♬ ~7.1 ᴏᴜᴛ ᴏꜰ ᴍʏ ᴅʀᴇᴀᴍꜱ
In this age of grand illusion
You walked into my life
Out of my dreams
I don't need another change
Still you forced your way
Into my scheme of things
David Bowie
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«Perché ti nascondi? Perché nascondi la tua voce come se fosse una vergogna?» mi dice, guardandomi in quel modo che non riesco mai decifrare.
I suoi occhi brillano e bruciano come due stelle nel cielo.
«Perché non ne sono in grado», gli rispondo. «Io non sono più capace a fare niente. Non sono altro che una fallita», abbasso lo sguardo per rifuggire a quello suo troppo intenso.
Me lo impedisce posando due dita sotto al mio mento. Incastra i suoi occhi nei miei. «Io non ti permetterò di nasconderti. Per lo meno, non lo farai davanti a me» dice, la voce rauca. Gli occhi che sembrano stiano per prendere fuoco e bruciare anche me.
E io voglio che mi bruci. Voglio perdermi in quelle due stelle, in quella immensa e luccicante distesa di ghiaccio. Non c'è freddo, dentro i suoi occhi. Mi sento al sicuro, al caldo. «Non ce la faccio, non riesco più a lasciarmi andare», mormoro con un filo di voce.
Con il dorso del pollice accarezza l'angolo del mio labbro inferiore e ne traccia il contorno, concentrandosi sul piercing. «Allora io ti aiuterò a lasciarti andare» dice, sottovoce, un attimo prima di avvicinare pericolosamente il suo viso al mio.
I nostri nasi si sfiorano. I nostri occhi diventano un tutt'uno.
E lui è così bello. Ed è così bello il modo in cui mi sta guardando, come se fossi la cosa più bella del mondo che avesse mai visto in vita sua.
Avvicino a mia volta il viso al suo e le nostre labbra si sfiorano.
La sua mano scivola dietro il mio collo provocandomi un milione di brividi lungo la schiena. Ed è una sensazione bellissima. Che non ho mai provato prima. Nessun ragazzo mi ha fatta sentire così con un solo tocco.
«Devi solo fidarti di me», sussurra contro le mie labbra.
Io sono incapace di parlare. Mi si mozza il respiro e mi rimane incastrato in gola.
Voglio che mi baci. Lo voglio così tanto. Sembro una disperata.
Le sue labbra sono come un pozzo d'acqua e io sono tanto assetata.
Quando inclina leggermente la testa di lato e mi accarezza la guancia con il pollice, quasi mi sento morire.
Chiudo gli occhi e aspetto che finalmente mi baci. Ne ho troppo bisogno, anche se so che in qualche modo è sbagliato. Non mi importa, lo voglio.
Ma non succede, non mi bacia.
Si allontana da me lasciandomi con l'amaro in bocca e con la sensazione che mi avesse privato del mio ossigeno. Tutto l'ossigeno intorno a noi sta sparendo, e io inizio ad annaspare famelica d'aria.
Mi guarda in modo strano prima di dirmi. «Svegliati.»
Batto le palpebre perché non capisco che cosa sta succedendo. Inspiro ed espiro in modo brusco. Sul petto mi sembra essere piombato un masso così grande da impedirmi di respirare in modo normale.
«Svegliati», ripete. Si allontana da me, si volta e va via.
Provo a chiamarlo ma non riesco a parlare.
Sto soffocando. Mi sento svenire. Apro la bocca per urlare, per chiedere aiuto ma non ne esce nessun suono.
Mi sveglio di soprassalto con il cuore che rimbomba nelle orecchie. Porto una mano sul petto per cercare di placarne il battito.
C'è qualcosa che non va però. Troppa luce.
Sposto lo sguardo di lato e vedo che il display del mio telefono è acceso.
Lo afferro subito per controllare l'orario, ma una valanga di notifiche cattura la mia attenzione. Sono le tre del mattino e ho almeno dieci chiamate perse e altrettanti messaggi da parte di mio padre e mio fratello. Ce n'è anche uno da parte di William, inviato qualche minuto prima che io mi svegliassi.
Oddio, realizzo solo adesso di averlo sognato. Ma non è importante adesso.
Faccio per aprire i messaggi di mio padre ma il telefono mi vibra tra le mani. È un 'altra chiamata da parte sua.
Inizio a tremare senza un apparente motivo, ma se mi sta chiamando alle tre del mattino c'è sicuramente qualcosa di cui preoccuparsi.
Mi sistemo sul letto e rispondo.
«Pronto?» sussurro, con un filo di voce. Ho un insopportabile tensione che mi stringe il collo. Le dita si paralizzano contro il telefono e il mio mondo si fa un po' più piccolo.
«Blue, sono papà», dice. Nel tono della sua voce c'è chiaramente una nota triste e terribilmente preoccupata. C'è un lungo silenzio dall'altra parte.
Prendo un bel respiro e parlo. «È successo qualcosa?» Dio, ho così tanta paura di sentire la sua risposta. Serro le dita sul telefono in attesa della sua risposta.
Lo sento sospirare. «Il nonno è di nuovo finito all'ospedale.»
«È di nuovo caduto giocando alla Wii?» Mi sfugge una risata nasale, ma somiglia più a un singhiozzo strozzato. Dubito che mio nonno alle tre del mattino si sia messo a giocare con la Wii.
