La mattina seguente, Sue fu ancora insonne. Le immagini dell'Immersione si mischiavano con le sue paure e non le davano pace. Vedeva Han al posto di Galia, in un guazzo di sangue viscido. La colazione non andò meglio: Toad requisì tutte le mele perché non finissero in poltiglia a furia di forchettate e Iris, tra una fragola e una pagina di Iskrapolitan, la ignorò. Joanna fu l'unica nota allegra e Sue le chiese il perché.
«È il sole splende ed è il giorno della Commemorazione dell'ex principe. Anche nella sua morte dobbiamo ringraziarlo per quello che ci ha dato» rispose.
Ringraziarlo per avervi reso schiavi? Interdetta, desiderò afferrarla per le spalle e scuoterla con tutte le sue forze. Ma non lo fece. Ingoiò il rospo e andò alla lezione di Mr. Gideon Price, per Zivel Flora, alle serre. Ma in pochi s'interessavano alle sue parole, grazie alla carnagione scura e il fisico statuario. Per molte delle sue compagne, era uno dei professori più attraenti dell'Accademia. Sue era del loro stesso avviso, tuttavia, per quell'intera mattina, la sua mente volò ad altro. Rimuginò sul busto scomparso, su cosa avrebbe dovuto fare...
E su Xavier. Seguendo il colonnato dell'edificio a est della serra che l'avrebbe riportata ai dormitori per il pranzo, l'immagine dagli occhi rossi del ex principe la nauseava. Han sarà alla Reggia Rossa per la Commemorazione, come ogni anno. E non sa che razza d'uomo fosse, cosa ha...
Un grido le esplose nelle orecchie e s'arrestò. Si guardò attorno. C'erano solo studenti che camminavano, parlavano, ridevano. Eppure, l'avrebbe potuto giurare: aveva appena sentito sua sorella urlare. Mosse un passo e la voce di Han le rimbombò nella testa, gridava. Non ancora. Lo stomaco le si contorse tanto che dovette reggersi a una delle colonne. Il marmo sotto le dita era gelido, tuttavia la pelle le ribollì. Ebbe l'impressione d'andare a fuoco, dall'interno, mentre ruggiti e urla di terrore si mischiavano a quelle della sorella e al chiacchiericcio degli studenti. Nel panico, si tappò le orecchie. E tutto si fece nero. Per un istante, le sembrò d'essere cieca, avvolta da una notte in pieno giorno. Il cuore le martellò contro il petto. Ansimò. Si sentì spingere, a destra, poi a sinistra. Una voce maschile la chiamò, qualcuno l'afferrò e ...
L'oscurità si dissipò sulla figura di Areth. La guardava come se nulla fosse successo, e si disse che doveva essere così. Aveva una mano guantata appoggiata sul suo braccio. «Finalmente», esordì, sorridente «è tutta la mattina che ti cerco.»
«Mi hai trovata» rispose Sue, concisa. Ebbe difficoltà a scrollarsi di dosso le urla. E sua sorella? Era certa che fosse lei. Riprese a camminare lungo il colonnato morsa dall'angoscia. «Cosa c'è?»
Areth l'affiancò. «Cosa dovevi dirmi ieri?»
La conversazione che aveva ascoltato la investì e s'irrigidì. L'idea che il ragazzo potesse usarla rese il tono più aspro di quanto volesse. «Niente.»
«Non sembrava.»
«Ieri era ieri.»
«Sue.» Areth la fermò agguantandole un polso. La volse verso di sé e la guardò con sincera confusione. «Qualcosa non va?»
«In effetti, sì.» Andò dritta al punto. «Il tuo modo per farti ascoltare dalla Convergenza sarebbe quello d'entrare nelle mie grazie? Scommetto che è passeggiata rispetto alle agitazioni nello Snodo e nella Cerchia Privilegiata.»
Areth s'incupì. «Hai origliato?»
«Urlavate, non è origliare» corresse. «Quindi? È vero?»
«La parte delle agitazioni, sì.»
«Non dirmi bugie» s'accigliò Sue. «Avete parlato di una ragazza della Convergenza.»
«Jeremiah si riferiva a Iris» rispose. «L'ha sempre chiamata così, da prima che sua sorella cambiasse idea.» Lo sguardo azzurro divenne fermo, le labbra tirate dalla serietà. «Voglio che c'ascoltino, sì, perché per la mia gente non desidero nulla di diverso da quel che tu vuoi per gli Asserviti. E, sì, credo che starsene in uno sgabuzzino nella Cerchia Secondaria a scrivere carta straccia non serva. Ma non uso le persone, Sue. Tanto meno ho o voglio fare del male.»
