4 - THE 𝐶𝑅𝑈𝐸𝐿 LADY

La Residenza Balthasar era il gioiello della Frazione Domen, a Sud, nella Cerchia Privilegiata.

Aveva stanze accoglienti, giardini che si estendevano a perdita d'occhio e un ammontare indefinito di ricchezze tra dipinti, statue e giare d'inestimabile valore. Aveva ospitato Xavier Aveyard Clare in carne e ossa e privilegiati su privilegiati sgomitavano per passarvi almeno una notte nella loro vita, per provare sulla loro pelle ciò che lo stesso ideatore del principato aveva vissuto.

Tuttavia, per quel mese, gli unici autorizzati ad accedervi erano gli otto membri della Convergenza.

Riuniti in una sala rivestita d'ardesia, ben sette di questi sedevano al grande tavolo con aria torva; l'atmosfera era raggelante. Alcuni erano a capo chino, con occhi chiusi e sopracciglia aggrottate. Altri erano a braccia conserte appiccicate al petto rivestito dall'uniforme bluastra.

Solo uno, l'ottavo, camminava.

«Chi è di voi?»

Parlò la voce piatta di Lord Remus Zachary Le Morphis. Aveva l'aspetto di ogni Wizja: pelle scura quanto l'ossidiana screziata da venature dorate, lineamenti netti, corpo glabro e occhi completamente gialli privi di palpebre.

«Salti a conclusioni affrettate, Remus» protestò rauco Lord Bastien Raptis. Era un uomo sfatto, coi capelli ingrigiti già a cinquantadue anni e un naso adunco.

«Ne conosci altre?» disse Remus accigliato. «Eri lì. Hai visto.»

I passi continuarono, tetri e secchi.

«Ma perché dovrebbe essere tra noi? E perché non tu?» si infervorò Bastien, in un attacco di rabbia improvviso. Nessuno s'agitò. Come capitava a molti Domen che si avvicinavano al temine del periodo da Iskra, la forza bruta dell'Abilità si trasformava in frequenti e repentini sbalzi d'umore.

«Concordo con Bastien» s'unì Lord Anteo Abrahams. A braccia conserte ed espressione dubitante, adocchiò Remus con occhi glaciali. «Non ci sono prove.»

«Ci sono» rimbeccò il Wizja, annuendo col capo calvo. «La Convergenza è un organo itinerante. Solo noi sappiamo la sede delle riunioni e tu sei stato aggredito alla scorsa prima ancora che arrivassimo tutti.»

Le sopracciglia corvine e irsute di Anteo calarono. «Non puoi davvero credere che il colpevole sia uno di noi.»

«Remus non ha torto» tossicchiò Lord Ernest Moreau, Zivel Aeris dalla barba caprina. «Solo noi sappiamo dove ci riuniremo. Dunque, chi se non uno di noi poteva organizzare la tua aggressione?»

«Un altro Wizja?» propose Anteo. «Siete voi quelli che vedono il futuro, siete pericolosi: per qualsiasi strategia di guerra, di governo, di sicurezza. Chi ci dice che non siate stati proprio voi?» fece rivolto a Remus, che s'indispettì.

«Pericolosi... Uomini e donne prima di te, Anteo, hanno pensato in questo modo e hanno quasi portato al nostro sterminio durante il Conflitto. No, i Wizja tra loro sono fratelli. Non uno di loro metterebbe a rischio la mia vita e, per estensione, la vostra. Sono persone pacifiche.»

«Allora una fuga s'informazioni?» ipotizzò ancora Anteo.

I passi rallentarono mentre dal seggio della Casata di Sangue dei Terzi, si sollevava la voce irriverente di Lord Cyrus Terzi, Zivel Ignis, uno dei più giovani della Convergenza, di soli trentasette anni. «Una fuga d'informazioni?» Si lisciava il viso dal mento appuntito, sporcato da un'ombra d'ispida barba bionda. «Lo pensi davvero, Anteo? Ti prego, parla con sincerità.»

«Credo che...»

Anteo non finì perché Cyrus si sganasciò. «Tu credi?» E riservò al collega Krafti un'occhiataccia ambrata e ferina. «Come se a qualcuno, qui, importasse di ciò che credi» sputò animoso. «In fondo, come potremmo? Non sei che... una barzelletta.»

«Cyrus», lo richiamò Remus, «smettila.»

«Vuoi forse negarlo? Da quando Mora...»

