Adesso respiro
I RAGAZZI IN QUESTA STORIA SONO ENTRAMBI MAGGIORENNI!!
«Che ci fai qui?»
L'ho sentito entrare dallo spostamento della tendina con le perline. Il suo passo sicuro e quel sorriso che fa inchinare i diavoli peggiori.
Mi si accosta senza dire una parola. Mi respira contro e il suo fiato bollente mi intorpidisce i sensi, il suo palmo mi sfiora il fianco, facendo increspare il tessuto del completo.
«Hai ancora il mio profumo, addosso» sussurra contro il mio collo, la sua voce mi fa vibrare il corpo e il cuore.
Porto una mano su quella che ha appoggiato sul mio fianco, gliela spingo via.
«Koko…»
Le sue labbra si curvano, riesco ad osservarlo grazie allo specchio posto dinanzi a me. Cerco ancora di sistemarmi la cravatta, senza successo; non ho mai imparato a fare il nodo.
Mi afferra dai fianchi e mi volta verso di lui. I nostri occhi s'incontrano. Quante volte mi sono perso nel modo in cui batteva le ciglia? Nella curva lieve che adorna il taglio dei suoi occhi?
Ricordo ancora la morbidezza delle sue labbra, lo sfregamento della sua carne contro la mia. Pareva che mi stesse
scoppiasse qualcosa dentro, ad ogni bacio, ad ogni carezza. Qualcosa nel petto mi cede, mi rende le gambe molli come gelatina. Sono plastilina tra le sue mani, è lui che mi forgia a suo piacimento ed io ci sto. Impazzisco per il modo in cui, con le sue dita abbozza il profilo del mio fianco, la maniera in cui stende le labbra all'insù, verso sinistra, e si protende col gomito a sfiorarmi lo sterno.
Mi ballano mille lombrichi nello stomaco.
Mi sposta le mani dalla cravatta e porta lo sguardo sul mezzo nodo che ho fatto. Ci getta un'occhiataccia e inizia a rifarlo daccapo. Le sue dita si muovono in sincrono alla stoffa, la sposta su e poi la gira, la protende e poi la stira. Mi ritrovo ammaliato dal modo in cui muove quelle dita affusolate, il modo in cui lascia che i suoi polpastrelli scivolino contro il cotone della cravatta e quasi fa le piroette, con quelle sue belle unghie curate.
Ha le nocche spaccate, perché nonostante l'amore, nonostante questo sia - mi correggo, debba essere - il giorno più importante della sua vita, lui non rinuncia mai ad una bella rissa.
Scarica la tensione, mi dice sempre.
Restiamo in silenzio e quando mi sfiora il collo con il polpastrello, sospiro. Il suo tocco sa di fuoco e incenso, mi corrode le ossa mentre lo lascio andare sulla mia pelle. I suoi occhi ora, sono di nuovo su di me. Ricalca con le dita il livido che mi ha lasciato ieri, ci infila le unghie e lo lacera. Devo mordermi il labbro per impedirmi di gemere; il suo tocco non è gentile, è carnale.
Giochiamo, lo abbia sempre fatto, ma mi chiedo se da questo voyeurismo, io devo aspettarmi qualcosa di più, se questo suo toccarmi l'anima non sia volontario.
«Ti è piaciuto quando te l'ho fatto?» mi chiede, le sue labbra vicine al soggetto della frase.
Il mio cuore sfarfalla velocemente.
Vorrei dirgli che non è vero, vorrei sollevare lo sguardo e dirgli che non mi è piaciuto, che è stato solo uno sfizio, che non ripenso alle sue mani su di me, che non riesco a desiderare che lo faccia ancora, che mi prenda proprio ora, qui, incurante degli invitati.
Deglutisco.
Il mio pomo d'Adamo affonda vicino alle sue dita, il suo palmo mi sfiora il collo, ci si chiude contro.
Gemo.
Non riesco a trattenermi quando sposta gli occhi su di me, inclina il viso, studiandomi. Il suo pollice gioca con le mie labbra. Il suo tocco è magnetico, mi cattura il respiro ed io mi adatto al modo in cui mi impone di respirare; come potrei non farlo? È così radicato tra le mie ossa che se provassi a staccarlo uscirebbe anche la mia essenza, il mio scheletro.
