Capitolo Ventinovesimo

Mint si alzò dalla sedia, tenendo stretto l'orlo della gonna tra le dita mentre si allungava sul tavolo per soffiare sulle candeline davanti a sé.

Shelley riaccese le luci, mentre il resto dei presenti applaudiva e fischiava la festeggiata. Tutti erano lì per Mint, tutti erano lì per festeggiare il suo compleanno.

Eppure lei sembrava l'unica a non avere nulla da festeggiare. Si risedette sulla sedia, una gamba piegata sotto di sé e accennò un sorriso falso per i presenti.

"Mint! I regali!" Shelley era di nuovo al suo fianco e le porgeva una borsa dopo l'altra senza darle nemmeno il tempo di gustare un regalo alla volta.

C'era poco da fare, Shelley era fatta così. Si faceva prendere dall'ansia ed ogni volta che c'era qualcosa da fare ci si buttava a capofitto desiderosa di essere la più brava o la più simpatica o la più bella o di primeggiare in un qualsiasi modo possibile.

Ora stava giocando a fare la migliore amica della festeggiata.
L'aveva già costretta a fare talmente tante foto che Mint iniziava a sentire la mandibola farle male ogni volta che tentava di sorridere per fare felici i presenti.

Sembrava di nuovo la ragazzina arrivata quasi tre anni prima. Quella che tentava di cogliere ogni occasione possibile per scappare, che se ne stava in disparte e non parlava con nessuno, che rispondeva male nel tentativo disperato di farsi cacciare e di poter tornare a casa, sebbene casa sua non le mancasse minimamente.

C'erano voluti mesi perché Mint si rendesse conto che non c'era nulla che avrebbe potuto far trascorrere quei tre anni più rapidamente, se non fare amicizia e tentare come possibile di divertirsi.

Afferrò l'orlo di una delle calze che Harry le aveva regalato e lo sistemò tentando di farlo risalire sopra il ginocchio sebbene fosse impossibile. Ormai era troppo grande per indossarle, le sue gambe troppo lunghe per quella taglia.

I primi mesi non aveva voluto nemmeno vederle. Le aveva nascoste sul fondo di un cassetto e lì erano rimaste fino al suo primo compleanno, quando si era resa conto che ogni compleanno non rappresentava altro che un conto alla rovescia verso Harry.

Una volta arresasi all'inevitabilità della sua condizione, fare amicizia non era stato poi molto impegnativo.

I ragazzi dell'accademia di fronte non si lasciavano sfuggire un'occasione per tentare l'approccio con lei e le ragazze, sebbene almeno in parte invidiose, facevano a gara per essere amiche della ragazza più desiderata del collegio.

Mint all'inizio aveva faticato molto nel comprendere quell'interesse. Le altre ragazze non erano di certo più brutte o antipatiche di lei, ma per quanto si sforzassero non riuscivano in ciò che a lei risultava talmente naturale da esserle a volte quasi un impiccio.

Mint era cresciuta, le gambe le si erano allungate, le forme ingentilite, il viso le si era asciugato così che i suoi grandi occhi azzurri si stagliavano ancora più vividamente sopra gli zigomi appuntiti. Ma pur nella sua bellezza, non era il suo corpo a renderla speciale.

Ciò che più colpiva i ragazzi era uno sguardo di maliziosa complicità che le sue compagne non riuscivano ad avere, un alone di ingenuità e allo stesso tempo un tono deciso, un incedere grazioso ed elegante, una timidezza appena accennata che fioriva solo nei momenti in cui la faceva risultare più tenera ed infantile.

Mint era per metà bambina e per metà donna matura, un ibrido che confondeva i ragazzi a tal punto da farli cadere ai suoi piedi. 

E per quanto i suoi pensieri finissero sempre per ricadere su Harry, non aveva di certo lesinato nel godersi la sua giovane età.

Scartò l'ennesimo pacchetto, estraendo un paio di piccoli orecchini brillanti a forma di anello. Sorrise, ringraziando l'autrice del regalo, per poi passare al successivo.

La maggior parte delle ragazze presenti erano più piccole di lei. Quelle della sua età avevano già compiuto i diciottanni e abbandonato il collegio o nella maggior parte dei casi l'avevano abbandonato non appena ottenuto il diploma.
Aveva tentato di convincere sua mamma a riportarla a casa dopo la cerimonia dei diplomi, ma quest'ultima si era rifiutata categoricamente.

Non sarebbe rientrata fino a che non fosse stata maggiorenne. Mint non riusciva a capire se sua madre volesse semplicemente liberarsi della responsabilità della figlia o se fosse realmente convinta, come ripeteva costantemente, che la maturità arrivasse con l'età.

La festa si protrasse per un paio d'ore, in cui Mint non fu mai realmente presente. Quando anche l'ultimo ospite se ne fu andato scappò in camera, chiudendosi la porta alle spalle e lasciandosi ricadere sul letto.

