24 - IN THE 𝐻𝐸𝐴𝑇 OF THE 𝑁𝐼𝐺𝐻𝑇 (p.2/2)

Il funerale di Andrew si svolse all'alba del tramonto nel giardino della sua villa, al limitare dello Snodo, accanto a Porta Sagese. Era gremito. Gli invitati, che si destreggiavano tra gli scatti dei fotografi e gigli bianchissimi, appartenevano tutti a Casate di Sangue. Le Casate Nobili assiepavano i cancelli lontani, in un processione perenne di fiori e pianti.

Nella sua tunica verde scuro dalle maniche lunghe e larghe, Sue li notò appena. I chiacchiericci attorno a lei non esistevano. Fremeva. Le parole di Josh le lampeggiavano davanti agli occhi come i bagliori delle Formulazioni Krafti. Era innamorato di lei e da ore si sforzava per non urlarlo al mondo intero. Di rado, si soffermava sul resto della sua frase: non sapeva perché. Non le importava. Si limitava guardarlo sognante mentre, di fronte a lei, stringeva una mano dopo l'altra nell'uniforme bluastra della Convergenza. Era magnifico, con un fascino nuovo, adulto, tanto magnetico che faticava a staccargli gli occhi di dosso.

La sua famiglia, vestita a lutto, lo affiancava. La madre, Delfina, era come se l'era immaginata: elegante e luminosa, condivideva con Josh la sua bellezza sconvolgente. La zia, Drusilla, era un miscuglio magrolino di occhioni scuri lacrimosi e rossetto troppo rosso, e singhiozzava assieme al figlio, Niels, un ragazzotto con grossi occhiali e le spalle ricurve. Il fratello, Ian, aveva l'aria infastidita e la sorella, Isabelle quella di chi voleva ancora piangere. In comune con la madre e il fratello avevano, poco, la carnagione della prima e l'altezza del secondo, perché il resto -gli occhi nocciola e la chioma ramata - dovevano averlo ereditato dal padre, assente.

«Di chi sarà il compito del Ritorno?» chiese Sue a Remus, che sedeva al suo fianco nell'area riservata alla Convergenza.

I funerali Zivel erano spesso officiati dalla famiglia stessa e ciò prevedeva anche il Ritorno, l'ultimo e più prezioso dei saluti. Quello di sua nonna, Cornelia, l'aveva svolto Han, dato che lei era piccola e suo nonno era già stato Allontanato. Quel giorno, quando il corpo di sua nonna era svanito in un tripudio di petali, era stato l'ultimo in cui aveva visto sua sorella sull'orlo del pianto.

«L'erede» rispose stringato.

Il funerale cominciò venti minuti dopo.

I Lars si concessero qualche minuto per salutare Andrew in privato. Poi la sua salma fu trasportata nel giardino su una robusta lastra di metallo sospesa a mezz'aria, tra le due ali di invitati, e posta davanti al palchetto inondato di fiori, dal quale la famiglia parlò alla folla. Esordì Delfina. La sua voce riecheggiò per il giardino e, benché addolorata, fu d'una compostezza irreprensibile. Drusilla si dilungò in un discorso che recitò tra i singulti. Ian fu stringato, al contrario di Isabelle e Niel che raccontarono episodi tanto dolci che Sue faticò a non piangere.

Quando arrivò il turno di Josh, i flash impazzarono e tutti attesero che parlasse.

Ma lui, con gli occhi cupi puntati sullo zio e viso insondabile, tacque. Era agitato; Sue se ne accorse perché all'improvviso, tutto ciò che era di metallo, persino i bottoni delle giacche degli invitati, tremò flebile, con un tintinnio che nessuno seppe cogliere per davvero. Appena la sua collana a forma di rosa oscillò, la strinse tanto forte quanto avrebbe voluto abbracciare lui.

A Josh bastò un cenno della mano per spostare la salma dello zio e la lastra che la sorreggeva sino a terra, nell'erba, e gli mise le mani intorno al viso. Rimase immobile per un lungo attimo, in un silenzio surreale, con gli sguardi di tutti gli astanti addosso. Le dita ebbero un tremito. Forse per consapevolezza che una volta iniziato il Ritorno, non avrebbe potuto interrompersi. O forse perché, una volta terminato, il corpo di suo zio sarebbe scomparso per sempre.

Alla fine, mormorò a fior di labbra: «Iskra, alla fonte ritorna cenere.»

