Prologo


Autunno

Iniziava il periodo in cui le foglie cadevano lente al suolo. In cui tutto cominciava a morire un po'. Così come le piante e i fiori che fino a quel momento erano stati rigogliosi, l'estate lasciava spazio all'autunno, concedendo alla natura un riposo forzato e un cambiamento ai colori autunnali.

L'aria aveva iniziato a farsi più fredda e le giornate iniziavano ad accorciare. Segno evidente dell'inizio dell'autunno.
La chiamavano la stagione della volpe perché il pelo dell'animale assomigliava al colore delle foglie che cadevano, rossiccio tendente all'arancione.
C'erano sempre state leggende su gli animali che popolavano la nostra isola, ma non ci avevo mai fatto troppo caso. Sembravano ai miei occhi solo storie per bambini, quelle che raccontavano le nonne ai nipoti per farli stare buoni, come aveva sempre fatto mia nonna, anche se non le avevo mai creduto.
"sei un bambino troppo furbo tu" diceva mia nonna prima di mettermi a letto quand'ero piccolo. Lo fece fino all'età di dieci anni poi si ammalò e morì. Mi rese triste fino alla disperazione, ma la nostra famiglia lo superò nonostante il tempo che ci volle.
Mia nonna però non diceva solo quello. Parlava di molte storie, a volte anche raccapriccianti. Diceva che le volpi avevano l'energia di un'uragano e l'astuzia per far cadere persino un imperatore nella loro trappola. Le piaceva portarmi al tempio shintoista sull'isola dove c'erano le loro statue, a pregare per un buon raccolto. Dopotutto le volpi erano messaggere degli dei e le loro origini antiche come quelle del mondo.

Facevo fatica a credere a mia nonna. Non ho mai dato molto peso alle sue storie. In fondo ero cresciuto, e non potevo lasciare che quelle stupide storie mi rimanessero sospese nella testa.
Ero diventato un ragazzo da quando lei non era più con noi.

Avevo guardagnato in altezza molti centimetri, fino a essere il più alto della mia classe. Arrivavo circa a un metro e settantacinque, e da quanto ero cresciuto i ragazzi della mia età iniziavano a guardarmi dal basso verso l'alto. Persino in classe mia avevano messo un banco più grande apposta per me perché le mie gambe erano talmente lunghe da non entrarci. Insomma lo zimbello della classe, quando io volevo solo essere trattato come tutti gli altri.

Avevo deciso che quel anno sarei andato a scuola a piedi anziché farmi accompagnare, e avevo pregato mia madre di non farlo per nessun motivo. Non volevo che mi mettessero in imbarazzo più di quel che mi ci mettevo già da solo.
La mattina mi incamminavo presto e prendevo la strada che passava sulla collina, davanti al tempio e lungo alcune vie cittadine per arrivare poi alla scuola. Erano giusto pochi chilometri, ma farli ogni mattina mi faceva sentire meglio con me stesso. La strada era silenziosa e si sentivano gli uccelli cinguettare. Le macchine passavano di rado. Essendo l'isola di Kuroshima molto piccola di solito non serviva la macchina e la maggior parte della piccola popolazione andava a piedi o in bicicletta.

Quella mattina decisi di incamminarmi prima del solito così da non dover vedere i miei compagni di classe all'entrata. Uscendo di casa con lo zaino in spalla e l'uniforme ben stirata salutai mia madre e iniziai a camminare.
Superai a passi svelti la prima parte del tragitto e mi fermai davanti al tempio incuriosito dalle condizioni in cui era stato lasciato. Le foglie degli alberi erano cadute nel grande cortile e nessuno le aveva raccolte. La staccionata davanti all'entrata si stava riempiendo di muscio e alcune pozzanghere si erano formate dalle parti del vialetto in pietra che conduceva all'ingresso del tempio. Alcune tegole erano perfino cadute dal tetto ma senbrava che nessuno se no fosse accorto. L'unica cosa ancora del tutto intatta era il grande Torii rosso da un lato del tempio. Quella era la porta per il mondo divino, ma in questo caso conduceva solo al retro del tempio. Era perfetto e immacolato. Due grandi pilastri rossi laterali che ne sorreggevano altri due in orizzontale al disopra, anch'essi rossi.
Lo guardai attentamente dalla cima al fondo, poi notai che dietro uno dei pilastri faceva capolino un'animale. Una piccola figura rossiccia che sembrava essere un cane stava annusando la terra col muso e con una delle zampe anteriori grattava la terra cercando qualcosa.

