33 - Passi
Non mi ci volle molto per apprendere il testo di "Train", anche se quando l'avevo sentita per la prima volta (Michele TI VOGLIO BENE!!!) ne avevo capito circa... "Train", e basta...
E le altre canzoni che c'erano, non vi dico. Quel ragazzo era semplicemente meraviglioso, semplicemente, non avrei mai pensato di poter conoscere qualcuno così, così assolutamente perfetto, se vogliamo dirla tutta. Cosa c'era che Michele non aveva? Assolutamente nulla. (Ovviamente parlando di qualità...)
L'indomani riuscii ad incrociarlo sulla via per scuola, e lo vidi con a testa per aria. Già abbastanza distratto, volli distrarlo ulteriormente: "Miche... le?" esitai, vedendo che era davvero immerso in qualcosa.
Si voltò come se si fosse reso conto di me soltanto in quell'istante, e mi sorrise con i suoi smagliantissimi e bellissimi denti perfetti; con la sua voce perfetta mi salutò: "Bonjour", in un francese perfetto, ancor più perfetto dell'inglese che aveva tirato fuori il giorno prima, come fosse la sua lingua madre.
"Monsieur" lo salutai io, tentando di fare del mio meglio, e lo guardai sollecita. Lui mi guardò sollecito, e nemmeno ci muovemmo tanto eravamo concentrati a sollecitarci a vicenda.
Rendendomi conto della situazione, risi, e sciolsi anche la sua risata perfetta.
"Che succede? Sembri un po' andata oggi" disse la sua voce perfetta, e io ribattei con la mia cornacchiosa: "Sarà stato l'inglese di ieri... ma un momento... sei tu quello che si è reso conto che c'ero anch'io quando ti guardavo da due minuti!!!" mi lamentai, ma il sorriso rimase là dov'era comparso.
"Pensavo... a una cosa..." fece il misterioso, e negli occhi gli guizzò una lucina assai maliziosa.
"Aha... sarà una di quelle di cui parlate sempre voi maschi...", pensando alle cose sconce che sentivo a questi dire ogni volta che passavo loro accanto.
"Io non le dico" mi sfidò, e io raccolsi la sfida: "Certo..."
"Non mi credi?"
"Sei troppo fighetto per non dire quelle cose. Uno come te può fare quello che gli pare."
Ammutolì. "Ti sbagli, sai?" fu la sua amara conclusione.
Lo fissai, e lui mi fissò a sua volta. C'era qualcosa di triste nei suoi occhi, qualcosa che mi fece venire voglia di abbracciarlo e dirgli: 'Tutto passerà'. Ma fa male non sapere cosa fa male ai tuoi amici, nè sapere cosa li farebbe stare meglio o cosa li farebbe invece morire.
"Lo so."
Decidemmo finalmente di camminare, cominciando quasi contemporaneamente senza esserci consultati. Procedevamo l'uno al fianco dell'altra, e sorrisi perché era una cosa dolce, che lo divenne ancor più quando le sue dita scivolarono tra le mie, e le strinsero. Quella pelle era calda, e morbida, e liscia; ma la stretta era distruttiva, così forte da poter benissimo riuscire a schiacciarmi il cuore, come il dolore che voleva trasmettere così era pesante, e duro.
Riuscivo a sentire il suo dolore, e faceva male, anche se non riuscivo a capire perché lo provasse, e così quel dolore era moltiplicato per se stesso, contando anche il fatto che non potevo dargli proprio niente se non l'orrore di persona che ero, e che lui non meritava.
Se si apriva con me, io potevo aprirmi con lui. Aprii le braccia e ce lo strinsi dentro, senza preavviso, senza richiesta, senza contratto: non aveva firmato alcunché, e rimase imbambolato per un attimo prima di ricambiare.
Non volli stringerlo troppo forte, perché sapevo che poi sarebbe diventato magrissimo e mi avrebbe resa triste: ma lui strinse me, e rimanemmo così per molto, molto tempo.
Quando arrivammo davanti al portone della scuola erano le otto e dieci, e ancora chilometri e chilometri ci separavano dalle nostre aule, come presto avrebbero separato noi: ma il sorriso che comparve sul viso di Michele mi disse che sarebbe venuto a trovarmi il prima possibile, e gli strinsi le mani perfette guardandolo negli occhi perfetti pensando alla sua perfezione ma soprattutto alla perfezione di quella mattinata che non sarebbe mai potuta morire nella mia memoria, con tutte le sensazioni che mi aveva portato. Bellissime anche se tristi, perché sapevo che lui si fidava di me, ed era meglio che sapere che credeva in me. E, soprattutto, sapevo che lui poteva fidarsi di me.
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