Beverly Laurel
What do they say they know what's right for me?
Hey, I know what's right for me.
I know what's right
I know what's right
I know what's right for me
(For me)
(Tame Impala – Beverly Laurel)
"Non capisco, Harry. Mi sembra che non mi parli più di niente, che mi tieni fuori dalla tua vita," sentenziò Ginny non appena furono tornati a Grimmauld Place. La serata non si era conclusa nel migliore dei modi: dopo gli screzi da Molly e Arthur, Harry aveva accampato la scusa di essere stanco per andarsene a casa e Ginny lo aveva semplicemente seguito nel camino nonostante l'arrabbiatura, chiaramente intenzionata a continuare la conversazione, sebbene lui ne avrebbe fatto volentieri a meno. Si erano messi d'accordo di rincasare insieme prima di recarsi alla Tana e per qualche motivo non se l'era sentita di impedirle di tornare con lui, sapendo che non avrebbe di certo migliorato le cose.
"Ma di cosa parli," borbottò, lasciandosi cadere su una sedia della sala da pranzo, "ho solo tanti pensieri. È una situazione complicata. Ascolta, scusami; non volevo urlare così," disse infine, evitando però il suo sguardo. Era ben cosciente che non era di certo quello il motivo per cui fare ammenda. L'hai tradita. Sì, l'ho tradita, va bene? L'ho tradita con Draco Malfoy. Il pensiero gli fece scorrere un brivido lungo la schiena, che non seppe identificare come sgomento per l'aspra realtà di quelle parole o come trepidazione al ricordo di quell'incontro.
Ginny gli rivolse uno sguardo scettico e distante, incrociando le braccia al petto. "È solo per le tensioni al Ministero? O c'è qualcosa che non mi stai dicendo?"
La testa di Harry scattò verso di lei. Cercò di tenere a bada con la mente il rossore che gli stava colorando le guance, mentre tossicchiava e assumeva una posizione meno tesa, rendendosi conto della reazione accorata alle parole della ragazza.
"Solo? E ti sembra poco? Ti rendi conto di quanta pressione devo affrontare tutti i giorni in ufficio? E la stampa?" protestò, sebbene stesse cercando di mantenere un tono calmo. Le spalle gli si tesero impercettibilmente quando Ginny gli si avvicinò dolcemente, circondandolo con un abbraccio.
"Mi dispiace, Harry," sospirò. "Forse non ti sono stata troppo vicina ultimamente."
Si sentì letteralmente un verme. Un idiota. Qualsiasi insulto che gli passasse in quel momento nella testa sembrava assolutamente adeguato per se stesso. Eppure non ci riusciva. Non riusciva ad abbracciarla, non riusciva a far finta di niente e scacciare via il senso di colpa, né tantomeno a confessare il suo errore. Era in un limbo. I minuti scandivano un silenzio carico di aspettative di affetto ricambiato, che però non arrivava. Infine, Ginny si scostò e lo fissò, ancora in piedi di fronte a lui che, immobile sulla sedia, le rivolse uno sguardo colpevole.
"Ginny..." La frase venne bloccata da un gesto fermo della mano.
"Lascia perdere. Ho capito, non ti va di parlare," disse, sciogliendo l'abbraccio e allontanandosi decisa. Invece avrebbe voluto parlare. Avrebbe dovuto, ma in quel momento non avrebbe davvero saputo da dove cominciare per dare un minimo di senso logico a una spiegazione che sembrava non averne alcuno.
"Mi va di parlare, ma... Non ora. Sono esausto e distratto. Non saprei da dove iniziare per mettere in fila le parole e credo tu ti meriti di più di un discorso tentennante," cercò di chiarire.
Ginny lo guardò indagatrice. "Quindi c'è qualcos'altro che devi dirmi?" La voce si incrinò leggermente sulle ultime due parole e Harry si sentì stringere il cuore, rendendosi conto, allibito, che il sentimento causa di ciò era più simile alla pietà che all'amore.
"Vorrei parlare di noi due," scandì, cercando di trasmetterle affetto attraverso il tono della voce e lo sguardo. Si sentì terribilmente patetico.
"Di noi due? Perché?" chiese l'altra, allarmata.
Harry ispirò a fondo e si alzò dalla sedia, avvicinandosi cauto. "Perché... È importante fare il punto della situazione, a volte."
"Che stai dicendo, Harry? Vuoi troncare?" L'allarme nella voce di Ginny ora era chiaramente percepibile.
"Non ho detto questo," ribatté. No, ma non l'hai nemmeno smentito. Quanto sei subdolo.
Ginny scosse la testa in modo quasi compulsivo, dirigendosi verso il camino. "Va bene. È inutile. Quando ti andrà di dirmi le cose apertamente, magari fatti sentire eh, Harry?" dichiarò, concisa, nascondendo il volto. Harry conosceva bene quell'atteggiamento, quel suo modo di non perdere la dignità e farsi vedere fiera, senza cedere alle lacrime in sua presenza dopo un litigio, perché sapeva quanto le costasse fare un passo indietro e offrire una tregua o, più semplicemente, lasciarsi consolare e fare la pace. Ginny così fiera, così forte e grintosa. Si ricordò, colto impreparato da un'inaspettata malinconia, che era stata una delle caratteristiche che l'aveva fatto innamorare di lei. Aspettarsi che sia sempre tu a fare il primo passo e rivedere le tue posizioni? No, in quel momento quella considerazione non c'entrava nulla. Non era colpa di Ginny. Ma non sei mai riuscito a confidarti del tutto con lei. È così suscettibile. Forse era vero. Forse. Tuttavia, nulla negava il fatto che in quel caso non era certo lei quella a doversi scusare, a dover dare spiegazioni. Involontariamente, gli venne in mente la conversazione con Draco, così aperta, così libera, così priva del timore di dover tenere in perenne considerazione la sensibilità dell'altro. E potersi colpire a vicenda disinvolti, senza aver paura di ferirsi.