Anteo s'indignò. «Cosa c'entra Mora?

Cyrus ridacchiò crudele. «Sei diventato la macchia di te stesso da quando hai Allontanato Mora per quella sgallettata dalle gambe lunghe, Abrahams.»

I passi si arrestarono.

Anteo balzò in piedi, provocando un rumoroso tramestio. «Come osi!»

«Brucia la verità? Povero Anteo. Quanto fa male sapere che il paese intero aspetta solo che tua figlia ti sostituisca? Che ti reputa un viscido bastardo?»

«Silenzio!»

Tuonò cristallina Hannaline Sophia Bertrán e tutti tacquero. Erano cinque minuti buoni che camminava inquieta, oltrepassando la schiena e la nuca di un membro della Convergenza dopo l'altro.

Dall'esterno doveva sembrare un rapace, un avvoltoio pronto a calare in picchiata sulla carcassa da spolpare. In verità, era esasperata. Il viso, per quanto fine, era teso; le sue labbra, di norma rosee e piene, erano ridotte a una riga sottile. Si appoggiò al tavolo, tra Remus ed Ernest.

«Questo è il vostro modo di discutere, colleghi?» riprese, acida. Storse il naso. «Mi fate ribrezzo.»

«Hannaline, ora esageri» rimbeccò Remus.

«Esagero? Io?» Gli scoccò un'occhiataccia che dovette farlo sentire in difetto perché distolse lo sguardo. Si rivolse all'intera assemblea. «Guardatevi, dico io. Guardatevi! Sprecate tempo prezioso a discutere di donne!»

Li osservò, uno per uno: Cyrus si pettinava i ricci biondi con una mano, fingendo indifferenza; Anteo scrollava le spalle larghe, aggiustandosi il colletto dell'uniforme come se fosse d'un tratto costrittivo; Remus scuoteva il capo scuro e calvo; Bastien borbottava sottovoce con le mani appoggiate allo stomaco grasso; Ernest aveva piantato lo sguardo castano sul tavolo e sembrava intenzionato a lasciarlo lì. Ma non escluse gli ultimi due: il conturbante Lord Andrew Lars, Zivel Ghisa, ancora a braccia conserte, e la distinta Lady Portia Haines, Zivel Aqua, che assisteva con schiena ritta e mani congiunte in grembo.

E continuò: «Dov'è finita la vostra devozione al nostro ruolo? Al Principato? Ditemelo! Perché sotto i miei occhi ho solo uomini le cui convinzioni mi sembrano assai discutibili!»

«Sai che non è così.»

A pronunciarsi era stato Andrew Lars, con voce salda e calda. Era forse il migliore tra loro: virtuoso, onesto, dall'ingegno fine. Di norma, Hannaline apprezzava i suoi interventi, che solevano essere ponderati quanto efficaci, ma a quello attribuì il retrogusto della menzogna.

«No? Ora come ora, per quel che mi riguarda l'unico che gode della mia fiducia è Remus. E, personalmente, concordo con lui: solo uno tra noi poteva conoscere la sede della riunione e organizzare un attacco ad Anteo» dichiarò Hannaline. Il Wizja chinò il capo in un cenno di ringraziamento mentre fiorì un chiacchiericcio di dissenso. «Non mentite a voi stessi. Ha dimostrato decine di volte la sua lealtà al Principe.»

«Hannaline ha ragione» convenne Bastien. «La Convergenza ha la priorità. Anteo ha subito un'aggressione. Tra gli Asserviti anarchici e quei mostri dei Necromant che causano disordini nello Snodo, non c'è tempo da perdere in simili sciocchezze.»

«Ho pranzato col Principe Valentine, quest'oggi» intervenne Portia. Si pronunciò a dita nodose intrecciate e voce incrinata da un raschio fastidioso. Come soleva, portava al collo un monile zaffirino grande quanto il palmo d'un uomo e sfoggiava un'acconciatura gonfia che la invecchiava. Come per Bastien, a cinquantun anni, il suo tempo come Iskra era agli sgoccioli.

«E?» s'intromise Cyrus, labbra curvate in un ghigno. «Avete scoperto quale salsa s'abbina meglio con lo storione? Sublime.»

«Taci, Cyrus» ringhiò Anteo. «Stiamo parlando del principe. È grazie a commenti come questi se alcuni mettono in discussione la tua posizione.»

