21 - SARABAND FOR 𝑀𝐼𝑆𝑃𝐿𝐴𝐶𝐸𝐷 LOVERS (p.1/2)
Quella notte, Sue ebbe gli incubi. Sognò l'Immersione: Galia, Lucio, Marcus, Xavier, il Giudizio. Rivede i volti sgretolarsi in cenere e il sangue; si svegliò madida di sudore con l'impressione che le colasse sulla pelle. Vomitò, per sei volte; alla settima, con la gola inacidita, buttò fuori solo aria. A colazione non ebbe il coraggio d'ingoiare un boccone. Joanna cercò di invogliarla con della frutta fresca, ma finì per tampinare un pezzo di mela con una graziosa forchettina d'argento. Sentiva che, se avesse mangiato anche una briciola, il suo stomaco si sarebbe ribellato.
«Che ti ha fatto?»
La voce di Areth non la sorprese. L'Asservita l'aveva avvisata: il ragazzo era rimasto davanti alla porta di Iris tutta la notte. Dal viso sciupato e i vestiti del giorno prima stropicciati, era anche lui sottosopra.
«Chi?»
«La mela.»
«Non ho fame» disse piano Sue. «Iris?»
«Non vuole parlarmi» sospirò avvilito. E continuò. Sue lo guardò, punzecchiando il cubetti di mela, ma non lo ascoltò. Aveva in testa le parole di Josh. È possibile che Areth mi abbia aiutato per un secondo fine? È sempre stato sincero, diretto, premuroso, un amico... Eppure, ne era consapevole, l'ipotesi di Josh non era inverosimile: era comunque un Necromant insofferente alla sua condizione. In più, Iris...
«Sue?» Areth le stava sventolando una mano davanti agli occhi. Si era imbambolata. «Quella mela diventerà poltiglia, se continui. Vedrai che con Iris... risolveremo. Ha bisogno di tempo.»
Sue annuì: non sapeva cosa dire. Iris avrebbe potuto non rivolgerle più parola. E di lui? Poteva davvero fidarsi? Era certa solo della lezione di Mr. Cooper e preferì avviarsi. Biascico un saluto e uscì, conscia degli occhi del ragazzo sulla schiena.
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L'agitazione e la stanchezza l'accompagnarono fino a ciò che sembrava la perfetta rappresentazione fisica d'una certezza: il vecchio edificio della classe di Storia Zivel. Benché avesse solo cinquant'anni, sembrava piantato lì da secoli. Cosa altro poteva rassicurarla più di un simbolo di resilienza dopo quei giorni d'inferno?
La risposta arrivò assieme a un tuffo al cuore e un pizzicore sulle guance. Tra il via vai di studenti in divise sgargianti, c'era Josh che, appena la notò, le sorrise e la raggiunse.
«Come ti senti?» le chiese.
«Bene» mentì. Aveva dormito uno schifo, doveva avere due occhiaie tanto livide che nessuna cipria avrebbe potuto nascondere e la sua vita le stava sfuggendo dalle mani come sabbia fine. Ma non lo disse e non seppe perché. Ogni volta che si trova davanti Josh, il suo cervello non ragionava. In quel momento, si stava chiedendo come potesse essere sempre perfetto coi capelli vaporosi, la pelle luminosa, il profumo dolce...
E qualcuno urlò il suo nome.
Si voltò. Mr. Cooper la stava raggiungendo a passo svelto nel suo completo gessato e appena le fu di fronte disse: «Signorina Bertrán, vorrei scambiare due parole con lei prima della lezione, in privato»
«Lady» corresse Josh.
Il professore raddrizzò gli occhiali sul naso importante. «Conosce la mia opinione in merito, Lars»
«Sbagliata.»
«Equilibrata, direi.»
Si scambiarono un'occhiataccia e Sue la colse. «Ho fatto qualcosa che non dovevo?» Sapeva che la risposta era sì, ma il professore scosse il capo. «Di cosa si tratta, allora?»