È così vicino che percepisco il battito del suo cuore; così aritmetico.
«Ti è piaciuto? Rispondimi.»
Stringe la presa sul mio collo, il mio respiro è sotto il suo controllo. Le mie palpebre si sgranano, i miei occhi lo cercano.
«Koko…» mormoro, «non possiamo, tra due ore… devi… sposare mia sorella» gli ricordo, ansimando per riprendere fiato.
Lui non ne sembra sorpreso. Mi spinge contro il muro. La mia schiena si scontra con la parete gelida, rilascio un verso rauco che lo scalda, - che ci scalda entrambi - come se avessi appena versato lava.
«Ti è piaciuto?» ripete, ignorandomi. Il livido pulsa sotto il suo palmo. Il sangue si concentra nel mio basso ventre.
Vorrei non dover mentire ogni volta, vorrei smetterla di volerlo quasi quando un bisogno fisico. Ma lui è in me, è così attannagliato alle mie arterie che il mio sangue è il suo sangue. È così stretto nei miei polmoni che non riuscirei a respirare se non ci fossero le sue braccia lì dentro.
Il mio dolce, maledetto, amore.
«N-no.»
Un sogghigno gli incurva le labbra, quella bocca che sa come farmi perdere la cognizione del tempo e dell'intero mondo. Sotto il suo sguardo io sono acqua, acqua che si piega e obbedisce alle sue volontà come fosse un prete, un Mosè che arrivato dinanzi alle porte del mio cuore, batte il suo bastone per terra e comanda al mio battito di rallentare e aprirsi. Mi espongo a lui e non mi importa se è il peggiore dei Vichinghi, se vuole ferirmi, se vuole saccheggiarmi; io sono suo.
Si avvicina. Le sue labbra sfiorano le mie, mi ci soffia il fiato sopra. Il suo intero essere si aggrappa a me e mi soffia dentro, mi sputa addosso. Io vorrei abbracciarlo, stringerlo così forte a me da farti mancare il respiro. Te la dono io la vita, poco importa di questi comuni mortali.
Noi siamo di più.
«Bugiardo» asserisce, divertito. Il suo odore di colonia mi sta annebbiando i sensi. È un odore così aromatico che devo chiudere gli occhi per qualche secondo, evitare, - impormi - di non perdere la concentrazione, la giusta consapevolezza, quella che ieri non abbiamo avuto.
Mi lascia il collo, le sue mani finiscono sulle mie cosce, il suo ginocchio preme per allargarle. Le stringo, pongo resistenza al suo tocco lesto.
Mi sfiora il lobo dell'orecchio con la bocca, il suo respiro caldo mi fa perdere il controllo, mi rilasso. Il suo ginocchio scivola tra le mie gambe.
Lo muove contro di me, contro il mio bacino, mi strozza il respiro.
«Il tuo cazzo è duro.»
Tremo, mentre mi soffia queste parole nell'orecchio. Le arrotola sulla lingua e me le versa addosso come olio.
«S-sono solo sensibile» chiarisco, cercando di darmi un contegno, ma mi trema la voce. Lui ridacchia.
Il suo ginocchio sfrega ancora contro di me. Mi sfugge un sospiro. L'attrito è così piacevole da scaldarmi l'intero corpo, risale dentro di me come una marea e mi investisce fino a perdere i sensi.
«Anche ieri lo eri» mi mormora. La sua voce roca mi sta mandando all'inferno, brucio e rinasco tra le sue braccia come una fenice.
Non replico, non riesco a pensare ad altro se non alla sua gamba che ha iniziato a muovere più violentemente. Quasi lo sapesse già quello che voglio.
Quasi conoscesse già il modo in cui schiuderò la bocca e gemerò sempre più forte, sempre più ansimante.
«Sai…» soffia, le sue dita scivolano sotto la mia camicia, «ieri ti volevo» mi sfiora i fianchi, indugia toccandomi il fianco sinistro con più vigore, reclino la testa all'indietro, ansimo.
