25 - ANATOMY OF A 𝑃𝑂𝑅𝑇𝑅𝐴𝐼𝑇 (p.2/2)
La sala del Consiglio era una salone arioso, con un gran tavolo betulla lucido al centro e, di giorno, inondato di luce. Era un luogo che la Convergenza usava di frequente per le loro riunioni e che per Hannaline significava pace, sicurezza, rigore. E, dopo la morte di Bastien e l'arrivo di Emile, non era felice di vedere gli eventi riproporsi e presentarsi come un nuovo estraneo nei suoi spazi.
Ma doveva.
Quando entrò, Joshua Nathaniel Lars si voltò.
L'aveva incontrato in poche occasioni, per le feste organizzate dalla famiglia o eventi pubbliche, da ragazzino, forse appena dodicenne: bassetto, magrolino e con una perenne smorfia di supponenza impressa in viso. Ora, a colpo d'occhio, avrebbe potuto dire che fosse la copia sputata di Andrew. Ma non lo era. C'era qualcosa che stonava rispetto all'immagine dell'amico.
Lo squadrò da capo a piedi e non le piacque. «Seduto» ordinò nel momento in cui il ragazzo aprì bocca per presentarsi.
Lui obbedì, accomodandosi al grande tavolo.
«So chi sei» continuò e lo imitò. Il corpo stanco la ringraziò. «Evitiamo presentazioni superflue.»
«Mi ha fatto chiamare?» chiese Josh.
Hannaline si corrucciò. «A quanto diceva tuo zio, saresti pronto per la Convergenza. Ma dato che esordisci con una domanda tanto stupida, devo supporre che tu non lo sia.»
Lui fece per parlare, ma lo interruppe sul nascere.
«Silenzio.» Lo fulminò. «Non mi interessa. Qui, taci e ascolti. Primo: non so per quale malsana idea, ma Andrew ha voluto che fossi io la tua referente nella Convergenza, quindi per un intero anno, a partire da ora, tu non esisti. Diventerai la mia ombra: andrai dove ti indicherò io, farai ciò che ti dirò io e parlerai solo se ti interpellerò io. Se sento una sola lamentela uscirti di bocca, ti taglio la lingua.»
E continuò, ferrea: «Secondo: non avresti l'età per entrare a far parte della Convergenza. Ti manca un anno. Ma dato che tuo zio è stato irremovibile e che seguirai alla lettera il punto uno, questa possiamo considerala un'eccezione, come lo fu per me. Concluderai l'Accademia come la frequentai io: farai la spola quando ce ne sarà bisogno. È facile, ma nel caso per te non lo fosse, trovi il modo perché lo diventi. Terzo, da questo momento non sei più un ragazzino, sei un parte di un'istituzione. La rappresenti. Disonorala e t'assicuro che non basterà un Allontanamento per salvarti dalle conseguenze. Domande? Che non siano stupide.»
Josh, che era rimasto immobile e composto, si protese in avanti con un movimento appena percettibile, occhi scuri affilati come lame. E parlò, lento. «Se è tanto brava quanto dice e dicono, come fa a non accorgersi che il suo fidanzato è un traditore?» Il viso di Hannaline divenne una maschera di ghiaccio e lui sfoderò un ghignò tagliente. «Che maleducato. L'ho turbata?»
«Le insinuazioni ti divertono?» soffiò a denti stretti.
«Tanto quanto a lei diverte provare a spaventarmi, cosa che, per inciso, non le sta riuscendo.» Le labbra gli si tesero in un'aria di sfida. «Se crede d'avere a che fare con uno smidollato come Emile Raptis o di potermi sottovalutare solo per la mia età, si sbaglia.»
Hannaline lo squadrò una seconda volta, per qualche istante, in silenzio. Lì, colse la nota stonata che distingueva il nipote dallo zio. Andrew era sempre stato la mosca bianca della sua casata e se avesse dovuto associarlo a un animale, avrebbe scelto senza ombra di dubbio un cane: affidabile, forte, leale, collaborativo e dolce. Era un uomo che non avrebbe torto un capello al primo dei suoi nemici, che avrebbe aiutato chiunque per pura gentilezza.
