto con l'abbondante dose di cherry amata da Mrs. Thunk, gli disse: «Quel giorno volevo raggiungerti».
Non le credette e non le rispose. Come poteva dopo che l'aveva lasciato ad aspettarla invano sotto un sole cocente? Come poteva fidarsi?
Ma col passare dei gironi, l'insofferenza di Eamon diminuì e s'accorse di ricercare la compagnia di Cassidy. Senza rendersene conto aveva rincominciato un a sorridere ogni volta che la guardava, a sentirsi leggero quando lei gli parlava, a percepire il cuore battergli a mille se lo sfiorava. uanso QuaE una mattina, fu lui a interromperla mentre preparava il romanzo da leggere alla donna. Le chiese: «Cosa ci fai ad Azur?»
«I miei mi hanno cacciata di casa. Non vogliono una Wizja in famiglia» disse. Lo adocchiò appena. «E sapevo che ti avrei trovato qui.»
«Sei qui... per me?»
«Sì.»
Eamon temporeggiò. «Perché non ti sei presentata in piazza?»
«Avevo paura»
«Di cosa?»
Lei esitò. Poi, a voce rotta, disse: «Di non piacerti ridotta così.»
Eamon mai ripose a parole. Gli erano morte in gola a quelle di lei. Invece, la raggiunse e la baciò, sperando con tutto se stesso che Cassidy capisse quanto, ai suoi occhi, fosse meravigliosa.
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I baci crebbero assieme a loro. Da timidi e casti diventarono ardenti e passionali, come le notti. Mr. Thunk sapeva, ma sembrava non darci peso: di tanto in tanto, sibilava contro la gioventù scostumata o ridacchiava di quanto fosse peccaminosa una relazione con un Asservito per una Casata Nobile.
E a Eamon piaceva addormentarsi con Cassidy tra le braccia, dopo averla ricoperta di baci sulla pelle calda e averle ripetuto all'orecchio quando l'amasse.
Una notte, anni dopo, Eamon si svegliò di soprassalto, bagnato di sudore, nell'ampia stanza della ragazza. Assieme al suo Perpetuo, Cassidy fu subito da lui. Indossava un abitino fatto di pezze che lasciava scoperte le spalle ed era a piedi scalzi. L'aria sapeva d'incenso.
«Non volevo interromperti» mormorò.
«Hai tempismo. Ho finito da poco» sorrise e gli pulì il viso con un panno umido.
«Com'è andata?»
«Come al solito. Il passato dei Wizja non è un passato felice» ripose in una scrollata di spalle, riponendo lo straccio. Poiché Eamon sapeva che per Cassidy era complicato raccontare a ciò che assisteva ogni notte, non domandò oltre. Al contrario, fu lei a chiedere sommessa: «Sempre lo stesso sogno?»
Lui annuì. «A volte vorrei dimenticare tutto quanto.»
«Non sarebbe giusto, lo sai.»
«Perché no? Quell'uomo è entrato in casa nostra e l'ha uccisa senza ragione.» S'incupì. La moneta, poggiata sul misero tavolo da pranzo, lo tormentava. «Se io non avessi...»
«Mi parli sempre di com'è morta, ma mai di lei» lo interruppe Cassidy, risoluta, e si stese accanto a lui, col capo liscio sulla sua spalla. Si fece stringere. «Che tipo era?»
«Solare, protettivo. Aveva una voce bellissima» disse, conscio che fosse una magra risposta. Era quasi impersonale; avrebbe potuto dire quelle tre cosucce anche per la vicina di Mrs. Thunk. Eppure, era tutto ciò che ricordava: il sorriso che lo rassicurava, il suo abbraccio che lo difendeva e la sua voce. Il resto, dopo un decennio, sembrava volerlo abbandonare: quanto fossero lunghi i suoi capelli, se arricciasse il naso alle marachelle che scopriva, come si muovesse per casa. I primi a sparire erano stati i contorni del viso.
Infatti, Cassidy commentò: «Tutto qui?»
Eamon rifletté e titubò. Alla fine, disse: «No». Sotto l'occhiata dorata della giovane Wizja, si sporse oltre il letto e da sotto estrasse una sacca. Da questa tirò fuori a sua volta ciò che l'aveva sempre accompagnato e glielo passò.
