9 - THE THIN 𝑅𝐸𝐷 LINE (p.2/2)
«Muoviti!» le intimò una voce affannata di Areth.
Impaurita, Sue non se lo fece ripetere due volte. Barcollante e con una mano sulla ferita, non si oppose quando il ragazzo la sospinse dietro a una rozza bancarella che trovò nella piazza.
«Perché stai ferma davanti a un Ballare?» le chiese a fiato corto mentre si puliva da un grosso rivolo di sangue scuro dal labbro spaccato. Era indignato. «Sei impazzita?»
«Un cosa?»
«Ballare del Debutto» fu sbrigativo. All'espressione spaesata dell'altra, restò basito. «Ma dov'eri mentre Mrs. Alonzo spiegava?» Poi alzò occhi al cielo. «Lascia stare. Posso intuirlo.»
«Attenti!» gridò la vocina di Toad.
Il Ballare si accanì sulla bancarella. Un fendente calò e Areth spostò Sue appena in tempo. Il fianco le ululò di dolore, scivolò sul suo stesso sangue.
«Veloce!»
Il Necromant la tirò in piedi e ripresero la corsa. Entrarono nel bosco. Sue incespicò tra le radici, ma riuscì a scartare a destra quando la belva attaccò. Urlò. Areth la sostenne e sospinse verso una coltre nera, tra due pini.
Sue lo fermò. «Cos'è quella roba?»
«Vacci!» imperò Areth.
«No!»
«Muoviti, Sue!»
Lei osservò l'orizzonte cupo, ansate. «Scordartelo!»
«Vuoi star qui e morire?» vociò.
Fu la risposta a morirle sulle labbra. Il Ballare, con un balzo enorme, atterrò di fronte a loro in un tonfo che fece gemere il terreno. E Areth fu fulmineo: la buttò nello spazio scuro. Tutto sparì: la luce, i ruggiti, il vento, gli odori.
Piombò il silenzio. Calò il buio.
Sue rovinò su un suolo umidiccio di una caverna dalle alte pareti rocciose. L'aria era pesante, pregna di miasmi; rendeva difficoltoso respirare. Disseminati c'erano cristalli verdastri e rivoli d'acqua melmosa che svanivano in cunicoli oscuri.
Toad, Inquy e Areth giunsero dopo di lei. Il primo si capovolse per aria senza freno; il secondo, tornato piccino, si rintanò alla svelta nel suo nascondiglio. E il terzo cadde di schiena, affannato. Quando si tirò a sedere e le rivolse un'occhiata dardeggiante. «Come ti salta in testa di discutere in un momento simile?»
Incespicante sui muscoli fiacchi, Sue s'alzò. Barcollò. «E- era un vicolo cieco!»
«Ma se ci siamo dentro!» protestò Areth, tirandosi in piedi.
«Lo sembrava, va bene?» sbottò. «Ho sbagliato!»
«Uno sbaglio che poteva costarci la pelle! Bastava che mi dessi retta!»
«Ero nel panico!» Le labbra le tremarono, gli occhi le si inumidirono. «S-sono nel panico!» farfugliò mentre rumorosi singhiozzi le invadevano la voce. Il respiro si ruppe e, senza che potesse accorgersene, già piangeva. «Tu urli... io urlo e... stava per ucciderci!» Si chiuse nelle spalle e scansò le lacrime con le mani sporche di terra e sangue: impiastricciò le guance arrossate. «Voglio andarmene da qui!»
Non vide Areth e non sentì la sua voce, ma fu certa che le braccia che la cinsero fossero le sue. Le trasmisero un calore tiepido e scoppiò. Tremante da capo a piedi, pianse il terrore che le sconquassava il corpo. E non solo. Si aggiunsero i pensieri, i drammi, la malinconia. Strinse a piene mani la larga tuta viola e singhiozzò sul petto del ragazzo. Lui non glielo impedì. Al contrario, le carezzò lieve la schiena e lasciò che si sfogasse.
«Scusami per aver urlato» mormorò a un certo punto Areth, morbido. «Non era mia intenzione spaventarti.»
«Ho... creduto di morire» farfugliò lei.