Mr. Cooper temporeggiò. «Di sua sorella.»
«Mia sorella?»
«Ci sono dissapori nella Convergenza, ultimamente?»
Interdetta, Sue fece per replicare. Ma non poté. Josh fu più rapido. «Non la riguarda», disse categorico, il tono simile a un ringhio, uno sfogo di rabbia.
«Non sto parlando con lei, Lars. Sto...»
«Ma io sì. Capisca bene: non la riguarda.» Afferrò la mano di Sue, che si ritrovò ancora più confusa. «Ci consideri esonerati dalla sua lezione.» E così fece. Trascino con sé la ragazza e lasciò Mr. Cooper, che sembrò sul punto d'inseguirli. Ma si bloccò, barcollò e si limitò a sbraitare qualcosa mentre s'allontanavano sempre di più dalla sua classe. Della quale, in verità, a Sue non importava granché: i suoi pensieri erano rivolti a Josh.
«Scusa», disse lui, dirigendosi una zona dell'Accademia a Sue sconosciuta. In lontananza, si scorgeva una cupola simile a una voliera. «È che... nemmeno dovrebbe pensare di chiederti certe cose.»
«Ti capita spesso?» Josh annuì. E dato che le parve teso, cambiò argomento. «Possiamo davvero saltare la lezione?»
«Ci sono tante cose che possiamo fare rispetto agli altri.» Le sorrise. «Nessuno qui è come noi.»
Quel "noi" e la mano di Josh che ancora stringeva la sua le provocarono un feroce sfarfallio allo stomaco. Ignorò e chiese: «Dove andiamo allora?»
«Ovunque tu voglia.»
Sue s'arrestò poco dopo, davanti a un campo di terra rossa recintato. Nel mezzo, Sue riconobbe Mrs. Bridget Dowell col suo pancione che parlava a un gruppo di studenti in tute nere e turchine, l'uno accanto all'altro. «Il prossimo Ingresso non è tra un mese?»
Josh annuì. «È una lezione. Formulazione, se non sbaglio. Vuoi vedere?» Le indicò degli spalti adiacenti mentre la si levò la voce della docente.
Sue s'irrigidì. Si voltò e dalla riga emerse Iris. In quelle vesti, si rese conto di non averla mai vista usare la sua Abilità e di quanto fosse cambiata. Tolte le mise da bambolina Privilegiata, lo sguardo si era indurito, il fisico era tonico, la postura era quella di una donna. Della ragazzina sorridente che ricordava erano rimaste solo briciole. Decise. «Sì.»
Si sederono mentre Iris sotto le direttive dell'insegnante, era già china con le mani sul terreno. La luce bluastra, che la illuminò di venature sino al gomito, prima si spanse nel campo rossiccio. Poi crebbe, verso l'alto. Ancora e ancora. Acquistò solidità, i bagliori divennero pelle, denti, artigli. Gorgoglii e ruggiti tagliarono l'aria.
Sue rabbrividì. «Fanno evocare dei Ballari agli studenti?»
«Ai migliori» fece Josh. Sembrò fiero. «E insegnano come sbarazzartene di giorno.»
«G-giorno?»
«Sono creature Krafti, nate dalla trasformazione dell'energia luminosa. Senza una fonte di luce continua abbastanza potente, muoiono.»
Sue s'illuminò. «Per questo l'Antisala è un luogo sicuro. È troppo buio.»
«Sì. In alternativa, l'unico modo è...»
Indicò Iris, che era già diventata il bersaglio del Ballare. Benché minuta se paragonata alla bestia, Sue non scorse nell'amica un briciolo di timore. Al contrario, fu rapida. Corse incontro al Ballare, noncurante degli arti taglienti come rasoi, scivolò al di sotto del grande corpo e, a mani turchine, s'aggrappò a una delle potenti zampe posteriori. S'udì il suono di ossa rotte e il Ballare si dimenò zoppo. Iris gli saltò in groppa e fu tanto svelta che Sue vide appena: avvinghiò le gambe alla gola della creatura, ne afferrò la testa e, tra un mormorio sulle labbra e un accecante bagliore, la torse. Quando il Ballare s'accasciò al suolo, la testa rotolò nel campo spillando liquame bruno.