Alzò le spalle, rassegnato, senza dire nulla, lasciando che Ginny lanciasse la polvere nel camino e annunciasse il nome del dormitorio in cui viveva. Infine, le sfiorò la spalla delicatamente.
"Buonanotte," le augurò, guardandola mesto.
"Ciao," mormorò lei, la voce già in procinto di essere sopraffatta dal pianto. L'attimo dopo, era sparita tra le fiamme.
"Le puzzano i piedi," disse Hermione, gli occhi fissi nei suoi. Harry annuì, facendo danzare lo sguardo impacciato dal volto dell'altra alla tazza di tisana sul tavolino.
"Ed è per questo che vuoi rompere con lei," continuò, ancora più scettica.
Harry ispirò a fondo e si sforzò di guardarla. "Sì. Io... Non so come dirglielo, ecco," borbottò. Che cavolo ti è venuto in mente?
"Harry... Stai dicendo sul serio?" gli chiese, dubbiosa.
Harry annuì, sperando che il suo volto non lo tradisse e punisse per aver inscenato quella balla colossale. "Forse ora non è il momento adatto," disse infine, facendo fluttuare la sua tazza ormai vuota nel lavandino.
"Perché sei stressato, lo so. Ma non potrai rimandare per sempre," lo ammonì con tono materno.
Harry si girò di scatto, irritato. "Chi ha detto che voglio rimandare? Ho intenzione di parlarle e lo avrei già fatto se Ginny non fosse così suscettibile a ogni mio dannata parola!"
Hermione sospirò, continuando a fissarlo. "Come vuoi, Harry. Però è vero che sei facilmente irritabile, ultimamente. Sì, lo so che non è un periodo facile!" lo interruppe, quando Harry cercò di ribattere. "Ma io credo che Ginny stia solo cercando di aiutarti, a modo suo. Magari non è quello migliore, ma ci sta provando," concluse infine. Come Harry aveva previsto, Hermione non aveva creduto per un attimo alla zoppicante bugia che aveva ideato quella mattina durante la pausa caffè. Se si fosse trattato di Ron, probabilmente avrebbe dato la colpa ai geni di qualche avo della famiglia Weasley noto per l'inglorioso e terribile fetore delle sue estremità. Aveva decisamente sbagliato il bersaglio su cui provare a riversare le sue preoccupazioni. E hai anche ottenuto un pessimo risultato. D'altronde, non si trovava del tutto a suo agio al pensiero di confidare i problemi che aveva con la propria fidanzata al fratello di quest'ultima, nonostante fosse il suo migliore amico da oltre un decennio. C'era stata più di un'occasione, oltre a quella, in cui avrebbe desiderato che Ron fosse stato semplicemente il suo migliore amico, invece di essere anche suo cognato, perché si ritrovava a filtrare implicitamente le conversazioni tra loro se l'argomento si avvicinava a problemi di coppia e simili. Non era colpa di nessuno, era stata meramente la dinamica degli eventi nelle loro vite, ma non si era mai reso conto prima di quanto questi influenzassero il loro rapporto. Immagina invece a confidargli le tue turbe sentimentali con Malfoy. La paradossalità di quell'evenienza lo fece ridacchiare sommessamente.
"Ho detto qualcosa di divertente?" La voce di Hermione lo riportò con i piedi per terra, nella saletta caffè al Ministero.
"No, scusa, stavo solo pensando," glissò.
La conversazione deragliò del tutto quando parole concitate e con tono imperativo arrivano alle loro orecchie dall'esterno della stanza. Seguito da uno degli Auror tirocinanti, Rastrick marciava diretto lungo il corridoio, impugnando una pila di documenti con fare nervoso ed entusiasta.
"Manda un gufo al Dipartimento Manufatti Oscuri del Ministero del Liechtenstein e richiedi quel rapporto che ti ho accennato prima. E poi archivia questi due certificati entro oggi pomeriggio, grazie," ordinò al povero tirocinante, intento ad appuntare freneticamente le disposizioni su una piccola pergamena. Il collega del Dipartimento della Cooperazione Magica Internazionale era stato in missione in Tunisia per tre settimane, per via di alcune ricerche riguardanti dei manufatti Oscuri avvistati in quelle regioni ed era tornato a Londra proprio il giorno prima. Aveva molto insistito per farsi assegnare quella missione, sicuramente speranzoso che la buona riuscita gli regalasse un maggior prestigio agli occhi dei suoi colleghi. Harry non ne aveva affatto sentito la mancanza e la presenza dell'altro sembrava aver portato nella sua divisione, con la quale Rastrick collaborava, più agitazione e nervosismo del solito.
"Novità su quei manufatti fabbricati con la Tentacula Velenosa?" chiese Hermione, voltandosi di nuovo verso Harry, che scosse la testa.
"Non credo. Non ho ancora avuto occasione di leggere i rapporti di Rastrick," rispose.
"Potter!" Appunto. Parli dello Schifido...
Il volto scarno e segnato del collega fece capolino dalla porta che dava sulla stanzetta. Sembrava più provato del solito, con profondi solchi scuri a incorniciargli gli occhi e i capelli neri spettinati. Harry si chiese se anche i suoi avessero avuto un aspetto così scarmigliato prima della meravigliosa scoperta della cera magica per capelli, che domava i suoi boccoli abbastanza da consentirgli di pettinarli aggraziatamente in un ciuffo laterale.
"Buongiorno anche a te, Rastrick," lo provocò Harry.
L'altro sembrò ignorare la nota sarcastica e avanzò di qualche passo oltre l'uscio. "Ho potuto tristemente constatare che il Ministro si è visto costretto ad abolire completamente l'uso delle pozioni esplosive," disse, accipigliato.
Harry alzò le spalle, fissandolo inquisitorio. "Evidentemente ha ritenuto che fosse la cosa più corretta da fare. Non ti è arrivata la notizia che ci sono stati dei feriti durante le manifestazioni o eri troppo impegnato con le ricerche?"