«La prima volta qui è difficile per tutti.» Lento, sciolse l'abbraccio. «Meglio?»
Sue assentì. Si vide riflessa in uno dei cristalli verdognoli. Era un disastro: i capelli arruffati e pieni di melma bruna, gli occhi gonfi sul viso arrossato.
«Ti fa male?» continuò Areth.
Sue capì. Sul fianco, la tuta viola era ridotta a uno straccio, con fango secco e intrisa di sangue. La ferita ancora colava e pulsava irritata: era abbastanza profonda, netta. Annuì.
Areth la fece sedere e protese le mani guantate verso di lei, che subito si ritrasse.
«Cosa vuoi fare?» balbettò.
«Ti aiuto.»
Sue esitò. I Necromant l'avevano sempre incuriosita, ma conosceva quel che si diceva su di loro: assassini, profanatori di tombe, cannibali, violenti. Gli altri Iskra di Hemera li temevano, li odiavano. L'idea che quell'Abilità agisse su di lei la spaurì.
Areth dovette intuirlo, perché sospirò greve. «Voglio solo aiutati. O di questo passo ci rimani.»
Sue si guardò il fianco sanguinante e non poté dargli torto. Ingoiò la paura e annuì una seconda volta.
«Cerca di non muoverti» disse lui. Rimosse la stoffa zuppa, accostò una mano guantata al taglio profondo e Sue sbiancò. Il fiato le si mozzò quando vide i lembi della ferita assumere un colore malato, tra il viola livido e il grigio cenere e prendere vita. Si tirarono e modellavano con scricchiolii innaturali, lamenti macabri, finché non si ricucirono assieme. Alla fine, il fianco fu velato da un tessuto roseo, molle, ricoperto di vene pulsanti. Il dolore era sparito.
«Lo fanno tutti i Necromant?» bisbigliò Sue.
Areth non ripose. «Devi stare attenta. I Ballari non vanno per il sottile.»
Fu curiosa. «Per l'esattezza, cosa sarebbero?»
Il ragazzo le scoccò un'occhiata che lei non decifrò. Fu un misto scetticismo e pietà che odiò. Quando parlò lo fece col tono di chi rivela l'ovvio. «Inseguitori di Iskra.»
Sue sbiancò. «E chi manda qui i propri figli... lo sa?»
Areth annuì come se nulla fosse. «Come ti ha trovato?» Sue raccontò dello studente, Lewis, del bosco, della casa e di come si fosse ritrovata di colpo a terra. Evitò i dettagli personali e della collana di Josh. In fondo, non erano affari suoi. Alla fine del monologo, Areth fu allibito. «Ti ci sei seduta sopra?»
Una vampata d'imbarazzo l'avvolse. «Come potevo saperlo? Sembrava una sedia.»
Lui bofonchiò qualcosa tra labbra con un'espressione che non le piacque. Poi aggiunse: «Per nostra fortuna, c'era un'entrata dell'Antisala.»
«Cos'è un'Antisala?» domandò Sue e Areth le rivolse per la seconda volta quello sguardo. L'avvertì come un cappio al collo. S'accigliò. «Vuoi smetterla?»
«Di fare cosa?»
«Mi stai giudicando» l'accusò.
«Non l'ho fatto.»
«Sì, invece. Anche prima.»
«Quando?»
«Quando mi hai dato della sciocca» rivangò sdegnata.
«Quindi?» La guardò eloquente. «Lo sei stata»
Sue s'indispettì. «Come scusa?»
«Mi pare evidente che tu non abbia ascoltato una parola di Mrs. Alonso per imbambolarti davanti a un bel ragazzo, altrimenti non saresti ridotta così. Se non è da sciocchi questo.» Areth si alzò. Poi soggiunse con una sfumatura saccente: «E, per tua informazione, questa è un'Antisala.»
«Da che pulpito, Mr-Labbro-Spaccato» lo imitò Sue. Barcollò e quando Areth si sporse per sostenerla, si ritrasse. «Non mi occorre il tuo aiuto. Me la cavo da sola.»
Ora fu Areth ad accigliarsi. «Questo non è un gioco.»
Sue s'impettì e con un pizzicore sulle guance annunciò: «Mi aiuterà Josh.»