«Decapitarli» concluse Josh mentre Iris smontava dalla creatura, fluida e aggraziata quanto una gatta. Per un istante, uno solo, questa li guardò.
Quando piantò gli occhi azzurri in quelli di Sue, il disagio l'assalì. «È...», la voce tremò, «davvero brava.»
Lui guardò il campo, poi di nuovo lei e la invitò ad alzarsi. «Facciamo due passi.»
Sue lo seguì. Mentre il sole del mattino iniziava a scaldarsi, Josh si dilungò nel raccontarle i luoghi dell'accademia. Dalla grande voliera per le esercitazioni degli Zivel Aeris che aveva già notato, alle Calmerie per i Domen più agitati, a quelli che le parvero piccoli tempietti di marmo scuro e oro utili ai Wizja. Attraversarono la piazza principale, un cortiletto silente e giunsero nei giardini. Sfociarono alla lunga via dei busti e a Sue cadde l'occhio sul volto austero di Xavier. Lo rivide davanti a sé con la fiamma azzurra tra le mani e il sorriso malevolo sulle labbra. Rivide il sangue che non l'aveva lasciata dormire. Scacciò il pensiero e lo sostituì con un altro altrettanto invasivo: non aveva detto a Josh dell'Immersione con Areth. E doveva. C'era in gioco anche la vita di suo zio, oltre quella di Han. Fu lì, sotto il pergolato che Josh disse: «Lo sarai anche tu»
«Cosa?»
«Brava come Iris» affermò. «Sei un'Iskra.»
«Inutile.» Si torturò le mani. «Senza Abilità.»
«Ce l'hai.»
«Forse.» Sollevò gli occhi scuri nei suoi. «Come fai a dirlo?»
«L'hai fatto tu. Ieri sera, ricordi? Hai saputo del Giudizio da una visione. E abbiamo stabilito che tra noi dev'esserci fiducia, no?»
Josh le afferrò il braccio e fece scivolare la mano nella sua. Sue sentì quel senso di protezione e sicurezza avvolgerla...e qualcosa di gelido formarsi nel suo palmo. Quando lui la lasciò, vide la catenina col ciondolo che aveva creato per lei all'Ingresso del Debutto; il rossore le divampò in viso.
«Mi spiace non essere arrivato prima» disse lieve. «Forse i Ballari non ti avrebbero ferita.»
«Non importa» mormorò. «Hai detto tu che non ci avrebbero mai fatto davvero del male.» Qualcosa baluginò negli occhi di Josh, qualcosa che a Sue parve incertezza. «Giusto?»
«Giusto» sorrise. Prese la catenina dalle sue mani e gliela allacciò al collo. Sue tentò di ignorare il fremito che le percorse le pelle quando le sfiorò la nuca. Poi la guardò e le carezzò una guancia porporina col pollice. «Ma la prossima volta che mi cercherai arriverò in tempo.»
Uno schiarimento di voce li interruppe.
Si voltarono: era l'Asservito di Josh, impettito e con le orecchie larghe. Avvisò il ragazzo che era richiesto con urgenza nella Sala Blu, davanti alla Stanza dell'Ancella. Seccato, quest'ultimo salutò Sue con un sorriso che avrebbe potuto scioglierla, ordinò all'Asservito in rosso di riaccompagnarla alle aule e s'avviò.
Ma quando l'uomo le si avvicinò per farle strada, Sue era impallidita. Aveva lo sguardo sgranato perso oltre la sua spalla, a osservare un ingombrante vuoto tra il riconoscibile viso porcino dell'annalista Wallace e il busto d'una donna distinta: un busto mancava.
«Non voglio andare alle aule» fece con un guizzo di tensione sulle labbra. Posso fare molto più rispetto agli altri, giusto? Tanto vale provare, si disse. «Devo parlare con Mr. Mead. Adesso.»