Gli occhi di Rastrick si caricarono di disprezzo. "Un ferito, Potter. Mi aspettavo una maggiore insistenza da parte degli Auror, invece di accettare di esporsi così al pericolo."
"Pericolo? Stiamo parlando di dimostrazioni pacifiche!" Harry si era alzato dalla sedia e fronteggiava il collega.
"Io non le chiamerei pacifiche, visto che un'impiegata ministeriale ha rischiato la vita proprio in sede lavorativa la settimana scorsa! Speravo in un rifiuto più fermo da parte vostra. Una grande delusione!"
La nota provocatoria fece scattare Harry, che alzò la voce quel che bastava a far indietreggiare l'altro di un paio di passi. "Non c'è nessuna prova che sia stata la comunità omosessuale a stregare le uscite! E comunque, se proprio c'è qualcuno che si dovrebbe lamentare, dovrei essere io, visto che ero presente al Ministero quella sera! Cosa che non faccio, perché sono abbastanza intelligente da pensare prima di sparare accuse a caso! E poi, per quale motivo te la staresti prendendo con me? Se c'è qualcosa che ti infastidisce, parla con Stump! O licenziati, faresti un favore a tutti!"
"Non è assolutamente necessario alzare la voce, Potter! Ho voluto riferirti il mio disappunto in quanto Auror e contrario alle azioni dei tuoi colleghi. Speravo avrei potuto darti uno spunto di riflessione, visto che la tua faccia fa bella mostra sul Profeta. Forse dovresti prenderti parte della responsabilità in questo marasma."
Harry continuò a guardarlo, scuotendo la testa. "Sono perfettamente in grado di riflettere da solo, grazie mille. Mi sembra solo che tu voglia fare polemica, nient'altro. E ti consiglio vivamente di smetterla, perché con me non attacca," concluse. Non capiva davvero dove cavolo Rastrick volesse andare a parare.
"Come preferisci, Potter. Stando agli Auror, nemmeno loro mi sembrano troppo entusiasti all'idea di non potersi difendere da quegli scellerati, forse avrai qualche scambio di idee anche con loro," concluse, uscendo dalla saletta. "Torno a occuparmi dei miei affari. Buona giornata a entrambi."
"Ottima idea," sentenziò Hermione, che era rimasta seduta, trattenendosi dall'intrufolarsi nell'accesa conversazione tra i due. Rastrick fece un breve cenno con il capo e si allontanò, strattonando il tirocinante intimidito dietro di lui.
Nel frattempo Harry si stava stropicciando gli occhi con la mano, sospirando. Sperava che quell'attacco d'ira non avesse ripercussioni sul suo stomaco malandato, che tuttavia era progressivamente migliorato da quando aveva seguito i consigli di Malfoy e preso le sue pozioni Anti-Acido.
"Che intendeva dire con quella filippica?" gli chiese l'amica.
Harry si limitò a scuotere la testa, torvo. "Non lo so, mi vuole provocare, credo. Rastrick ha sempre sostenuto l'operato delle squadre di Auror e credo sia stata una brutta sorpresa per lui tornare e vedere il potere della giustizia, come la chiama lui, decimato. È sempre stato un grande fautore delle pubbliche amministrazioni e un altrettanto grande oppositore della fama del singolo. Insomma, gli sto proprio sul cazzo, ecco!" chiarì.
"Si può essere dalla parte del governo senza per questo smettere di ragionare," rifletté Hermione. "Come è stato preso il divieto di uso delle pozioni esplosive dagli Auror? Così negativamente, come sostiene lui? Ho letto la circolare stamattina..."
"Non bene. Stump è stato abbastanza perentorio sul fatto di non usare violenza, per evitare che la reputazione delle squadre venga danneggiata troppo. Alcuni Auror si sono rifiutati di presenziare in futuri cortei, altri invece mi sembrano ancora più agguerriti. Comunque, per ora non possono far nulla: il Ministro ha minacciato il licenziamento. Ha anche chiesto comprensione da parte nostra, accampando il fatto che in realtà stia tentando di farci uscire indenni da questa confusione. Ovviamente gli dò ragione, anzi, mi sembra che abbia iniziato finalmente a razionalizzare. E non sono l'unico, giudicando dalle voci di corridoio," continuò.
Hermione sorrise incoraggiante. "Almeno una nota positiva in questa storia! Forse qualcosa si sta smuovendo. La violenza a lungo andare non porta mai buoni frutti."
Harry le sorrise debolmente di rimando. "No, hai ragione. Ma non sto dicendo che io abbia guadagnato chissà che approvazione. Solo che alcuni colleghi sembrano aver iniziato a comprendere che la ragione non è sempre dalla parte della maggioranza. Ma, come ti ho detto, la fetta di Auror con idee più tradizionaliste mi dà ancora contro."
"Un passo per volta, Harry," lo rincuorò lei, allungandosi verso di lui per stringergli la mano. "Mi spiace essere stata un po' assente ultimamente. Sai, i preparativi per il matrimonio mi occupano il resto delle ore che non dedico al lavoro. Molly, poi..."
"Cosa? Mia madre cerca solo di aiutare!" La chioma cremisi di Ron invase prorompente la stanza e Hermione scattò sull'attenti, troncando sul nascere quel breve momento di confidenza.
"Indubbiamente! Ma mi domando quanto ottanta mazzi di Giunchiglie Strombazzanti nel salone del ricevimento siano d'aiuto," replicò.
Gli occhi di Ron strabuzzarono. "È una tradizione! Portano fortuna agli sposi!"
Sulle labbra di Harry spuntò un ghigno divertito, al quale Hermione rispose con un'occhiataccia.
"Be', forse potreste trovare un compromesso... Quaranta mazzi, magari?" Il tentativo di calmare le acque di Harry ebbe come unico risultato quello di inasprire ancora di più lo sguardo dell'amica.
Ron fece un gesto con la mano, come a voler dire che i due non avevano idea di cosa stessero parlando. "Lasciamo stare. Cambierete idea quando vedrete la maestosità delle decorazioni!" Poi si sedette accanto a Hermione e tirò fuori una copia del Profeta. "Ehi, Harry... Hai letto il giornale stamattina?"