Questo tocco… ieri sera sono venuto solo con lui che mi stringeva in questo punto, le sue mani che mi scuotevano la pelle fino a farmela colorare. Mi piace il ventaglio di colori che esplode sotto il suo passaggio, un segno indelebile di quello che abbiamo passato, di quello che mi ha fatto.
Il livido sotto le sue dita pizzica di un bruciore piacevole, provocante.
E lui lo sa.
«Mi hai avuto» replico, senza fiato. Il suo ginocchio sfiora impaziente il mio membro teso. Mi percorre il corpo come un archeologo in cerca di un'importante scoperta. Vuole avere il suo tesoro ed esserne segretamente orgoglioso.
«Volevo scoparti, forte» mi rivela.
Non fa caso alle mie parole, continua a strapparmi ansimi e sospiri, si preme contro di me e mi sembra quasi di stargli donando ogni più microscopica particella di me. Mi guarda ancora, i suoi occhi sembrano laghi d'Alaska, un husky che obbedisce pazientemente al suo padrone, un terremoto che colpisce il cielo come il fulmine che gli drappeggia negli occhi.
«Volevo farti urlare, prenderti così forte che avresti zoppicato per settimane, scoparti così infondo da arrivarti al cuore» ringhia; i suoi denti mi afferrano il lobo. Lo succhia ed io mugolo forte, socchiudendo gli occhi. Mi ha solo sfiorato e già siamo entrambi al limite, succubi e carnefici del nostro stesso gioco. Una tortura che sembriamo amare tanto da non volerne decretare una fine.
«Perché non l'hai fatto?»
Lo guardo dentro quei due lapislazzuli, mi perdo nell'amore che vedo riflesso nel mio profilo, l'amore che ho nascosto sotto strati e strati di cuore perché sapevo che se lui li avesse trovati li avrebbe solamente uccisi.
Senza pietà, come si fa con gli agnellini.
Lascia andare il mio lobo, mi guarda, sorride. I suoi denti bianchi mi rapiscono lo sguardo. È interamente perfetto, fatto di sole e ghiaccio, mi ustiona ogni volta che le sue labbra si curvano.
«Perché» mormora, le labbra appiccicate alle mie, i nostri respiri mischiati, «era la tua prima volta».
Rilascia un sospiro così esile che mi sembra quasi di impazzire.
Non riesco più a muovere un muscolo. Mi irrigidisco sotto il suo tocco, naufrago fra le sue parole, i miei occhi esplodono di colori. Li incastro ai suoi, cercando di sembrare il più convinto possibile.
«E come fai ad esserne certo?».
La sua mano stringe il fianco così forte da farmi ansimare, senza fiato. Non ne ho più, non dopo quello che mi ha detto. Mi blocca un polso accanto al viso, fissandomi. Le sue dita sono più leggere, più eleganti nei movimenti di quanto io le abbia mai viste.
«Perché, eri così stretto che sarei potuto venire solo standoti dentro, senza neppure muovermi.»
Non posso trattenere il sospiro che mi lascia le labbra. Le sue parole mi arrivano dritte al basso ventre, i brividi mi assalgono il corpo. Tremo mentre mi tira via la camicia con gesti rapidi, quasi fuggiaschi e si sfila la sua con la stessa foga.
I miei occhi cadono sui suoi addominali. Cesellati, dolci dune che affondano nel terreno e sprofondano fino a creare colline. Mi prende la mano, portandola sopra il suo petto. Mi lascia toccarlo, e reclina un po' la testa all'indietro, scoprendo la curva del collo. Il segno del mio morso è ancora lì, sull'incavo tra spalla e collo, i contorni delimitati da trattini, il colorito violaceo simile ai fiori.
L'ho morso mentre mi si spingeva dentro. Mi ha chiesto di non urlare ed io ho sfogato il mio piacere così…
«D-devi… sposare mia sorella» ribadisco, ma lui non mi ascolta. Le sue mani mi sbottonano i pantaloni, me li tira giù, insieme ai boxer, senza troppe cerimonie e fa lo stesso con i suoi.
«Ora però, voglio scoparti» mi dice, il respiro spezzato. Il suo ginocchio scompare ma al suo posto, c'è il suo membro. Lo spinge contro il mio ed io, inarco la schiena. Lo sfregamento è così piacevole, così estasiante, ma non mi basta; voglio poterlo toccare, voglio muovermi, aggrapparmi a lui fino a fargli respirare la mia stessa aria.