«E dove sarebbe?»
«S-sta arrivando», squittì altera, «perché si preoccupa davvero per me. Ci tiene.»
Areth ridacchiò. «In meno di due giorni? Ci credi sul serio?»
«Perché non dovrei?» Gli puntò un dito al petto. «Pensavo fossi cortese, eppure negli ultimi cinque minuti ho capito che Toad aveva ragione: sei un antipatico giudicante e presuntuoso.» L'Elementino, nascosto dietro di lei, annuì concorde.
«E tu una sciocca spocchiosa che non ha saputo dire grazie a chi ti ha salvato la pelle» ribatté indispettito.
L'indignazione di Sue evaporò. «N-non l'ho fatto?» Areth scosse il capo. Cercò anche la conferma di Toad; la risposta, sotto al berretto da paggetto, fu la stessa. La colpa le macerò nello stomaco. «Per il Principato, io non...» incespicò. «Grazie.»
In un gesticolio fugace, lui sorvolò e chiuse la questione. «L'importante ora è uscire da qui. Se mi asc...»
«Ti ascolto», si precipitò Sue, «giuro.»
«Promettente» sogghignò Areth. Era chiaro che non ci credesse, ma si impegno a spiegare mentre muovevano i primi passi sul suolo roccioso.
«L'Ingresso del Debutto si plasma in base a chi entra. Ciò ci riguarda, spaventa o piace. Più persone ci sono, più ambienti si creano e questi sono interconnessi dall'Antisala, ovvero dove siamo ora. L'intero Ingresso è gestito dal Guardiacaccia. Lui e solo lui decide dove e quando tracciare le linee rosse, che sono la nostra unica opzione per terminare la prova. Ma dato che né il Guardiacaccia né i Ballari possono entrare nell'Antisala, qui non ne troveremo. In altre parole, dobbiamo per forza andarcene. Ora, è importante. L'Antisala è estesa, ma gli ingressi non sono permanenti; quando si esce, il passaggio che si crea collassa e non è possibile rientrare. Quindi, se cerchi riparo non è una buona idea tornare indietro. Inoltre, non è del tutto sicura: evita le zone buie e le correnti forti nel caso ci siano. I Ballari, come avrai intuito, si mimetizzano, sono circa due per studente, e mai...»
«Due per...» Sue si zittì all'azzurra occhiata di rimprovero di Areth. «Scusa. Continua.»
«Mai, e sottolineo mai, stare ferma davanti ai Ballari. Gli rendi più facile il compito farti fuori e portarti dal Guardiacaccia.» Sul viso gli si formò una smorfia. «E quella non è una bella fine.»
«Perché?» chiese Sue, timorosa. «Cosa fa il Guardiacaccia a chi fallisce?»
Areth temporeggiò. «Li divora.»
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Non fu chiaro quanto tempo impiegarono Sue e Areth, scortati dal chiacchiericcio di Toad, per lasciare l'Antisala, ma, quando sbucarono dalla coltre buia, il sole moriva alle spalle della Porta Marchese, ingresso Ovest dello Snodo. Sue riconobbe all'istante il largo vialone bianco che portava alla Reggia Rossa e l'area in cui entrarono: quella delle giostre. Da bambina ci andava ogni primavera e non esisteva attrazione che non avesse provato, dal carosello animato dei Krafti alle montagne russe liquide degli Zivel Aqua. Di solito, era vivace e chiasso; nell'Ingresso del Debutto, era desolato, silente, e pervaso dalla luce aranciata del tramonto. L'Elementino, ancor prima che Areth finesse di raccomandargli di non allontanarsi, gli aveva già rifilato una gran linguaccia ed era partito in quarta vero il trenino volante degli Zivel Aeris.
A Sue sfuggì una risata. «Lascialo. Piuttosto, posso chiederti un'ultima cosa?»
Areth l'adocchio esterrefatto. «Ancora?»
