2 - THE 𝐿𝐴𝐷𝑌 AND THE 𝐿𝑂𝑅𝐷
«Cerco», Sue lesse a stento dal bigliettino intestato, «Mildred Von Waizsäcker.»
«La dirigente amministrativa... Weizsäcker?» aggiustò la pronuncia l'Asservito vestito di nero, chiuso dentro una guardiola pari a una gabbietta per uccelli.
Aveva trascorso ore e ore in auto, passando dalla Frazione Ovest a quella Est Cerchia Privilegiata, per ritrovarsi nell'immenso ingresso di travertino e serpentino dell'Accademia, affiancata da Inquy, a chiedere di una sconosciuta... nel panico. Non sapeva cosa fare, dire, dove andare. Il cuore le era saltato in gola già dal cancello esterno, quando sul ferro nero aveva letto l'enorme targa d'oro, con incise le parole dell'attuale regnante del Principato, il principe Valentine Aveyard Clare: «Ogni Iskra ha il dovere di ampliare la sua Abilità e porla al servizio della società». Sue, che non l'aveva, avrebbe voluto fuggire. Si era sentita svenire appena scesa dall'auto, davanti alla facciata del colossale istituto, alta, ricca e opprimente. L'Emanazione di foglie aveva dovuto reggerla per le spalle.
L'Asservito, dagli occhi incappucciati, le indicò un grosso portone e deferente disse: «Seguite il corridoio a destra».
«Grazie», Sue indugiò sulla targhetta attaccata al petto dell'uomo: TL8543. E tirò a indovinare. «Thomas». Dovette essere il nome sbagliato perché l'uomo non ebbe reazioni. «Timoty? Theodore? Trudi?»
Non poté accorgersi del guizzo che sollevò le labbra dell'uomo, dato che il portone si spalancò in un potente cigolio. Ne uscì una donna emaciata sulla settantina, abbigliata da camicia, gonna e scarpe grigissime. Il viso rugoso era una maschera rabbiosa e i capelli bianchi erano imbrigliati in un intreccio di spilloni.
«Lei perché è qui? E perché c'è un'Emanazione?» sbraitò a Sue. «Gli studenti registrati non possono uscire e men che meno creare quelle mostruosità nel mio istituto! Insomma, non cianci! La levi!» Sue fu interdetta e Inquy fece tutto da solo: si rimpicciolì in un fruscio e sparì. «Bene e ora vada! O crede che abbia tempo da sprecare con lei?» vociò ancora. Sue fece per rispondere, ma la bloccò, guardandola con occhietti sbiaditi, acidi quanto la lingua. «Era una domanda retorica. Si svegli! Anzi, no. Non surriscaldi il suo cervello, già in evidenti difficoltà.»
«Scusi?» Era sconcertata.
Le labbra grinzose della donna si torsero. «Senta, aspetto una persona molto più importante di lei! Veloce!»
Sue rilesse il biglietto, tentennate. «È lei Mrs. Von Waizsäcker?»
«Weizsäcker. Ed è Miss, sono nubile» ringhiò aspra la dirigente.
«Mi perdoni, ma...»
«Silenzio, i ma mi provocano nausee! Sarà una gioia, per me, inserire nel suo fascicolo un richiamo per la sua scortesia, signorina...?»
«Bertrán», disse, «Susanne Cornelia.»
All'improvviso, Miss von Weizsäcker trasalì. L'arroganza scemò e deglutì. «Sorella di Lady Hannaline Bertrán?»
Sue annuì, le mostrò il biglietto e provò un briciolo di soddisfazione nel vedere la Miss fissarlo attonita. «Credo che la persona che sta aspettando... sia io.»
«Sono... mortificata» mormorò la dirigente con un riso nervoso. «Mai avrei usato quel tono se...»
«Immagino» asserì Sue, svelta. Avrebbe voluto chiederle su quale base regolasse la sua educazione. Su un cognome rilevante? Ma tacque. I guai potevano attendere almeno sino alla mattina successiva.
«Mi comprenderà...» si giustificò la donna in grigio. «La gestione di un tale istituto è stressante.»
«Assolutamente.»
Si schiarì la voce. «Lady Bertrán mi ha chiamata personalmente per dirmi del suo arrivo. Siamo grandi amiche. Le avrà parlato di me.»
«In verità, no» rivelò Sue. L'espressione sconvolta della dirigente l'appagò.