Lui di tutta risposta, mi blocca dal fianco, intrappola la pelle tra le sue dita sottili e mi sbatte contro il muro senza troppi convenevoli.
Il livido brucia come se mi stessero aprendo la carne, ma non permetto alla mia bocca di schiudersi. Mi mordo la guancia e scivolo nel piacere che quel dolore mi causa, lo stesso ardore con il quale, Koko mi respinge e poi torna da me, come se fossi la sua Itaca.
«Sta' buono» mi ordina.
Si muove sinuoso contro di me e lascia una cucciolata di baci lungo tutto il mio petto fino a farmi gettare la testa all'indietro, fino a farmi mordere il labbro sfogando la mia voglia sulla mia stessa carne. Gemo, incapace di agire.
Dovrei spingerlo via, ma il suo tocco mi provoca sensazioni di cui non riesco a privarmi.
«Koko…» ansimo, lui caccia un verso roco. La sua sola voce mi causa i brividi, è sempre stato così radicato nella mia vita che quasi non me ne sorprendo.
Ti piace essere supplicato, vero?
Fa scorrere la lingua sul mio collo, ricalca il succhiotto che mi ha lasciato ieri, mi sbatte i fianchi contro il muro.
Le sue dita scivolano ad agganciarmi le cosce, sollevandomi. Le mie gambe si stringono attorno al suo bacino. Mi sorreggo con un braccio allacciato al suo collo, le nostre carni cozzano l'una contro l'altra e mi divora pezzo per pezzo finché, non riesco a fare altro se non pregarlo, supplicare che riesca a darmi ciò che vogliono, ciò che invoco.
«Koko, ti prego…» ripeto, il fiato frammentato. Lui rallenta, i suoi movimenti più profondi, i denti affondano nella mia pelle facendomi urlare. Anche il suo membro, attaccato al mio, vibra d'impazienza.
«Per cosa mi preghi, Inupi?» mi chiede, sogghignando beffardo.
Avvampo. Mi esce spontaneo aggrapparmi a lui, al mio sogno, al mio amore, alla sua schiena. Mi ha sempre detto che avremo affrontato tutto insieme, che ci saremo presi per mano e saremo andati avanti.
Avevamo poco più di undici anni e tu già mi eri sprofondato dentro.
Sollevo ancora una volta lo sguardo, lo guardo mentre i miei occhi, il mio cuore, il mio corpo strilla un solo verbo.
Ti amo.
Io. Amo. Te.
«Scopami, prendimi… ti pre-»
Non mi fa finire di parlare.
Mi sfugge dalla bocca come un vagito di nascita, torno a vivere mentre mi scivola dentro, tutto d'un colpo. Il mio corpo risponde al suo come fossero stati programmati in sincrono. Mi inarco contro di lui, mi sfrego sulla sua pelle sudata, umida dello sforzo con il quale mi prende.
Unghie che affondano nella sua carne, gemiti che premono per essere rilasciati.
«Ah, merda, come sei stretto» mormora, la voce spezzata dal piacere. I suoi occhi sono lapislazzuli liquidi.
Il suo membro mi pulsa dentro. Non si è messo il preservativo, non c'è alcuna barriera tra di noi, non ora che lo sento completamente contro e dentro la mia pelle. Non mi dà il tempo di abituarmi.
Nessuno di noi due è mai stato paziente, né io né lui siamo mai stati in grado di privarci di un piacere che potevamo avere istantaneamente, o almeno, lui no. Affonda dentro di me fino a strapparmi il respiro, spinge e si fa spazio tra la mia carne fino a imprimerci sopra il suo tocco.
«Ah, cazzo» ansima, le sue unghie affondano nel mio fianco, graffiandomi mentre mi spinge contro di sé. «Sognavo di prenderti così, da anni» mi rivela, continuando a muoversi in maniera vorace.
«Ti piace?» mi chiede, gemendo sulle mie labbra. Mi soffia contro la bocca fino a sfinirmi del suo sapore dolce.