«È un pupazzo.»
«Di un leprotto» specificò. «L'ha fatto lei.» In realtà, dopo decine di rattoppi, le cuciture della madre erano quasi scomparse e la stoffa era ormai vecchia e lisa.
Cassidy se lo rigirò tra le mani, sfiorò le pezze colorate e il cuore rosso. Poi ridacchiò. «È importante che sia di un leprotto?»
Eamon rise. «Sì. È di una fiaba che mi raccontava.»
«Di cosa parla?»
«Cura, amore, fiducia.» Le accarezzò la screziatura dorata che le solcava la pelle della bassa schiena, appena sopra i glutei. Era più ruvida e gli ricordava le ali di una rondine. «E che non si tradisce mai il leprotto.»
«Perché?»
«Perché si affida a te. E quando l'hai trovato, il tuo compito è proteggerlo.»
«E tu?» Sollevò lo sguardo dorato su di lui. «L'hai trovato?»
Eamon tacque. Era ciò che gli aveva detto sua madre prima di morire. Non era certo d'intendere quella richiesta come voleva lei, ma una risposta l'aveva. Perché, quando guadava Cassidy, vedeva il suo mondo, vedeva ciò che doveva proteggere. Ogni giorno la vedeva più bella del precedente, non c'era momento in cui il suo amore per lei non crescesse. Fu con questo che l'ammirò: con occhi traboccanti d'amore. E dichiarò, a voce bassa e roca: «Quando ho incontrato te.»
Il sorriso che si dipinse sul volto di Cassidy fu più il dono più grande che potesse ricevere.
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Al suo compleanno, in pieno inverno, Cassidy volle regalargli un'esperienza unica: un'intera giornata da Iskra. Appena ricevuto il lasciapassare di Mrs. Thunk, le cui rughe in tre anni si erano inasprite, Eamon si preparò, felice come un bimbo. Nemmeno con Beryl, che l'aveva costretto a mentire coi clienti, aveva mai avuto la possibilità di godersi la città come un qualsiasi Privilegiato del Principato. Indossò il capotto e la sciarpa che Cassidy gli aveva comprato per l'occasione alla velocità della luce e uscirono.
C'era odore di buono, ma, soprattutto, nevicava. Non era raro che accadesse a Hemera, ma Eamon si godette la neve senza che il gelo gli penetrasse nelle ossa per la prima volta.
Passeggiarono tra le vie di Azur, confondendosi tra folla. In una sala da tè, assaporarono infusi creati da Zivel Flora, scaldati dal calore dei camini degli Ignis. Nel parco, assistettero alle acrobazie nella neve degli Aeris e ai bimbi dalle guance rosse che ridevano quando venivano sollevati a qualche centimetro dal suolo. Pranzarono in un'osteria del centro città dove non ebbero bisogno di ordinare, grazie al Wizja che stava dietro ai fornelli. Eamon si rimpinzò con tanti di quei panini dolci caldi coperti da zucchero a velo che sarebbe potuto scoppiare.
Fu felice, all'inverosimile.
Ma le soprese di Cassidy non erano finite. La migliore la tenne per ultima, verso sera. Eamon non sapeva cosa aspettarsi, si riteneva già fortunato: per la permissività di Mrs. Thunk, per Cassidy. Si diressero in uno degli edifici più grandi di Azur e la ragazza gli fece promettere di chiedere gli occhi e di non aprirli fino a suo ordine. Eamon ubbidì e si lasciò condurre. Poco più tardi, iniziò a udire ferventi chiacchiericci e fu indotto a sedersi. «Apri» disse poi Cassidy, alla sua destra.