«Allora perché mi hai aiutato?» chiese ancora Sue. «Che motivo avresti?»
«Devo avere uno?»
Titubò. «Secondo Josh, sì.»
«Josh?» fece eco allibito. «Capisco che tu abbia un debole, ma... Josh? È pari a una vipera classista!»
Le guance di Sue bruciarono. «Non è detto che abbia sempre torto.»
«O sempre ragione.»
«Rispondimi.»
Il ragazzo temporeggiò, torturandosi le mani nei guanti. Abbassò lo sguardo e, quando lo risollevò, sul viso apparve un velo d'imbarazzo. Farfugliò: «Mi piace... il modo in cui mi guardi.»
«C-come?» fu sorpresa Sue.
«Non... hai paura di me.» Si morse un labbro, quasi volesse costringersi a tacere. Ma continuò: «Tutti hanno paura di un Necromant, a prescindere. I professori, gli studenti... santo cielo, alle volte persino Iris ha timore. Ma tu, dall'Antisala...»
Si bloccò. Seguì con lo sguardo la mano Sue che raggiungeva istintivamente il punto in cui il Ballare l'aveva ferita e che lui aveva guarito. In quel momento, nel vedere a sua pelle ricucirsi da sola, lo ricordava, aveva avuto paura. Ma poi? Non si era neanche accertata che non fosse rimasta la cicatrice.
«Ho voluto... voglio aiutarti perché guardi come chiunque altro» riprese Areth. Un pizzico di vergogna gli piegò le labbra, ma gli occhi, limpidi quanto il cielo sulle loro teste, baluginarono di gratitudine. «E non puoi capire quanto sia bello.»
Sue tentò di nascondere lo stupore. Nell'Ingresso del Debutto, quando Areth le aveva parlato di come il timore delle persone lo segnasse, non aveva colto quanto davvero gli pesasse. Il cuore le si strinse e si diede della stupida. Si era lasciata condizionare dalle ipotesi di Josh sui Necromant e non aveva capito cosa importasse davvero ad Areth: un semplice sguardo.
D'istinto, l'abbracciò. «Non ho motivo d'aver paura d'un amico. O di dubitarne. Scusami, sono un'idiota.»
«Un pochino.» Areth ricambiò e Sue rise. Poi la lasciò. «Allora, vuoi dirmi che succede o no?»
«Meglio, te lo mostro.»
Fecero un rapido salto all'alloggio di Sue, dove Joanna aveva preparato un pranzo più simile a un banchetto, e spizzicarono alla svelta un paio di bocconi. Non incrociarono Iris e le dispiacque: avrebbe voluto parlarle e chiarire; per Areth dovette essere lo stesso perché ebbe in viso un'espressione ancor più tirata della sua. Poi lo condusse al lungo viale dei busti, accecanti sotto al sole. Eppure, il tepore dei raggi che arrossavano la pelle e la brezza fresca del primo pomeriggio non addolcirono la situazione. Areth guardò la zolla di terra smossa tra Wallace e tale Miss. Russell - che Sue non aveva idea di chi fosse- e fu il ritratto del disappunto. Disse: «È vuoto».
«Lo so.»
«Perché è vuoto, Sue?»
«Se lo sapessi, non saremmo qui.»
«Non scherzare» rimproverò. «Te l'avevo che l'Immersione era una pessima idea.»
Sue arricciò il naso, stizzita, e incrociò le braccia al petto. «Rimandiamo le ramanzine a dopo? Qui abbiamo un problema di duecento anni da risolvere.» Areth le lanciò un'occhiata severa che non calcolò. «Non può essere scomparso a caso e se questo busto è l'unica conseguenza della nostra Immersione, dev'esserci un collegamento tra noi e loro.»
«Per saperlo, dovresti immergerti.» Si passò mano tra i capelli biondi, che risultarono ancor più scompigliati di quanto già non fossero. «E chissà dove l'avranno messo.»
Sue si drizzò, attenta. «Messo? Credi che esista ancora?»
«Sì.» Lui s'abbassò e sfiorò il suolo. «La terra è smossa, l'erba rada. Era qui... forse fino a una settimana fa» giudicò.
«Quindi...c'è la possibilità che non se ne siano liberati?»
