sei

«Scusa se ci ho messo tanto, ma non riuscivo a vedervi» dico non appena raggiungo le mie due amiche.
«Tranquilla, ora possiamo andare» annuncia Ev.
«Dov'è Dolly?». Mi guardo intorno, mentre usciamo dallo stabile spintonate dalle migliaia di persone che non vedono l'ora di andare a casa dopo questa disfatta. La mia amica e proprietaria della macchina con cui dovevo andare a casa, si è fatta di nebbia.
«Non hai sentito? Ci ha detto che andava a casa con un giocatore del Montgomery» dice per poi guardarmi da testa a piedi.
«Non non l'ho sentita, spero mi abbia lasciato la macchina»
«Sta sera hai proprio la testa altrove, ha detto che ti lasciava le chiavi. Sicura di stare bene? Da quando sei tornata dal bagno sembri strana.»
«Si sto bene, tranquilla,  ma ora è meglio se andiamo. Non voglio che mia madre si arrabbi, di nuovo».
«D'accordo» dice per poi avviarsi verso l'uscita.
Appena raggiungo la macchina Dolly, vedo un bigliettino posizionato tra il tergicristallo e il vetro.

Le chiavi sono dietro la ruota posteriore sinistra, mi raccomando tratta bene la mia bambina! Io vado a fare un po' di allenamento con un linebacker di Montgomery.
Baci.

Prendo le chiavi e faccio partire la macchina, scuoto la testa pensando a Dolly ed alle sue voglie che non si placano mai.
Non so esattamente come siamo diventate amiche io e lei, a dire il vero all'inizio della nostra conoscenza non mi stava per nulla simpatica, la trovavo troppo piena di sé e festaiola, ci uscivo più che altro perchè lei legava molto con Ev.
La svolta del nostro rapporto è avvenuta quando in una uscita a tre, lei, Ev ed io, Ev ci aveva dato buca perché nel tentativo di rimediare al suo essere perennemente in ritardo, aveva distrutto la fiancata della macchina contro il cancello. Quella sera io e Dolly abbiamo parlato molto, trovando un sacco di cose in comune, come la passione per Dotan e James Arthur, due cantanti di cui entrambe andiamo pazze e l'amore senza confini per la saga di Shadowhunters, di cui entrambe amiamo Jace, anche se lei in alcuni casi preferisce Simon.
Poi abbiamo scoperto di avere lo stesso numero di scarpe e il giorno dopo mi ha invitato a casa sua per provarle tutte, non credo di aver mai riso così tanto. Anche perchè il suo stile, per me, è un po' tanto.
Ho trovato in Dolly un'amica reale che nonostante tutto e tutti è pronta a starti vicino, a darti il suo aiuto. E poi, in fondo, la ammiro per il suo modo di comportarsi con le persone così libero e senza pregiudizio. Molto diverso dal mio, così dimesso e soggetto all'impressione altrui.
Mi sarebbe piaciuto perdermi per le strade ascoltando la radio, ma mia madre non mi avrebbe più fatta uscire, quindi decido di tornare subito a casa.
C'è un po' di traffico per via delle persone che escono dallo stadio, ma in pochi minuti sono comunque a casa. Appena apro la porta, ad aspettarmi c'è mia madre seduta a gambe accavallate su una poltrona. Distoglie lo sguardo dalla tv e mi rivolge un sorriso.
«Com'è andata la serata?».
«Tutto bene, mi sono divertita molto» taglio corto dirigendomi al piano di sopra.
«Sicura vada tutto bene?» mi chiede guardandomi con apprensione.
«Si, sono solo stanca» dico sforzandomi di fare un sorriso.
Mi sorride di rimando e poi torna a guardare la tv.
Non vedo l'ora di dormire e dimenticarmi completamente questa serata, almeno per un po'.

Mi sveglio, perché il telefono non smette di vibrare.
Allungo una mano sul comodino, per prenderlo e poi me lo avvicino al viso.
Dopo essermi quasi accecata, riesco a vedere le dieci chiamate perse di Oliv.
Non faccio neanche in tempo a richiamarla, che il mio telefono inizia a vibrare.
«Finalmente hai risposto, ho una cosa importante da dirti».
«Ehm buongiorno, dimmi tutto» rispondo con la voce ancora impastata dal sonno.
«Jason mi ha detto che verrà a prendermi all'aeroporto».
«Wow congratulazioni» le dico cercando di trasmetterle entusiasmo.
«Si, però a mamma e papà ho detto che venivi tu, da sola. Quindi ora dovresti prendere la macchina, e farti un giro di circa un'ora, in modo che possa passare un po' di tempo con lui».
Dopo aver messo tutte le informazioni in ordine, anche se non voglio, acconsento.
Sostituisco il pigiama con una tuta comoda e dopo aver preso un toast dalla cucina, mi dirigo verso la macchina.
Visto che dovrò stare via almeno un'ora, decido di andare in una tavola calda a venti minuti da qui. Questa mattina non ho proprio voglia di guidare e non ho la minima intenzione di passare un'ora sulla macchina.
Lungo il tragitto, ascolto in silenzio la radio, fino all'arrivo di una delle mie canzoni preferite, che inizio a cantare. Mi dimeno a tempo sul sedile del guidatori, è ciò che più di vicino al ballo posso improvvisare, bloccata dalla cintura di sicurezza.

