quattordici
Mi sveglio con un piede di Ev in faccia e la gamba di Dolly sull'addome.
Direi che non possiamo più dormire in tre in questo letto. Siamo troppo cresciute.
«Ragazze dobbiamo andare a scuola, svegliatevi» dico cercando di liberarmi da quello strano intreccio.
Per lo meno, mia mamma ha preparato la colazione per tutte e tre. Mio padre ci guarda sorridendo.
«Mi sembra di essere tornato a quando facevi la seconda media».
Dopo esserci cambiate, scendiamo per uscire. Lo sguardo di mio padre è piuttosto diverso dal solito quando mi vede uscire con l'outfit che abbiamo preparato ieri sera. Un misto tra 'Accipicchia la bambina cresce' e 'Dove pensi di andare vestita così?'.
«Allora quanto sei agitata da 'uno' a 'sto per svenire'?» chiede Dolly mentre il professore spiega. Non sarebbe nulla se non fosse la sesta volta che me lo chiede.
«Shhh sto cercando di seguire» dico facendo finta di prendere appunti.
«Non sei brava a mentire e lo sai, ora rispondimi» dice lanciandomi uno sguardo che non ammette scuse.
«Sono solo in ansia, non sono agitata».
«Sai che sono molto simili le due cose».
«Shhh».
«D'accordo continua a fingere di prendere appunti se ti fa stare meglio».
Le ore passano più in fretta del solito e l'ansia si fa sentire sempre di più. Odio quando lo scorrere del tempo si modifica in base alla mia ansia. In un attimo sono le tre.
Prego Ev, Dolly e anche Tina, dopo averle spiegato tutta la situazione, di uscire per ultime, ma nessuna delle tre ne vuole sapere.
All'uscita vediamo molte ragazze parlottare tra loro e dopo poco ne capiamo il motivo.
Aidan è appoggiato alla sua macchina con le braccia incrociate, indossando una maglia aderente che mette in risalto il suo busto atletico.
Appena mi vede accenna un sorriso e poi si avvicina.
Dio ti prego no, non voglio che gli occhi di metà scuola siano puntati su di me.
Cerco di nascondermi dietro le mie amiche, ma ovviamente loro, inventandosi delle scuse se ne vanno. Sadiche di merda, sicuramente si saranno nascoste a guardare cosa succede.
«Pronta?» chiede lui.
«Si, ehm, la prossima volta ti sarei grata se mi aspettassi dentro la macchina» dico imbarazzata, poi lo seguo.
«Afferrato» risponde, per poi entrare in macchina.
«Dove andiamo?» chiedo non appena usciamo dal parcheggio.
«Di solito non fai tutte queste domande» dice lui alzando il volume della radio.
Come al solito passiamo il resto del viaggio in completo silenzio, anche se alcune volte lo spezzo canticchiando i ritornelli delle canzoni. Ogni volta che lo faccio noto che il viso di Aidan si distende, nonostante sia stonata come una campana. Quello che non noto è che stiamo andando verso est, a volte vedo indicazioni cubitali per Boston.
Mi risveglio quando arriviamo in un grande parcheggio.
«Wow, ma che bel parcheggio» esclamo prendendolo in giro.
«Facciamo due passi». Prende dal baule una specie di cesta da picnic e poi inizia a camminare verso degli edifici piuttosto moderni, l'aria ha uno strano odore.
«Non ti facevo tipo da picnic» dico sorridendo.
«Vorrà dire che dovrai ricrederti».
Quando voltiamo aggirando un edificio che ha tutte le sembianze di un albergo, capisco finalmente l'odore e capisco persino il rumore regolare che si avvertiva da quando avevamo messo piede giù dalla macchina: l'oceano.
non posso trattenere un sincero «Wow», la costa fa una lunga curva fino all'Hampton Beach State Park dove alcuni appassionati stanno facendo volare dei grandi aquiloni. La spiaggia oltre la ringhiera è sabbiosa, l'acqua è tranquilla e grigia azzurra.
«Ti piace?» chiede sorridendo.
«È bellissimo»
«Vieni, andiamo a sederci» dice aggirando le ringhiere che ci separano dalla spiaggia.
Dopo aver steso una coperta, ci sediamo e Aidan inizia a tirare fuori delle bibite e degli stuzzichini da dentro la cesta.
«Li hai fatti tu?» chiedo guardando quelle pietanze deliziose.
«No, non sono così bravo in cucina, li ha fatti Clara».
«La conosci bene? Clara intendo».
«È come una madre per me» risponde lui guardando un punto impreciso.
Sorrido per poi addentare un tramezzino.
Ovviamente, fortunata come sono, mi sporco la bocca e le mani con la maionese.
Aidan trattiene una risata e mi passa un tovagliolino.
Mentre mi pulisco lo guardo male e questo non fa altro che aumentare il sorriso sulle sue labbra.
«Smettila di sorridere in quel modo, sembri un maniaco» dico lanciandogli contro un tovagliolino pulito.
«Non è colpa mia se tu non sai mangiare» risponde alzando le mani in segno di resa.
«Ah si» dico per poi prendere una borraccia e bagnargli il viso e anche un po' il colletto della maglia.
Sul momento mi guarda stupito. Poi, rendendosi conto di quello che ho fatto, prende anche lui una borraccia e inizia a bagnarmi.
«Fermati! Fermat!» urlo tra le risate.
«Non avresti dovuto farlo» dice passandomi una coperta da usare come asciugamano.
