3 - Tornando a casa

Quel mattino ancora nulla mi era successo. Ed era per questo che mi sentivo strana: né prima di scuola né a scuola era accaduto qualcosa. Allora sarebbe accaduto nel pomeriggio.

Mi avviai all'uscita con questa idea in testa. Mi sarei quasi aspettata Michele comparire all'improvviso: ma non ci speravo. Altrimenti sarebbe stato troppo... e avrebbe ancor più insospettito Marty... ... Decisi che, nel caso io e Michele fossimo diventati amici (in questo LEGGERMENTE improbabile caso), l'avrei tenuta all'oscuro della cosa, o almeno avrei tentato di rendergliela meno simile a come lei pensava che fosse. Avere un'amica senza peli sulla lingua, per quanto possa essere bello e rilassante, talvolta sgarrupa un po'.

Ma, come avevo previsto, attraversai la porta d'uscita senza che nessuno mi avesse raggiunta. Nemmeno Marty, che questa volta era rimasta indietro ad aiutare Lu, una ragazza che io trovavo davvero simpatica... tranne quando ci evitava, ovvero sempre (e soprattutto me). Dalle altre me lo aspettavo, ma non mi piaceva che Marty tentasse di rabbonirsi Luisa. Forse perché ero un po' gelosa... ma che ci potevo fare? Eravamo amiche solo da un anno, e anche se mi pareva di conoscerla da sempre era logico che così non fosse.

Diventavo sempre più depressa ad ogni passo. E, più diventavo depressa, meno mi veniva voglia di tirarmi su. E questo mi deprimeva ancor più. Così come mi deprimeva aspettare, che implicava anche lo stare sola che era molto male per una come me...

Insomma, se non mi fosse accaduto qualcosa istantaneamente sarei sprofondata nella depressione per poi non uscirne più se non ascoltandomi i Green Day... cosa che non avrei fatto volentieri, depressa. Insomma, proprio a scavarmi la fossa da sola.Ma quel diversivo arrivò: ed era sotto forma di ragazzo. Indovinate chi? Proprio lui.

Mi bastò vederlo per sentirmi meglio. No, NON E' COME PENSATE... è semplicemente che indossava il cappellino al contrario, ed era una cosa che a me piaceva fare moltissimo. (Ma quella mattina non ce l'aveva...)

"Heilà madame" mi salutò, da una distanza ravvicinata. (Che strano saluto!?)

"Heilà tipo" risposi; mi sembrava un'abbinamento 'salutare' migliore.

"Ti piace il cappellino?" mi domandò, andando dritto al punto. Eppure lo stavo guardando negli occhi: boh.

"Sì, carino... il nero è il mio colore preferito" commentai, osservando il soggetto della nostra conversazione più da vicino: certo che mi piaceva, sembrava disegnato dalla mia fantasia con quelle sfumature blu-verdi a forma di fiamma che lo contornavano, e un qualcos'altro che non avrei ben saputo definire.

"L'ho vinto ad una scommessa" si vantò un poco il Tipo.

"Davvero? Che scommessa: 'Chi si butta dalla finestra?'" ironizzai, quando mi venne in mente di una pazza che, qualche anno prima, aveva preso e si era buttata dalla finestra della nostra classe. Per fortuna che si era al piano terra, altrimenti quella tizia si sarebbe spappolata quel poco che le restava di cervello. E sarebbe stato un peccato: perché poi chi mi avrebbe restituito i miei dieci euro!?!?

Lui sgranò gli occhi: "Come fai a saperlo!?!?"... e allora fu il mio turno di sgranare gli occhi. E lui rise. "In verità ho scommesso con Jay - il mio amico, che ho salvato dalle grinfie della vicepreside - che la Daretti sarebbe venuta alla quarta ora a chiamarci."

"E come facevi a saperlo?" m'incuriosii.