Si spinge dentro di me, colpendomi sempre più giù, sempre più forte. Ansimo, chiudendo gli occhi; il piacere mi fa vibrare i muscoli. Si disperde nella mia pelle come oro liquido, mi fa vedere doppio.
«S-si…» ansimo, completamente perso. Arreso alla sua volontà, al suo corpo solido, al modo in cui respira sulla mia pelle e inala il profumo della mia carne.
«Non riesco a pensare ad altro» mi dice, continuando a muoversi a questo ritmo animalesco.
«Ri- riguardo, c-cosa…?» domando, confuso.
Dà una spinta più ponderosa, facendomi inarcare. Gemo, la testa reclinata all'indietro, il respiro corto.
Sono così stretto per lui, per il nostro amore, - per il mio amore - sono così preso da questo. Da questo sesso.
«A te, al tuo corpo, ai tuoi ansimi…ah… ai tuoi gemiti, ai tuoi occhi ribaltati all'indietro mentre ti prendo, al tuo culo che rimbalza a ritmo con le mie spinte…» Inizia a muoversi con più impeto, i movimenti bruschi, lapidari. Sembra volermi arrivare al cuore, strapparmi il raziocinio e fondersi alla mia anima fino a diventarne il possessore.
Vorrei prendergli il viso tra le mani e dirgli: "lo sei già".
«…a te, al tuo cazzo di corpo…» ansima, la sua bocca si chiude sul mio collo, iniziando a vezzeggiarlo.
Mi aggrappo meglio a lui, schiudendo le labbra, incapace di ragionare e di non sospirare ogni volta che mi tocca con la sua saliva bollente.
«Koko…» mormoro, il corpo perso nel piacere che sta ricevendo, il cuore perso in queste parole.
No, no, no.
Non dovrei ascoltarlo, tutti dicono cose senza senso o che non pensano davvero mentre fanno sesso, no?!
I suoi gemiti soffiati sul mio collo però, mi fanno perdere la testa. La sua mano continua a tirarmi a sé, sembra volermi appiccare al suo corpo, incollare alla sua carne. Qualcosa mi sconquassa i sensi, una scocca che mi intorpidisce le gambe e rivitalizza i sensi.
«Koko…» ripeto, mormorando il suo nome piano, assaggiandone il sapore, sporcandolo di lussuria, di desiderio, di possessività.
«Non è stato solo sesso, ieri…» asserisce, il respiro pesante, le spinte più esigenti.
Le sue mani sono dappertutto, i suoi occhi sanno di liquirizia. Non penso di resistere a lungo; non se mi dice queste cose, non se mi guarda così.
«Koko.»
Gli prendo la guancia, bloccando il suoi sguardo sul mio. La pelle del suo viso è liscia come seta. Sembriamo due bambole da fuori, belli e puliti come se a tenerci in mostra possiamo guadagnare qualcosa, come se possiamo vivere di rendita solo abbozzando sorrisi.
«Sottomettimi».
Mi esce dalle labbra come una preghiera, una supplica che scivola dalla mia bocca gonfia dei suoi baci e si riversa a terra, sparpagliata sul groviglio in cui sono incastrate le nostre gambe.
Non se lo fa ripetere. Mi afferra i fianchi e cammina all'indietro. Esce da me, il suo membro quasi sembra non volerlo farlo, ma stavolta mi sembra davvero audace. Mi strappa un mugolio insoddisfatto, mentre con le sue belle mani mi spinge sul pavimento.
Per un attimo il freddo del pavimento mi irrigidisce i muscoli. Mi immobilizzo sotto il suo sguardo languido, sprofondo nei lembi del nostro amore.
Lo guardo dal basso, mentre si siede a cavalcioni sul mio petto. Avvicina il membro al mio viso, la sua punta arrossata come un bocciolo di rosa.
«Succhiamelo, Inui» ordina, le sue lunghe ciglia sventolano sulle sue guance morbide. Il suo viso dritto, le curve della mascella, il ciuffo di capelli color inchiostro che gli lascia scoperta metà fronte.
Non è mio. Non potrà mai essere mio.
Mi ripeto mentre, sotto il suo sguardo attento, tiro fuori la lingua.
Lo lecco.