Areth la guardò come se fosse pazza. «Non puoi... buttarlo. C'è l'anima di una persona là dentro. Servirebbe un Necromant. E Jeremiah non ha fatto accenno a un altro di noi qui. Ma, Sue, l'Accademia è enorme. Anche volendo cercarlo, ci metteremmo un'infinità.» E intrappolò un sospiro quando adocchiò in tralice la ragazza. «Perché sorridi?»
«So a chi rivolgerci», rispose, «Ma non ti piacerà.»
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Giunti alla biblioteca, trovare Josh fu semplice: Inquy balzò fuori dalla borsa di Sue e corse incontro a un grosso uomo di metallo liquido con un braccio almeno una decina di libri. L'Emanazione li condusse dritti dallo Zivel, seduto al tavolo più ampio del secondo piano dell'edificio. Ma non leggeva e non era solo. Con lui c'era Iris, in un competo beige sotto alla giacca turchina, e nessuno dei due sembrava essere di ottimo umore.
Discutevano a bassa voce di un argomento che Sue non udì perché, come se si fosse sentito gli occhi addosso, Josh la notò, si alzò e fu da lei.
«Susanne» le sorrise, cosa che non fece col ragazzo al suo fianco. Al contrario, lo sguardo s'assottigliò. «E Mead. Che sorpresa.» Il tono pareva deluso, a tratti acido. «Credevo fossi già tornato nella tua Cerchia su quel carro funebre di Jeremiah Abbott, ieri mattina. Dove hai dormito stanotte? Nel cantuccio delle scope?»
Areth aggrottò la fronte. «Perché ti interessa?»
«La curiosità è il motore d'ogni pornografia umana, Mead. Sono semplicemente una persona curiosa.»
«In effetti, lo sarei anch'io» intervenne Iris, che li aveva raggiunti a passi ingessati. «Quanto puoi restare?»
«Qualche giorno» disse Areth. «Per accertamenti.»
«Chissà quanto si è dovuto inginocchiare il caro Abbott per... qualche giorno» commentò Josh in un risolino divertito.
Areth gli rifilò occhiata dardeggiante d'irritazione e Sue decise d'intromettersi. Con un passo avanti, riportò l'attenzione di Josh su di sé. «Abbiamo una cosa da chiederti, ma sarebbe meglio parlarne altrove.»
Il ragazzo procedé ad accompagnarli suo alloggio senza troppe domande, forse convinto dall'espressione tirata che lei ebbe in viso. Chiese solo se c'entrasse la Convergenza; quando Sue gli rispose che riguardava l'intero Principato, la tensione lo contagiò. Areth e Iris li seguirono a qualche passo di distanza, parlando non troppo a bassa voce del perché lui non le avesse detto di ciò che stava succedendo e del perché lei non gli avesse dato l'opportunità di spiegarsi due sere prima. Una volta arrivati, sembrarono essersi chiariti, tra dolci sorrisi e mani strette. Ciò che non mutò fu lo sguardo di Iris nei confronti di Sue: di fuoco. Cercò di non badarci e di credere all'amico: c'era bisogno di tempo.
Adocchiò il rifresco già approntato da DH sull'elegante tavolo di legno rosso e la colpì l'ingente quantità d'oggetti metallici sparsi per la stanza, dai piccoli ninnoli sui larghi ripiani della libreria sino ai bordi del grande specchio all'ingresso. Persino i vetri delle finestre; quando si avvicinò per guardare meglio, scoprì essere delle lastre di metallo tanto sottili e lucide da risultare trasparenti.
Sue spostò lo sguardo su Josh. «Ti piace la tua Abilità.»
«Noi siamo la nostra Abilità» disse con una fermezza che la spiazzò. «E non amo le limitazioni.» Le s'avvicinò e, lanciando un'occhiata ad Areth, mormorò: «Ti ho avvisata. I Necromant non sono una buona compagnia.»
«Cos'hai contro di lui?»
«Che noi siamo la nostra Abilità» ripeté in sussurro. Le sfiorò una guancia col pollice e quel contatto, seppur lieve, le trasmise sicurezza. «Se fossi in te, prima di fidarmi, mi chiederei chi possa essere un Necromant.»
E andò verso i divani del salotto abbandonandola alla confusione. Se è davvero come dice, allora io chi sono? Ricordò il nero e il caos che quella mattina l'aveva assalita. Cosa voleva essere?
Quando sarebbe accaduto?
«Allora», esordì Josh mentre congedava DH con poco più di un cenno, «di che si tratta?»