«Non pensavo fossi così vendicativo».
Mi asciugo come posso, fortunatamente il pomeriggio è soleggiato anche se molto fresco.
«Tieni, per farmi perdonare» mormora porgendomi una fetta di torta al cioccolato.
La prendo e subito me ne infilo una forchettata in bocca.
«Sappi che non sei ancora perdonato» ribatto tra un boccone e l'altro.
Lui sorride e inizia a mangiare la sua fetta di torta.
Finita la merenda io mi sdraio a pancia in su sul telo, mentre Aidan sta seduto con le mani puntate dietro la schiena.
Passa una nuvola davanti al sole, è un momento talmente perfetto che, ovviamente, me lo rovino da sola con una domanda.
«Perchè c'eri anche tu con Jason, a sfasciare quella macchina?».
Lui sospira.
«Jason è molto più che il mio migliore amico. Ed è anche per questo che c'ero anche io».
«Che significa 'anche'?».
«Jason ha tutto, ha una famiglia molto benestante, è un ottimo giocatore di football e la scuola non è un problema».
«Continuo a non capire» dico, molto confusa.
«Jason ha una famiglia estremamente rigida, che pretende tantissimo da lui, deve essere irreprensibile, avere un'etichetta perfetta nelle serate formali a casa dei suoi genitori. Deve sembrare in tutto e per tutto il figlio perfetto. Non sai quanto questo lo metta sottopressione, e quanto lo renda aggressivo. Sempre più aggressivo».
«Non si sarebbe fermato quella sera, se tu non ci fossi stato?" chiedo, rabbrividendo.
«Non lo so. In questi ultimi mesi combina un casino dietro l'altro, ha un modo intimidatorio e spesso finisce per sfogarsi 'sfasciando', come hai visto quella sera. Io cerco di stargli vicino, in modo da limitare i danni ma non sempre ci riesco».
«Aidan, ma anche tu stavi distruggendo quella macchina».
Lui distoglie lo sguardo.
Dopo qualche secondo decido di rompere il silenzio con una domanda «Possiamo mettere i piedi nell'acqua?»
Mi guarda stranito per poi rispondermi «Perché no?!».
Inizia a togliersi le scarpe e poi le calze ed io a ruota.
«Cosa aspetti» dice entrando in acqua. Mi pento di averlo proposto, l'oceano è grande e freddo. Anche Aidan è grande, anche se a volte mi sembra freddo, come pochi minuti fa.
«E se magari è vietato?» chiedo cercando una scusa improbabile.
«Non avrai mica paura?!» insinua lui guardandomi divertito. Sembra già un altro rispetto a prima. Cerco di mettermi alle spalle i miei dubbi su di lui, mi faccio coraggio ed entro in acqua.
«Cavoli, non mi avevi detto che era così fredda» esclamo saltellando nell'acqua.
«E dove sarebbe stata la parte divertente?!». mi guarda e ridacchia.
«Ecco la parte divertente» dico iniziando a calciare l'acqua nella sua direzione.
Inizia anche lui a farlo ma io cerco di uscire dall'acqua.
Non faccio in tempo a toccare la terra asciutta che vengo sollevata.
«Dove credevi di andare?!» esclama ridendo.
«Mettimi giù» dico battendo le mani sulla sua schiena.
«E va bene» si carica per lanciarmi in acqua e io urlo come una pazza, continuando anche dopo che lui si è fermato nella finta di lancio.
«Credevi veramente che ti avrei lasciato?».
«Un po'» mormoro mentre mi fa scendere dalla sua spalla.
Ci blocchiamo faccia a faccia e per un momento penso voglia baciarmi, ma poi mi fa scivolare fino a toccare l'acqua con i piedi.
Daisy smettila di farti così tanti film mentali, dice la vocina nella mia mente.
«Forse è meglio se usciamo dall'acqua prima di congelarci i piedi» dice lui sistemandosi il ciuffo.
«Già « dico cercando di non far notare il rossore che si fa largo sulle mie guance.
Ci sediamo entrambi sul telo e ci asciughiamo i piedi con la coperta che avevo usato prima io. Il sole sta andando verso l'orizzonte
«Ti va se andiamo a fare un passeggiata?»
«Va bene» dico alzandomi dal telo.
Raccogliamo tutte le cose e le mettiamo dentro il cesto, che poi Aidan tiene in mano.
Ci incamminiamo verso l'abitato che è grazioso, un tipico paesino sulla costa, con case basse in legno e toni pastello. Con la coda dell'occhio vedo che Aidan mi guarda e prima che le mie guance diventino rosse abbasso il viso. Lui ridacchia.
«Che hai?» dico voltandomi verso di lui.
«Mi fa ridere il fatto che ti vergogni per così poco».
«Non è vero» ribatto mordendomi il labbro inferiore.
«Lo stai facendo anche ora».
«Se tu non mi guardassi non succederebbe» replico secca, per poi pentirmene all'istante.
«Ti metto così in soggezione Daisy?» chiede mettendosi davanti a me, in modo da bloccarmi il passaggio.
«Possiamo continuare a camminare?» chiedo guardando le sue scarpe.
«Prima rispondi».
Sento il suo sguardo sulla mia nuca.
«Si, sei contento?».
«Si» dice prendendomi il mento tra le dita.
I nostri occhi si incontrano.
Il suo sguardo si sposta lentamente sulle mie labbra.
Io sento le gambe molli.
Cosa mi stai facendo Aidan?
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