Lecco la punta, morbide lappate che so bene quanto gli facciano perdere il controllo. La lingua saetta lenta e suadente, sfiorandogli il piccolo buchino sulla punta, i denti sfiorano la parte finale della cappella. Me lo spingo in bocca, ignorando qualsiasi buon senso, succhio la sua carne come se mi appartenesse.
I suoi gemiti mi invadono la testa.
Mantengo gli occhi nei suoi mentre si spinge dentro la mia bocca, imponendomi il suo ritmo. Non c'è niente di più eccitante del modo in cui ansima e si contorce tra le mie labbra e mi sprofonda in gola, incurante dei miei singulti. Mi possiede la bocca e la gola, si spinge così affondo in me da farmi scendere qualche lacrima.
Mi impone il suo sguardo, me lo fissa in viso e si conficca tra le schegge del mio cuore.
Quei suoi maledetto occhi. Ho perso la testa per i suoi e lui per i miei.
Muove il bacino, affondando la sua erezione nella mia bocca. È tra le mie labbra come un dolce, lo assaggio, lo mangio, lo divoro.
«Succhia» mi dice, la sua mano scivola sul mio collo, stringendolo.
Mugolo, iniziando a fare ciò che ha chiesto.
Lo faccio scivolare nella mia bocca, succhiandolo con le guance. La punta del suo membro mi colpisce l'inizio della gola, facendomi lacrimare ogni volta. Siamo un pasticcio di gemiti, di lacrime e liquidi, ma quei suoi occhi mi stanno urlando quanto solo il mio tocco riesca a farlo sentire pieno, a farlo sentire uomo.
L'uomo che amo, l'uomo di cui sono innamorato.
Come se anche i suoi pensieri si fossero incentrati sulla stessa mia idea, lui aumenta il ritmo, ringhia, ansimando incontrollato. Il suo membro pulsa sempre più ad ogni affondo ed io, lo accolgo dentro di me, finché non vedo i suoi occhi chiudersi.
Reclina il capo all'indietro, mentre mi sporca le labbra, il suo seme mi scivola in bocca, lento.
«Non ingoiare» mi ordina. Il mio membro pulsa violentemente. Cerco di strusciarmi contro la sua coscia, ma mi blocca il movimento, sorridendo beffardo. Si allunga su di me e avvicina le labbra alle mie. Mi schiude la bocca con il pollice e ci fa scivolare la lingua dentro. Lecca il suo stesso seme, spingendomi in gola quello che mi è rimasto sulla lingua.
«Ora, ti faccio venire» mi dice, serio. Mi blocca i polsi sulla testa, stringendoli.
Con la mano libera mi allarga le cosce e ci si sistema in mezzo.
Lo guardo. Ansimo, incapace di fare altro.
Essere completamente suo, in suo potere, in sua totale balìa… mi sta facendo impazzire. Ogni suo tocco pare fatto di brividi, mi scivola addosso con il suo cuore e si spalma il mio amore addosso come uno scudo. Ringhia, spingendosi dentro di me.
Mi dimeno, le mani che cercano istintivamente qualcosa a cui aggrapparsi le cosce che si stringono contro i fianchi, impedendogli di uscire da me.
Sorride, tornando a guardarmi e ricomincia a muoversi. Le sue spinte, non hanno nulla a che vedere con quelle di prima, se le une erano secche e rapide, con queste sembra quasi volermi marchiare la pelle, forse anche l'anima.
«Koko» gemo, cercando le sue labbra.
Ho bisogno di baciarlo, ho bisogno di sentire che non lo sto immaginando, ho bisogno che mi cacci la lingua in bocca e mi restituisca il suo sapore.
Si avvicina a me, mi sfiora la bocca.
«Koko, ti supplico…» farfuglio, disperato.
Sorride, i suoi tocchi lenti mi rapiscono. C'è qualcosa di divino nel modo in cui mi osserva, nel modo in cui assottiglia lo sguardo e s'impone in me.
«Dimmelo.»
Ansimo, le sue spinte sono alla pari del suo respiro, incontrollate e profonde. I nostri corpi sono così aggrappati gli uni agli altri che mi riesce impossibile distinguere dove iniziano le mie gambe e dove finiscono le sue. Il modo in cui il suo ventre spinge dentro la mia carne.