Il corpo di Andrew mutò. Pian piano, i vestiti e la pelle assunsero l'aspetto di solido metallo. Divenne, nel giro di poco, una statua di puro argento che brillava fulgida sotto il sole del tramonto. Il riverbero dei raggi dorati creò fasci di luci dorati, simili a lingue di fuoco protese al cielo. Se non fosse stato un funerale, Sue l'avrebbe trovato meraviglioso.

«Alla fonte ritorna cenere!» gridò una voce. Era lontana, ma squarciò l'aria come una lama. E se ne aggiunse una seconda. Poi una terza, una quarta, divenne un coro potente.

Sue si voltò, come tutti i presenti, verso i cancelli della proprietà. A urlare era una marea nera, composta da centinaia di Asserviti in divise scure. Continuarono finché il corpo di Andrew, a poco a poco, riaccolto dalla terra, non sparì e tra le mani di Josh non restò che il vuoto. Poi fu il ragazzo stesso, col viso più freddo del ghiaccio, a farli cacciare.

᯽᯽᯽

La speranza di Sue che qualcuno degli invitati potesse vedere il coro degli Asserviti come un omaggio ad Andrew, un uomo che aveva saputo trattarli con gentilezza, si dissolse come neve al sole. Appena i cancelli furono sgomberati, Delfina girò come una trottola per assicurarsi, la sentì, che nessuno pensasse che la sua famiglia avesse in qualche modo avvallato l'assurdità a cui avevano assistito. Tutti sospirarono di sollievo e domandavano del rinfresco. Sue non allibiva. In quel giardino, era un'intrusa. Si disse che forse anche Andrew doveva essersi sentito in quel modo, tra quelle persone.

Non seguì il consiglio di Remus di salutare i Lars e congedarsi, così come avrebbe dovuto fare in qualità di rappresentante di Han. Voleva parlare con Josh, circondato da sorrisi compiacenti e flash accecanti, e chiedergli prima di tutto come stesse. Ma ebbe difficoltà a raggiungerlo: ogni due per tre, qualcuno la fermava.

Un signorotto panciuto e giulivo, che giurò di essere il consulente finanziario di Han, le s'accollò per un tempo indefinito. «Si fidi! Lavoro da anni con sua sorella!»

«Eppure, non l'ho mai vista.» Era certa che una faccia come quella, da venditore di saponette di plastica, non l'avrebbe dimenticata.

«Devo chiederle di rinunciare alla dama.»

Riconobbe Josh dal tocco leggero al suo polso; quel gesto minuto bastò per infonderle tranquillità. Lo guardò: manteneva una contegnosa distanza, adatta per due Casate di Sangue e futuri colleghi. Da vicino, nella divisa della Convergenza era elegante, composto, una visione bellissima paragonabile a un sogno. Con un sorriso privo di gioia, ma spettacolare, la guidò lontano dalla folla e dalle macchine fotografiche senza toccarla, ignorando le lamentele dell'uomo panciuto. La fece sedere sotto un tempietto decorativo, circondato da peonie e appartato, mentre le luci Krafti iniziavano a sostituire i raggi del sole. L'aria profumava di dolce.

«Perché ti sei fermata con quello?» le chiese, sedendosi al suo fianco.

«Si è appiccicato lui» borbottò, imbronciata. «Io cercavo te.»

Finalmente, Josh intrecciò la mani alle sue. Le sembrò che fosse passata un'eternità dall'ultima volta, poche ore prima. «E io te.»

«Come stai?» mormorò. «Prima... tremava tutto.»

«Mi spiace. Il Ritorno non è semplice. Ma ora sto bene, con te.» Le sorrise. «Anche se dovrò insegnarti come evitare gli avvoltoi. In occasioni simili, ci sono sempre.»

«Conosci quel tipo?»

Josh annuì. «Si chiama obbligo sociale

«Vuoi dire... che non conosceva tuo zio?»

«Probabile. Ti sorprende?»

Accigliata, Sue tirò le mani in grembo e faticò nel farlo. Separarsi da lui era più doloroso di uno schiaffo, ma se lo impose. «E hai mandato via chi davvero teneva a lui? Perché?»

Il viso di Josh si fece cupo, occhi nero carbone. «Ho mandato via degli Asserviti.» Quasi lo sputò.

«Che volevano salutarlo» insistette. «Tuo zio li trattava con rispetto.»

«E sbagliava» disse secco. «Rapportarsi con la manovalanza è imbarazzante per una Casata di Sangue. Quale sei anche tu. È il caso che cominci a capirlo e a comportarti come tale.»