Senza pensarci due volte feci un fischio e lo chiamai : << qui bello! Vieni qui! >>
Mi piacevano gli animali. Soprattutto i cani, anche se non se ne vedevano molti.
L'animale mi sentì urlare e si girò verso di me con fare incuriosito. Non era un cane, era una volpe. Il suo manto rossiccio era ben folto e pronto a mettere su altro pelo per l'inverno. Mi guardo per qualche istante con uno sguardo penetrante e due occhi assolutamente stranissimi. Uno era marrone e l'altro dorato. Alzò il muso pieno di terra per annusare il mio odore in lontananza, poi mi guardò di nuovo e corse via tra gli alberi sul retro del tempio.

Rimasi stupito. Era la prima volta che vedevo una volpe in tutta la mia vita. Il suo pelo rosso fuoco e le sue zampe nere mi avevano fatto innamorare di quell'immagine che mia nonna mi aveva fatto temere. I suoi occhi mi avevano scrutato nel profondo dell'anima, quasi a volerla scavare come aveva fatto con il terreno. Rimasi qualche altro secondo ad aspettare nel casi si fosse fatta rivedere, ma non tornò e io continuai a camminare verso la scuola, con la sua immagine ben impressa nella mente.

La giornata trascorse tranquilla tra lezioni di matematica, inglese e storia. Passai la metà del tempo a pensare a quell'animale magnifico e a come poterlo rivedere. Poi mi venne in mente una cosa che mia nonna aveva detto : "le volpi vanno matte per gli spiedini fritti".
Decisi allora che prima di tornare a casa sarei passato in un negozio del paese a prenderne alcuni e così feci.

Percorsi la strada a ritroso e tornai davanti al tempio. Non c'era. Lo cercai con lo sguardo, ma non vedevo nulla che gli somigliasse. Entrai allora nel giardino e mi diressi vicino al Torii. Mi accovacciai per terra e lasciai gli spiedini proprio sotto la porta divina così che potesse sentirne l'odore. Poi mi allontanai un po' e mi misi a sedere su gli scalini del tempio così da vederlo arrivare.

Dopo una decina di minuti non era ancora successo nulla, ma sentii all'improvviso un frusciare di foglie e vidi il muso che spuntava da un arbusto basso. Si assicurò che non ci fosse nessuno intorno e uscì, andando verso il Torii. Mentre si muoveva il pelo era sinuoso e si muoveva come una nuvoletta paffutella, poi mi notò e si bloccò sul posto, abbassando la testa in segno di preoccupazione. Mi scrutò per qualche secondo emettendo un piccolo stridio con la bocca completamente aperta e la lingua che si arricciolava, lasciandomi quasi allibito. Non avevo mai sentito il verso di una volpe. Era qualcosa di assolutamente carinissimo e allo stesso tempo stridulo.
Continuò in direzione del cibo divorandone poi una buona parte. Rimasi fermo a guardarne i magnifici movimenti, veloci e aggraziati ma al tempo stesso voraci e selvatici.
Appena ebbe finito mi guardò di nuovo, venne verso di me mettendomi una certa inquietudine. Si avvicinò sempre di più facendomi prendere paura, ma mi bloccai. Rimasi immobile preso dalla paura, con i muscoli tesi fino allo stremo. Sentivo i brividi salirmi sulla schiena. Quando fu vicino a me mi guardò negli occhi e mi annusò la faccia, non lasciando trasparire nessuna paura da parte sua. Era strano che un animale selvatico si avvicinasse all'uomo così.
Infilò il suo naso sotto il palmo della mia mano e potei sentire il caldo e ispido pelo sul suo muso. Il secondo dopo però non fui così furtunato perché mi morse. Fu doloroso. Estremamente. La pressione he esercitò sulla mia mano fece uscire un debole rigolino di sangue. Mi sentì urlare e scappò. Tenendomi d'occhio come volesse che la seguissi.
Ero stupido e allo stesso tempo affascinato così le andai dietro per qualche metro. Dietro il Torii facemmo qualche passo fra gli alberi fino ad una fitta vegetazione di aceri. Il più grosso di tutti aveva un buco enorme alla base e la volpe ci si infilò dentro guardandomi poi con fare indagatore. Sparì poi all'interno della cavità senza più riuscirne.
Dovevo essere impazzito. Il mio cervello avrà avuto una mancanza di ossigeno perché non so nemmeno io per quale motivo ma la seguii.
Mi accovacciai per entrare nel tronco e strisciai per non so quanti metri dato che era tutto buio. Mai avrei pensato che la tana di una volpe mi avrebbe portato da un'altra parte.
Nell'ultimo tratto la terra si fece più molle e friabile, e caddi alla fine del tunnel a faccia in giù come un sacco di patate.

Dovevo essere proprio impazzito, cazzo. Io che non avevo mai creduto a nulla di quello che mi avevano detto, avevo seguito una volpe nella sua tana.

<<vedo che ce l'hai fatta>> disse una voce calda e femminile che non riuscivo a vedere da dove arrivasse.

Alzai la faccia. La volpe era davanti a me, con i suoi occhi uno diverso dall'altro che mi fissavano.

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