Suo nipote, no. Malgrado condividessero una somiglianza a dir poco inverosimile, fissandolo, l'unico animale che le venne in mente fu quello dei Lars: la pantera. Affasciante, elegante e agile quanto potente, territoriale e potenzialmente letale. Joshua non le dava l'impressione di chi sapeva lavorare in un gruppo, bensì dell'individualista che tendeva per l'egocentrismo. In viso non aveva la calma rilassata e bonaria di Andrew, ma una più attenta, sottile e tratti superba. La sua postura era più rigida e composta e gli occhi cupi trasudavano saccenza.
«Lo vedremo» disse infine. Si alzò. «Inizia con il ripresentarti qui alle quattro esatte. Puntuale.»
Josh la seguì a ruota, confuso. «Tutto qui? Ha chiesto di vedermi a quest'ora solo per dirmi questo?»
«Volevo farmi un'idea su di te, senza sprecare ulteriore tempo in mattinata» rispose stringata. «Ora ce l'ho e puoi andare.»
«Che idea?»
Non gli rispose. «Fuori.»
D'un tratto, la porta della sala s'aprì e con sua sorpresa, fece capolino il viso apprensivo di Bruce. Appena la vide, sorrise. «Hannaline.» Subito procedé per raggiungerla, a passo svelto.
«Se fossi in lei, ascolterei le mie insinuazioni» disse il ragazzo a voce bassa, perché solo lei potesse udirlo.
A Han non piacque lo sguardo che lanciò a Bruce: accusante, superiore, quello di un felino davanti alla preda. «Fuori» ribadì tombale. Ma prima che potesse muovere un passo, gli strinse al polso un intreccio di rovi. In uno stridio anomalo, le spine si scontrarono con la sua pelle, che si era ricoperta in un lampo con uno strato argentato.
«Quarto, Lars» aggiunse, inviperita. «Tocca con un dito mia sorella e non perderai solo la lingua. Intesi?»
«Come non potremmo.» E si congedò appena fu libero. Uscendo, non rivolse una seconda occhiata a Bruce, neanche quando l'ebbe a fianco.
«Tesoro, cosa fai qui? Ho girato mezza Reggia per trovarti» disse angosciato, una volta soli. Le prese le mani e le baciò le dita, strette tra le sue. «Dovresti essere a riposare.»
«Sto bene.»
«Cosa dice il medico?» Le fece sedere e lui si impossessò della sedia usata dal ragazzo in un tramestio. «Hai mangiato?»
«Che sto bene, Bruce.» ripeté. «E ho mangiato.» Erano bugie. Non aveva fatto una sola di quelle due cose. Dall'occhiata che le scoccò Bruce, doveva essersene accorto. Così cambiò discorso. «Sei arrivato in fretta. Ti è stato permesso di soggiornare qui?»
Lui scosse il capo. «Avrei voluto per starti vicino, ma no.»
«Perché?»
Scosse le spalle. «Non lo so. Forse per l'uscita di Susy.»
«Susanne?» Le labbra di Hannaline s'arricciarono, ma non era stupita. Sapeva che sua sorella non era una patita di Bruce. «Cos'ha combinato stavolta?»
«Niente», farfugliò, «mi ha urlato addosso.»
Allibì. «Cosa?»
«Tesoro, non agitarti. Non ha importanza. Sono certo che non l'ha fatto di proposito.»
Fu sul punto d'alzarsi, infilare la porta e dirigersi dalla sorella, quando un dubbio l'assalì. Susanne non si era mai comportata così con Bruce: lo evitava, lo ignorava, storceva il naso davanti ai suoi maglioni e al fumo dei suoi sigari o lo criticava sottovoce. Ma non alzava la voce. Quindi, chiese: «Per quale motivo avrebbe dovuto urlarti addosso?»
«Sarà stata sconvolta.» borbottò vago. Le posava le labbra sulla mano in continuazione, come per assicurarsi che fosse calda. Il velo di barba ispida le solleticava la pelle. «Povera ragazza. Chissà cosa le è passato per le testa quando ti ha visto in quelle condizioni. Io ero lì con te e deve essersi sfogata sulla prima persona che le è capitata. Non arrabbiarti. Era preoccupata, come tutti. E non ce l'ho con lei. Anzi, posso capirla.» Le sfiorò il viso in una carezza tenera. Gli occhi azzurri indugiarono sulla cicatrice bianca sulla guancia. «Ti amiamo entrambi.»