Sue si stizzì. «No. Perché non provi a capire tu? Non hanno nulla di diverso da me e te.»

«Da me, tutto» soffiò Josh, in una risata sfrontata che la pietrificò. Il sottinteso che colse la colpì dritta al cuore con un ferocia che non s'aspettava.

«Perché, da me?» incalzò.

Lui la guardò spaesato, per un attimo. Poi s'affrettò. «Susanne, non intendevo dire che tu non sia...»

Lo fulminò. «Un'Iskra? Non serve che tu lo dica. L'ho capito benissimo, grazie per la sincerità» fece acida. S'alzò brusca e s'allontanò a passo rapido. Non si fermò quando lui la chiamò. Raggiunse Delfina, salutò e, si fece riaccompagnare alla Reggia, rossa di rabbia.

᯽᯽᯽

Con le risa di Josh nelle orecchie, perse il conto di quanto passò prima che l'auto si fermasse alla residenza del principe: quando sollevò lo sguardo, il cielo era tinto dei colori della sera. Tirava aria di pioggia: le nubi celavano le stelle, il vento scuoteva i rami più alti degli alberi e...

All'improvviso. trasalì. Al finestrino, comparve il volto smunto dello zoppicante Jeremiah Abbott. Le sorrise storto, con gli occhi che le parvero vitrei come quelli di un pesce, e se ne andò ancor prima che potesse scendere.

Nel momento in cui smontò, col cuore in gola per lo spavento, all'ingresso incontrò il principe Valentine e Gini. Non seppe trattenersi. Jeremiah che lasciala la Reggia poteva voler dire solo due cose. «Mia sorella?» chiese con foga a entrambi.

«Mr. Abbott ha fatto ciò che doveva. Ora dipenderà da lei.» rispose il principe. Non aggiunse altro e Gini, piccata dalla sua mancanza di buone maniere, la accompagnò senza troppe cerimonie da Robin, che doveva prepararla per la cena. Non s'oppose. Sarebbe passata da Han dopo cena, come la sera prima. Fece il bagno e restò nella vasca raffinata a lungo dopo che Robin ebbe concluso il suo lavoro. Cercò nell'acqua calda la quiete e il conforto di cui aveva bisogno e rimestò i suoi stessi pensieri. La risata di Josh l'assillava, come il sottinteso che portava con sé. Era chiaro che le avesse mentito qualche giorno prima. Non le credeva, la vedeva come un'Asservita. Forse era quella la ragione del "non so perché" davanti al "mi sono innamorato di te". Forse non accettava d'essersi innamorato di ciò che odiava. O forse era lei a non accettare lui? Forse... Forse erano due persone troppo diverse, con idee e ideali troppo distanti, per combaciare? Eppure, ciò che provava per Josh era forte, un bisogno naturale che cresceva di minuto in minuto e la distanza tra loro la dilaniava...

Si buttò l'acqua sul viso e passò le mani tra i capelli bagnati. Le era stato più semplice districare i problemi di Galia, Marcus e Dante che i suoi sentimenti. Quasi le mancò l'Accademia. Di certo, le mancava Areth. Se fosse stato lì, le avrebbe detto di certo che qualsiasi cosa le vagasse per la testa era una pessima idea. Le mancavano persino le occhiatacce di Iris e la parlantina di Toad.

Uscì con la pelle delle dita arricciate dall'acqua e una tra le prime cose che fece fu rimettersi la sua collana. Poi Robin la preparò, ligia. Le infilò un lungo abito - dalla voluminosa gonna increspata e il busto con ricami floreali tono su tono - verde scuro, per sottolineare il lutto della Convergenza.

Ma prima che l'Asservita le acconciasse i capelli, bussarono alla porta. Le si strinse lo stomaco. Impedì a Robin di correre ad aprire. «Se è Lord Lars, digli di andare. Vorrei... cenare in camera.»

«Ma siete pronta. E splendida. Siete certa?»

No, non lo era. Sarebbe volentieri corsa da lui con un sorriso smagliante. Ma non voleva. Avrebbe accantonato la confusione che aveva in testa.

«Sì. Poi va' anche tu. Mi svesto da me.»

Robin annuì ed eseguì. Sue accusò un dolore fisico al petto quando, dopo qualche insistenza di Josh, l'Asservita richiuse la porta.