Parcheggio l'auto e mi avvio verso la tavola calda.
L'esterno dell'edificio è in legno, decorato con qualche tronco abbellito da delle decorazioni in tema autunnale.
Appena entro l'aroma di alberi appena tagliati e resina si fanno spazio nelle mie narici, lasciando sul mio volto un sorriso.
Quando eravamo piccole, all'inizio di dicembre, mio padre portava sempre me e Oliv a vedere i boscaioli che tagliavano gli alberi, diceva che se il primo albero cade senza provocare danni allora sarebbe stato un inverno fortunato. Poi andavamo a scegliere l'albero di natale, era un momento magico.
«Buongiorno» mi accoglie una cameriera con un sorriso smagliante.
«Buongiorno» rispondo timidamente.
«Se vuoi accomodati, io arrivo tra cinque minuti» dice per poi dirigersi verso un tavolo, dove due bambini stanno colorando con dei pastelli delle tovagliette di carta.
Vado a sedermi in un tavolo vicino alla vetrata, così da poter guardare fuori, in attesa di vedere mia sorella e la sua nuova fiamma.
Sfogliando il menù, mi rendo conto di quanta fame ho, e non appena arriva la cameriera ordino dei pancake e una tazza di caffellatte. Con pessimo tempismo, Oliv mi scrive che non ci vedremo nel parcheggio di questa tavola calda ma alla stazione di servizio circa cinque miglia più fuori. Io ormai ho ordinato e non intendo rimanere a stomaco vuoto.
Dopo pochi minuti, il campanellino posizionato sopra la porta suona ed entra un gruppo di ragazzi.
Sono sei, sono tutti della stessa altezza a parte due che spiccano sugli altri di vari centimetri in più. Entrano portando una ventata di aria fredda e un brusio alternato da risate e spintarelle.
Gli occhi della cameriera si illuminano e subito si dirige verso di loro, per poi abbracciare e baciare il ragazzo con la maglietta blu scuro e i jeans. Senza accorgermene sorrido, quanto mi piacerebbe avere una persona che mi ami in quel modo, che mi protegga e mi faccia sentire al sicuro.
Spostando lo sguardo verso destra, noto uno sguardo su di me, è Aidan, il ragazzo che era con Jason mentre distruggevano quell'auto, ma che mi ha anche difeso prima che il suo amico andasse oltre in tenermi per un polso.
Non l'ho nemmeno ringraziato per avermi difeso, un po' per timidezza, un po' anche perchè comunque anche lui era coinvolto in quel vandalismo. Frenata dai dubbi e dalla timidezza, mi limito a rivolgergli un sorriso per pochi attimi, per poi distogliere subito lo sguardo per paura di diventare color lattina di Cocacola.
Lui fa un lieve movimento con la testa, come per salutarmi e poi si dirige con i suoi amici al tavolo.

Nel frattempo arriva la cameriera.
«Conosci Aidan? Ho visto che vi guardavate» dice lei guardano il tavolo dei ragazzi e poi me.
«Ci siamo visti una volta, a una festa, niente di più» mormoro prendendo un sorso del mio caffellatte. Spero le basti, come spiegazione.
«Alla festa dello scorso sabato?».
«Già».
Se rispondono «Già» ad una tua domanda, dovresti capire da sola che la conversazione è da ritenere chiusa. Ma lei si fa vicina con la testa, sembra in vena di confidenze. Odio le ragazze che si approfittano del loro status di cameriere per raccontarti la loro vita.
È la classica cameriera un po' ciarliera, dal sorriso gentile e gli occhi dolci, vestita tutta di nero con un piccolo grembiulino bianco in vita dove tiene un taccuino, una penna e dei fazzoletti. I capelli sono raccolti in un morbido shinion disordinato, che su chiunque sembrerebbe uno schifo ma che su di lei è fantastico.
«Mi hanno detto cos'è successo» mi dice invece, in un sussurro, ha l'aria seriamente dispiaciuta, «spero si siano scusati. Gliel'ho detto mille volte di piantarla con queste rivalità fra scuole. Sono cose da bambini cresciuti».
«Quindi hanno danneggiato un'auto, solo perché qualcuno della nostra scuola gli ha fatto un torto?» chiedo frastornata.
«Già, il capitano della squadra di basket della tua scuola si è divertito a decorare la nostra palestra con delle bombolette spray» dice con voce un po' scocciata.
«E quindi loro gli hanno rotto i vetri della macchina?!» chiedo, incredula che un po' di vernice spray meriti di essere vendicata con la distruzione di una macchina.
«Non sanno mai quando fermarsi» dice lei, minimizzando, «ora scusami ma devo servire altri tavoli. È stato un piacere conoscerti» sorride e poi si dirige verso la cucina.
Quindi è per questo che si sono arrabbiati con me, non dovevano esserci testimoni in quella 'vendetta' che in realtà si è trasformata in un vandalismo. Basket, Football, bombolette, poi mazze da baseball e vetri sfasciati. Non mi piacciono queste goliardate che finiscono in vandalismi.

Per poco non mi viene un infarto, quando guardo l'orario sul cellulare, Oliv sarà quasi arrivata al nostro punto d'incontro e io sono ancora qui.
Lascio i soldi sul tavolo e mi dirigo velocemente verso il parcheggio.
Mentre cerco le chiavi, una voce maschile cattura la mia attenzione.
«Hey, tutto bene?».
Mi giro e vedo Aiden a pochi centimetri da me.
«Ehm si, tutto bene, grazie» dico per poi rigirarmi e aprire lo sportello della macchina, sento le guance avvampare.
«Ci si vede in giro» dice per poi andarsene con la sua aria da bello e dannato. Io facendo manovra rischio di distruggere una transenna, immersa come sono a cercare di capire quanto sia dannato, poi filo verso il distributore di benzina.

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