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La Sala Blu dell'Accademia era in realtà uno stanzotto, piccolo, color cobalto e semovente, creato dall'unione dell'abilità Krafti e Zivel Flora. Si spostava; di tanto in tanto, bloccava le scale o qualche corridoio. Per toglierselo dai piedi era necessario che qualcuno entrasse e chiudesse la porta; spariva in un poof! I più lo trovano d'intralcio, altri ringraziavano della sua esistenza. Josh sapeva chi lo cercava proprio lì. Quando entrò non si meravigliò nel vedere la figura del Professor Cooper, appoggiato a una scrivania color zaffiro. Appena lo notò sollevò le scarpe che teneva in mano. La suola era ricoperta da spunzoni di metallo che puntavano in basso.
«Ci crede se le dico che non l'ho fatto apposta?» chiese Josh. Accostò la porta; non la chiuse.
Mr. Cooper scosse il capo. «Ma ci sono modi migliori per evitare d'essere seguiti. Erano nuove.»
«E scadenti.» Non nascose il ribrezzo. «Non mi avrà fatto venire fin qui, con urgenza, per quelle.»
«No, ma non ho apprezzato.»
«Nemmeno io il suo spudorato tentativo» sibilò Josh. «L'ho avvisata quando è arrivata e ieri. Ora, per la terza volta, glielo ripeto: lasci in pace Susanne. Se vuole notizie sulla Convergenza legga un giornale. O, meglio, chieda a me. Le assicuro che sarò», sorrise sornione, «assolutamente sincero.»
«Spudorato», fece ecco Mr. Cooper, pago in viso, «ma sei corso qui.»
Realizzando, il sorriso di Josh si spense. «L'ha fatto apposta. Perché?»
«Per la prima volta, ti angosci per qualcuno che non sia tu.» Il ragazzo lo guardò truce. «Se ciò torna a mio favore...»
«Pensavo che il nostro accordo la soddisfacesse. Ha il suo lavoro qui» sputò. «Cos'altro vuole?»
Mr. Cooper lo ignorò. Annusò l'aria e gli lanciò un'occhiata. «Da quando fumi la Myrciaria Ericea anche al mattino?»
«Affari miei.»
«Da quando, Josh.»
«Da quando un professore è anche uno spacciatore?»
«Cerco d'aiutati, come da accordo» disse l'uomo. «Hai già finito quella che ti ho dato la scorsa settimana, vero?» Lo squadrò, quasi fosse sul vetrino di un microscopio. Quando gli oggetti di metallo nella stanza tremarono il professore dovette capire quanto Josh fosse irritato, ma persisté. «Non ne hai più?»
Avrebbe voluto rispondergli di sì, che ne aveva, ma negli ultimi giorni, per quanto l'odiasse, non faceva che sentire il suo bisogno di Myrciaria Ericea crescere, a dismisura. Cercò di calmarsi. «Che cosa vuole?» ripeté.
«Ho un amico che vorrebbe parlarti. Si chiama Bruce.» Mr. Cooper passeggiò molle sino all'ingresso. Josh lo seguì con lo sguardo stretto. «Posso darti tutta l'Ericea che ti serve, se lo ascolterai.»
E chiuse la porta. La Sala blu svanì.
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Non fu DH a condurre Sue da Areth. All'inizio di un'ampia ala quasi interamente costruita da spesse vetrate, fu sostituito da una collega del tutto simile a un cadavere con pelle pallida, occhi slavati e infossati nelle orbite e labbra livide. Accolse Sue buttando la testa su una spalla; il movimento del collo fu tanto innaturale da sembrarle di gomma.
Camminarono in silenzio, ma Sue non se ne dispiacque. Pensava a quello spazio vuoto, al busto mancante. Perché non c'era? Come mai? E qual era? Era colpo loro? Certo, prima c'era. Si rispose mentre si strofinava le mani sulle braccia in cerca di calore. Michela le diceva sempre che non doveva perché non era aggraziato, ma era costretta. La giacca viola era diventata improvvisamente troppo leggera. E non posso non dirlo ad Areth...