Le fu consegnata la cena, che a stento spiluccò. Più rimuginava sui suoi problemi da innamorata, più la fame sembrava fuggire. Passò ore a trascinarsi dal divanetto della camera al letto, paragonando l'energia e le felicita di quella mattina allo sconforto in cui, in quel momento, navigava. Si sentiva come un palloncino sgonfio. Si buttò sul letto, avvinghiata al cuscino, e oscillò tra i ricordi: dal bacio della sera prima alla risata sfacciata di quel pomeriggio. Si chiese se non fosse Josh la sua nuova pessima idea. Ma come poteva esserlo quando tutto in lei le urlava che era giusto? Quando lontana da lui si sentiva male, incompleta?

Una bussata la scosse. Adocchiò l'ora. Erano quasi le dieci e mezza passate, tardi perché fosse Robin: dopo le nove, l'aveva scoperto la sera prima, gli Asserviti non giravano per i piani se non su richiesta. Ma chi altro poteva essere? Andò, afferrò la maniglia e si bloccò. Si morse la guancia. E se fosse Josh... Valutò l'ipotesi di non aprire, per un secondo. La mano si mosse d'impulso, spalancò la porta e, tra le luci Krafi non ci fu Robin

E nemmeno Josh.

Il cuore le saltò in gola dalla felicità: Michela, la sua Michela, era lì davanti a lei, con un sorriso sulle labbra sottili e la chioma argentata in perfetto ordine. L'abbracciò all'istante, con le lacrime agli occhi, e le sue mani sulla schiena la riportarono a casa, tra pomeriggi di risa con Irina, i brontolii di Bonifaas, il calore materno di Michela. «Come...»

«Dovevo occuparmi degli effetti della Lady, Miss» l'anticipò. «Riparto domattina, ma non potevo andarmene senza avervi salutato.»

«Così presto?» Era delusa, voce rotta. «Mi sei mancata.»

«Anche voi, ma non mi è permesso restare senza il permesso di vostra sorella.» La guardò con occhi ambrati amorevoli, e le carezzò il viso. «Sembrate già così grande in così poco, Miss.»

Le strinse le dita tra le sue. «Vieni.» La fece entrare in camera e, accompagnata dal fruscio della gonna, si sedé con lei sul divanetto «Voglio sapere come va a casa. Come sta Bonifaas?»

«Acciaccato.»

«Le sue ginocchia?»

«Barcollano.»

«Irina e Antoine?»

Sorrise. «Felici. E tanto innamorati.» A quella parola, dovette notare Sue rabbuiarsi, perché soggiunse: «Come mai questo faccino, Miss?».

Temporeggiò. Poggiò la testa sulle gambe di Michela, come quando era piccola, e chiese: «Quando siamo innamorati, come capiamo cosa è giusto e cosa è sbagliato?».

«Perché ve lo domandate?»

«Sono innamorata di un ragazzo e...»

«È bellissimo.»

«Da sembrare surreale. Ha degli occhi che...»

Michela rise leggera. «Intendevo che stiate sperimentando cosa sia l'amore.»

«S-sì, l'avevo capito» incespicò Sue, rossa fino alle orecchie. Giocherellò con i volant della gonna. «Ma, ecco, abbiamo idee contrastanti. Molto.»

«Riguardo?»

«Gli... Asserviti» bisbigliò, fissandosi le mani. Appena sbirciò Michela, vide la sua occhiata ammonitrice. «Non guardarmi in quel modo. Ricordo ciò mi hai detto e ci provo, quasi sempre» disse. «In pubblico.» Sospirò. «E oggi ha detto una cosa che... Vorrei solo capire se è giusto che io senta ciò che sento per la persona per cui lo sento. Mi spiego?»

«Di certo, sentite molto» beffò, ma tornò subito seria all'espressione corrucciata di Sue. Le pettinò i capelli sciolti con le dita e le rivolse l'occhiata sagace di chi già sa. «Non proiettate una vostra paura su chi vi guarda con amore. Non siete un'Asservita.»

«Non ho paura di esserlo» si precipitò.

«Non mentite a me, Miss. Sono tre anni che vi tormentate. È normale che vogliate sentirvi come chi vi circonda. Ammetterlo non renderà il vostro cuore meno gentile o i vostri principi meno sinceri, ma onesta con voi stessa.»

Sue abbassò lo sguardo. Negli anni se l'era chiesto più volte, in sordina, e aveva sempre temuto la risposta. Farfuglio, con difficoltà: «Forse un po'».

«Non fate l'errore di pensare che gli altri vedano ciò che temete voi.» Le carezzò le tempie. Era un gesto che l'aveva sempre calmata. «Se invece il problema è il contrasto d'idee, non datevene pena fintanto che non vi fanno del male. Quelle cambiano più veloci delle stagioni.»