Ancora alla finestra Sue scacciò i pensieri e scambiò occhiata con Areth. Poi lei iniziò. Raccontò tutto, non tenne per sé alcun segreto, dato che, lo sentiva, ciò con cui stava per scontrarsi non era solo la sua inabilità, era qualcosa che andava oltre lei, oltre l'Accademia. Disse dell'Immersione, funzionamento arbitrario del Giudizio di Sangue, di Bruce e i due ragazzi che aveva visto prima di uscire dall'Antisala e del busto scomparso. Quando lo Zivel e la Krafti furono il ritratto dello sconcerto.
Iris dondolò lo sguardo sgranato tra lei e il ragazzo, il viso pallidissimo tra le ali di capelli neri. «Avete usato quelle trappole di marmo da soli? E il futuro marito di tua sorella l'ha convinta a usare una specie di gioiello assassino su tutta la Convergenza?»
«Detta così sembra più assurda di ciò che è, ma sì» confermò Sue.
«Il Giudizio, però, lo userebbe il Principe» puntualizzò pensoso Josh, l'unico che tra le mani stringeva una bibita ghiacciata. Gli altri non si erano mossi. «Non ha motivo per liberarsi del governo. E non ha mai usufruito del Giudizio.»
«Lo conosci?» incalzò Areth. «Chi ti dice che non ce l'abbia?»
«Attento, Mead», sibilò velenoso, «hai un che di anarchico.»
«Ora non è questo il punto», li interruppe Sue prima che Areth potesse replicare. «Vorrei che ci aiutassi a trovare qual busto.»
«Perché dovrebbe essere così importante?» domandò Iris.
«Dante ha voluto cancellare ogni traccia di ciò che ha preceduto il conflitto, persino di se stesso» espose Sue. «Forse in quel busto potrebbe esserci la ragione.»
«E perché rimuoverlo ora?» interrogò la Krafti. «Non è sempre stato qui?»
«Forse per Areth» ipotizzò Sue e guardò il ragazzo, dall'occhiata interrogativa. «L'hai detto tu, l'Accademia non è pensata per i Necromant. Puoi interagirci come nessuno di noi. Forse si sono resi conto che limitare il tuo uso dei busti non sarebbe stato sufficiente dal Secondo Dominio.»
«È plausibile» concordò.
«Poniamo che quel dici sia vero» intervenne Josh, scettico. «Basta usare i busti della Prima Convergenza per sapere del Conflitto, ci hanno partecipato. Non mi pare che li nascondano.»
«No», rispose deciso Areth. «Mentre indirizzavo a grandi linee il suo approdo, ho notato che gli anni precedenti al decimo del Principato sono come... inesistenti.»
«Vuoi dire che il Principe Valentine ha consapevolmente omesso un pezzo della storia di Hemera?»
«Voglio dire che l'Abbott che ha infuso i busti ha fatto in modo che durante un'Immersione non si possa approdare in quegli anni. Per recuperare queste informazioni dai busti sarebbe rifare ciò che abbiamo già fatto: connettere due coscienze e chiedere. Ma è troppo rischioso.»
Iris si potrò la mano del ragazzo in grembo ed espresse la domanda che anche Sue si stava ponendo. «Ma perché un Abbott avrebbe dovuto farlo?»
Il tono di Areth divenne greve. «Non tutti i Necromant sono contrari al Principato.»
«Quindi ne esiste qualcuno che non è un totale idiota» commentò maligno Josh.
«Finiscila» abbaiò Iris prima che Areth potesse ribattere e calò uno strano silenzio. Per un lungo istante, due si trafissero a vicenda con occhiate che sembravano poter parlare; Sue, osservandoli, non avrebbero scommesso su qualcosa di buono.
Perplesso, Areth domandò. «È... tutto ok?»
«Alla perfezione» risposero all'unisono Josh e Iris, sfoggiando entrambi un gran sorriso. Poi lui s'alzò col proprio bicchiere e disse: «Non penso di poterti aiutare, Susanne.»
«Perché no?» Lui si diresse a un mobiletto poco distante e lei lo seguì. «In quel busto, potrebbe...»
«Perché le tue sono supposizioni basate sul nulla» dichiarò Josh e agguantò la bottiglia di metallo che dal mobile fluttuò nelle sue mani. «Non hai certezze.»
«Ma se fosse così?» Ribadì con foga, ma Josh scosse il capo mentre s'allungava la bibita con ciò che le parve un liquore verdastro gelido e rimandava la bottiglia al suo posto una volta finito. «Avremmo una possibilità per cambiare la vita delle persone! Degli Asserviti, dei Necromant. È nostro dovere provare a...»