«Impossibile! Siamo legatissime. A doppio filo! Ora venga! Mi occuperò io della sua Registrazione.»
«E il richiamo?»
«Lo dimentichi! Per noi è un onore averla nella nostra Accademia. Un vero onore.» Miss von Weizsäcker le ghermì il braccio e condusse lungo il corridoio dalle pareti altissime. Entrarono in un grande salone dagli ornamenti dorati, ampie vetrate, lampadari brillanti, pavimento lucido su cui spiccava la raffigurazione dello stemma degli Aveyard Clare: il leone divoratore a sei zampe, nascente dal fuoco azzurro. C'erano Asserviti vestiti di nero che si muovevano discreti e silenti come fantasmi. Ed era pieno di studenti, vivaci e chiassosi, con giacche rosse, turchine, viola, gialle. La dirigente non ebbe bisogno di sgomitare per passare. I ragazzi si scostarono subito, bisbiglianti.
Sue li guardava inquieta: erano Iskra potenti della loro Abilità, molti più piccoli di lei di tre anni. La misero a disagio. Alla fine, era il loro opposto. «Avere me?» chiese incredula alla donna per scacciare l'angoscia.
«Assolutamente» esclamò. «Per noi è un privilegio che un membro del governo come sua sorella ci abbia scelto per la sua formazione, anche se in ritardo! Lei che un giorno la sostituirà! Averla qui sarà come rivivere il passato!»
Inghiottendo il boccone amaro, Sue abbozzò un sorriso. Dopotutto, chi sono io? Solo Susanne. Che importanza ha, se si può essere la nuova Hannaline?
«Ma mi dica di più su di lei!» invitò l'anziana Miss.
«Ho studiato...»
«Parlavo sempre di sua sorella», la interruppe. «Come sta?»
Tediata, Sue sospirò: «La Convergenza la impegna». O non sarei qui...
«E il matrimonio? È sulla bocca di tutti!»
«Procede.»
Da mesi era tartassata dagli articoli di giornale alle ossessive chiamate della madre del fortunato, che desiderava a ogni costo assicurarsi della buona riuscita della nozze.
La dirigente fu estasiata. «È fortunata. Mr. Bruce Lilar è un partito di spicco tra le Casate Nobili.»
«È... tranquillo.»
Durante l'estate passata, aveva avuto modo di conoscere a pieno il futuro cognato. Malgrado fosse stata Hannaline a invitarlo a trascorrere ben tre mesi nella loro villa, gli obblighi della Convergenza l'avevano bloccata e Sue si era ritrovata sola con Bruce.
Era un Iskra affascinante, ma noioso: passava le sue giornate a leggere quotidiani, fumare sigari fetidi e giocare a scacchi, anche da solo. Palava a monosillabi e vestiva sempre dei maglioncini orrendi.
«In realtà, avrei preferito Lord Haines» ammise Sue, con un velo d'imbarazzo sul viso, mentre s'inoltravano nella sala successiva.
Lord Harrison David Haines era un amico di sua sorella; da bimba Sue aveva avuto una cotta per lui. Era allegro, attivo, spiritoso; l'avrebbe apprezzato come cognato.
«Che assurdità!» tuonò Miss Von Weizsäcker. Scosse il capo così forte che persino le sue guance smunte trovarono la forza di dibattersi. «Un matrimonio tra due Casate di Sangue? Se il principe permettesse un tale scempio, a lungo andare le Casate di Sangue scomparirebbero! Orrore! Piuttosto, gli inviti?»
«Sono stati spediti due mesi fa.»
«Davvero?»
«Non l'ha ricevuto?» fece Sue, melliflua. E punzecchiò paga: «Non eravate legate a doppio filo?».
«Suvvia, non sia così pignola! Non vedo l'ora che... Oh, guardi chi c'è!» squittì la dirigente e la strattonò con ben poca grazia verso una coppia ferma a parlottare, sventolando una mano inanellata per aria. «Mr. Cooper! Mrs. Moukarbel!» strombazzò.
«Salve, Miss von Weizsäcker» salutò il primo, lisciandosi la giacca bluastra del completo gessato, in un borbottio.
Era un uomo smilzo, sulla quarantina, con grossi occhiali posti naso ampio. Al suo fianco, ingolfata da libri stretti al petto, c'era una minuta signora di mezza età dal viso ambrato, incorniciato da fluenti boccoli biondi e illuminato da occhi azzurrissimi. Chiusa nella in una morbida mantella verde, salutò Miss von Weizsäcker con un caldo sorriso.
