Prologo

Una tiepida sera di aprile, di quelle sere che a guardare il cielo sembra di essere in estate. Anche a Milano, in qualche angolo scoperto dai tetti degli alti palazzi, si possono scorgere le stelle. Alzo gli occhi e le vedo. Tanti piccoli puntini luminosi.

Ah, le stelle, le mie stelle, quelle stelle che ho sfidato una volta, in una fredda serata di novembre, e che mi hanno punita costringendomi a vivere in un limbo d'amore maledetto.

Infilo una mano in borsa e cerco di recuperare le chiavi; ecco che una mano sbatte sul portone sfiorandomi il viso, seguita da un'altra posizionata sul lato opposto. Sento la fragranza del suo costoso dopobarba penetrarmi nelle narici; sussulto intimorita e giro su me stessa lentamente.

«Buonasera, principessa» pronuncia con aria ferma e apparentemente calma.

«Ciao» rispondo, tentando di non allarmarmi. Eppure la sua presenza mi inquieta, smuove una sensazione molto vicina alla paura.

«Principessa, non dici altro?»

Mi sfiora la pelle del viso con il dorso della mano e subito dopo la posa dov'era prima, sul portone, accanto al mio viso impallidito dalla paura.

«Cosa dovrei dirti?» domando, mentre provo a rallentare il battito accelerato del cuore.

«Scusa, per esempio. L'ultima volta che ci siamo visti mi hai dato del bastardo. Speravo mi chiamassi. Vorrei dimenticarti, ma io proprio non ci riesco.»

Osservo i lineamenti di quel viso in penombra e sono duri, quella pelle perfetta sembra tesa, le sue labbra sottili sono rigide e gli occhi hanno una sfumatura di leggera ossessione.

«Non ho avuto tempo di chiamarti, scusami.» Cerco di essere accondiscendente come mi ha consigliato Alice e allungo di nuovo la mano nella borsa in cerca delle chiavi.

«Non dire stronzate, principessa. Tu non volevi chiamarmi, eri impegnata a divertirti con il mio rimpiazzo.»

Si avvicina di più fino a schiacciarmi con il suo peso sul portone, vorrei mettermi a urlare, ma sono paralizzata.

«Io... io non so di cosa tu stia parlando» rispondo con la voce che trema.

Afferra il mio polso che si muove nella borsa. «Cosa cerchi tanto animatamente?» Sposta lo sguardo sulla tracolla aperta.

«Le chiavi di casa.»

Ora capisco come ci si sente quando la paura ti annienta la logica e il ragionamento, i suoi occhi hanno un guizzo maligno e io non riesco a domarlo, né a tenergli testa.

«Non ti servono le chiavi di casa.»

Stringe forte il mio polso destro incastrandomelo dietro la schiena e con l'altra mano mi immobilizza il braccio sinistro. Sento le scapole premere forte contro il portone mentre lui continua a spingere energicamente il suo corpo contro il mio. Con l'unica mano libera a disposizione risale lungo il collo e raggiunge la mandibola, ingabbiandola in una stretta vigorosa. Cerco di muovermi e divincolarmi senza successo mentre il suo volto si avvicina sempre di più. Non posso fare nulla, non posso oppormi, non sono in grado di difendermi. Sento l'odore del dopobarba sempre più forte e giro con forza la testa dal lato opposto sperando di sottrarmi a lui in qualche modo; vorrei che qualcuno aprisse il portone. La signora Maria porta sempre a spasso il suo cane la sera. Quando torno con gli occhi su di lui mi accorgo che ha lo sguardo infuocato e arrabbiato, fa scivolare la mano dalla mia mandibola sul collo e stringe. Stringe forte. Stringe troppo forte. Deglutisco a fatica.

«Mi fai male, ti prego, smettila.»

Sento le forze abbandonarmi lentamente, e quando le sue labbra avide di piacere si posano sulle mie la vista inizia ad annebbiarsi. Comprime ancora di più sulla mia gola, cerca con egoismo il sapore nella mia bocca e io inizio a perdere la percezione di me stessa. I rumori della mia città si fanno sempre più lontani.

All'improvviso il peso di quel corpo sul petto sparisce, la gola si libera delle mani che la opprimevano, l'aria sembra fluire di nuovo nei polmoni. Mi accascio a terra stremata cercando di capire cosa sia accaduto. Poi, un tonfo.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top