Si sfilò dalla testa la coroncina di cartone che l'avevano costretta ad indossare e rotolò su un fianco, aprendo il primo cassetto del comodino.
Sfilò la busta di carta sgualcita, per poi stringersela al petto.

Erano tre anni che non aveva notizie di Harry, tre anni che non lo vedeva, che non sentiva la sua voce, che non sapeva dove fosse, con chi fosse, se la stesse ancora aspettando.

In alcuni istanti era riuscita perfino a dimenticarsi di lui, a non pensarci. Aveva persino pensato di poter ricominciare senza di lui. Ma ogni anno, al suo compleanno, quando apriva l'ultimo cassetto, indossava le calze rosa e si guardava nello specchio, sfiorando con le dita le due lettere ricamate sul bordo, allora le sembrava di sentire le mani di Harry lì, strette attorno le sue.

Ed allora le si stringeva il cuore, all'idea che lui non stesse probabilmente nemmeno pensando a lei.

Scalciò via le scarpe, aprendo la busta con attenzione.
Sfilò la prima cartolina: Parigi.
Accarezzò la superficie ormai rovinata dalle tante carezze e dai tanti pianti subiti e la girò, osservando le due minuscole lettere appuntate in un angolo.

H.S.

La ripose accanto a sé, sfilando la successiva: Roma.
Fece lo stesso e continuò fino a che le cartoline non furono finite. Su qualcuna le sembrava perfino fosse rimasta qualche goccia del suo profumo.

Come sarebbe stato scappare con Harry? 

Era una domanda che si era posta centinaia, forse migliaia di volte. E per quanto, mese dopo mese, avesse sempre più compreso le ragioni del comportamento di Harry, in cuor suo continuava a sentirsi tradita da colui che più le si era dimostrato fedele.

Di sua madre non si era mai fidata e mai l'avrebbe fatto, ma Harry, Harry aveva sempre avuto un atteggiamento diverso nei suoi confronti, di lui si era fidata ciecamente, pur senza conoscerlo così a fondo.

Richiuse la busta e la ripose nel cassetto, tornando a fissare il soffitto, il petto che si sollevava ed abbassava piano ad ogni respiro.

Altri due giorni. Due giorni e poi sua madre sarebbe venuta a prenderla e finalmente sarebbe tornata a casa.

...

Scese dall'auto a passi incerti, guardandosi attorno. La sua casa era ancora lì, sua madre l'aveva fatta ritinteggiare, ma sembrava essere la stessa di sempre. Intorno ad essa però, era cambiato tutto. C'erano nuove case, colori diversi, giardini che non ricordava.

Tre anni non erano poi tanto tempo, eppure sembrava che la sua assenza avesse convinto il paese a darsi un nuovo aspetto in attesa del suo ritorno.

Salì le scale, dirigendosi verso camera sua. Era certa che sua madre l'avesse sostituita con uno studio o un laboratorio o qualsiasi cosa le fosse passata per la mente. E invece era ancora lì, esattamente come l'aveva lasciata, forse un poco più in ordine.

Lasciò le valige in un angolo e si stese sul letto, inspirando a pieni polmoni il profumo dei suoi cuscini, illudendosi per un breve attimo che quei tre anni non ci fossero mai stati.

Lavigne la aspettava in cucina con un vassoio di biscotti e due tazze di tè caldo.
Si sedettero una di fronte all'altra, in silenzio come due estranee.

"Questa casa era vuota senza di te." ammise Lavigne, pensando probabilmente che fosse la cosa più intelligente da dire.
Mint alzò le spalle.
"Sei stata tu a svuotarla." rispose, senza alzare lo sguardo dalla tazza.

"Sono passati tre anni, Mint." sospirò sua madre.

"Lo so bene, mamma." accentuò volutamente l'ultima parola, conferendole un che di artificiale.

"Non te ne ho voluto parlare prima ma spero che tu ora abbia raggiunto la maturità giusta per scusarti dei tuoi errori."

Mint continuò a sorseggiare il tè, concentrandosi perché le parole di Lavigne le scivolassero addosso senza provocarla. L'intero viaggio in auto era stato fatto in silenzio, la musica della radio che si sentiva a malapena, quasi provenisse da un veicolo che le avesse affiancate. 

Ora, dopo tre anni di lontananza, il primo pensiero che attraversava la mente di sua madre era come sempre quello più sbagliato. Mint pensò a come sarebbe stato restare a casa, subire ogni giorno le lamentele noiose e sterili di sua madre, dover sgattaiolare di nascosto dalla finestra per vedere Harry. Pensò a come sarebbe stata la sua vita senza Toby, senza che sua madre venisse mai a sapere nulla di Harry: non sarebbe stato possibile.

Purtroppo o per fortuna, tutti i nodi venivano sempre al pettine. Soprattutto con una madre invadente come la sua.

"Mint, credo di meritare delle scuse." insistette Lavigne, afferrando un biscotto dal vassoio, incerta se mangiarlo o rimetterlo al suo posto.