"Ho tirato a caso. Tanto se mi fossi sbagliato non ci avrei rimesso nulla" mi spiegò, facendomi sorridere: una scommessa davvero molto intelligente. (Non altrettanto si poteva dire del suo amico, immagino.)

"Hai fatto bene" lo lodai, ma tanto l'aveva già capito da solo.

"Modesta-meeente" si lodò.

Per allentare la tensione del momento, una ragazza abituata ad ascoltare versus un ragazzo abituato a gente che fa la figa, diedi un risolino, del quale lui rise. "Come ridi? Sembri un gattino."

"Miao" feci, senza pensarci troppo: e così ridemmo tutti e due. Anche se, se aveva capito che la mia era una risata, era strano che l'avesse confusa con un miagolio; ma lasciai andare, nonostante probabilmente lui avrebbe tirato fuori una delle sue frasi piacevoli che rendono più dolce quello che hai detto quanto più amaro ti è sembrato.

'Sei davvero mitico, sai?' avrei voluto dirgli; ma magari aspettare un mesetto o due non avrebbe fatto male.

In quel momento mi domandai cosa potesse rendere 'mitiche' le persone. Cosa poteva essere? Un gene del DNA? Una medicina presa fin da piccoli? Una caratteristica dovuta al segno zodiacale?

No, sperai che non fosse quest'ultima perché non avrei mai voluto che tutti i poveracci che erano dovuti nascere sotto il mio stesso segno fossero orridi come me. Scartai questa ipotesi, ma altre non me ne venivano... più che altro perché non avevo voglia che mi venissero, probabilmente.

"Dove abiti?" mi domandò, a bruciapelo. E non capii a cosa si riferisse, così partii per la tangenziale: inteso astrattamente, intendo, ovvero mi fece sentire in quel modo che per fortuna non avrei saputo come esprimere visto che non sapevo arrossire.

"A Castelletto" risposi, anche se non era una risposta di grande aiuto dal momento che la stavamo percorrendo; ma questo lo capii solo quando, intuendo probabilmente il mio malinteso, rincarò la dose: "E si va di quà o di là?" chiarì.

Mi sentii abbastanza sprofondare, ed ero sicura che se avessi saputo arrossire sarei stata scarlatta in quel momento. "Di là" risposi, indicando la strada alla mia sinistra.

"Anche Cosetto, dove abito io" mi rispose, sorridendomi.

Cosetto!?!?

"Cosetto!?!?" gli feci.

"Eh, già. Purtroppo ce l'avrò sulla carta d'identità per tutta la vita, visto che ci sono nato" riflettè, ma a me non parve tanto sfortunato: anche se poteva abbastanza essere un'allusione... era un nome originale per un posto, non come 'Pisa', che era la città che sarebbe apparsa sulla mia carta d'identità per sempre.

"Almeno ti intitoleranno una scuola quando sarai famoso" lo consolai. Era vero... Nelle città grandi se ne sarebbero fregati di uno scrittore secondario di qualche secolo prima.

"E' vero" disse lui, ma si vedeva che lo aveva fatto solo per gentilezza. "Andiamo?" mi invitò a seguirlo, e lo seguii. Era un quarto d'ora che aspettavo che mi venissero a prendere: evidentemente avevano avuto qualche contrattempo. Meglio per me.

"Be', allora vediamo... vuoi fare il politico?" gli domandai. Indagando avrei scoperto qualcosa in più, di molte cose.

"No grazie" si schifò. Ottimo!

"Grande! E lo scienziato?"

"Non ci penso nemmeno. La cosa più scientifica che farei è scienze umanistiche, ma nemmeno quelle mi interessano."

"Faresti Lingue?" gli domandai: questo avrebbe spiegato molte cose. E, quando arrivò la sua risposta ("Sì!"), glielo dissi: "Aaah, ecco spiegata la tua pronuncia francese perfetta."

Lui mi sorrise, sorpreso. Non se l'aspettava mica. "Grazie."


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