«No, non lo è» sbottò greve, tanto che Sue indietreggiò d'un passo. Si ricompose. «Ascoltami. Che alcuni piccoli dettagli del Principato non ti andassero a genio l'avevo capito, ma non puoi iniziare una crociata.»
Lei strinse i denti. «Non posso io o non vuoi tu perché il Principato ti sta bene così?»
Parlò lento: «Un'opzione non esclude l'altra».
«Sia», concordò, ma nel momento in cui lui fece per bere, gli piantò mano sul bicchiere e lo bloccò sul tavolo. Non le importò del fastidio con cui la guardò, doveva capire cosa stesse succedendo. «Però hai detto d'essere una persona curiosa. Non ti incuriosisce neanche un po' sapere cosa stanno tenendo nascosto a un paese intero?»
Lui la fissò a lungo, torvo. Gli occhi, puntati nei suoi, erano ridotti a due fessure nere che, non poté negarlo, la intimidirono. Ma li resse.
Alla fine, Josh s'ammorbidì. «DH» chiamò. L'Asservito si presentò immantinente. «Recupera le planimetrie dell'Accademia.»
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Venti minuti più tardi e dopo aver dispensato l'Asservito, Josh stendeva una delle piante dell'intera Accademia sul tavolo. Sue si perse nell'intreccio di linee e si domandò come qualcuno potesse capirci qualcosa.
«Come fai ad averle?» chiese Areth mentre Iris si preoccupava di stendere a dovere una parte della carta rimasta sollevata. «Non dovrebbero essere private?»
Josh lo guardò come se fosse della muffa. «Inizio a credere, Mead, che la tua idiozia sia voluta perché raggiungi livelli a dir poco vergognosi. La mia famiglia investe in questo posto, ci ha costruito, è facile recuperarle.» Ignorò sia l'occhiata del ragazzo che la nuova lamentela di Iris e si rivolse a Sue. «A occhio e croce, il busto che cerchi sarà in un punto che gli studenti non possono raggiungere.»
«Per esempio?»
Lui studiò la pianta. «L'Accademia è tanto ampia che spesso gli edifici in disuso vengono solo chiusi, non smantellati. O come le vecchie serre o il Planetario», Iris emise un versetto di sdegno, «erano costruiti al di sotto. Può essere che sia qui» puntò un grosso rettangolo all'estrema destra del foglio. «I precedenti dormitori. Oppure qui», indicò un insieme di linee in alto, «nell'ala chiusa della palestra accanto alla voliera degli Aeris. Volendo i posti sono centinaia.»
La Krafti si sporse in avanti e spostò l'attenzione su un ampio spazio vuoto, cerchiato in rosso. «Cos'è questo?»
«È dove poi è stato costruito il Teatro Delfina» rispose Josh. «Ma quello è nuovo e in uso. Lo escluderei.»
Un dubbio assalì Sue. «Quindi è stato... costruito da zero?»
«Sì.»
«Quando?»
«I lavori credo siano iniziati qualche anno dopo la mia nascita. Quattro o cinque. Perché?» Fu perplesso mentre Sue deglutì. «Che c'è?»
«Che siamo coetanei» affermò.
Il segno rosso sulla carta le sembrò un enorme pulsante d'allarme. Come aveva fatto a non pensarci prima? Avrebbe dovuto capire subito che qualcosa non tornava. Josh stesso aveva detto che il teatro era stato realizzato per lui. Sollevò lo sguardo dalla planimetria, la fissavano tutti, in attesa. «In barcaccia, sulla balaustra, c'è inciso il nome di mia madre. Ho dato per scontato che dovesse essere stata lei. Ma se è stato costruito da zero dopo la tua nascita, dopo la nostra...», si umettò le labbra, «mia madre era già morta.»
Ad Areth la risposta dovette sembrare ovvia. «Sarà stata tua sorella.»
«Non la conosci. Non danneggerebbe mai una proprietà del Principato.»
«Quindi, se non è stata Hannaline», intervenne Iris, «qualcuno avrebbe inciso il nome di tua madre in questi tre anni?»
«Quantomeno prima che arrivassi qui.»
«Come il busto» suggerì Areth. Sue lo guardò ed ebbe la certezza di condividere il suo stesso pensiero. Ripensò alla terra con l'erba rada. Se non fosse Areth il motivo della rimozione? È possibile che sia io? Che le due cose siano collegate? Scattò in piedi.
Josh l'imitò. «Dove vai?»
