diciotto

Se non fossi venuta fin qui, probabilmente ora non starei congelando alla fermata dell'autobus con gli occhi che non ne vogliono sapere di smettere di lacrimare.
Senza pensarci due volte chiamo Ev.
«Hey posso venire da te?» .
«Daisy ma stai piangendo?» mi chiede lei, interpretando molto bene la mia voce rotta.
«Un po', posso venire?».
«Certo che puoi venire. Cos'è successo?».
«Te lo dico quando arrivo» dico per poi terminare la chiamata.
Dopo averle raccontato tutta la faccenda, la mia migliore amica decide di darmi una fetta della sua preziosa torta al cioccolato e lamponi, che conserva gelosamente perché è la sua torta preferita ma sua madre la fa solo una volta al mese, quindi non la divide mai con nessuno.
«Sono un'idiota, vero?» mormoro guardandola.
«Non dirlo mai più, se mai l'idiota è lui. Cazzo se potessi gli andrei a tirare un mazzata».
«Grazie ma non è necessario».
«Sicura? Perché se vuoi io sono disponibile anche per passargli sopra con la macchina, tanto è già ammaccata».
Entrambe scoppiamo a ridere.
«Grazie» le dico, almeno mi ha fatto ridere.

Si è fatto sabato ed Oliv dovrebbe arrivare da un momento all'altro ed io non so come comportarmi. Ho paura che non mi parli o che si arrabbi ancora di più.
Questa volta i nostri genitori sono andati a prenderla, vista la nostra litigata. Io ho preferito rimanere a casa, con la scusa dello studio.
Appena entra in casa, mi lancia uno sguardo distaccato, e si dirige immediatamente in camera sua. Sono molto tentata di seguirla, ma mi vengono in mente i litigi che avevamo da piccole. Preferisco uscire ed andare in un negozio di ciambelle.
Quando da piccole litigavamo, per fare pace una delle due portava qualcosa di dolce all'altra. Ed è proprio quello che voglio fare io.
Mentre mi avvicino al negozio, tutto dall'atmosfera ai paesaggi mi ricorda la nostra infanzia. Abito in una cittadina molto piccola, è difficile che avvengano grandi cambiamenti, la maggior parte delle cose che c'erano quando eravamo piccole, sono ancora esattamente lì.
Il negozio non fa eccezione, è bianco con grandi vetrate contornate da dei bordini color carta da zucchero. L'interno gioca con i due colori esterni, resi più accoglienti grazie alle luci calde e a qualche piantina decorativa. Il bancone, che ad occhio e croce avrà cinquant'anni, ospita una decina di ciambelle, ognuna con dei gusti diversi. Io prendo quelle al lampone, con glassa rosa e cuoricini di zucchero, le preferite di Oliv.
«Posso entrare» chiedo bussando alla porta di mia sorella.
«Si» risponde secca.
Apro la porta e la trovo sdraiata sul letto con il telefono in mano.
«Ti ho portato le tue ciambelle preferite» dico avvicinandomi a lei con il sacchetto in mano
Alza lo sguardo dal telefono e osserva la confezione, accennando un timido sorriso.
«Grazie» dice per poi prenderne una.
«Possiamo parlare?» chiedo appoggiando la confezione sul letto.
Lei annuisce e poi da un morso alla ciambella.
«Lo sai che non ti mentirei mai su una cosa del genere, vero?».
«Lo so, sono stata una stupida ad aggrediti in quel modo».
Rimango interdetta da quelle parole e non dico niente, così lei continua.
«L'ho capito verso metà settimana di aver sbagliato. Ma sono stata troppo orgogliosa per chiamarti» mormora guardandomi.
«Non fa nulla» dichiaro per poi abbracciarla.
«Sai credo che Jason non mi sia mai piaciuto veramente» mi confessa lei.
Sul mio viso compare un'espressione interrogativa.
«Credo mi manchi il Vermont e la mia vita da liceale spensierata. Cavoli adoro New York e la sua vita frenetica, ma mi manca la mia vecchia vita fatta di feste ragazzi e liceo. Jason era una piccola finestrella sulla mia vecchia vita anche quando ero a New York e credo che fosse questa la parte che mi piaceva di lui».
«Non immaginavo ti sentissi così».
«Certo che no, sono un'ottima attrice e poi stare con te mi mette sempre di buon umore» mi risponde mettendola sul ridere.
«Mi sei mancata tanto in questi giorni» confesso io.
«Anche tu».
«Hai parlato con Jason?» chiedo staccandomi dall'abbraccio.
«In realtà no, volevo farlo di persona» dice guardando il telefono.
«Vuoi che venga?» chiedo io.
«Si, non credo di farcela da sola».