Imboccarono un corridoio, dopo una svolta a destra, e s'udirono delle voci concitate. Provenivano da dietro una pensate porta d'ebano.
«Avevi giurato d'aver smesso», diceva la prima. Era cupa, gutturale.
«Ed è così», faceva la seconda. La riconobbe: era di Areth, nervosa. Ci fu una pausa e Sue udì a stento il ragazzo soggiungere: «... da quest'estate».
Smesso cosa? E più s'avvicinava alla porta, più i toni s'alzavano.
«Lavoro senza sosta perché la Convergenza m'ascolti per cinque minuti! Tu dovresti dimostrare che si possono fidare, non fare scorribande insensate!»
«No, sperare che cambino idea scrivendo rimostranze è insensato! Per questa gente siamo mostri, Jer! Serve un altro modo, lo sai, e te lo sto dando!»
Altro modo? Quale? Sue si fece attenta.
La voce più cupa esasperò. «Se si tratta ancora di quella ragazza della Conve...»
La bussata dell'Asservita sulla porta troncò la frase. Ma a Sue bastò. Quando la soglia si schiuse e apparve il viso tirato di Areth, restò muta, interdetta. Dondolò lo sguardo tra il ragazzo e la stanza alle sue spalle. C'era un uomo vestito di nero dall'aria lugubre, coi capelli aggrediti da feroci canizie e un particolare bastone da passeggio tra le mani.
Areth accostò la porta a sé, impedendole di vedere oltre, e monocorde disse: «Non è il momento, Sue».
«C-certo, scusa» farfugliò a stento. Girò sui talloni e se ne andò. Non aspettò l'Asservita o la risposta del ragazzo. Per il resto della giornata, Inquy l'aiutò quando era necessaria qualche piccola apparizione dell'Abilità che l'Accademia credeva che avesse, ma Sue non si concentrò. Fu assente, delusa, e in mente ebbe solo una domanda:
Josh ha ragione su Areth?
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Quel pomeriggio, Iris ignorò la pensante nube rossa e dolciastra quando entrò in camera di Josh come una furia tacchettante, a schiena dritta e mento alto, nel suo abitino bianco gonfio d'organza. «Devi aiutarmi» impose sedendosi sul letto, dove l'amico, a occhi chiusi e steso, fumava.
Josh afferrò spinello tra il pollice e l'indice e in uno schiocco del palato, rispose: «No.»
«Sono stata ignorata, Josh!» squittì allora lei. Per un attimo, tossicchiò e scaccio il fumo. «Per tutto il giorno, capisci?»
«Noi la tua prova d'esibizionismo l'abbiamo vista bene» rise sommesso lui. «Credo che tu abbia messo in soggezione Susanne.»
«Lo so.» Un guizzo di soddisfazione le arricciò le labbra e non se ne vergognò. Un pizzico di disagio era un miseria rispetto ad anni di bugie. E non era certo causa sua se l'Abilità di Sue era inesistente. Si sistemò la soffice sulle gambe. «Vi ho notato. Davvero carini, sì. Ma lei non fa per te» decretò.
Perplesso, Josh mosse molle il capo per guardarla, le parve che avesse un'aria strana. Le labbra passavano dal riso a una linea inespressiva in un istante, come se nemmeno lui sapesse decidere se essere felice o triste. «Perché?»
Iris fece spallucce. «Lei è vergine e tu sei più tipo da "Miss-del-quinto-anno".»
«Le Zivel Aqua danno grandi soddisfazioni.» sorrise malizioso.
Lei arricciò il naso. «Sei disgustoso»
«E tu repressa.»
«Non è vero!»
«Hai staccato la testa di un Ballare a mani nude. Se non è essere repressi questo, non so cosa lo sia.» La esaminò da capo a piedi con occhio critico. Si soffermò sul suo vestito, in particolare sul fiocco di stoffa annodato alla base del collo e le maniche a palloncino. «A parte quello. L'hai tirato fuori dalla casetta delle bambole, bimba?»