In effetti, l'aveva subissato di domande per sopperire alla mancata attenzione. Aveva chiesto perché i Ballari si chiamassero in quel modo tanto buffo quando erano creature assetate di sangue Iskra, perché non bisognasse andare nelle zone buie dell'Antisala, perché per uscire dovessero attraversare proprio una linea rossa, e molto altro. A queste seguivano tentennanti "Forse", "Può essere" o qualche goffo "non so". Il fatto che pure Areth fosse all'oscuro di certi dettagli l'aveva rincuorata e divertiva. Poi aveva iniziato a chiedere dei Necromant. A quelle domande, seguiva solo un tombale silenzio.
«Non lamentarti. Hai risposto una volta su tre.» Era riuscita a sapere solo che in Accademia studiava grazie a delle dispense, a orari flessibili e con un unico professore che cambiava quasi sempre, dato che ben poche persone erano disposte a insegnare a un Necromant.
«Perché non provi a chiedermi qualcosa a cui posso rispondere?» sorrise.
Sue ricambiò, furbesca. «Tipo... perché non puoi rispondere?»
«Non mi pare che voi Zivel spieghiate come e perché riusciate a far cosa.»
Sue scansò l'argomento. Non avrebbe saputo rispondere ad alcuna domanda sulle Abilità. «Guardi lo Snodo come se non l'avessi mai visto. È così?»
L'aveva notato appena usciti dall'Antisala. Gli occhi azzurri del ragazzo le erano parsi curiosi e avidi d'ogni dettaglio quanto quelli di un esploratore, dagli enormi palazzi ai tombini delle fognature. L'imponente Porta Marchese l'aveva lasciato a bocca aperta.
«Venivo da piccolo» rispose. «Mia madre è impiegata nel Bureau e a volte mi portava. Ma ora...»
«Non puoi entrarci» concluse Sue. Lui annuì mentre si incamminavano tra i chioschetti dai colori attenuati dal tramonto. «È cambiato molto da quando sei diventato un Necromant?»
«Già.»
«Immagino che essere limitati alla Cerchia Secondaria sia...»
«Non solo è quello» la interruppe. Passando davanti alla giostra dell'Acchiappa il Perpetuo- un tiro a segno dove il bersaglio erano tre cartonati degli esserini fumosi – Areth si fermò al bancone, mordicchiandosi un labbro. Rispose con lo sguardo azzurro fisso sul legno. La voce titubò. «Le persone... non sono più le stesse quando hanno paura di te.»
«Di te?» Sue l'affiancò. «Perché dovrebbero?»
Areth ridacchiò. «Grazie a Toad ho delle occhiaie da fare spavento.» Entrambi sorrisero quando da lontano si levò l'urletto sdegnato di un Toad che cavalcava nel carosello. Poi tornò serio e la guardò, consapevole. «Se ci pensi, è successo anche con te, nell'Antisala. Hai avuto paura.»
La mano le corse al fianco: sotto i polpastrelli avverti il tessuto molle e rugoso. Un fremito le risalì pungente la schiena. Era così, dunque? Aveva paura? Abbassò lo sguardo. I Necromant impaurivano tutti, ma Areth? Per un attimo, lo fissò. Anche lui aveva il viso sporco, i guanti macchiati dal suo sangue, i capelli biondi arruffati. Anche lui affrontava l'Ingresso come lei. E l'aveva salvata, curata. Non aveva alcun motivo per temere lui, e non voleva.
Si protese oltre al bancone, raccolse una delle palline gialle di plastica che si usano per colpire i bersagli e la offrì al ragazzo.
«Che fai?» Areth era perplesso.
«Ti dimostro che non ho paura» sorrise. «Dato che mi hai tirato fuori dai guai e che ti devo delle scuse, il primo lancio è tuo.»
«Sue, te l'ho detto, questo non è...»
«Un gioco. L'ho capito» l'anticipò. Si rigirò la pallina tra le mani con aria colpevole. «Sto solo cercando di ricambiare l'aiuto che mi hai dato. Avevi ragione, non ho ascoltato Mrs. Alonzo. E me la sono presa con te quando me l'hai fatto notare. Provo a rimedire» mormorò. «È... stupido?»
Areth scosse il capo. «Strano, per una Lady.»
«Miss» lo corresse.
«Miss. Giusto.»
Si sorrisero e quando Sue protese la pallina, Areth l'accettò. «Ma non ho idea di come si giochi.»