«Mr. Cooper, Mrs. Moukarbel, vorrei presentarvi la nostra nuova matricola: la sorella di Lady Bertrán, Susanne» annunciò la Miss entusiasta, rinsaldando la stretta sul braccio di una Sue intimidita. «Miss Bertrán, loro sono Mr. Carter Cooper, presto il suo docente di Storia Zivel, e Mrs. Serena Moukarbel, la rettrice dell'Accademia.»
«Mi aveva informato del suo arrivo» disse Mrs. Moukarbel. «È un piacere.»
«Miss? Non Lady?» chiede invece il professore.
Sue sorrise timida. «Lo preferisco.»
«Ricordo quando Hannaline frequentava l'Accademia. Il suo Proclama è stato esame finale spettacolare» continuò la rettrice. «Mi aspetto lo stesso da lei.»
«Farò del mio meglio» farfugliò schiva. Dentro di sé, urlò disperata.
«Immagino che la Convergenza la stia già preparando per quando succederà a sua sorella» intervenne il professore, sistemandosi gli occhiali con l'indice affusolato. «Ne ha già parlato con il suo futuro collega, Lord Lars?»
Spaesata, Sue non ebbe modo d'avvisarli che conosceva la famiglia Lars, Casata di Sangue, ma non sapeva di chi parlassero. Miss von Weizsäcker l'anticipò. «Professore, è un genio!» lusingò in un gridolino stridulo. «Lo chiami! Lo chiami!» E poi si mise in moto: senza troppi fronzoli, si congedò in gran fretta dai colleghi e, artigliando Sue per un braccio, la sospinse attraverso labirintici corridoi dell'Accademia.
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«Attenda Mr. Cooper qui. Sua sorella sarà così felice quando verrà a sapere di questo incontro!» proclamò esagitata Miss von Weizsäcker, dopo dieci minuti di camminata ritmata per i corridoi. La fece entrare in un salottino caldo e accogliente; poi scomparve danzante nella sua gonnella.
Sue si crogiolò nel silenzio. Con la foga di chi riscopre il suono della propria voce dopo anni d'obbligato mutismo, l'anziana Miss per l'intero tragitto aveva tessuto tante di quelle lodi a sua sorella da provocarle un azzannante cerchio alla testa e un nodo allo stomaco.
A Han non importa chi incontro, pensò, guardandosi attorno con la borsa dondolante tra le mani. A Han non importa di me. Saggiò i divani color crema, erano morbidi. Inspirò ed espirò l'aroma di legna che arrivava dal camino in marmo bianco, ma non si calmò: il corpo fremeva d'agitazione, la testa doleva.
Si rialzò. S'avvicinò a una delle tante librerie addossate alle pareti e lesse qualche titolo: libri di Iskra, per Iskra. Non per me. Camminando, si ritrovò davanti a uno specchio, posto al di sopra di un mobile basso pieno di ninnoli. Si osservò, occhi spenti e guance pallide. Perché non sono un'Iskra. Sono il nulla. Non resse il suo stesso sguardo e lo abbassò sui soprammobili. Tampinò con un dito il capo di una vecchia statuetta di bronzo: la fece dondolare molle a destra e sinistra. Era gelida.
Ma capisco perché questo posto le piaccia. È tutto un Hannaline qui, Hannaline là, lamentò. Poi, ad alta voce, le scappò: «Ci mancava il mal di testa».
«Ce l'ho anch'io!»
Udì. Scolorò e, artigliando i manici della borsa, si voltò di scatto. «Chi è?»
Silenzio; la stanza era vuota. Ma qualcuno aveva parlato. O se l'era immaginato?
Di colpo, sentì ancora. «Sono qui!» Era una voce distorta, come arrocchita da un vento troppo freddo. «Qui», continuò ancor più greve, «dietro!»
Sue trasalì. Alle sue spalle, percepì una sorta d'alito gelido inumidirle il collo, che le discese la spina dorsale sotto forma di tremiti. Ebbe il cuore in gola, il fiato sospeso. Si girò, impaurita e tesa come una corda di un violino, e urlò...
Al suo riflesso.
Era terrea, con le labbra contratte dallo spavento e il petto ansante. Il cuore palpitava imbizzarrito e le gambe oscillavano come gelatina. Se non si fosse retta al mobile, sarebbe crollata.
Se l'era davvero immaginato? Stava già impazzendo? No, l'ho sentito... Era...