Alla fine Oliv scrive a Jason e organizza una specie di uscita.
«Sei pronta?» chiedo appena parcheggiamo l'auto fuori dal locale.
«Se c'è una cosa che mi ha insegnato New York è che bisogna sempre farsi vedere decisi. Quindi sì, sono pronta» annuncia uscendo dalla macchina.
Vedere la sfrontatezza di mio sorella mi fa quasi sorridere, è sempre stata la più coraggiosa delle due, ed è una qualità che ammiro molto in lei.
Il mio sorriso viene spazzato via in fretta. C'è qualcosa che non mi aspettavo, ma che forse avremmo dovuto aspettarci: Jason non è da solo, al suo fianco c'è Aidan.
Appena lo vedo mi sembra di ricevere un pugno nello stomaco.
I suoi occhi si soffermano sul mio viso, come per cercare di interpretare le mie emozioni, ed istintivamente abbasso lo sguardo sulle mie scarpe.
«Ciao ragazze» saluta il biondo per poi avvicinarsi ad Oliv per un bacio.
Lei lo ferma prontamente e gli fa segno di entrare. Vedo gli occhi di Jason mutare completamente espressione, da allegri e sorridenti a frustrati.

Dopo aver ordinato alcuni drink, ci sediamo in un tavolo un po' appartato dove la tensione si può tagliare con un coltello.
«Jason non è che avresti qualcosa da dirmi?» chiede Oliv guardandolo negli occhi, ha un'aria di sfida che non l'avevo mai vista tenere con Jason.
«No?» dice lui con un tono che dovrebbe essere sicuro, ma tradisce confusione.
«Forse di un sabato sera» aggiunge Oliv.
Jason guarda me, è uno sguardo inaspettatamente duro, ed io abbasso gli occhi.
«Non è colpa sua, l'ho obbligata io a dirmelo» mente lei.
«Mi sono lasciato prendere dal momento. E comunque non le avrei fatto male» dice guardandola.
«Le hai messo le mani addosso, Jason! Se veramente pensavi che non avresti fatto nulla oltre, avresti dovuto dirmelo» commenta arrabbiata.
«Ho sbagliato. Mi dispiace di essermi comportato in quel modo, sono stato un po' sopra le righe, per l'eccitazione del momento. Non te l'ho detto perché avevo paura di perderti» dice ma sul suo viso non vedo neanche l'ombra di rimorso.
«Non me ne frega niente, potevi anche esserti fatto di crack ed eroina insieme ma tu non dovevi permetterti di toccarla, e non perché è mia sorella ma perché non è un comportamento da tenere? Come puoi pensare di poter strattonare e malmenare chiunque ti passi sotto per poi passarla liscia o al massimo dire 'scusa scusa'?».
«Come la fai tragica! Le ho stretto un po' il polso, non l'ho mica picchiata».
«E le minacce di cui mi ha parlato? Tutte idiozie anche quelle?!» esclama Oliv esasperata.
«La tua sorellina, che va alle feste da liceali piene di alcol, tra l'altro, ha ingigantito le cose».
«Ma come ti permetti?! C'ero anche io a quella festa, e lei non era di certo ubriaca! Nessuna di noi lo era, e lei non ha ingigantito nulla!».
«Ma non è successo niente di che. Te lo può dire anche Aidan» dice il biondo per poi puntare lo sguardo sul suo amico. Ho capito il motivo della sua presenza: avere un testimone pronto a confermare la sua versione, e a sminuire la mia.
Aidan lancia un'occhiata al suo amico e poi guarda me. È la prima volta, da quando Oliv ha iniziato a parlare di quel sabato, che mi guarda. Il suo sguardo è malinconico e profondo.
«In realtà, vedi, penso che... la versione di Daisy e di Oliv sia quella più corretta. Eri fuori di te quella sera».
Jason lo guarda impietrito, gli occhi che sono un misto di odio e sorpresa.