Sposto lo sguardo, arrossendo.
Lui non ci sta, mi prende il mento, il suo pollice mi sprofonda nelle guance, inchioda i nostri sguardi.
«Dimmelo, Inupi» ordina, la voce roca da cui cola un rantolo di supplica.
«Ti amo, Hajime.»
Le sue labbra sanno di noi. Sanno del sapore della sua saliva, del suo seme, del mio sapore. Lascia sfiorare le nostre lingue, mi prende lentamente, un qualcosa di pericolosamente simile al fare l'amore.
La mano sul mio fianco si allenta un po', prende a sfiorarmi la pelle, suscitandomi i brividi.
Mi lascia i polsi, avvolge il palmo al mio. Con il braccio libero gli cingo il collo. Siamo aggrappati e abbracciati, stretti in qualcosa che non sappiamo come appellare.
«Koko…» ansimo, le nostre labbra schiuse si sfiorano, si spinge in me, mi strappa il respiro e mi dona il suo battito.
«Ti amo anch'io, Inupi» bisbiglia, lo sento tremare tra le mie braccia, fragile e nudo come un bambino. Il ragazzino di cui mi sono innamorato, mischiato all'uomo che voglio.
Una lacrima mi bagna il viso. Il suo viso mentre pronuncia queste parole…non potrò dimenticarlo mai più.
Altri tre affondi e il mio corpo inizia a perdere del tutto il controllo. I nostri stessi cuori sembrano impazzire come se stessero andando in standby.
«Koko» caccio un ansimo, lento e acuto, con le poche forze rimaste, inizio a riversarmi tra i nostri addomi.
Lui anche geme, le mie pareti lo stringono e sento che sta per venire.
Si tira indietro, facendo per uscire da me, ma lo blocco dal polso. Solleva lo sguardo su di me, guardandomi sorpreso.
«Vienimi dentro» gli mormoro, sorridendo stanco. C'è qualcosa di magnifico nei suoi occhi, qualcosa che mi striscia sotto le vene e si perde nei colori delle nostre iridi che traboccano.
«Inui…» sospira.
Lascia scivolare la testa nell'incavo del mio collo, respirando forte.
Un altro paio di spinte e trema dentro di me, riempiendomi del suo seme.
Un altro sospiro mi spezza le labbra, il fiato mi resta incastrato in gola.
«Inui…» sospira ancora, cadendo stancamente su di me. Il peso del suo corpo contro il mio non mi infastidisce, siamo sempre stati appiccicati. Lo voglio, l'ho sempre voluto e questa posizione, quest'abbraccio è così intimo, così nostro.
Gli accarezzo le spalle, riprendendo fiato. Mani che si cercano, dita che si sfiorano.
«Potrai mai perdonarmi?» mi chiede, parlando piano, con quel tono che amo sentirgli, leggero e sottile come le ali di un pettirosso.
«Per…cosa?»
Lo guardo, confuso, non capendo a cosa sta ammiccando. Perdonargli il fatto che sposerà mia sorella? Che mi spezzerà il cuore in mille pezzi? Che mi farà piangere sangue per anni?
Si, ovvio che posso perdonarglielo, ma dovrei annullare me stesso.
Lui di tutta risposta, sorride. Sorride con quelle labbra che sembrano il paradiso e che mi fanno scordare perfino quello che mi fa, quello che mi farà. Si accosta a me con quelle labbra e mi inchioda gli occhi dentro l'anima.
«Per non voler più sposare tua sorella» dice, come se nulla fosse.
Un suono che rimbalza tra i muri.
Sgrano gli occhi senza riuscire a capire quello che sta dicendo. Di nuovo enigmatico, di nuovo veritiero.
«Cosa stai dicendo, Hajime?! Tu la ami, tu sei innamo-»
Mi blocca, poggiandomi l'indice sulle labbra. Il suo tocco che mi sfiora lentamente, gentile come solo quando mi guarda lo è. E poi, con quelle stesse parole che ho sognato per notti e notti intere, mi leva l'anima e me la restituisce ingessata dalle sue stesse labbra.
«Voglio sposare te, Inui» mi dice.
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