Hannaline lo fissò. Per la prima volta da quando l'aveva conosciuto in Accademia, non seppe credergli. Non voleva dar credito alle insinuazioni del nipote di Andrew. Eppure, c'era qualcosa che la disturbava, incongruenza, un'incertezza che le serpeggiava velenosa tra le viscere. Avrebbe fatto qualsiasi cosa perché sparisse. Crederlo un traditore le mozzava il respiro più della peggiore delle ferite. Avrebbe significato che l'uomo che amava, e che diceva di amarla, aveva voltato le spalle Principato, e dunque anche lei.
Agì d'istinto, per spazzar via ogni dubbio. «Allora sposami», disse di getto, «entro la settimana.»
Dovette coglierlo alla sprovvista, perché Bruce strabuzzò gli occhi e la guardò come se fosse pazza. «Hannaline, abbiamo già programmato tutto per il mese prossimo. Che senso avrebbe anticiparlo?»
«Il principe ha posticipato il Giudizio di Sangue di una settimana» lo informò e lui sembrò impiegare qualche istante per assimilare la notizia. «Voglio sposarmi prima ed essere tua moglie quando accadrà. A te non cambia alcunché.»
Invece sì, e lo sapeva meglio di chiunque altro.
In viso gli s'aprì un riso nervoso. «Non mi pare una buona idea. Se tu morissi al Giudizio, io verrei Allontanato. Non... potrei tornare» tartagliò. Ammutolì, per poi dire: «Susy rimarrebbe sola, tesoro».
«Solo se morissi.» Lo fissò con occhi indagatori, sperando di sentire quell'incertezza che le scavava il petto scemare, che rispondesse come lei desiderava. «O hai qualcosa d'urgente da fare da qui a un mese di cui non vuoi rendermi partecipe?»
Come se fosse gelato da capo a piedi, Bruce rimase immobile, alla stregua di una statua, per il tempo di un battito di ciglia. Poi le prese il viso tra le mani, la baciò e affermò: «No. Non c'è cosa che desideri di più di sposarti».
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Nella sua stanza, Sue era agitata. Andava avanti e indietro da minuti, a piedi scalzi. Quando si sedeva, le gambe la riportavano in piedi come se fossero due molle. Sua sorella si era svegliata e piuttosto che vederla, chiedere di lei, impartiva ordini e la rifiutava. Perché? Era un'ingrata. In fondo, l'idea che l'aveva aiutata era stata sua. Le aveva salvato la vita. Poteva davvero odiarla tanto da non concederle un misero grazie?
Ogni due per tre si sistemava la vestaglia e la sua cintura sopra la camicia da notte. Si era tolta l'abito verde da sola, dato che, quando era rientrata, aveva trovato Michela addormentata seduta sul divano, col mento calato sul petto, e non aveva voluto svegliarla. Di tanto in tanto, il respiro diventava pesante e russava come un trattore.
Anche Inquy si era ripresentato, all'improvviso, quasi più turbato di lei. Tutto chino, con le braccia erbacee contratte e i muschi e le foglie che s'agitavano a destra e a manca. Aveva provato a parlarci, ma l'Emanazione le aveva soffiato un gran fruscio gelido nelle orecchie e si era dileguato dalla sua vista, come negli anni di severo e invisibile controllo. Doveva sapere cosa stava succedendo.
Bussarono alla porta mentre passeggiava a velocità frenetica con un'unghia intrappolata tra i denti. Si fiondò ad aprire.
«Come sta?» scattò in un sussurro quando vide Josh, impeccabile nell'uniforme della Convergenza. Lo tirò in camera per un braccio. «Sta bene?»
«È...»
«Parla piano» mormorò e gli indicò Michela. «Dorme.»
Lui rivolse un'occhiataccia alla donna, ma Sue fu più veloce. Non aveva intenzione di riaprire l'argomento di quel pomeriggio e litigare ancora. Così lo portò lontano. Salì sul letto, in ginocchio. «Allora? Bene? Male? Devo preparare il mio testamento?»
Gli strappò una risata. «Sembra bene.» Prima di sedersi al suo fianco, si tolse la giacca. «La tua pazza idea ha funzionato.»
Gli afferrò una mano e giocherellò con la manica della sua maglia, sfiorando il polso liscio. «E cosa voleva da te?»
Josh raccontò, rapido e conciso. Sue non lo interruppe. Parlò solo quando ebbe concluso:
«Come ti è sembrata?»
Le sorrise. «Identica a tante altre persone che lavorano ai vertici del Principato, quindi non molto simpatica. Di certo, è sicura di sé, il che è positivo di solito.»