«Davvero? A che giocate nella Cerchia Secondaria?» provò con aria furba. Lui non ci cascò, ma rise. «Devi solo fare centro laggiù» spiegò allora. Indicò il fondo della giostra, dove c'erano i cartonati. «È facile.»
«E se dovessero arrivare dei Ballari?»
Lei s'esibì in un'alzata di spalle. «Preferisco morire dopo una risata piuttosto che un pianto.»
Areth ridacchiò. «Questo è stupido.»
Sbuffò. «Accetti il gesto e tiri o no, Mr-Labbro-spaccato?»
«Tiro, tiro.»
Goffo, Areth si dispose per il primo lancio. Tra i quattro Perpetui, puntò l'ultimo. Cambiò la posizione delle lunghe gambe un paio di volte. Caricò il braccio armato di pallina e...
«Prima io!»
In volata, Toad gli rubò la pallina gialla e la tirò. Questa rimbalzò molle contro il fondale. Poi sfrecciò a tutta velocità all'indietro, beccando in pieno il naso del ragazzo.
«Toad!» taccio adirato Areth con le mani strette al ponte del caso. «Sta più attento!»
«Sei tu che eri in mezzo!» brontolò l'Elementino con fare sdegnato.
Allarmata, Sue si avvicinò. «Fa vedere» disse. E Areth lo fece: scoprì l'intero naso sporco d'un rosso acceso.
«Ti fa male?»
«Non troppo» ripose. E si rivolse al bimbo. «Non serve tirarla così forte.»
«Non l'ho fatto!» lamentò, pestando i piedi per aria.
«Non mi sanguinerebbe il naso, Toad.»
Sue si chinò raccogliere la pallina gialla, disorientata. Era sporca di un liquido bruno. Aveva visto il lancio di Toad: era stato fiacco. Ma allora come poteva essere rimbalzata in quel modo? Tanto forte da far sanguinare Areth? Non era possibile.
Mentre l'Elementino piagnucolava un: «Non è colpa mia se stai lì come un... un ..qualcosa che non si muove! Ecco!», Sue guardò il fondo il chioschetto, là dove Toad aveva colpito.
E trasalì.
Quando siamo arrivati, i bersagli erano tre...
Sul quarto cartonato, apparve un'inquietante fila denti acuminati. Un gorgoglio gutturale si sollevò e l'Acchiappa Perpetui venne sventrato.
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Per raggiungere la casetta dissestata nella Cerchia Asservita dal suo negozietto nello Snodo, Josh era stato costretto a un giro senza fine. Era pratico dell'Ingresso del Debutto e sapeva come muoversi, come accorciare i tempi, ma gli accessi dell'Antisala che collegavano le due zone in maniera rapida erano stati chiusi. Qualcuno c'era già passato. Lo rallentava.
E Susanne aveva bisogno di lui.
Prima di entrare nell'Ingresso, una parte di lui gli aveva detto di fregarsene perché nulla sarebbe potuto succedere a un'erede del seggio alla Convergenza. E, di certo, non era affar suo. Ma l'altra non riusciva a non temere per lei. Quella strana sensazione che aveva provato il giorno prima lo assillava, cresceva. Aveva incomprensibilmente la necessità di sapere quella ragazza al sicuro. Per questo le aveva dato la collana: per ritrovarla e aiutarla contro i Ballari - lui all'Ursula Haines ne aveva affrontati sino alla nausea – che si nascondevano ovunque.
Ma giunto alla casetta, dovette tornare sui suoi passi, dato che i petali puntavano di nuovo alla zona che ricreava lo Snodo. Imprecò. Fu un altro viaggio: altri accessi chiusi, altro tempo perso. Arrivò all'ingresso Est, Porta Sagese, quando il sole dell'Ingresso volgeva al tramonto.
I petali, lì, rallentarono. Susanne era ancora allo Snodo.
Fece un passo e...
La sua linea rossa apparve. Non voleva uscire. La schivò. Procedé. Ma ricomparve.
«No», disse. L'aggirò. Guardò in basso e riaccadde. La linea fu lì, a pochi millimetri dalle sue scarpe.
«Smettila» abbaiò nervoso. «Mi rallenti.»