«Alcuni? Se vuoi accusarmi, fallo! Codardo!» s'infuocò Cyrus.

«Non ho detto questo.»

«Tu...»

Hannaline zittì il litigio con un gesto repentino e diede parola a Portia: «Qual è il pensiero del Principe Valentine?»

La donna si schiarì la voce sgraziata, si umettò le labbra con la linguetta troppo rossa e, solo allora, parlò: «È preoccupato, ma confida in noi, sia per quanto riguarda gli Iskra Necromant della Cerchia Secondaria sia per l'aggressione di Anteo. Riporto le sue testuali parole quando dico che brucerebbe la sua mano e rinuncerebbe alla sua Abilità, piuttosto che perdere la Convergenza.» E, scoccando un'occhiata severa d'un blu fosco, si rivolse a Hannaline. «La tua dedizione è ammirevole, ma non abbiamo la certezza che il colpevole sia in questa sala.»

Hannaline contenne una smorfia di stizza e tacque. Raggiunse il suo seggio, ma non si sedé. L'idea di condividere il tavolo con un traditore le dava la nausea.

«Ebbene, cosa proponete?» chiese. «Siamo la spina dorsale di Hemera, non possiamo permetterci dubbi simili.»

Il flebile schioccò dell'abituale ruminare di Bastien invase la stanza. Era un rimestare umidiccio di saliva e rigonfiamento delle guance che Hannaline considerava disgustoso. Ma presto finì perché la sentenza venne proclamata proprio da lui:

«Due settimane. Cercheremo per altre due settimane. Poi prenderemo provvedimenti.»

«Sì, ma quali?» evidenziò Anteo.

«Perché non proponi tu, Abrahams?» sputò con astio Cyrus. Le sua domanda scatenò una nuova lite. Le voci urlarono, si sovrapposero in una matassa di toni fuori controllo, ringhi indignati e denti snudati.

Hannaline non si unì. Odiava quel genere di scenette. Ignorò il caos e si chiuse nei suoi pensieri. Necessitavano una soluzione rapida, incontestabile. La posta in gioco era troppo alta per ardire mosse azzardate. Meditabonda, si resse allo schienale del suo stesso seggio. Gli errori non erano contemplati. Non per lei. E ripose alla domanda di Anteo. Il tono fu lapidario, ma nel trambusto svanì.

Portia, accanto a lei, dovette sentirla perché sollevò una mano e impose silenzio. Quando la guardò fu terrea, le rughe sul suo viso sembrarono solchi scurissimi. «Puoi ripetere?»

E Hannaline lo fece, conscia di ciò che avrebbe provocato: «Il Giudizio di Sangue».

All'istante, prima che potesse concludere, si levò un comune dissenso. Ci fu chi assestò un no deciso, chi brontolò sommessamente, chi urlò alla follia e chi rievocò gli eventi ingiuriosi. Di quest'ultimi la voce della Lady Haines fu una delle più potenti.

Solo Remus s'astenne, ma scoccò a Hannaline un un'occhiataccia ammonitrice che lei ignorò. Era convinta della sua idea e, nel momento in cui tornò il silenzio grazie a Bastien, continuò: «Sì, il Giudizio di Sangue ha mietuto molte vittime, è vero, ma è il mezzo più rapido. Nessuno può mentirgli. Se il colpevole non siede a questo tavolo, allora nessuno di noi ha alcunché da temere. O sbaglio?».

«Sono ottantott'anni che non viene usato e metteremmo a rischio la Convergenza» puntualizzò Andrew. Gli occhi, due pozzi neri in contrasto con la carnagione ambrata, mal celavano una forte apprensione.

«Abbiamo tutti dei successori, non corre rischi» obbiettò Hannaline mentre Bastien annuiva in accordo.

«Forse l'istituzione in sé, ma noi?» sbottò Cyrus, irrequieto. «Vuoi ucciderci tutti?»

«Hai qualcosa da nascondere?» lo incalzò e questo grugnì. «Vattene, se lo desideri, ma sarebbe pari a un'ammissione di colpa.»

Cyrus emise un versaccio, ma non controbatté.
I presenti si scambiarono sguardi indugianti e fu Bastien a prendere la situazione in mano.

«Sia. Due settimane, poi ci appelleremo al Giudizio di Sangue» disse. E li guardò uno per uno.  «Consiglio a tutti voi di approfittare di queste settimane per pulirvi la coscienza.»