«Positivo, sì.» farfugliò. «Quel che non capisco è perché dovrebbe essere lei la tua referente» disse, storcendo il naso. Per quanto stupido, l'idea che Josh dovesse stare agli umori di Han le rigirava lo stomaco. L'immagine di loro due sempre assieme la infastidiva ancora di più. «Perché non Remus?»
«Sarebbe da chiedere a mio zio» sospirò Josh, greve. «L'ha deciso lui.»
Sue indugiò sul suo viso. Nelle ombre bluastre, aveva la stessa espressione che gli aveva visto durante il Ritorno, poco prima che il corpo di Andrew svanisse per sempre. «In che rapporti eravate tu e tuo zio?»
«Complicati» disse, gli occhi erano sulle loro mani. «Lui ha sempre voluto che il seggio andasse a me e io gli ho sempre risposto di star fuori dalla mia vita e di non controllarla. E non sono mai stato il più dolce dei nipoti.»
«Cosa vuoi dire?»
«Sono sempre stato così arrabbiato con lui, detto cattiverie.» La voce, già bassa, assunse una vena di colpevolezza. «Negli anni, gli ho fatto pesare che non avesse figli o che il suo compagno fosse un Asservito nella speranza che mi lasciasse in pace e chiedesse a mio fratello, che ha sempre avuto molto più interesse di me, ma, per quanto mi sforzassi, non ha mai funzionato.»
«Tu fratello è uno Zivel Ghisa?» chiese Sue. Lui annuì. «Allora perché voleva te?»
«In famiglie grandi quanto la mia si è abituati a scegliere chi sarà l'erede al seggio da piccolissimi, Susanne. Ian, a detta sua, non era adatto. Quando mia madre rimase incita di me, avevano già deciso. Mi ha cresciuto perché sapessi come affrontarlo e mio zio ci ha messo il suo.»
«E non te l'hanno chiesto.» La sua non fu una domanda, ma Josh rispose. Lo fece con l'accenno di un sorriso e la stessa disillusione negli occhi del loro primo incontro. «Perché non scriviamo noi il nostro futuro.»
Pensò a sé, a lui, a Iris, persino a Han. Tutti in un modo o nell'altro, che fossero felici o meno, si erano ritrovati con la strada già scritta. Lei e Josh sarebbero stati costretti in un ruolo che non volevano. Iris si era vista sottrarre il sogno dai pregiudizi per il ragazzo che amava. Han, quasi si odiò nel comprenderlo solo in quel momento, era stata obbligata ad assumersi il peso del seggio fin troppo presto, dopo la morte della loro madre. Nessuno di loro aveva davvero potuto decidere.
«Sceglierlo non rientra tra i privilegi delle Casate di Sangue» disse Josh, intrecciando le dita con le sue. Distolse lo sguardo da lei, con le lunghe ciglia che gli adombravano gli occhi, e per un lungo momento tacque. Sulle labbra ebbe solo un sospiro. Poi continuò, assorto: «Ma gli volevo bene ed era una brava persona. Gli devo molto, in realtà. Nella sua perseveranza, mi è stato vicino. Ascoltava ogni mio problema, ma non lo risolveva mai. Voleva che imparassi a farlo da me. Mi ha insegnato molto sulla mia Abilità, a relazionarmi con la società, a sorridere quando non voglio. Mi ha sempre protetto.» La voce si tinse con un dolore che non trasparì sul suo viso. «Era un uomo buono che non meritava di morire.»
Sue gli strinse la mano. «Josh...»
Lui non la guardò. Controllò l'ora. Era l'una di notte. «È tardi, è meglio che vada.» Abbandonò il letto. «Tua sorella vuole che sia da lei tra tre ore.»
«Aspetta.» S'alzò sulle ginocchia e lo tirò a sé prima che lui potesse allontanarsi ulteriormente. Erano così vicino che Sue sentiva il suo respiro caldo sulla pelle. «Resta» pregò, flebile, a occhi bassi. «Camera tua è un disastro e io...»
«Susanne» la bloccò.
Fissò le loro mani. «Sì?»
«Non ti serve una scusa per convincermi a rimanere.» In una carezza sulle guance che le provocò una scarica di scintille in tutto il corpo, Josh le sollevò il viso. «Basti tu.»
Si perse nei suoi occhi scuri. «Resta» ripeté.