Sollevò lo sguardo e fu a tu per tu con una figura allampanata, sorretta da un lungo bastone appuntito. Avvelenato da una magrezza eccesiva nelle braccia sproporzionate e nelle gambe dalla fine equina, il Guardiacaccia lo fissava, senza volto. Il capo era un unico brandello di pelle azzurrognola che sembrava tesa all'estremo da una cucitura raffazzonata alla base della nuca. Nel suo stomaco, rotondo e diafano, vagavano frattaglie vermiglie.
Mosse il bastone davanti al ragazzo e il solco creato si tinse di rosso. Un taglio sottile si disegnò sul volto vuoto del Guardiacaccia; si dischiuse in una bocca invasa da file di denti acuminati e una lingua biforcuta. L'alito era mefitico. «L'erede dei Lars ha dimostrato a sufficienza, merita di uscire.» gracchiò roco.
«E quella dei Bertrán?» incalzò Josh. «Avrebbe già dovuto essere fuori. Perché non lo è?»
«L'erede dei Bertrán non può uscire» e, voltandosi, continuò l'indolente cammino, sino a sparire.
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Il Ballare balzò su di loro, a fauci spalancante e bava colante. Lo evitarono per un soffio. Areth prese Sue per mano e fece per sospingerla verso destra. Ma questa volta non lo seguì: l'afferrò per la tuta e lo strattonò a sinistra, fuori dal quartiere delle attrazioni. Lo strattono in uno dei tanti vicoli stretti stretti dello Snodo. Ci passarono appena; il Ballare si schiantò contro i palazzi
«Cosa diavolo fai?» ansimò Areth. «Non...»
«Tu conoscerai meglio di me quei mostri, ma io conosco la città. Ora sei tu che ascolti me, chiaro?»
L'indecisione di Areth si scontrò con la vista del Ballare che dimenava le braccia a lame affilate per raggiungerli nel vicolo. «Cosa vorresti fare?»
«Dimmi il luogo ideale per l'accesso all'Antisala.»
«Perdiamo tempo. È più importante la linea rossa.»
«Tu dimmelo!»
«Uno nascosto, isolato, al quale nessuno si avvicinerebbe» spiegò rapido.
Sue rifletté. Nello Snodo esistevano un'infinità di punti inaccessibili o ardui da raggiungere. Guardò il Ballare: uno degli affilati avambracci aveva iniziato a sgretolare i mattoni. Pensa Sue, pensa!
«Allora?»
«Sto pensando!»
Un gran tonfo li avvisò che il Ballare era riuscito a crearsi un varco. I ruggiti aumentarono.
«Pensa più veloce!» strepitò Toad nel panico.
Qualcosa d'isolato...
Il Ballare iniziò a farsi strada, schiacciandosi tra i muri e sputando bava acida.
A cui nessuno s'avvici...«Ho trovato!»
«E lui noi!» gridò Areth. Sue urlò quando un furioso fendente le sfiorò il viso. Ripresero a correre, il Ballare alle calcagna. Prima che potessero uscire dal vicolo, Areth mugghiò di dolore. Sue si voltò: sul braccio destro si era aperto un largo squarcio che sputava copioso sangue scuro.
«Ti ha...»
«Dopo! Non fermarti!»
Sue infilò un nuovo vicolo. Lo scelse. Sarebbero sbucati lì dove voleva e il Ballare avrebbe perso altro tempo per passarvi. E così fu. Raggiunsero una piazzetta minuta e chiusa, tutta di ciottoli scuri. Abbandonato a sé stesso, al centro, c'era un pozzo di vecchie rocce marcescenti, che stonava con il resto della città.
Sue deglutì. Se l'accesso all'Antisala non fosse stato nel pozzo, la loro corsa avrebbe potuto dirsi conclusa, in trappola.
«Cosa sarebbe questo?» domandò Areth.
«Il Pozzo degli Indegni» asserì sue «Nessun Privilegiato che onori il Principato starebbe qui.» Non ricordava il perché, ma Hannaline lo ripeteva sempre.
Areth controllò. Meravigliò. «L'hai trovato sul serio.» Toad ci si fiondò.
«Dubitavi?» si pavoneggiò un po'. Forse per far scemare l'angoscia e la paura.