Abbassò lo sguardo.
Posta sul ripiano, esattamente dietro di lei, c'era la statuetta di bronzo e sembrava osservarla con insistenza. La raccolse e la fissò: logorata dagli anni, raffigurava un uomo ben vestito, in una posa rigida e austera, con un globo tra le mani. La capovolse e la scosse, indugiante.
«Non è... che... hai parlato tu?»
Fu una domanda mormorata a fior di labbra, udibile a stento, ma il silenzio che seguì fu assordante. Che idea. Come fa una statua a parlare? Sarà l'ansia. Quasi rise della sua ...
«Miss Bertrán!»
Sobbalzò; per poco la statuetta non le sfuggì di mano.
Si girò e stirò le labbra in un sorriso quieto: «Mr. Copper.»
Il professore, con le mani legate dietro alla schiena, troneggiava al suo fianco come un falco, proteso in avanti e con gli occhi verdi, ingigantiti dalle spesse lenti degli occhiali, puntati sul bronzo.
«Vedo che ha gusti raffinati, ma stia attenta, non è il caso di giocare con oggetti tanto antichi» riprese. Arbitrario, le sottrasse la statuetta e la ripose sul mobile. «Soprattutto se riguarda il fondatore del Principato.»
«È... Xavier Aveyard Clare? Il padre del Principe Valentine?»
«Esatto.»
Stupita, Sue scrutò l'uomo di bronzo con occhio clinico. Lì, vide i lineamenti ritratti in centinaia di dipinti: il naso aquilino, l'espressione inclemente sulle labbra sottili, il mento appuntito. Fu mortificata. «Mi spiace. Ero qui e...»
«Non deve», l'anticipò il professore, pacato, «dispiace a me averla fatta attendere, ma trovare il suo futuro collega alle volte è una vera impresa». Fece entrare uno studente abbigliato con una camicia chiara, pantaloni scuri in tinta con le scarpe lucide e una giacca viola a doppio petto, con risvolto a punta e bottoni dorati. «Le presento Joshua Nathaniel Lars.»
Per un istante, il respiro di Sue si mozzò in gola. Joshua Nathaniel Lars era a dir poco attraente: alto quanto il professore, possedeva il classico fisico – robusto e atletico, dalle spalle ampie e la postura rigida- di molti Privilegiati; l''incarnato del viso, dai lineamenti definiti, era liscio e ambrato; il naso era dritto e col ponte alto; le labbra erano piene, rosee e dalla linea a cuore; la chioma bruna, curata in un sofisticato taglio corto, era luminosa. Ma ciò che incantò Sue furono i suoi occhi: affilati, erano due pozzi nerissimi, assalenti quanto conturbanti.
Provò una sensazione strana, un misto di timore e fascino; tentò di mascherare il primo, ma non seppe come gestire il secondo. Fortunatamente, fu il nuovo arrivato a scongiurare un silenzio imbarazzante.
«In verità, è Lord Joshua Nathaniel Lars. Ma basta Josh» rettificò, esibendosi in un perfetto baciamano. Aveva una voce profonda e il suo tocco era carezzevole. «È un piacere. E ammetto che ciò che ho sentito su di te non ti rende giustizia.»
«Grazie. Il piacere è mio» sorrise vergognosa Sue, guance arrossate.
Mr. Cooper schiarì la gola in un nuovo borbottio. «Sia meno puntiglioso, Lars. Conosce la nostra politica: non importa a che Casata apparteniate. Siete solo studenti, almeno sino al Proclama.»
«Ha ragione, professore. Tendo a specificare» disse il ragazzo, con un tono saccente che Mr. Cooper gli scoccò un'occhiata torva.
Ma presto ritrovò l'allegria. «Ebbene: due eredi ai seggi che non si sono mai incrociati. Curioso.» Si sistemò gli occhiali sul grosso naso e dondolò lo sguardo verde tra i due. «Di soliyo, le Casate di Sangue si frequentano assiduamente.»
«Se non vado errato,» prese parola Josh, «la signorina e sua sorella erano state invitate all'evento promosso dalla mia famiglia quest'inverno, ma ha partecipato solo Lady Hannaline.»
«Mia sorella è restrittiva», giustificò Sue, «dopo la morte di nostra madre.»
«Sì, ricordo le notizie. Una tragedia» bofonchiò il professore. «Ma torniamo a noi. Spero che andrete d'accordo, sarà utile per quando entrerete nella Convergenza. Le decisioni sono molto più semplici se le otto Casate di Sangue sono armo...»