«Al teatro.»
«Sue, mi pare evidente che ci sia qualcuno interessato a te, il principato solo sa il perché» squittì Iris e s'alzò. «Ma la lettera che hai ricevuto non mi è parsa un invito. È una minaccia.» Un inatteso allarme le baluginò sul viso e, in parte, Sue l'apprezzò. «Può essere pericoloso.»
«Non va da sola» s'offrì Areth e fece per raggiungerla.
Ma Josh lo bloccò per un braccio, occhi truci. «Tu sei l'unico che dovrebbe starle lontano.»
«O che non corre rischi.» Si liberò con uno strattone. «Mi hai già fatto espellere, ricordi?»
Iris impallidì di colpo. «Sei stato tu?»
«Non gliel'hai detto?»
«Non c'è stata occasione» liquidò Josh. «Non cambiare argomen...»
Iris gli si piazzò davanti, furiosa. «Non c'è stata per dirmi che hai fatto espellere il mio ragazzo, ma per baciarmi sì?»
Ora a strabuzzare gli occhi, saettanti tra lo Zivel e la Krafti, fu Areth. «Come scusa?»
Qualcosa nel petto di Sue si ruppe. «Tu l'hai baciata?» biascicò rivolta a Josh.
«Non proprio.»
«Bugiardo» sibilò Iris.
«E gliel'hai permesso?» Areth era sconvolto.
«No!»
«Ora chi è quella bugiarda?» fu retorico Josh mentre Sue non ascoltava più.
Areth si fece avanti a pugni stretti, lo bloccò solo la presenza di Iris nel mezzo. «Mi hai fatto espellere per allontanarmi da lei?»
«Sei quello perspicace della famiglia, vero?» disse l'altro irridente.
«Josh!»
«Apri gli occhi, Abrahams, è per il tuo bene. Vuoi sposare un terroris...» Uno schiarimento di voce improvviso fece sobbalzare Sue e la discussione si spense. Era apparso DH.
Josh si girò e gli chiese: «Cosa c'è?»
«Lord, è per voi» disse atono. Reggeva un vassoio dorato, sul quale campeggiava una busta nera. Josh l'aprì e scolorò.
Preoccupata, Sue fece un passo avanti. Le mani del ragazzo tendevano la lettera con troppa forza. «Che succede?»
«È una convocazione della Convergenza» disse e un sibilo, acuto e freddo, si spanse. Erano le finestre, avevano iniziato a vibrare. «C'e scritto che durante la cerimonia per l'ex principe questa mattina, allo Snodo, c'è stato un attacco Necromant.» Vacillò. «Mio zio... è...»
Non finì. Non ci fu bisogno. La sua voce fu sostituita da un forte clangore, come se qualcosa fosse stato divelto. Un istante dopo, Iris strillò e Sue si voltò repentina. Vide Areth, sollevato a mezz'aria, che boccheggiava con stretto al collo una parte del freddo bordo decorato dello specchio.
«Smettila.» urlò Iris. Ma morsa non s'allentò. Areth si dimenava, più tentava di staccarsi il metallo dalla pelle, più si stringeva. Le dita non riuscivano a creare alcuno spazio. «Josh, smettila!»
Lo Zivel non ascoltava, rileggeva la lettera come in trance. Sue fece scivolare la mano nella sua appena un rivolo di sangue colorò la gola di Areth. Lo sguardo cupo scattò su di lei: vide dolore, incredulità e rabbia. «Era qui, Josh», mormorò. «Lui non c'entra.»
«Sicura?» sputò, feroce.
No, non poteva esserlo. Non sapeva cosa potesse fare un Necromant e come o se il ragazzo c'entrasse con quanto riportato dalla convocazione. Ma disse: «Mi fido. Per favore, lascialo.»
Benché l'ira non abbandonò Josh, il cappio di metallo si ritrasse dal collo di Areth, che crollò ansimante a terra in un tonfo. Iris fu subito da lui, bianca in viso.
«Se scopro che sei convolto, Mead», ringhiò Josh, «sei morto.»
Sue provò a tirarlo per la mano per portarlo via, dargli modo di calmarsi e allontanarlo da Iris, che lo guardava furente, ma sembrò inchiodato sul posto e... altro l'attirò. Era sempre DH, anche lui immoto accanto a loro, che rumoreggiò.
«Lady.» Il tono s'era rabbuiato e lei capì il perché, quando guardò giù. Sul vassoio campeggiava un'altra busta nera. «È per voi.»
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