"Mamma, sono appena tornata. Lascia almeno che mi ambienti prima di costringermi a litigare con te."

Si alzò in piedi, sciacquò la tazza nel lavello e tornò in camera sua. Aprì la valigia con un movimento brusco, rovesciando accidentalmente almeno metà del contenuto. 

Frugò infastidita, gettando l'altra metà a terra, fino ad estrarne i calzettoni rosa. Li infilò, scese le scale e si mise le scarpe.
Uscì di casa ignorando la conversazione che sua madre stava tentando ancora di portare avanti, richiudendosi la porta alle spalle.

Il garage era aperto e non le fu difficile recuperare la sua bicicletta, sebbene fosse finita sul fondo.
Era piccola per lei e coperta di ragnatele, ma sarebbe stata in ogni caso meglio di niente.

L'aria fredda le colpiva il viso, mentre pedalava meccanicamente lungo la strada che le sue gambe ricordavano senza fatica.
Quando si arrestò di fronte alla casa familiare si prese un istante per riprendere fiato.

Aveva immaginato questo momento così tante volte che era certa che la realtà non sarebbe mai potuta essere al livello dell'immaginazione.

Appoggiò la bici alla ringhiera e percorse il vialetto, fino alla porta di legno.
Le mani le tremavano, mentre spingeva il dito sul campanello alla sua sinistra.

Contò fino a dieci, fece un altro respiro profondo e suonò di nuovo: nessuna risposta. 

Fece un passo indietro, il cuore che le batteva a mille nel petto. Attraversò il piccolo giardino, girando attorno alla casa fino a raggiungere la porta chiusa del garage. La macchina di Harry non c'era.

Tornò all'ingresso e si sedette sul primo scalino, come aveva fatto tantissime volte.

La luce del sole le illuminava le gambe abbronzate, facendo rilucere la leggera peluria bionda che stava ricominciando a crescere. Appoggiò la schiena al secondo scalino, sospirando.

Probabilmente Harry era semplicemente andato a lavoro: avrebbe potuto aspettarlo seduta lì o sarebbe potuta tornare a casa e l'avrebbe potuto raggiungere in serata. 

Eppure, più stava seduta su quello scalino, più il suo desiderio di vedere Harry sembrava farsi piccolo quasi fino a sparire. Si sforzava di ricordare i momenti che avevano trascorso insieme, ma ogni qualvolta pensasse ad Harry le si profilava davanti agli occhi la stessa immagine vuota, come in una cassetta a cui si è rotto il nastro.

Harry che la guardava stravolto, che le diceva che non aveva avuto scelta, che le diceva che l'avrebbe aspettata. Aspettata? Lei era qui ora e lui dov'era?

Appoggiò i gomiti sulle ginocchia, prendendosi la testa tra le mani. Erano tutte scuse. Voleva scaricare la colpa su Harry, ma questa volta lui non centrava nulla. Era lei ad essere cresciuta, era lei ad essersi stufata. 

E finché era al collegio aveva idealizzato talmente tanto Harry da confondere il suo bisogno di tornare a casa con il desiderio di tornare da lui. Ma, ora che era lì, tutto le appariva illuminato da una luce differente. 

Non le interessava nemmeno più sapere se Harry aveva mantenuto la parola, se aveva continuato ad aspettarla. Lei non gli aveva promesso nulla, non gli aveva mai detto che l'avrebbe aspettato e tornare da lui sarebbe stato un tradimento verso quei tre anni trascorsi, verso la persona che era diventata.

Ora vedeva ogni cosa con chiarezza. Voleva bene ad Harry, era piuttosto sicura di essere stata innamorata di lui, ma era passato troppo tempo. Non voleva rivederlo, non voleva ritrovarsi un'altra volta attaccata morbosamente a lui, non voleva che la sua felicità dipendesse da lui.

Ripensò a come si era sentita quando sua madre le aveva impedito di rivederlo. Risentì quella sensazione di disperazione, di vuoto nella sua vita, di impossibilità di continuare senza di lui.

Non voleva risentirsi così. E forse era solamente un modo di rinchiudersi nel suo guscio, di costruirsi una corazza che la proteggesse ma non voleva ritornare a quei momenti. 

Si tolse le scarpe e sfilò entrambe le calze al ginocchio, ripiegandole con cura e riponendole sul terzo scalino, proprio davanti all'ingresso. Vi appoggiò un piccolo sasso sopra, che le tenesse ferme e rimise le scarpe. 

Inforcò la bicicletta e si voltò un'ultima volta verso la casa di Harry. Non aveva bisogno di lui per essere felice.

Spazio Autrice

La maggior parte di voi avrà probabilmente abbandonato o messo da parte questa storia, data la mia lunga assenza. Per chi è rimasto vi chiedo scusa e spero che continuiate a seguirla. Io da parte mia, farò il possibile per aggiornare con un altro capitolo entro la settimana. A presto!

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top