Non avrebbe saputo dire chi dei due cancellò la distanza. Le loro labbra si unirono con naturalezza, come due calamite che trovavano il polo opposto, desiderose le une delle altre. Nel momento in cui sì mossero in una pressione più intensa, furono rapite in un bacio diverso dai precedenti: più quieto, dolce, complice. Sue ingabbiò la frenesia soverchiante che si impossessava di lei ogni volta che Josh la toccava, perché volle cogliere tutto. La sua pelle liscia, la linea del suo collo, la morbidezza dei suoi capelli, la dolcezza delle sue labbra e del suo profumo, il petto solido che si alzava al ritmo del suo respiro.
Colse a malapena della vestaglia che scivolava da lei, lasciandole braccia e spalle scoperte. Josh le baciava l'angolo delle labbra, la curva del viso, la gola; le sue mani le arricciavano e sollevavano la camicia da notte sopra alle cosce. Ogni suo bacio era bollente, ogni suo tocco una bruciatura indolore dolcissima che le dava alla testa. Non s'accorse di quando anche lui salì sul letto con lei o di come si ritrovò con la schiena sul materasso, con il corpo di Josh contro il suo e le mani sotto la sua maglia. Sentì i muscoli definiti del suo addome contrarsi sui palmi. Si chiese se avesse le dita fredde o se, per lui, fosse goffa. Perché Josh era il contrario: sulle cosce, la sua presa era salda, sicura, capace di trattenerla a sé e di scatenarle la brama di baciarlo sempre più forte.
Un rumoroso sbuffo di Michela la colpì con l'intensità di un terremoto. La riportò coi piedi per terra. Sgusciò via, repentina, e controllò. La donna dormiva. Poi adocchiò se stessa, rossa di baci e imbarazzo, e si aggiustò la camicia da notte. «Scusa, è...»
«Troppo?» concluse Josh.
Lei annuì. Non sapeva come sentirsi, aveva persino dimenticato la presenza di Michela.
«Perdonami.»
Sue non riuscì a guardarlo. Avrebbe voluto dirgli che non era colpa sua, che non aveva fatto alcunché di male. Ma non seppe come spiegarsi. Forse avrebbe dovuto riprendere la sua parola perché era la stessa che le testa le urlava come un disco rotto: troppo. Era tutto troppo. E ne era consapevole. Era troppo presto, andava troppo in fretta, si conoscevano da troppo poco. Dopotutto, si erano incontrati meno di due settimane prima. A tratti, tutta quella rapidità la spaventava. Non era mai stata tanto vicina a un ragazzo e ora, era lì, con la camicia da notte sollevata ai fianchi e le mani sotto la sua maglia. Ma aveva anche consapevolezza del proprio corpo e di ciò che voleva: Josh, il calore che emanava e che la chiamava, il suo tocco sulla pelle che le annebbiavano i pensieri e le infiammavano il cuore. Anche in quel momento, dove era stata lei stessa a creare la distanza che li separava, ebbe difficolta a resistere alla tentazione di stringerlo, di baciarlo e d'ubriacarsi del meraviglioso subbuglio che le smuoveva in ogni fibra del corpo.
Rimase muta. Il silenzio lo ruppe lui, sul letto, dopo che si fu sistemato la maglia.
«Vieni qui» disse, porgendole la mano. «Prometto di star buono.»
Sue si sfiondò. Il suo corpo agì prima che la sua testa elaborasse una risposta. L'ebbe solo quando fu già stesa, circondata dalle sue braccia. «Staremo buoni entrambi.»
«Andata» sorrise Josh. Poi lo sguardo gli cadde sulla donna addormentata. «Ma la tua Asservita deve per forza stare qui?»
«Si chiama Michela» lo corresse, a sopracciglio inarcato. «Dì qualcosa di cattivo su di lei e vedrai la parte peggiore di me.»
Rise sotto i baffi. «Quella che morde?»
Imbarazzata, Sue nascose il viso contro il suo collo. Col senno di poi la giudicò una pessima idea. Il suo profumo le invase i polmoni e il desiderio di ricoprigli la gola di baci le impedì di pensare. Sollevò lo sguardo e scoprì quello di Josh su di lei. Aveva quel suo sorriso magnifico che le provocava un capogiro dopo l'altro.
«Sei rossa» canzonò.
«È per la giornata» incespicò.
«Ah sì?»
