5 - Effusioni e delusioni

Mi svegliai, a quell'ora, nel mio lettuccio. Stirai le braccia, e fecero "crack!", così io feci: "Ohi!"

Dettagli irrilevanti di una vita comunissima... che lo erano anche per me. Forse. Perché quella mattina, la mia prima mattina da quindicenne, ero eccitatissima... sarebbe cominciata la mia nuova vita.

Non che in genere fossi troppo ottimista... ovvero, non avevo mai capito se ero ottimista o pessimista, ma preferivo credere di essere ottimista. O pessimista. Dipendeva, dai punti di vista e da come mi sentivo al momento. Era chiaro che rispetto alla prospettiva della fine dell'umanità preferivo essere ottimista. Altrimenti no. (Forse.)

Comunque, quei dettagli irrilevanti non li presi come segno della giornata che stava per venire, perché mi ero detta che, visto com'era stato il giorno precedente rispetto a come credevo, aspettarmi una determinata cosa sarebbe stato alquanto sciocco...

FreeDay mi venne incontro, e mi diede il benvenuto strofinandosi contro la mia gamba. Non chiedetemi perché, ma il mio primo pensiero fu: "Per fortuna non mi ha fatto pipì sul pigiama."

Lasciai perdere quella stupida riflessione e presi in braccio FreeDay. La accarezzai sul muso, guardandole incantata i suoi bellissimi occhi verdi... Come avevo potuto pensare al mio pigiama in un momento come quello??? Sentii che per quella gattina avrei potuto fare qualsiasi cosa, se solo me lo avesse chiesto.

Cominciò a fare le fusa, e io l'adorai per questo... Cominciai a desiderare di rimanere lì, con lei, a godermi quei dolcissimi suoni coccolosi...

"No. No, no, no. Non puoi permettertelo" riassunse il mio cervello, in una frase che non aveva senso... o che forse lo aveva, ricordandomi della praticamente-proposta del giorno precedente: "Che ne pensi se domani andiamo a scuola insieme?"... andare a scuola con quel ragazzo agli occhi di tutti così figo sarebbe stato molto, molto strano. Moltissimo strano, oserei orrendamente dire. Una cosa che toccava l'inimmaginabile... e addirittura era stato lui a chiedermelo, lui, e non io. Tutta un'iniziativa sua... tutta colpa sua.

E anche un po' mia, che gli ero andata contro.

Ma questo era tutt'un altro discorso. Ciò che contava davvero era che non m'importava di cosa fosse lui; per me, lui era lui, e questa era la cosa più importante.

Avevo ancora in braccio FreeDay, ma stavolta non esitai nel posarla a terra. Almeno, però, m'inginocchiai a carezzarle la testina, e a parlarle. "Prima regola di convivenza: mai cercare di convincere la mamma a rimanere qui la mattina. E' già abbastanza duro andare a scuola senza che ti ci metta pure tu..." le sussurrai. E lei mi guardò con i suoi occhioni...

Tentai di rimanerle impassibile. Eppure, nella frase di congedo che le indirizzai pochi minuti dopo, "Non fare pasticci, in mia assenza", c'era tanto affetto. Che potevo farci, quella gattina mi faceva impazzire.

Il mio stomaco brontolò, ma riuscii a prendere positivamente persino quel doloroso segnale... perché mai? Era una cosa un po' stupida...

Prima di uscire mi guardai allo specchio. I miei capelli erano i soliti disordinati, impossibili da domare col pettine; gli occhi mi sembravano stanchi (se non pesti...), come sempre; la bocca era secca; le guance erano pallide... insomma, ero proprio un figurino. Sospirai: un lungo, luuungo sospiro, prima di indossare la mia giacca di jeans nero (che era leggerissima ma non me ne importava proprio niente) e aprire la porta, a scoprire che forse la giacchettina era un po' troppo leggera.

Sperando che la colazione andasse giù, a scaldarmi, il più presto possibile, avanzai i primi passi fuori di casa, i miei primi passi da quindicenne... anche se questa frase sembrava adatta ad un bambino di pochi mesi... Comunque, lo feci chiudendomi la porta alle spalle come a definire la mia decisione, e questo mi rese il gesto quasi come il più maturo che avessi mai fatto. Ragionamento che compensava.

Mossi i miei primi passi iniziando a convincermi che mi sarei congelata se non avessi fatto i secondi, seguiti dai terzi. Così li feci in fretta... ma non potei scordarmi il guardarmi attorno, né il nome di quel luogo, né quei denti bianchi e quel carisma che avrei creduto falsi se solo non fossero stati così palesemente veri.

Mi fermai ad un incrocio, che mi pareva d'avere già visto. Era naturalmente logico che l'avessi già visto, poiché ero già passata di lì; ma non ci pensai: ero semplicemente convinta che fosse l'incrocio da dove avrei visto spuntare Michele, sorriso smagliante, maglia splendente... come tutto il resto.

Ma, aspetta un minuto, aspetta due minuti, non arrivò: e io rimasi impalata, imbambolata, come una sciocca, a chiedermi: "Perché mi ha dato buca?"

E la risposta la sapevo. Ero solo una sciocca, un'illusa ragazzina che cercava di fare qualcosa aldilà delle proprie possibilità... e se non era quello che credevo io, era ciò che pensavano gli altri di me. Ma avevano ragione. Perché se non fossi stata più che sciocca avrei capito cos'era che mi spingeva a rimanere tanto amareggiata da quell'attesa.
Mi incamminai piano, lentamente, per la strada di scuola. Mi guardavo i piedi, concentrata su quanto fossi semplicemente stupida: non avevamo un appuntamento, né un obbligo morale, né tantomeno uno civile... e poi perché ero tanto delusa??? Quella delusione non aveva alcun senso!!!

All'improvviso sentii una scossa. Ma non corsi a nascondermi: era così bella, così meravigliosa quella sensazione allo stomaco, e quelle due mani posate sui miei occhi erano così belle.

"Indovina chi è???"
"Michele!!!" esclamai, afferrandogli le mani per toglierle dalla mia faccia.
"Non mi apetti più???" mi chiese, per tutta risposta, in un bianchissimo sorrisone!
Risi. Ero così felice.
"Andiamo, cara gattina?" mi chiese, sempre con il suo sorriso smagliante; a rispondergli, risi.

Ci incamminammo per la strada e nulla ci fermò. Se non la pioggia.

"Scroosh" disse il cielo, all'improvviso; e io, in cambio, dissi: "Cavolo!!!"
In genere ero sempre la prima ad accorgersi della pioggia che stava per giungere, ma stavolta ero rimasta incantata... voglio dire, ero rimasta distratta, ecco... persa nei miei pensieri...

"Non potrei essere più d'accordo" concordò Michele, facendomi tornare il sorriso. In realtà non avevo idea del perché fosse scomparso: forse perché ero rimasta scioccata dal fatto... ma era comunque un po' strano, e ci ridacchiai sopra.

"Cosa ridi??? E' tragico" mi rimbeccò Michele, anche se poi ci rise sopra anche lui.

"Non ti piace la pioggia?" gli domandai, ma solo per andare avanti nel discorso e dirgli quanto, invece, piacesse a me; poiché non sembrava molto scandalizzato dalle stille che gli bagnavano il viso.

"Assolutamente sì" mi rispose. Ma io non lo feci, ghiacciata nel fascino dell'osservarlo con il viso volto verso il cielo, a repirare l'acqua della vita.


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