Harry si sporse verso il tavolino, dove il quotidiano era stato appena adagiato con la copertina in bella vista. "Esclusivo! Abolizione delle pozioni esplosive: un primo passo di Stump verso la comunità omossessuale. Un modo velato di appoggiare le preferenze nascoste di Harry Potter?"
Emise un sospirò sommesso alla lettura di quelle parole così decise e marcate sulla carta. Ron gli regalò uno sguardo pieno di comprensione e amicizia.
"Lo sai che i giornali esagerano sempre. Non ci pensare troppo: sono solo cavolate!" Non questa volta, Ron. Non questa volta. Si sentì idiota, perché gli veniva quasi da piangere dall'esasperazione e dal desiderio di arresa, di ammissione di colpa che in quel contesto risultava quasi comica. Si chiese se fosse un caso che nella sua vita queste situazioni continuassero a ripetersi come la caduta e la rinascita delle foglie di un albero paziente.
"Parlano anche di Malfoy... Qui," disse l'amico, voltando pagina e indicando un trafiletto con l'indice. Hermione si sporse di lato e scandì ad alta voce: "Manomissione delle entrate al Ministero: si brancola ancora nel buio. Il possibile colpevole è indicato come un anonimo esponente della comunità omosessuale, ma voci di corridoio attribuiscono un coinvolgimento del pozionista del San Mungo ed ex Mangiamorte Draco Malfoy, assunto temporaneamente dal Ministero per una collaborazione. Diverse le opinioni che speculano sulla sessualità nascosta di Malfoy come possibile motivazione per gli Incantesimi incendiari applicati alle uscite della struttura ministeriale la scorsa settimana, come riportato sul numero 43 del nostro giornale. Dove si nasconde la verità?"
Si fissarono a vicenda, tre paia di occhi che si scrutavano, comprensivi e affettuosi da un lato del tavolo e irrequieti e stanchi dall'altro.
"Non ci sono prove contro Malfoy," mormorò infine Ron.
"No, non ce ne sono. Era con me quella sera e durante il giorno è sempre stato visto in compagnia di qualcuno," chiarì bieco, sperando di non dover affrontare l'ennesima discussione.
Ron alzò le mani in segno di una presunta difesa. "Lo so, Harry. Non lo stavo accusando! Anche se quello schifoso mi starà sempre sulle palle. Mi fido di te, ok?"
Harry fece una smorfia. "Non pensi che mi stia abbindolando, come dice tua sorella?"
"No... Ti reputo più intelligente di quel cretino," asserì Ron, sorridendo. Harry si sentì definitivamente un ipocrita. Non considerava Malfoy tale, tantomeno considerava se stesso più astuto di lui e si domandò se avrebbe mai potuto provare tutto ciò anche al suo migliore amico, un giorno. In un universo parallelo, forse. Si limitò a un'alzata di spalle, conscio del fatto che, in quel contesto, non avesse la libertà di offrirgli altro senza mentire meschinamente.
"Grazie per darmi credito," rispose, infine.
"E poi, non sarebbe paradossale se venisse fuori che Malofy è una checca?" Quel tentativo di alleggerire l'atmosfera colpì Harry come un pugno di ferro nello stomaco. "Con la sua famiglia così tradizionalista... Sicuramene sta lì a vantarsi delle sue conquiste tutto il tempo!"
"Non si possono decidere i propri gusti sessuali in base all'appartenenza famigliare, Ron. Non funziona così," si intromise Hermione, meticolosamente.
Basta, basta. Quello era certamente un terreno sul quale non voleva addentrarsi in quel momento.
"Dai, smettiamola con questi pettegolezzi. Non voglio dar loro importanza. Devo tornare in ufficio, ci sentiamo più tardi?" tagliò corto Harry, lesto in piedi, verso la porta. Vigliacco. Senza dubbio, lo era; erano anche anni che calzava il ruolo dell'impavido come un costume cucito su misura e c'era una parte di lui che era perfettamente a proprio agio nel restare nuda. Nudo. Nudo con Draco. Per Merlino, datti un contegno!
Un gesto di saluto, una promessa di contatti a breve con i suoi amici ed era fuori dalla saletta, diretto al suo ufficio, la testa appesantita dal fardello di pensieri e verità nascoste.
Ritornare in ufficio era stato semplice, le liste di cose da fare, le missioni da preparare e i documenti da rivedere un po' meno. Una bussata concitata e precipitosa scacciò definitivamente via la sua labile concentrazione.
"Avanti!" sbottò, seccato. Probabilmente era un collega o qualche tirocinante e, con un po' di fortuna, non Rastrick. La sua espressione si trasformò in pura sorpresa quando una figura alta e snella, sovrastata da un ciuffo di capelli biondo chiaro, proruppe nella stanza.
"Draco," disse, sbigottito, senza nemmeno rendersi conto di aver usato il nome proprio.
Malfoy alzò appena gli occhi nell'udire quell'insolito appellativo, ma poi si affrettò con fare agitato alla scrivania di Harry, sbattendoci su con foga due fogli di pergamena.
"Veleno di Tarantola," annunciò, fissandolo.
Harry lo guardò di rimando, confuso. "Come?"
"Veleno di Tarantola. Uno dei due veleni che compongono le pozioni esplosive. Ho scorso di nuovo la lista dei componenti e non so come sia possibile, ma non l'avevo notato la prima volta," spiegò, indicando degli appunti sul foglio.
Harry si sporse per poter leggere le note. "Ho approvato l'ordine per delle scorte speciali il mese scorso," disse, alzando lo sguardo verso l'altro. Draco si era abbassato a sua volta sulla scrivania e i loro volti si trovavano decisamente troppo vicini per non notare un certo grado di tensione crescere incalzante. O un elefante incorporeo che si era sistemato in poltrona con una tazza di caffè, sperando in qualche animazione pre-prandiale.