«È couture, sciocco», replicò stizzita, aggiustandosi una seconda volta l'abito, «Comunque, intendevo Areth. Neanche si è degnato di dirmi che è stato espulso!» Josh borbottò qualcosa s'inarticolato e fumò rosso. Non si ripeté, così lei continuò. «Sai chi me l'ha detto? Emily Bauman. Bauman, capisci? Avessi visto con che sorrisetto compiaciuto. Avrei voluto toglierglielo a suon di schiaffi.»
«Quando mi hai chiamato stamattina, sei tu che hai detto di non volerlo vedere» obbiettò Josh, molle.
Aggrottò le sopracciglia. «Non è questo il punto!»
Lo era e lo sapeva. Areth aveva passato l'intera nottata davanti alla sua stanza pur di parlarle, ma non gli aveva aperto. Era la prima volta che provava rabbia nei confronti di Areth. Non era certa di come agire, quando, se fosse giusto... Dopotutto, lei non gli aveva dato l'opportunità di spiegarsi e lui aveva solo taciuto su un segreto di Sue. Allora perché si sentiva così arrabbiata con lui?
Si stese sul letto, accanto all'amico. «Vorrei poter pensare ad altro» borbottò, tampinando una coda del fiocco. Lo guardò. «Tu come fai?» In una nuvoletta rossa, il ragazzo le protese la sigaretta. «Non voglio quella roba» disse accigliata. «Fumatelo tu il cervello. Altro?»
«Forse» mormorò Josh. La squadrò di nuovo e sorrise. «Sempre che tu non tenga troppo a quel vestito.»
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Nell'oscurità, Iris cacciò un urlo. «Q-qualcosa mi ha preso il braccio! È un ratto? Dimmi che non ho un ratto sul braccio!»
«Sono io, fifona. C'è un gradino» ridacchiò Josh, al suo fianco.
Procedendo a tentoni, lei non ci trovava nulla di divertente. Erano scesi in un seminterrato dalle pareti umidicce, che sapeva di muffa e che squittiva di sorci. Faceva freddo e, in più, era buio pesto, cosa che, da Krafti, mal sopportava. La nota positiva era che non poteva vedere com'era ridotto il suo vestito bianco. E le scarpe: pensare alle condizioni delle sue pregiatissime Christi&Ior, tra i topi, le dava la nausea. «Mi spieghi che ci facciamo qui?»
«Ora lo vedi»
Josh abbandonò il suo fianco e Iris sbiancò. Essere sola in quel vuoto nero l'angosciò. Ci fu un cigolio, un tonfo e un colpo sordo, quasi avesse tirato un pugno alla parete. Poi, la luce s'accese su un'enorme sala che Iris, per quanto in preda allo stupore, riconobbe: «È un Planetario Krafti?»
L'avrebbe definito come un gioiello impolverato. Sapeva di stantio, era sporco e i segni d'incuria erano evidenti, ma sotto a quella patina grigiastra, ovunque guardasse, c'erano marmi dell'Accademia, pareti rivestite da freghi d'oro, pavimenti dalle trame elaborate, sedie di velluto blu.
«Già.» Josh s'inoltrò tra le sedie al di sotto dell'immensa cupola scura. «Poi quei rimbecilliti dei Moreau hanno voluto costruire l'Osservatorio ed è stato dismesso una decina d'anni fa.»
«Hai sempre una parola buona per tutti» commentò mentre lo raggiungeva. «E ci vieni spesso?»
«In questi giorni. Sarebbe bello vederlo acceso, ma è rilassante. C'è pace.» Josh s'accasciò sulla poltrona, quasi non avesse più equilibrio, e, di punto in bianco, fissò la parete di destra. Stropicciò gli occhi. «Quello però non c'era.»
Iris si sedé al suo fianco, seguì il suo sguardo e chiese: «Di che parli?»
Indicò il muro. «Di quel quadro.»