«Oh ma certo. Avrei dovuto scommetterci. Ora che te la fai con la piccoletta, non puoi contraddirla. Pensavo avessi più palle».
«Primo non parlare di lei in quel modo. Secondo, fottiti Jason, io ti ho sostenuto fin troppo nelle tue cazzate».
Detto ciò Aidan si alza, tira fuori dei soldi dal portafoglio e, dopo averli lasciati sul tavolo, si avvia verso l'uscita.
So che in questo momento forse non è la cosa più giusta da fare, ma senza pensarci troppo mi alzo dal tavolo e lo rincorro fuori dal locale.
«Aidan aspetta» urlo correndo per raggiungerlo.
Lui si ferma, ma non si volta.
Appena gli sono davanti, i suoi occhi si puntano nei miei e dopo attimi di silenzio, lui si decide a parlare.
«Scusa».
Questa parola rimane sospesa nell'aria per un tempo lunghissimo, si sentono solo le macchine in strada. Poi lui riprende «Sono stato un vero idota. Avrei dovuto dirti da subito come stavano le cose, ma avevo paura che se te l'avessi detto, tu te ne saresti andata per sempre, perché è quello che una persona sana di mente farebbe».
«Ma... ma santo cielo Aidan! Ma cosa c'è sotto di così grave?!» chiedo, spronandolo a parlare.
«Vedi, io sono... in debito con Jason. E' grazie a lui ed a suo padre se sono entrato alla Montgomery con una retta agevolata. Altrimenti non potrei mai permettermela» poi dopo un lungo silenzio, riprende «E poi, sai che non ho un rendimento scolastico degno di una borsa di studio, la mia unica speranza di accedere ad un college prestigioso».
«Ma è una specie di ricatto».
«Ho paura che lui mi giri le spalle, ed io mi possa ritrovare da solo».
Il suo sguardo è distante come la sua mente.
«Aidan, ma tu non sarai mai solo» provo a dire, «Dovresti convincerlo a parlarne con qualcuno, magari uno psicologo, tutta la rabbia che ha dentro non fa bene».
«Lo so, ma è molto orgoglioso e non gli piace farsi vedere debole, e poi a malapena li so io i suoi problemi che sono il suo migliore amico».
Mi prendo un momento per elaborare tutto quello che mi ha detto, mentre lui si concentra sul mio viso. Il silenzio si fa di nuovo spazio tra di noi.
«Mi dispiace che tu abbia dovuto sopportare tutti i suoi capricci. Capisco perché tu lo abbia fatto, anche se non mi piace per niente».
«Non piace neanche a me ed è grazie a te se mi sono ribellato. Non ho sopportato l'idea di farti altro male, mentendo per proteggerlo. Ed anche se probabilmente dovrò iscrivermi in un'altra scuola, e passare il resto della giornata a consegnare burritos a domicilio per permettermela, beh... non mi interessa, almeno so di aver fatto la cosa giusta».
Sorridiamo, penso a lui con la bici che porta burritos ordinati online.
«A proposito grazie per avermi difesa» mormoro abbassando lo sguardo.
«Lo rifarei altre mille volte» dice prendendo il mio mento tra due dita e alzandolo in modo che i nostri sguardi si incrocino.
Poco prima che le nostre labbra si scontrino l'immagine della cheerleader che lo prende per mano si fa strada nella mia testa.
«Aspetta» dico posando una mano sul suo petto.
Lui mi guarda stranito, ma non si allontana.
«L'altro giorno sono venuta alla tua scuola» dico, cerco di assumere un tono più distaccato.
«Non ti ho vista» mi interrompe subito lui.
«Già perché eri troppo impegnato a parlare con una cheerleader» sputo acida.

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