Quasi come fosse ormai un'abitudine, i loro occhi si connessero per qualche secondo in armonia con l'elettricità sospesa nell'aria.
"Dai," sibilò infine Draco, con tono ammonitore.
Harry gli sorrise malizioso, senza distogliere lo sguardo. "Dai cosa?"
"Non mi guardare così." Nonostante l'esortazione, le sue labbra non riuscirono a contenere un timido sorriso.
"Così come?" chiese Harry innocentemente. Innocente un corno!
"Come se avessi un Pimpli in testa, Potter!" sbottò, velatamente divertito.
"Mi sa che non sai interpretare gli sguardi molto bene, Malfoy," ribatté Harry, con un ghigno.
Draco scosse la testa e rise silenziosamente, spegnendo per primo il languore di quel gioco di sguardi e facendosi dondolare la frangia bionda davanti agli occhi.
"Scusa," disse infine Harry. Non era davvero dispiaciuto, in realtà. Erano bastati cinque minuti passati con Draco nel suo ufficio per risollevargli un po' il morale e provò a comunicare quella sensazione all'altro attraverso l'intonazione di quell'enunciato. Quindi, si focalizzò nel ritornare sull'argomento di poco prima, raddrizzandosi contro lo schienale della sedia.
"Dunque, pensi che sia il veleno di Tarantola, sia la Tentacula Velenosa siano stati usati per le pozioni esplosive. Non sono ingredienti di facile reperibilità, quindi questo ci conferma la tesi che siano state preparate qui al Ministero. Perciò si tratta di qualcuno che ha accesso ai laboratori," dedusse Harry.
Draco annuì. "Esatto. Ma potrebbe essere chiunque, ci sono circa trenta pozionisti nella squadra." Fece una breve pausa, fissandolo. "Pensi che ci siano ragioni di credere che sia un pozionista omosessuale? Perché la cerchia si restringerebbe, ce ne sono solo due," aggiunse, interrompendosi di nuovo. "E mezzo."
Harry gli lancio un'occhiata confusa. "E mezzo? Che intendi?"
L'alzata di spalle di Draco e l'occhiata che gli rivolse furono più che eloquenti. "Non posso considerarmi del tutto fuori dalla cerchia ora, no? Il Profeta non ha tutti i torti." Anche l'elefante era assolutamente d'accordo: erano settimane che lo diceva!
"Siamo in due, allora," riconobbe Harry, sorridendogli e scrutandolo dolcemente. Non aveva ben capito se quella fosse a tutti gli effetti un'ammissione della sua nuova sessualità, tuttavia parlarne con Draco in maniera così spontanea e candida non lo turbava particolarmente. "Il Profeta dice anche un sacco di balle. Mi spiace per quelle stupide accuse, te ne volevo parlare. Io e Stump siamo dalla tua parte ed è questo quello che conta, lo sai."
"Non preoccuparti. Non è la cosa peggiore che sia stata detta nei miei riguardi," disse mesto. "Ero già abituato alla freddezza dei miei colleghi, non è cambiato granché giù nei laboratori, se non che ora nessuno si fida praticamente di nessuno," spiegò. D'un tratto, il suo volto sembrò rasserenarsi lievemente. "Il mio capo dipartimento al San Mungo mi ha mandato un gufo assicurandomi il suo supporto. E poi, non sai? La stampa gay ci adora," lo informò, con una risatina. Tirò fuori dalla tasca dei pantaloni una pagina di quotidiano accuratamente piegata e la stese sul ripiano di mogano. "L'ho conservata, è la prima volta che si parla bene di me su un giornale!"
Sulla prima pagina de La Civetta, il quotidiano più noto della comunità gay magica, campeggiava un primo piano di Malfoy con indosso un camice, probabilmente scattato al San Mungo, e l'espressione seria, gli occhi fissi nell'obiettivo. A Harry parve così diverso rispetto al Draco che stava gradualmente conoscendo, come se quel ritratto fosse solo una mera rappresentazione della rigida corazza che avvolgeva una personalità ben più sfaccettata.
"Giù le mani da Draco Malfoy!" Alla lettura di quelle parole, Harry non poté fare a meno di alzare uno sguardo tra lo stupito e il divertito su Draco. "Non ci credo," disse, ridendo.
Draco partecipò alla sua ilarità, unendosi alla risata. "Va' avanti!"
"Il pozionista del San Mungo, ingiustamente accusato di aver sabotato le uscite del Ministero, potrebbe invece solamente temere per la sua carriera, visti i recenti abusi da parte degli Auror, e preferire non dichiararsi. Da parte della nostra redazione mostriamo pieno sostegno e comprensione nei confronti del dr. Malfoy, sottolineando la nostra apertura mentale nel credere che gli errori del passato, sebbene disdicevoli, non costituiscano un freno per il cambiamento."
Una volta terminata la lettura del paragrafo, gli occhi di Harry ritornarono su Draco, divertiti.
"Ridicolo, vero? Non ha nemmeno senso! È proprio da quelle accuse che sono partiti i pettegolezzi su di me e non il contrario. Da un lato sono basito, dall'altro non posso negare che non sia del tutto tremendo avere dei sostenitori. Non ci sono abituato," confessò Malfoy.
"Benvenuto nel mondo delle chiacchiere della stampa!" annunciò Harry, con aria eccessivamente solenne. "Ci sono passato diverse volte. Mi duole dirlo, ma ti stanno usando. Almeno in parte. Lo fanno per avere ragioni di attaccare il Ministero e le ingiustizie delle squadre Auror," lo informò Harry.
Lo sguardo di Draco sembrò rabbuiarsi sottilmente. "In effetti, ci ho pensato. Tuttavia, trovo l'intera storia assurda. In genere era mio padre a finire sui giornali; tengo alto l'onore di famiglia, eh?" concluse bieco. Si ricordava ancora dell'unica volta, all'inizio del sesto anno di scuola, in cui era apparso con Narcissa sul Profeta durante il processo determinante la prima condanna ad Azkaban di suo padre.