Un trillo acuto lo interruppe. Proveniva dall'orologio al suo polso.
«Accidenti. Il tempo è tiranno.» Si rassettò il completo gessato con manate frenetiche. «La riunione dei docenti chiama. Continuate pure senza di me. È stato un piacere, signorina Bertrán. Sarò lieto di attenderla tra i banchi della mia aula.» Si rivolse al ragazzo. «Lars, non faccia tardi al discorso di questa sera.»
«Non oserei.»
Si scambiarono un'occhiata di fuoco che Sue notò. E quando il professore imboccò la porta, ficcanasò: «Sembrava irritato».
«Non ti stupire, i professori qui si credono superiori, persino a noi Casate di Sangue» rispose Josh.
«Non credo importi la Casata qui. Si viene per imparare, no?» fece Sue, tentennante.
«Tesi interessante.» Il tono di Josh era di sufficienza. «Allora, Lady Susanne Cornelia Bertrán.» Pronunciò il suo nome tra l'altisonante e il canzonatorio, un lampo di sfrontatezza. «In effetti, è strano non averti mai visto in giro.» La squadrò da capo a piedi con un'intensità che Sue giudicò invadente; si sentì nuda sotto lo sguardo fosco troppo penetrante, scottante sulla pelle.
«E sembri tesa.»
«Non lo sono» disse di getto Sue. Mentì: lo era, quanto una corda di violino pronta a spezzarsi. Come doveva comportarsi con un Iskra? Se Josh le avesse chiesto dei dettagli che non era in grado di dare? Se avesse voluto vedere la sua Abilità? Sviò. «È che hai sbagliato.»
Josh le si avvicinò. «In cosa?»
Il suo profumo le invase le narici. Era dolciastro, pervasivo; le diede quasi alla testa. «Preferisco Miss a Lady.»
«Perché?» chiese stranito. «Ti spetta per nascita, e quando ti sposerai farai solo un favore al fortunato Nobile. Non dovresti degradarti in questo modo.»
«Non mi degrado» tartagliò Sue. «È per non creare confusione.» Era una bugia. In verità, non desiderava condividere un titolo con una donna tirannica e crudele che la disprezzava solo perché non era ciò che il Principato voleva: un'Iskra come ogni altro privilegiato.
«Confusione?» Sul viso del giovane Lord apparve un sorriso felino e, laconico, disse: «Mi ero dimenticato quel che si prova».
«A?»
«A parlare con chi non sa mentire.»
«Non mento.»
«Sì, l'hai fatto. È chiaro che tu sia poco pratica dello sporco e vile mondo. Dovresti uscire di più. Forse, tra un ricevimento o due, saprai risultare quantomeno credibile.»
Il petto di Sue s'accese di fastidio. «Non sono una mondana, ma so mordere se serve.»
Rise sotto i baffi. «Davvero?»
«Sì.»
«Quanto?»
Sue arrossì. Ma che stava facendo? Mordere, lei? Come le era uscito? S'azzittì.
«Non me lo vuoi dire?» chiese Josh con un sorriso divertito che la stordì. «Non voleva essere un'offesa, ma suppongo che avrò molte occasioni per indagare su quanto sai mordere, futura collega.»
Sue si riebbe. Giusto, la Convergenza.
Rapida, richiamò i racconti sbrigativi di Han, gli attimi rubati spiando attraverso le porte socchiuse, e scovò ciò che cercava: il collega Zivel Ghisa della sorella, Lord Andrew Dominic Lars, nonché la copia sputata del ragazzo.
«Lord Andrew è tuo padre?» gli chiese. «Manipoli il metallo?»
«Meglio.» Josh tese una mano e su questa si formò un vassoio d'argento con due bicchieri. «Lo creo.»
Sue sbalordì, ma non volle darlo a vedere. Gli Zivel che sapevano creare il proprio elemento non erano molti. Spesso provenivano da Casate di Sangue, come sua sorella.
«Andrew è mio zio», continuò il ragazzo mentre riempiva i bicchieri di metallo grazie alla fiaschetta dalla giacca. Il vassoio era fermo per aria. «Lui non ha figli. Qualche anno dopo aver superato il Proclama, prenderò il suo posto nella Convergenza.»
«Emozionante, no?» fece Sue.