Si tirò a sedere. «Quindi non è sbagliato?»

Michela scosse il capo. «Stiate attenta a ciò che fate, ma godetevi il vostro amore con leggerezza. Lo meritate.»

Sue l'abbracciò ancora, forte, felice d'averla con lei. Se avesse potuto, non l'avrebbe lasciata. Ma lo fece, raggiante. «Devo andare a scusarmi con Josh.»

«Intendete, Lord Lars?»

«Sì.»

La donna strabuzzò. «Miss, avreste dovuto dirmelo prima. Questo è sbagliato. Siete Casate di Sangue. Il Principato lo vieta.»

Ora fu Sue a volgersi su Michela con occhio di rimprovererò. «Lo so. Ma dovrei considerarlo giusto?»

«Per il vostro bene, sì.»

«Se il mio bene non fosse una Casata Nobile?» s'infiammò.

Michela dischiuse le labbra per risponderle, ma si bloccò, con gli occhi sul suo collo. «Miss, la vostra collana... si muove.»

Sue abbassò lo sguardo. Era vero, oscillava sulla stoffa verde del busto. Ma non era la sola. Si guardò intorno: le posate della sua cena vibrarono contro il piatto, le cerniere delle finestre cigolavano, le maniglie delle porte si agitavano. Il cuore le perse un battito.

Josh!

«Miss.» La voce era velata di preoccupazione. «Siete pallida...»

Non la fece finire. Il suo corpo agì prima che potesse pensare. Raccolse la lunga gonna e si precipitò fuori, diretta al piano di sotto. Corse per il corridoio vuoto a piedi scalzi, dandosi dell'idiota. Aveva rimuginato sulla sua sofferenza per tutta la sera, ma non a quella di Josh e a ciò stava passando. E l'aveva lasciato solo, senza l'Ericea per sopprimere gli sbalzi dell'Abilità. Per la fretta, scese le scale due alla volta e gli ultimi gradini rischiò di farli rotolando. Si resse al corrimano e riprese a sfrecciare per il corridoio rosso. Più si avvicinava, più la collana le si agitava sul petto. I piedi le gelavano e il fiato le bruciava in gola, ma non si fermò finché non trovò la stanza di Josh. La riconobbe a prima vista: i cardini e la maniglia della porta vibravano come se fossero scosse da un terremoto.

Entrò.

Nella grande camera imperversava il caos, quasi fosse un campo di battaglia. Come al funerale, tutto ciò che possedeva un briciolo di metallo vibrava, cigolava, tintinnava o si scagliava a destra e a manca, come una scheggia impazzita. Le lampade, che illuminavano a stento, ondeggiavano furiose. Alcune cornici si scioglievano, come neve sotto il sole, trasformandosi in un guazzo di metallo liquido. Le finestre sbattevano, scosse anche dal vento gelido. Non c'era mobile che fosse al suo posto o che stesse fermo: la vasca di rame sembrava fusa col soffitto e si deformava con stridii assordanti; le gambe di quello che doveva essere un tavolo sbucavano dalla soglia del bagno; assieme a grossi comò rovesciati dai cassetti divelti, il letto con i decori della testiera di ferro battuto che si contorcevano come tentacoli, occupava il fondo della camera, ribaltato.

Josh era su quest'ultimo. Boccheggiava. La parte altra della camicia era sbottonata, come se ricercasse aria. Le mani stringevano i capelli con una tale forza da sbiancargli le nocche. Il suo bellissimo viso era distorto da un'espressione sofferente, a occhi serrati e labbra tirate, e le vene, ovunque lei guardasse, sembravano veri e propri rivoli di lava incandescente.

Fu travolta da una paura che le artigliò il cuore. Per un istante, si paralizzò. Poi qualcosa dentro di lei si ruppe.

Ed esplose.

«Josh!»

Anche se si scontrò col frastuono della stanza, il suo urlo lo raggiunse. Con lo sguardo attraversato da un lampo di spavento su di lei e le gambe molli, Josh si tirò in piedi mentre Sue correva da lui, nel mezzo degli oggetti volanti che producevano soffi gelidi al loro passaggio. Decine su decine le sfiorarono la pelle, ma non li sentì. Per quanto incespicasse, vedeva unicamente Josh, sentiva il dolore batterle contro il petto e voleva estinguerlo a ogni costo.

Si gettò su di lui, lo resse prima che crollasse a terra e lo strinse. All'improvviso, ogni rumore cessò. La stanza divenne muta; Sue udì solo il respiro caldo di Josh, sul suo collo, che man mano si quietava.