"Non credo le due situazioni si possano lontanamente paragonare, Draco." Per quanto sapesse che prima o poi l'argomento famiglia e parenti sanguinari sarebbe emerso fra loro, Harry non riteneva che quel momento fosse quello adatto.
Draco annuì di nuovo. "No, lo so... Fortunatamente, la dignità e il distacco di mia madre la portano a ignorare completamente questa storia. Non so nemmeno quanto ne sappia, in realtà. Lei è rimasta un po' fuori dal mondo negli ultimi tempi," disse, quasi tra sé e sé. Si sentiva stranamente in vena di confidenze quella mattina e tra loro si respirava un'aria così intima, così naturale, che si ritrovò a pensare quanto la sensazione di parlare liberamente con qualcuno con cui non si trovasse in imbarazzo o dovesse ponderare le parole in continuazione gli fosse mancata. Parli anche con Blaise. Sì, ma è come conversare con una pluffa, praticamente.
"Non esce davvero mai?" chiese Harry, incuriosito.
Draco scosse il capo. "No, non molto. Una o due volte al mese si sforza ad andare a trovare sua sorella e quel bambino strampalato figlio del tuo lupo."
Harry spalancò gli occhi. "Teddy? Tua madre fa visita ad Andromeda? Non me l'ha mai detto!"
"Evidentemente non si aspettava esattamente cori entusiasti da parte tua e dei Weasley," disse Draco, tutt'un tratto sprezzante.
"Può far quel che vuole, è una donna adulta e se vuole vedere sua sorella, non sarò certo io a impedirglielo," contestò Harry, guardingo.
Gli occhi di Draco si erano sottilmente raggelati, il che creò una dissonanza nell'armonia che aveva teneramente avvolto l'ufficio fino a quel momento. "Capita di riavvicinarsi, quando si è soli," mormorò infine, distogliendo lo sguardo dagli occhi di Potter.
Harry sospirò, sommesso. "Non ti incazzare ora, dai," lo rabbonì. "Sono pur sempre il padrino di Teddy e in qualche modo mi aspettavo di sapere tutto della sua vita. Comprendo la titubanza di Andromeda e sono più che felice di sapere che si facciano compagnia a vicenda, se questo le fa stare bene," chiarì, con un sorriso sincero. "Non ho nulla contro tua madre, Draco. Non più, per lo meno," disse, infine.
Le labbra dell'altro si piegarono in una smorfia. "Lo so. Scusami," borbottò. Erano sempre un po' strane le scuse fra di loro, mantenevano ancora un sottotono dalle note surreali e allo stesso tempo melodiche. "Sono ancora suscettibile al riguardo. Mia madre è una diventata... Fragile," tentò di spiegare.
Harry lo guardò comprensivo, annuendo lentamente. "Mi spiace," offrì.
"Ho chiesto a Blaise di venire al Manor a salutarla qualche volta, ma si è rifiutato. La sua famiglia si era allontanata dalla nostra quando mio padre aveva rinnovato la sua fiducia al Signore Oscuro e i miei non hanno esattamente speso parole gentili nei confronti dei Zabini. Io e Blaise siamo rimasti sempre in rapporti cordiali, ma non credo che lui si senta a suo agio a venire a casa mia," continuò, pensieroso.
"Ci vengo io," annunciò Harry. Che idea splendida! Un tè a Casa Allegria!
Draco lo fissò attonito. "Che stai blaterando?"
Effettivamente, Harry non avrebbe ben saputo dire da dove venisse quell'iniziativa, al di là di incolpare per una buona parte il suo solito istinto eroico e senso di altruismo verso gli afflitti. Forse era stata suscitata anche dalla voglia che aveva di scoprire Draco, di avvicinarsi a lui dimostrandogli supporto, sebbene conscio di quanto quel percorso fosse spinoso e non privo di ostacoli. Forse ne vale la pena.
"Se non la fa inorridire la mia compagnia, le vengo io a fare visita con te," ripeté, con un'alzata di spalle. "Credo di non averla ringraziata per un vecchio favore."
"Che favore? Di che parli?" Uno guizzo di confusione si mescolò allo stupore negli occhi di Draco, il che fece sorrise Harry lievemente.
"Magari te lo spieghiamo insieme se mi inviti da voi, che dici?" lo provocò.
"Se ci tieni... Penso che a suo modo le farebbe piacere. Forse la lascerebbe un po' sorpresa; non lo so, sinceramente! È sempre felice di ricevere visite. Magari non si aspetta proprio te, però..." Si rese conto che aveva iniziato a cincischiare frasi spezzate, disorientato. Decise che si stava perdendo nei suoi stessi pensieri e che in qualche modo c'era qualcosa di positivo nella proposta di Potter. "Va bene. Sei il benvenuto, se vuoi," enunciò, risoluto, ignaro del fatto che il pachiderma all'angolo avesse esteso quell'invito anche a se stesso.
Sul volto di Harry comparve un sorriso limpido. "Grazie. Eviterò di indossare jeans strappati."
Draco gli lanciò un'occhiata perentoria. "Sarà meglio per te, Potter," lo intimò, facendo trasparire il tono sarcastico di quelle parole, come un ringraziamento silenzioso. "Be'," disse, infine, riscuotendosi, "sarà meglio tornare giù nei laboratori, prima che qualcuno colga l'occasione di commentare il fatto che sono uscito fuori dalla pausa."
Harry si alzò, seguendolo fino alla porta. "Allora, ci vediamo domani," ricordò, avvicinandosi all'altro.