Areth fece spallucce. «Considerando la tua soglia dell'attenzione...»
«Ritiralo immediatamente» minacciò Sue. Non capiva come a tratti potesse irritarla tanto.
«Ok, scusa» sorrise divertito. Si mise a cavalcioni sul pozzo. «Ora, però andiamo prima che...»
Un ruggito squarciò l'aria. Ci fu un tonfo tanto forte che Areth perse l'equilibrio e cadde nell'Antisala. Sue rovinò a terra, batté la testa. Chiuse gli occhi per il dolore e, quando li riaprì, il corpo grinzoso del Ballare le fu addosso. E si pietrificò. Non stare ferma, si ripeteva. Muoviti! Ma i muscoli non le rispondevano.
Una stretta forte alla vita la fece scivolare all'indietro, sino al pozzo. Guardò giù: era un ramo e robusto e Inquy, nelle sue normali fattezze, stringeva il ballare che s'agitava come un forsennato in un folto intreccio d'arbusti, tralicci e rovi. E resisteva. Reggeva il dimenio della creatura azzurra con tenacia. Ogni volta che le lame affilate tranciavano i rovi per cercare di liberarsi, frusciava in maniera straziante.
«Lascialo!» urlò Sue mentre il Ballare tagliava l'emanazione un pezzo dopo l'altro. «Inquy! Lascialo!»
Ma la stretta che Inquy sciolse fu quella su di lei, dopo averla sollevata sul pozzo. Ultima cosa che Sue vide prima d'essere inghiottita alla cortina scura dell'Antisala fu la bestia azzurra calpestare i resti lignei di Inquy, d'un colpo secchi e sparsi tra i cocci.
Cadendo nel vuoto, con il vento gelato a schiaffeggiarle il viso e le lacrime a inzupparle le ciglia, si odiò. Inquy l'aveva aiutata, l'aveva protetta e ora non c'era più. Perché lei non aveva un'Abilità e non sapeva difendersi da sola.
In uno strattone, però, la sua caduta s'arrestò.
«Stai bene?»
Areth l'aveva afferrata con la mano guantata al volo. Anche lui penzolava da un'escrescenza rocciosa della parete. Il braccio grondava di sangue che, alla luce tetra della caverna, parve pece nera. Sotto di loro, c'era solo buio. Il fondo non si scorgeva.
No! Devo andare da Inquy! Non lo disse, Areth non avrebbe capito, non sapeva chi fosse. «Tirami su!» impose ferrigna.
«Credi che sia facile?» sbottò Areth, incollerito e sofferente.
«Devo tornare indietro!»
«Allora ci tieni davvero a morire!»
«Sbrigati!» ordinò, ma nella sua voce ebbe supplica. Pensa a Inquy. Voleva tornare da lui e vederlo ancora lì, intero.
«Fa' qualcosa anche tu, Zivel!» ringhiò irritato.
«Lassù!» strepitò Toad, agitato come non mai, mentre additava una radice sporgente.
«Usala» biascicò Areth. La presa sulla roccia traballò e soffiò di fatica. «Veloce.»
«N-non posso» farfugliò Sue nel panico. Il sangue di Areth scese tra le loro mani. «Devi farlo tu!»
Arteh le rivolse occhiata dardeggiante. Il viso era una maschera di stanchezza. «Sue, cosa ti ci vuole? Fallo!»
«N-non s-sono... capace!» Il guanto di Areth divenne viscido, e la presa scivolosa. Urlò, tentando di aggrapparsi al braccio. «N-non lasciarmi!»
«Tu non muoverti!» mugghiò di dolorante. «Sei una Zivel Flora, Sue! Certo che puoi!»
«No!»
«Sì!»
«No, non sono un'Iskra!» sbottò Sue d'un fiato. Quelle parole le scapparono dalle labbra sull'onda della paura, senza che potesse fermarle. Si rese conto di averle pronunciate solo quando la caverna le amplificò a dismisura, rimbalzando sulle pareti di roccia. E vide lo sguardo di Areth su di lei: sgranato, incredulo.
Lì, il sangue viscoso ebbe la meglio.
Sue perse la presa e precipitò, accompagnata da un fluttuante petalo d'argento.
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