Non si mossero per minuti.

Nel silenzio, Sue ascoltò il cuore di Josh. Batteva rapido e agitato quanto il suo. Eppure, si rese conto di non essere mai stata più calma. Si sentiva bene, rinvigorita. Viva. E dovette valere anche per Josh dato, se ne accorse dopo, che era lui a sorreggere entrambi. La stringeva con una forza incredibile, quasi non volesse lasciarla andare mai più e le sarebbe andato bene, perché sapeva che il suo posto era lì, tra le sue braccia.

«Potevi farti molto male» le mormorò all'orecchio. La voce, bassa, era pregna d'angoscia. «Cosa ti è saltato in testa?»

«Te» sussurrò. «Stavi male. E... scotti.» L'avvertì dalla guancia appoggiata alla sua, dalle dita sulla sua nuca: era bollente. «Hai la febbre?»

Erano i suoi occhi a essere febbrili. Quando s'allontanò d'un soffio per guardarla, li vide correre su di lei, penetranti quanto allarmati. «Ti ho tagliata. Non volevo. Scusami. Non lo controllo, non...»

«Lo so.» Neanche li sentiva i tagli. Lo fissò, con le mani scivolate sul suo petto. La sua pelle, liscia e ambrata, era tonata normale, uniforme. «Non importa.»

«Invece sì» obbiettò lui. Le prese il viso e il calore dei suoi palmi le impresse una bruciatura priva di dolore, ma che la scosse il corpo. «Quanto quello che ho detto oggi. E come l'ho detto.»

«Lascia perdere...»

«No. Da quando sei andata via, non faccio altro che pensarci. Non mi capita spesso di... non voler ferire le persone. Ma l'idea di aver ferito te, mi distrugge.» E affermò, lentamente: «Io credo che tu sia un'Iskra. E anche se non lo fossi per il Principato, lo saresti per me».

Il cuore le urlò. I pensieri cessarono. «Per te?»

«Mi hai stravolto la testa con due parole, Susanne.» Sul viso gli si dipinse un sorriso magnifico. La voce era un'unica colata di dolcezza. «Penso a te e solo a te. La tua assenza è una tortura, la tua presenza un toccasana. Se questa non è un'Abilità, non so cosa sia.»

«Amore?»

«Dici?»

Sue sorrise e Josh la baciò. Poggiò le labbra sulle sue con una pressione leggera, che dischiuse un bacio dolce. Sentì le gambe diventare molli e le venne naturale reggersi a lui, legandogli le braccia al collo. Passò le mani sulle sue spalle, sotto la camicia, mentre quelle di lui s'intrecciavano nei suoi capelli sciolti e già sconvolti dalla corsa. E come la sera prima, il bacio si intensificò. S'accese, crebbe e divampò, come una fiamma indomabile e che Sue non desiderava controllare. Si crogiolò nell'ormai famigliare sensazione di pace e benessere che solo Josh sapeva trasmetterle e ne volle di più, a ogni bacio, per ogni bottone della camicia che slaccio, per ogni laccio del suo abitò che si allentò.

Un potente tonfo li divise all'improvviso. Si fissarono e Sue non avrebbe saputo dire chi dei due fosse il più sorpreso, allarmato.

«L'hai sentito anche tu?» ansimò. Josh annuì. «Cos'era? Da dove... » Aveva avuto la sensazione che quel suono partisse da lei. Ma la risposta giunse alla loro destra, con un secondo tonfo.

Josh fu il primo a girarsi e sbalordì. «Per Hemera, questa volta non ho fumato.»

«Cosa?» Sue era confusa. Seguì il cenno del ragazzo verso la parete e le parole le morirono in gola. Davanti a loro c'era il bellissimo quadro che aveva visto nell'ufficio della direttrice, durante la registrazione. Quello a cui aveva pensato davanti al ritratto di Morissa, in casa sua, durante l'Immersione. Non l'avrebbe mai confuso: la ragazza, i tratti, le luci, il sentimento dolceamaro che trasmetteva.

Josh era incredulo. «Lo vedi?»

«Sì. Ma... era in Accademia, da Miss Von Weizsäcker.»

«No, era al planetario.»

Sue lo guardo, sconcertata. «Al planetario? Com'è possibile?»

Lui scosse le spalle. «Credevo d'essermelo immaginato perché poi è...»

Non terminò. Sotto i loro occhi, il quadro sparì.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top