"A domani," mormorò Draco. Un attimo prima che posasse le dita sulla maniglia dell'uscio, si sentì stringere le guance dalla mano di Harry, che lo fissò per un istante e quello subito dopo gli affondò i denti nel labbro inferiore, con fare lascivo. Non era un bacio, era proprio un morso, un gesto impulsivo, aggressivo. Gemette, sommesso, dalla sorpresa, ma non si tirò indietro, limitandosi a serrare le dita sull'avambraccio dell'altro, conficcandogli le unghie nella carne e sperando di fargli un po' male. Infine, Harry gli liberò il labbro e tornò a fissarlo, con un'aria provocatoria; voleva giocare, voleva spingersi oltre i limiti della sua facciata da eroe senza peccato e Draco non aveva intenzione di lasciarlo vincere così facilmente. Si rese conto che Harry poteva permettersi di farlo con lui, di osare così tanto, perché non avevano bisogno di nascondersi dietro le inibizioni o sciocchi ruoli. Sapeva anche che Draco non avrebbe mai ceduto e quello era esattamente il punto del gioco, il motivo per cui si erano ritrovati attratti l'uno dall'altro. Lo fissò di rimando, assottigliando gli occhi in uno sguardo a metà tra il divertito e lo strafottente.
"Non sono commestibile, Potter."
"Davvero?"
"Sta' attento, Harry," gli intimò, prima di stampargli un bacio sulle labbra e sgusciare via dall'ufficio.
Era solo un'impressione dell'elefante oppure a quell'Harry piaceva particolarmente rimanere imbambolato a fissare le porte da dove Draco usciva?
La giornata successiva passò monotona e la sera arrivò silenziosa, pacata, inosservata dalla mente di Harry, che ancora divagava ai fugaci incontri con Draco, dal sapore così liberatorio e frizzante. Si era domandato più volte, nel corso delle ultime quarantotto ore, se la sua esistenza fosse diventata talmente piatta e incolore da far sì che dieci minuti di conversazione fossero uno stimolo sufficiente per fargli sollevare quel velo di indifferenza. Era Draco. Da quando era iniziata quella specie di relazione illecita (non avrebbe saputo dare un nome alla loro situazione), seppur ancora così breve, era stato sempre lui a farlo ridestare, a fargli venire voglia di... Voglia di vivere un po' di più. Quel pensiero lo scioccò e quasi si vergognò della sua debolezza e del suo comportamento disonesto, infangato da bugie e, allo stesso tempo, così irresistibile. Ancora gli sembrava tutto decisamente assurdo, eppure lui ci si trovava così comodo, in quella bolla soffice di assurdità.
Il campanello suonò, inaspettatamente, qualche minuto dopo che Harry era tornato dal lavoro, alle cinque del pomeriggio. Non c'erano molte persone cui fosse concesso di trapassare le barriere magiche di protezione quando lui era in casa, quindi poteva trattarsi solamente di qualcuno dei Weasley o di Hermione. Non fu del tutto sorpreso quando aprì la porta e si trovò di fronte il volto trafelato di Ginny.
"Ciao," la salutò, cercando di soffocare un sospiro di amarezza e impazienza. Draco sarebbe arrivato solo un paio d'ore dopo e un possibile incontro tra i due sarebbe stato quanto di più spiacevole riuscisse a immaginare. D'altro canto, quel confronto era inevitabile e non era nella sua natura tirarsi indietro; non gli restava che sperare nella sua buona stella. Quanto sei meschino, Potter. Vero, verissimo. Forse, anche nella meschinità si sentiva a suo agio.
"Ciao," rispose. A quel semplice saluto lo sguardo della ragazza, fino a quel momento fisso su di lui, si abbassò, quasi timorosa di iniziare una conversazione. Non si erano visti, né sentiti, da quel burrascoso litigio, nonostante Hermione l'avesse spronato a pararle e Ron, con il solito fare bonario, avesse accennato un paio di battute sulla natura complessa delle donne, con scarso successo se non quello di beccarsi occhiate minatorie dalla propria fidanzata.
"Entra," la invitò Harry, facendosi da parte. Sperava davvero che le cose non degenerassero più di quanto non avessero già fatto e che, in un modo o nell'altro, si concludessero a breve. Ginny oltrepassò la porta, incerta, quasi come se non avesse mai messo piede in quell'appartamento prima. Era forse bastato quello screzio per farla sentire così estranea, così non voluta in quell'ambiente? Sentendo chiudere l'uscio alle sue spalle, si voltò per fronteggiare Harry.
"Harry, ascolta. Ho... Pensato. A noi. Lo so che sei ancora arrabbiato e non volevo sbottare così, però... In realtà, non c'è un però. Forse mi sono allontanata troppo da te, senza rendermene conto. Voglio recuperare, non voglio che questa distanza aumenti ancora di più. Non ho intenzione di pregarti o umiliarmi, ma credo di meritarmi una seconda possibilità. Che dici?"
Aveva pronunciato quelle parole tutte d'un fiato, come se le fossero rimaste incastrate nella gola per giorni, come spilli, e ora fossero state sputate fuori per andare a conficcarsi dritte nel petto di Harry. A dir la verità, non sapeva affatto cosa dire: la richiesta di Ginny era lecita, misurata e logica. Era lui a non essere niente di tutto ciò. Prese il coraggio a due mani e tentò di essere il più chiaro possibile nell'esprimere quel che provava.
"Ginny... Hai ragione. Ti meriti una, due, mille possibilità," iniziò, guardandola con mestizia, "ma forse non da me." Vide, negli occhi dell'altra, un lampo di dolore, di panico, ma si sforzò di continuare. "Ho riflettuto anche io questi giorni e ho pensato che, forse, questa distanza fra noi sia indice di altro. Forse ci siamo allontanati perché, in questi anni, siamo cambiati, non trovi?" La fermò con un cenno della mano, quando fece per ribattere. "No, fammi finire. Io ti amavo, ti amavo davvero, quando ci siamo messi insieme. In guerra, eri parte, una grande parte, delle cose che mi davano la forza per continuare a combattere e una volta finita, è stato con te che ho condiviso la tristezza per chi non c'era più e poi la spensieratezza della pace. Ero così inebriato da te, non mi sembrava vero che tu volessi stare con me, che ero un casino. Eri... Vitale, spavalda, forte... e lo sei ancora! Ma poi, ti sei attaccata così tanto a me, mi hai ricambiato con un amore, forse, ancora più forte di quel che io provavo per te e credo di aver cominciato a darti... Per scontata. Più di una volta non ho sentito il bisogno di confidarmi con te, di parlarti dei miei problemi, perché mi sembrava quasi che non riuscissi a liberarti la mente e il cuore dalla figura dell'eroe che sono stato e imparare a conoscere la persona che sono ora. Ogni volta che avevo un problema, tu, non so... Minimizzavi. Dicevi che sarebbe andato tutto bene, perché va sempre tutto bene, cazzo. Ma a me sembrava che tu non mi ascoltassi davvero. Non va sempre bene, Ginny, non sempre."