«Certo. Bruce. Han. E quel quadro. Dovremmo cercare quel nome, Eamon, e capire perché lo vediamo solo noi, perché ci fa quell'effetto.» L'unico effetto a cui era soggetta in quel momento era quello dei suoi occhi, magnetici. Guardò altrove. «E tutto quel correre, sono stanca.»
«Sai cosa si fa con le persone stanche?» chiese Josh.
«Cosa?»
«Le si aiuta a dormire.»
«Come?»
«Così.» L'attirò a sé, facendole appoggiare la testa al suo petto, e, con le dita che scivolavano nei suoi capelli, cominciò a intonarle un motivetto lento e melodioso: «La notte arriva, la paura è viva. Corri, leprotto, corri, ma sonni d'oro dormi, perché le mie fiamme d'amore, proteggeranno il tuo cuore».
Sue ascoltò a occhi chiusi, cullata dalla voce soave e morbida di Josh. Sorrise. «Era la tua ninnananna?»
Rise lieve. «Mia madre diceva che fosse quella che cantavano al principe.»
«È dolcissima» mormorò. «E giusta per te.»
«Me? Perché?» Lo sentì chiedere.
Lo guardò. «Sei come un principe» disse. «Alto, bello, intelligente. Sai tante di quelle cose.» Un velo d'afflizione gli calò sul viso, a sopracciglia appena corrucciate. «Ho detto qualcosa di male?»
«No», s'affrettò lui, «ma volte mi domando se serva.»
«Cosa?»
«Sapere tanto.»
«Certo che sì» disse. «Sei bravo in tutto.»
«Lo sono in ciò che è complicato. So osservare il comportamento delle persone, ricordo nozioni su nozioni... Ma sulle cose semplici, istintive, mi perdo. Cerco di evitarle. Poi, quando inevitabilmente una accade, non so cosa pensare, come incasellarla.»
Sue si spostò appena e si sollevò sui gomiti. «Non vanno incasellate»
«Per me, sì.»
«Perché?»
«Forse perché mi spaventa non sapere come vanno a finire» rispose, quasi soprappensiero. «E non...»
«Non?»
Josh parve d'un tratto imbarazzato. Sulle guance apparve un velo di rossore. «Non ho mai detto una cosa simile ad alta voce.»
Sue sorrise. «Magari ne avevi bisogno. Hai agito d'impulso, no?»
«Con te è diverso.» Abbassò lo sguardo sul ciondolo a forma di rosa della catenina che dondolava nel piccolo spazio vuoto tra i loro corpi. Lo sfiorò con la delicatezza, la stessa con cui accarezzava lei. Poi la guardo. «È solo istinto.»
Sue si chiese se l'istinto gli stesse dicendo quello che il suo le implorava, se le labbra, schiuse in una curva morbida, bramassero il bacio che volevano le sue. Ma si impose di rimettersi giù, con la testa sul suo petto. Ascoltò per un minuto il suo cuore, nel silenzio. «È meglio dormire. Mia sorella ti renderebbe la vita un inferno, se ti presentassi tardi. O con le occhiaie. O se facessi qualsiasi cosa contro le sue regole.»
Lo udì ridacchiare mentre con le disegnava sulla spalla nuda piccoli cerchi. «Temo di averlo già fatto.»
Sollevò il viso verso di lui. «Cioè?»
«Susanne, non era meglio dormire?»
«Solo un'ultima cosa.» Doveva chiedere. Se lo domandava in sordina da giorni.
«Dimmi.»
«Come mai mi chiami sempre Susanne?»
«È il tuo nome» fece divertito. «Come dovrei chiamarti?»
«Intendo dire... che tu non lo abbrevi. Lo fanno tutti: Sue, Susy. Uno dei miei insegnanti privati mi chiamava Lady Anne. Lady Anne, capisci? Non rispondevo perché sembrava che parlasse a mia sorella.»
Josh emise un risata leggera, ma il tono fu serio quando, con voce dolce, le disse: «Mi piace ciò che è bello, ricordi? Il tuo nome lo è, molto. È musicale, perfetto così. Se lo abbreviassi, lo rovinerei».
Sue sorrise. «Lo pensi sul serio?»
Josh annuì. E ripeté il suo nome, ancora e ancora.
Consapevole che le ore di sonno sarebbero state poche, Sue si addormentò al ritmo della sua voce, del suo respiro, del suo cuore. E non temette gli incubi. Li avrebbe affrontati a viso aperto e a spada tratta perché il calore di Josh avrebbe protetto il suo, di cuore.
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