«Quanto dello scotch annacquato» lamentò. Le passò uno dei bicchieri. «Fortunatamente, questo è ottimo.»
Lei esitò. «È permesso?»
«Ha importanza?»
Titubante, Sue fece scivolare la borsa sull'avambraccio e accettò, goffa. Non era avvezza all'alcol; eccetto per il vino rosso durante le cene formali o la dose serale di gin di Han, in casa sua era bandito. Il liquore più intenso che avesse assaggiato era quello all'amaretto, usato occasionalmente da Irina. L'odore pungente dello scotch le inumidì gli occhi.
«Non hai simpatia per la Convergenza?» domandò a Josh che, al contrario suo si godé un sorso corposo.
«Regola numero uno, qui, erede: mai rispondere a domande sulla Convergenza, se poste da chi non ne fa parte.»
«Quindi, tu alle mie puoi.»
«Afferri in fretta»
«Allora?» incalzò.
«Ritengo che sia una brutta bestia» disse lui. «Ti divora. Eviterei volentieri di finire tra le sue grinfie.»
«Perché?»
«Tu vorresti?»
«Succedere a mia sorella, dici?»
Lui annuì e Sue si meravigliò. Era il primo che glielo chiedeva.
«No», disse di getto, sincera. Ma subito si morse la lingua e si corresse. «Volevo dire, si. O meglio, forse.»
Josh rise lieve. «Mi sembri un po' confusa.».
«Sono certa che sarà bello lavorare nella Convergenza» dichiarò Sue con una sicurezza che non le apparteneva e che mal dissimulava. In verità, non voleva. Odiava quella prospettiva.
«Sì. Avere più potere di quanto si possa immaginare, le chiavi del governo in mano, pasteggiare allegramente con il bel Principe. È...» Di punto in bianco, Josh sghignazzò. «No, non ce la faccio. Devo essere onesto: la Convergenza è una grandissima stronzata. E tu», la guardò, occhi negli occhi, «la pensi come me.»
Sue faticò a non ridere. «Mi era stato detto che qui il linguaggio è importante.»
Josh bevve e arricciò le labbra in una smorfia irriverente. «Credimi, qui dicono un sacco di cose idiote.»
«Per esempio?» chiese curiosa.
«La più assurda? Le ciambelle sono bandite.»
«Perché?»
«In tre anni, ancora non l'ho capito.»
Risero e Sue si scoprì tranquilla per la prima volta in quella giornata. Si rese conto solo in quel momento di quanto Josh, in poco, fosse riuscito a metterla a suo agio.
Fu lui il primo a tornare serio.
«Dicono che tra Casate di Sangue e Nobili non ci siano differenze, che ogni Iskra sia destinato al successo» proseguì, occhi sul liquore tra le mani, «che possiamo scrivere noi il nostro futuro.»
L'ultima frase la turbò. «Non è così?»
Lo sguardo fosco di Josh trovò il suo. Era cupo, velato da un'oscura disillusione che la scosse. Era lo stesso che vedeva, giorno dopo giorno, allo specchio.
«Ma certo, futuro membro della Convergenza» mormorò Josh, le labbra tese. Nella stanza riecheggiò lo strascico di tristezza che gli colorò la voce. «Hai forse l'impressione che sia il contrario?»
Non rispose. Non avrebbe saputo come. E non ne ebbe il tempo: la porta s'aprì di botto e un «Miss Bertrán!» fece sobbalzare Sue. Josh si voltò.
Mildred von Weizsäcker era sulla soglia. «È qui! E Mr. Cooper? Vi ha lasciati soli?» strombazzò, iniziando così un monologo che nessuno dei due ragazzi ascoltò per davvero.
Josh scolò ciò che rimaneva nel suo bicchiere e lo poggiò sul ripiano. «A quanto pare il tempo è tiranno anche per noi. È stato un piacere conoscerti, Lady Bertrán» disse morbido.
«Miss» lo corresse.
Ma Josh scosse il capo e sorrise di un riso perfetto che le fece girare la testa. «No. Lady. Su di te suona molto meglio. A più tardi.» Si esibì in un nuovo baciamano e, dopo un garbato rivolto alla dirigente, infilò la soglia.
Se non fosse stato per Miss von Weizsäcker, che la trascinò via sbraitando su come dovesse ancora registrarsi, Sue sarebbe rimasta lì, immobile alla stregua una statua di sale, con un sorriso sognante sulle labbra e uno strano calore che le cresceva in petto.
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