᯽᯽᯽

Poco più tardi, l'Asservita SA9781 aiutava Hannaline a vestire la nuova uniforme, di un blu intenso e con spallette ornate da nappe dorate, appena giunta.

Al contrario di Portia Haines che preferiva la classica tenuta femminile, Hannaline prediligeva quella maschile: odiava il peso della gonna, il sibilo che produceva nello strusciarsi contro il pavimento. Così come i tacchi; gli stivali erano meno chiassosi e più comodi. Perché lei non aveva bisogno di intoppi superflui, doveva muoversi veloce quanto i suoi doveri.

Mentre l'Asservita l'assisteva, si guardò nello specchio. Forse andava troppo veloce. Le occhiaie livide spiccavano sull'incarnato scolorito e la chioma bruna, chiusa nella sua solita treccia, aveva perso lucentezza. Non le piaceva quell'immagine di sé, ma non poteva fermarsi. Non voleva.

«Lady.»

La voce rotta della domestica di nero vestita l'attirò.

Spostò lo sguardo su di lei, sempre attraverso lo specchio. Il viso incartapecorito le dava il voltastomaco. «Cosa vuoi?» chiese asciutta.

«Non... vorrei essere... indiscreta»

«Allora, taci» ammonì Hannaline aspra.

L'Asservita s'azzittì. L'assisté nell'indossare la giacca bluastra con la mani ruvide. Ma quando ebbe terminato di sistemarle le maniche bordate da un cordone a treccia dorato, s'arrischiò: «Lady, voi siete deperita. Ho dovuto stringere la vostra divisa due volte questo mese. Mangiate poco.» Poi, indugiante, soggiunse: «Non vi fa bene. Dovreste pensare alla vostra salute, riguardarvi».

Rimirandosi nello specchio, Hannaline non poté contraddire le parole della domestica. Era dimagrita: le gambe si erano assottigliate tanto che i pantaloni avrebbero potuto calzarla due volte, l'addome era fine, il petto era minuto e con l'ombra delle costole troppo presente, le braccia erano esili e il viso era scavato lungo le guance e sulle tempie, affibbiandole un'espressione ancor più severa di quella che già le apparteneva.

Chi ha tempo per mangiare, si raccontò. Era una scusa futile, ma utile per scansare domande indiscrete. Riservò all'Asservita un tono crudele, tagliente quanto una lama. «Ho un vuoto di memoria. Ricordami qual è il tuo lavoro.»

L'anziana mormorò, impaurita.

«Non ho sentito.»

«Servirvi, Lady Bertrán» ripeté con un tono in più.

Con la lunga treccia schioccante quanto una frusta, Hannaline si voltò e la colpì con un'occhiata dardeggiante. «E dimmi, lo sapevi anche due minuti fa?» Fu una domanda retorica, ma esigé vedere l'Asservita riassumere il posto che le apparteneva: assoggettata, obbediente e strisciante ai suoi piedi. Quindi, lapidaria, intimò: «Rispondi».

La vecchia deglutì. «S-sì, Lady.»

«Non balbettare, è odioso. Ripeti.»

«Sì, Lady, lo sapevo.»

«Allora saprai anche che i tuoi pareri valgono quanto la feccia di paesino dal quale provieni», quasi ringhiò, «Puoi tenerli per te. O per gli insulsi salottini di voi zotici.»

Poiché bussarono alla porta, SA9781 non poté rispondere. Fissò il pavimento pregiato e aprì immantinente la porta quando la sua Lady glielo ebbe ordinato.

Dalla soglia, fece capolino il viso scuro di Lord Remus Le Morphis, impassibile.

«Remus.» salutò Hannaline. «Da quanto sei lì?»

«Qualche... minuto.» Dondolò lo sguardo tra le due donne. «Posso parlarti?»

In un sorriso tirato, Hannaline acconsentì. «Arrivo tra un secondo.» Attese che il suo collega si accomiatasse e tornò a rivolgersi alla vecchia domestica. Le disse solo due parole, algida, poi uscì.

Raggiunse Remus e, avvolti da un tepore corroborante, presero a camminare per i corridoi dai soffitti alti e la carta da parati scura. Erano spalla a spalla e Han odiava come lui la superasse in altezza di ben due spanne. Non sopportava essere guardata dall'alto in basso, persino da un amico.

Fu lui a prendere parola per primo, voce piatta. «L'hai licenziata.» Non era una domanda, perciò Hannaline non ripose. Aspettò che continuasse. «Si stava preoccupando per te. Non sono molti gli Asserviti che lo fanno.»