La pesantezza della verità di quelle parole fece calare un silenzio assordante tra di loro. Harry, però, si sentiva leggero, quasi pacifico, anche se c'era altro e ne era ben conscio. Tuttavia, quel che avevo detto era reale, esisteva; forse, tutto quel che era successo finora con Draco si era presentato come un'opportunità per tirare le somme della sua relazione. Gli occhi della ragazza erano velati da una cappa di afflizione che si trasmetteva anche a lui, eppure non smetteva di guardarla. Scosse la testa, come per ridestarsi. Non piangeva; Ginny non piangeva mai.
"Non so che dire. Mi amavi. Quindi, è finita?" Quella domanda gli fece scorrere un brivido di realizzazione lungo la schiena. Continuando a fissarla, annuì, lentamente. Ginny raddrizzò la testa, l'espressione del suo volto si fece dura, gelida.
"Va bene, allora. Va bene. Anzi no, hai ragione, non va bene un cazzo, ma okay. Non posso forzarti in qualcosa che non vuoi, sarebbe terribile per me, soprattutto." Si avvicinò, risoluta, verso la cassettiera del salotto. "Posso prendere delle cose che ho lasciato qui? Se c'è altro, lo puoi mandare a casa dei miei," chiese, il tono improvvisamente formale, sbrigativo, come se con quella decisione si fosse chiuso, dietro un'anta, anche il patimento.
"Certo, fai pure," rispose. Si chiese se, effettivamente, la discussione si fosse conclusa così, in quel modo brusco o se ci sarebbero ritornati sopra, un giorno. Era confuso dal fatto che Ginny non avesse tentato di ribattere o di dire la sua, ma, d'altronde, la conosceva abbastanza da sapere che quell'ermetismo era tipico di quando soffriva troppo e cercava di proteggersi. Tentò di non pensare troppo a Ron, ai Weasley, a tutti gli altri che... Frena. Una cosa alla volta.
"Cos'è questa?" domandò la ragazza, riportandolo con i piedi per terra. Teneva in mano una piccola pergamena su cui c'era scribacchiato qualcosa, che lesse ad alta voce. "Magari, con questa, la prossima volta posso usare tecniche meno ortodosse per sedurti, Sfregiato. DLM." Ginny si girò lentamente verso di lui, che nel frattempo si era irrigidito, ma cercava di mantenere un'aria calma nonostante il panico crescente e la gola improvvisamente, secca. Si maledisse mentalmente per non aver gettato quello stupido messaggio ed essersi abbandonato, lì per lì, a ridicoli sentimentalismi da ragazzina e averlo conservato.
"DLM... Malfoy. Solo quel coglione potrebbe chiamarti così. Sedurti? Sedurti, Harry? Che significa?"
"Niente... Era... Malfoy mi ha mandato delle pozioni per lo stomaco, ricordi?" tentò, rimanendo vago.
Gli occhi di Ginny si fecero duri, pregni di una furia silente che sembrava montare ogni secondo che passava. "Ricordo. E perché ha sentito la necessità di allegarti un messaggio smielato?"
"Ma così, per prendermi in giro..."
"Non è quel che penso, vero, Harry? Non è vero..." La rabbia si stava pericolosamente avvicinando al punto di ebollizione.
"Non c'è niente da pensare, Ginny, so-"
"...tutto il discorso dell'esserci allontanati, del non amarmi più. Tutte stronzate!!"
"Non sono stronzate, guarda che quelle cose le penso davvero, hai capito? È quello che provo, sul serio!" esclamò, indignato da quell'insinuazione. Ma come poteva pretendere di spiegare, di chiarire? Non era nella posizione adatta e si sentiva terribilmente frustrato. Be', non si era forse sentito disorientato dalla mancanza di discussione? Ecco la discussione che voleva!
"Quella vicinanza sospetta con lui, prendere le sue parti, lasciarti imbrogliare..."
"Smettila di dirlo, porca puttana! Smettila!" gridò, fuori di sé. Lo mandava ai matti, quando se ne usciva così.
Il tuonare della sua voce la zittì, stampandole in faccia un'espressione irata e incredula e ci furono un paio di secondi di quiete prima che Ginny riprendesse a parlare, questa volta con un tono algido e inquietantemente calmo.
"Te la fai con Malfoy." Non era una domanda.
"Sì," confermò, fissandola con severità. La vide trasalire, impercettibilmente. "Pensa quello che vuoi. Tanto la stampa già lo fa da tempo. Non mi interessa più, sinceramente. Fa' quello che ti pare. Sputtanalo ai quattro venti, vendicati, non mi importa." Non sapeva se quella fosse arrendevolezza, ma era talmente esausto e saturo di reggere, a fatica, la struttura fatiscente della sua vita, che l'idea di mollare e lasciare che le cose facessero il loro corso lo allettava incredibilmente. Andassero tutti a fanculo.
Ginny non disse nulla. Si diresse verso il camino a passi svelti, determinati, senza guardarlo e, poco prima di sparirci dentro, accartocciò la pergamena nel pugno, riducendola a una pallina, e gliela lanciò con violenza contro il petto.
Rimase, per l'ennesima volta, fermo lì, su due piedi, ancora scioccato e non del tutto lucido e conscio di ciò che fosse appena accaduto. Fissò la pergamena appallottolata sul pavimento e poi la pendola a ridosso della parete. Draco sarebbe arrivato tra venti minuti.
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