Eamon per un istante credette di non averlo fatto. Sbatté le palpebre più volte. Vedeva solo nero. Fu sul punto di chiedere cosa stesse succedendo quando il brusio si arrestò di colpo. Si sollevò una musica dolce e, guardando avanti a sé, capì il perché. Nel buio pesto era apparsa una luce. Piccola e azzurra. Sembrava una stella, ma volteggiava per aria come uno lucciola. E poi esplose in una pioggia di bagliori, brillanti come gocce di cristallo investite dal sole. Trasformò il palcoscenico in un tappeto di luci, su cui iniziarono a ballare due Krafti. Eamon si perse nel seguire le loro mani, accese d'una magia turchina, che danzavano e s'intrecciavano a ritmo con la musica; i loro passi che lanciavano le luci immobili sul palcoscenico verso il pubblico, plasmando un cielo stellato più bello di quanto la natura stessa potesse creare; i loro vestiti che ondeggiavano attorno a loro come fasci luminosi; o ancora i raggi che scaturivano dei loro palmi e che assumevano le forme più svariate, dai cavalli che correvano indomiti sulle loro teste a pattinatrici che volteggiavano nel vuoto e fiori che sbocciavano al loro fianco. Non sapeva dove guardare; ovunque si voltasse, sbalordiva.
«Mi hai sempre detto che avresti voluto vedere uno spettacolo Krafti» bisbigliò Cassidy. «Ti piace?»
Anche se vedeva a malapena, Eamon si voltò, le prese il viso e la baciò. «È bellissimo.» E mentre riportava lo sguardo colmo d'emozione ed eccitazione sui ballerini, si ricordò delle corse a perdifiato che si faceva da bambino per vedere degli acrobati farlocchi e truffatori. «Questa è una vera dimostrazione d'Abilità.»
«No», s'intromise una voce lieve alla sua sinistra. «È una dimostrazione d'amore.»
Eamon strizzò gli occhi, vide appena un abito chiaro. «Come?»
«Per un Krafti, il buio totale è come la morte. La loro stessa essenza svanisce. Ma che spettacolo di luci sarebbe senza il buio? Nessun bagliore può davvero splendere in tutta la sua bellezza se prima non è soffocato dall'oscurità» rispose. Il tono era calmo. Eamon avrebbe osato dire affascinato. «Queste persone stanno affrontando la loro più grande paura per noi. Cosa può essere se non amore?»
«L'amore non dovrebbe essere legato alla paura» obbiettò lui.
«Perché?»
«Perché l'amore è onestà.» Sentì lo sguardo del suo interlocutore su di sé e continuò: «Se un sentimento è condizionato dalla paura, può essere considerato onesto?»
Nella semioscurità dei giochi luci, vide che si trattava di un ragazzo, forse della sua età. E scorse un angolo della sua bocca avere un guizzo. «La verità è che ogni Iskra lega l'amore a una paura. Negarlo, sarebbe ipocrisia. Se un Ignis attraversa una tempesta, se un Ghisa o un Flora sono disposti a bruciare, se un Aqua accetta di restare sotto al sole cocente, se un Aeris si costringe a terra, se un Domen si rende debole, se un Wizja si priva della sua vista, se chi vive per sempre ti affida la sua vita. Sono atti d'amore sincero e onesto, il più grande che si possa desiderare» mormorò. Poi, dopo un attimo di silenzio riempito solo dalla musica, soggiunse: «Ma forse un Asservito non può capirlo.» Eamon trasalì. «Lo sa che fingersi un Iskra e usare i loro spazi, è un reato?»
Deglutì. «Io non ...» tentò di mascherare l'agitazione. Come l'aveva capito? Aveva detto qualcosa che non doveva?
«Non lo è? Stia tranquillo, non dirò una parola.» Uno scoppio di luce gli illuminò il viso ed Eamon ebbe l'impressione d'averlo già visto da qualche parte. «Almeno... fino alla fine dello spettacolo. Poi, tecnicamente, sarei costretto. Come si chiama?»
«Così che possa farmi arrestare meglio?»
Il ragazzo rise. «Scommetto che saprà uscire prima che io possa avvisare qualcuno.»
Allora, protese la mano. «EN4932» Lo inventò sul momento, in tutto il suo girovagare ne aveva cambiati così tanti che non ricordava quale fosse il suo.
«Le ho chiesto il suo nome» obbiettò l'altro. «Non questo.»
«Eamon.»
Sentì che gli afferrò la mano e che annunciò: «Valentine.» E lì, scolorì. Credette d'aver capito male, ma quando nella sala baluginò un potente ondata di luce, vide senza ombra di dubbio gli occhi rossi.
Deglutì una seconda volta. «Voi siete il...»
«No», lo interruppe. Sorrideva lieve. «Solo Valentine. Almeno fino alla fine dello spettacolo.»
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