Sulle labbra di Hannaline si formò un sorrisetto sghembo e sviò. «Hai detto che volevi parlarmi.»

Remus non insisté. «Non m'importa ciò che ha deliberato Bastien. Non sono d'accordo», disse e la guardò in tralice. «Sei certa di ciò che hai proposto?»

«Perché non dovrei?» fece risoluta, a mento alto. «Mi ci sottoporrei seduta stante.»

«Non scherzare, Hannaline.»

«Mi conosci, Remus. Io non scherzo.» L'espressione era rigida, seria; la voce lapidaria. «Sono anni che svolgo questo ruolo. Sai quanto ci tengo.  Dovrei starmene seduta ad ascoltare i litigi di due uomini i cui pensieri sono stati partoriti evidentemente da neuroni pigri? Che giochino pure a chi ha le spalle più larghe. Io lavoro.»

Il Wizja trasse un sospiro greve, forse fin troppo. «Il Giudizio di Sangue è pericoloso. Se...»

Hannaline si bloccò sul posto, stizzita, e il collega a fece lo stesso. Non perché l'avesse trattenuto, bensì per inerzia. «Il mio matrimonio è alle porte, Remus.» Per un istante, il viso di Bruce le apparì davanti agli occhi. «Credi che metterei a rischio tutto ciò a cui tengo, se non fossi sincera?»

«So che lo sei.»

Ripresero a camminare: i passi rimbombanti si copiavano, nel ritmo quanto nella lunghezza, malgrado la falcata più ampia dell'uomo. Era un'abitudine del collega: rallentava perché potessero procedere assieme, fianco a fianco. Per Hannaline era svilente, la detestava: lei dettava il passo, lei comandava. Ma glielo permetteva, per amicizia.

«Tuttavia, non metterei la mano sul fuoco per Cyrus» riprese pensoso il Wizja. Hannaline si disse concorde. Allorché, Remus domandò: «Pensi che possa essere lui?»

Lei scosse il capo. La treccia ondeggiò. «Sarebbe troppo lavoro per lui.»

«E Anteo?» ipotizzò lui.

«Era la vittima.»

«Vittima illesa» specificò Remus. «Se avesse architettato una messa in scena per convincerci della sua innocenza?»

Hannaline rifletté. Dal suo ingresso nella Convergenza, con Anteo gli screzi non erano mancati. Avevano visioni opposte: Hannaline mal sopportava l'indecisione di Anteo; Anteo odiava il piglio pungente di Han. E avrebbe peccato d'ipocrisia nel dichiarare che l'ipotesi del Wizja fosse una teoria priva di senso. I presupposti c'erano, i mezzi e le conoscenze anche. Ma poteva essere?

La risposta le sorse indubbia. «Remus, Anteo è un uomo...» 

«Semplice?»

«Piatto» sibilò.

«Piatto?» fece eco il Wizja.

«Banale, scialbo, mediocre, scegli tu.» E, velenosa ma sincera, aggiunse: «Ha troppo poco spessore e ingegno per macchinare una simile farsa».

Remus peccò di un mezzo sorriso. E propose ancora: «Che mi dici di Lars?»

«Andrew non è un cospiratore.»

Di questo, Hannaline era certa. Lord Andrew Dominic Lars aveva quasi il doppio dei suoi anni ed era l'uomo migliore che avesse mai avuto il piacere di conoscere, addirittura più di Bruce, il suo fidanzato. Era decisamente piacevole, sia di carattere che d'aspetto. L'unica pecca che gli attribuiva era la sua simpatia per gli Asserviti; non poneva distinzioni, se non in pubblico per obbligo sociale. Oltre a Remus, era l'unico a cui poteva dirsi affezionata.

«Ma la sua famiglia è una delle più influenti e larghe tra le Casate di Sangue», insisté Remus, «forse l'unica a poter ambire a rovesciare il Principato.»

«Impossibile», ribadì Hannaline, «è tanto onesto che, se mai dovesse, si costituirebbe.»

«Quindi, che sospetti hai?»

Hannaline adocchiò il collega in tralice. «A dire il vero, le tue domande sono sospette.»

Remus corrugò la fronte scura e ora fu lui a fermarsi, basito. Le sue parole riecheggiarono amare e ferite. «Cerco di aiutarti. Siamo dalla stessa parte.»