Lei controllò ancora. «Josh, non c'è alcun quadro.» E gli lanciò un'occhiata: sembrò più spaesato di lei. «Secondo me, quella roba che ti fumi da allucinazioni»
«Forse» disse con una risata che non trattenne. La guardò. «Allora, Abrahams, avvii la baracca o facciamo notte?»
«Un "per favore"?»
Fece spallucce. «Domani.»
Iris rimuginò su quanto l'amico potesse essere viziato, ma l'idea non le dispiaceva. Così, adocchiato il riduttore e accertatasi che fosse ancora spento, tese le mani. Mormorando parole che solo un Krafti avrebbe potuto comprendere, richiamò le luci dell'intero Planetario. Abbandonarono le lampade attaccate ai muri in volute morbide e brillanti e si addensarono nei suoi palmi. Amava il pizzicore dell'energia luminosa sulla pelle, quasi come leggere scosse; sapeva di pura libertà. La scagliò verso la cupola ed esplose in un tripudio di stelle. Luminose e fluttuanti disegnarono la volta notturna tutt'attorno a loro. «Com'è?»
Josh le scoccò un'occhiata in tralice. «Da spaccona.»
«Senti chi parla» commentò a labbra arricciate. E quando lui piegò le sue in un sorriso, ricambiò. Si aggrappò al suo braccio, posandogli la testa sulla spalla, e ammirò le costellazioni davanti a sé. «Lo sai che i Krafti diventano stelle quando muoiono?»
Josh rise ancora. «Chi ti ha detto questa stronzata?»
«Mia nonna Bluma. Prima che morisse.»
«Beh, tua nonna sparava stronzate.»
«Voi Zivel e il vostro senso pratico Non avete un briciolo di romanticismo», lamentò Iris, accigliata. Ricordò sua nonna che, borbottando nelle guance flosce, le raccomandava di non seguire il suo esempio e d'innamorarsi alla follia di un Krafti, cosicché sarebbero potuti stare insieme persino dopo la morte. Non aveva applicato il consiglio. Istintivamente, la sua mente volo ad Areth e il cuore le vibrò. Non le era mai importato chi fosse, cosa fosse. Però, se fosse stato come me... Scacciò il pensiero. «Sono credenze. Non saresti rincuorato nel ritrovare chi hai perso solo osservando il cielo?»
«No.»
«Come mai?»
Josh rimase in silenzio a lungo. Poi, d'un tratto, disse: «Lo zio di madre adorava guardare le stelle.»
Iris alzò lo sguardo su di lui Le luci del Planetario giocavano sul profilo dai lineamenti perfetti, ma gli occhi sembrano persi.
«Diceva di amarne una» continuò Josh. «Restava notti intere, in terrazza, a mormorare. Gli davo del pazzo. Non si curava di niente e di nessuno, neanche di sé. Insomma, come si può...» Tacque ancora e fissò la cupola. Infine, soggiunse: «Non so se sarei capace d'amare così intensamente una persona da dimenticare me stesso.»
«Tutti lo siamo» disse Iris.
«E tu lo fai?»
«Perché me lo chiedi?»
Lui si voltò. La guardò in una maniera strana: intensa, ma liquida. «Non lo so.»
E la baciò.
Fu tanto improvviso che Iris non reagì, paralizzata. Sentì il cuore balzarle in gola, il calore arrossarle le guance, la mano di Josh premerle sulla nuca, tra le chiocce scure. E le labbra le si ammorbidirono. In bocca le scoppiò un sapore così dolce che la stordì. Cancellò ogni cosa, come se il mondo non esistesse; come se, per un momento, fosse stata catapultata in un altro, dove tutto era amplificato: il respiro, i battiti, i brividi lungo il corpo, le dita di Josh sulla pelle...
Si ritrasse, repentina, e non seppe stabilire chi dei due fosse il più sorpreso.
«Iris, io non...» disse Josh.
Non lo fece finire. Se ne andò con una mano sulle labbra troppo rosse.
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