Hannaline non ci badò. Si arrestò un passo più tardi, in piena calma. E si voltò, con espressione di superiorità sussiegosa. «Come lo so? Come so che non sei stato tu? Con Anteo, per esempio, hai vissuto i miei medesimi scorni. Come so che non stai tentando di manipolarmi e di far ricadere la colpa su di lui?»

«Credi che possa esserne capace?»

«Hai di certo più spessore e ingegno di lui.»

«Ti ringrazio» sorrise Remus.

«Non farlo. Ti sto accusando» tacciò Hannaline, inflessibile. Una piccola parte di sé si ribellò alle sue stesse insinuazioni, ma la represse.

«Non puoi» constatò serio. Nella voce ebbe la sincerità che lei conosceva. «Ma ci siamo sempre creduti, noi due, Line.»

Era vero. Era sempre stato così. Alla termine di un lungo silenzio, decise di credergli. Incrociò le bracci al petto e fu diretta. «Non pensare che la mia sia una decisione maturata con leggerezza. Non vorrei ricorrere a questo metodo, Remus. So bene quanto il Giudizio di Sangue sia rischioso. Ma se in due settimane non dovessimo trovare il responsabile di questi attentati, sarebbe l'unica soluzione. Dobbiamo privilegiare la rapidità.»

«Sei certa che non ci stiamo preoccupando senza ragione?», obbiettò Remus, «Il Principato vige da duecentotrentasei anni, ha sempre resistito. Gli anarchici, Asserviti e Necromant, esistono dalla sua nascita, Line. Non scompariranno ora, per quanto sia tenace la tua caccia.»

«Ma mai sono arrivati a tanto, così vicini.»

«I cittadini non lo sanno.»

«Solo perché siamo stati fortunati, perché siamo riusciti a insabbiare l'accaduto. Ma la prossima volta? Non possiamo permetterci un traditore nella Convergenza e il Principato non può mostrarsi debole.»

«E non lo sarà.»

In quella risposta, Hannaline scorse un barlume di speranza. Per la prima volta ebbe la voce macchiata da un remoto retrogusto supplice. «Remus, dimmi che sai qualcosa. Se tu vedessi chi è il responsabile...»

«Credi che non ci provi ogni giorno?» prevaricò lui ruvido. La richiesta doveva averlo infastidito. «Non è così semplice richiamare una visione a comando, per di più su un argomento specifico. È spossante e il futuro non è sempre lineare quanto il passato.»

A Hannaline il tono del Wizja non piacque e s'innervosì di rimando. Gli riservò un'occhiata di stizza quanto furono asciutte le sue parole. «Sai, Remus, nella Convergenza rivestiamo tutti un ruolo: Andrew è onesto; Cyrus è ardito; Ernest è imparziale; Bastien è saggio; Anteo è ponderato; Portia è intuitiva. Tu, come i tuoi avi, dovresti essere quello utile. Proprio ora, ti dimostri insignificante?»

«Line.» Era basito. «Ora mi disprezzi?»

«Se per difendere il Principato dovrò disprezzarti, allora così sia» dichiarò perentoria. S'impettì e indurì la mascella. «Ma non deve importarti ciò che penso. Dovresti impegnarti, per il nostro ruolo, per Hemera. Dunque, decidi: sei con me o contro di me?»

«Con te» ribatté Remus, repentino.

E ciò che fece in seguito la stupì: s'azzardò e, cauto, protese la mano scura e sovrastata da astrusi tratti dorati verso la sua, affusolata. La sfiorò con un tocco lieve, con la punta delle dita.

Poi, la prese, carezzandole teneramente la pelle soffice con il pollice morbido. Fu una stretta dolce, pacata e calda, accompagnata dallo sguardo dorato, brillante d'una passione mal frenata, fisso in quello di Hannaline, verde e sgranato.
«Con te, Line» ripeté, con trasporto. «Sino alla fine.»

Immobile, Hannaline fu spiazzata. Per un lungo attimo, di fronte a Remus e una mano stretta nella sua, tacque. Conosceva ciò che il suo collega provava per lei, lo sapeva fin troppo bene. Per questo si ritrasse brusca.

«Allora, mettiamoci al lavoro» imperò, glaciale. «Voglio la testa del traditore sulla mia scrivania. Non mi importa chi o cosa si sporcherà di sangue.» E s'incamminò in uno schiocco di treccia.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top