Papà sospira di nuovo. «Senti, piccola...» fa una pausa. «Noi siamo qui al pronto soccorso. Se ti va, vengo a prenderti e ti dirò.»
Annuisco rassegnata, anche se so che non può vedermi. Mi inumidisco le labbra e ritrovo la voce. «Okay, vieni. Ti invio la posizione», dico. «Ma è successo qualcosa di grave?»
Sospira ancora, sembra parecchio turbato. «Te ne parlo dopo, inviami la posizione», chiude la chiamata senza nemmeno darmi il tempo di replicare.
Mai in vita mia l'ho sentito così distante da me. Distante anni luce. Come se fossimo due conoscenti, e non padre e figlia. E certamente, non posso prendermela per questo. Sono stata io ad allontanarmi da loro.
Nonostante non sappia ancora che cosa sia successo, sento gli occhi riempirsi di lacrime. Sbatto in fretta le palpebre per reprimerle e gli mando la posizione di casa mia.
Non è servito a niente, poco dopo sento il naso prudermi per le lacrime trattenute.
Mi sfugge un suono, che si perde in un singhiozzo, e affondo il viso nel cuscino.
Asciugo il viso e mi alzo dal letto. Vado in bagno a prendere un fazzoletto e mi soffio il naso, poi lavo il viso. Torno in salotto e indosso le prime cose che mi capitano tra le mani.
Mi siedo di nuovo sul letto e mentre lo aspetto, leggo i messaggi che mi hanno inviato. Soprattutto quelli di mio fratello.
Pessima, terribile decisione, dato che in tutti i messaggi che mi ha inviato non ha fatto altro che insultarmi.
Thom♥: Ce la fai a rispondere a quel cazzo di telefono oppure sei impegnata a scoparti qualcuno?
Cazzo, sei una delusione. Mi hai deluso e giuro che se non fossi obbligato a cercarti, non vorrei mai più vederti.
Mi ricordi proprio lei. Sei una delusione dopo l'altra.
Rispondi! Cazzo!
Per te potremmo anche morire tutti e non te ne fregherebbe un cazzo.
Spero che prima o poi papà capisca e la smettesse di sperare in un tuo ritorno.
Se mai dovessi farlo, sappi che io per te non ci sarò più.
Scoppio a piangere di fronte a quelle parole cattive. Mio fratello mi odia e io non posso neanche dargli torto. È tutta colpa mia.
DaddyBear♥: Sono qui fuori.
Asciugo rapidamente gli occhi sulla manica della felpa ed esco di casa.
Mi avvicino alla macchina con mille pensieri per la testa. Sono in sovraccarico e sta per esplodermi il cervello.
Apro lo sportello e mi siedo sul sedile. Papà ha una brutta cera, segno che non ha chiuso occhio per tutta la notte. I capelli sono scompigliati e indossa un paio di pantaloni di tuta che solitamente usa per dormire.
Voglio scoprire che cosa è successo, ma al tempo stesso ho una paura fottuta di sapere.
Torturo il piercing dinanzi al suo silenzio. Ingrana la marcia e si allontana da casa mia.
Dondolo le gambe con fare nervoso. Le mani cominciano a tremarmi furiosamente.
Papà se ne accorge e allunga una mano posandola sulle mie. Le stringe appena e si volta a guardarmi. «Stai tranquilla, okay?»
Scuoto il capo, sto per scoppiare a piangere di nuovo. Le sento spingere per venire fuori. «Che cosa è successo?» alla fine glielo chiedo.
Mi stringe per l'ultima volta le mani e poi riporta la sua sul cambio delle marce. Sospira. «Non ne sono ancora certi ma...» non finisce la frase, ma noto il modo in cui stritola il pomello delle marce con la mano.
Allora gli poso la mia mano sopra. «Ma? Ti prego papà, dimmi che cosa c'è che non va.»
Sospira rassegnato. «Blue...» fa un'altra pausa e io temo di impazzire.
«Ti prego, dimmelo», lo supplico. La voce ridotta ad un sussurro. Sto per piangere e non voglio farlo.
«L'altra volta è caduto quando stavamo giocando alla Wii. Ma non è caduto per una distrazione....», inizia.
Vorrei tanto arrabbiarmi e dirgli di smetterla di dirmi le cose a rate. Ma non lo faccio. Gli stringo la mano e lo invito silenziosamente a proseguire.
«È svenuto quel giorno, di punto in bianco. Pensavamo fosse qualcosa dovuta alla stanchezza o alla mancanza di qualche vitamina», prosegue.
«Immagino che il motivo non sia questo», mormoro. Il cuore sta per scoppiarmi e il cervello gli andrà andato dietro subito dopo.
Scuote il capo. «All'ospedale gli hanno fatto una lastra e anche una TAC. Dai risultati si sono accorti che nel cervello è presente una macchia scura abbastanza importante.»
Il mio cuore si ferma per qualche secondo. Stringo con più forza la sua mano. «Che cos'ha? Papà, dimmelo» lo supplico, sull'orlo delle lacrime.
«I medici temono che sia un tumore, Blue. Dovranno fare tutti gli accertamenti.»
Per l'ennesima volta il mio mondo diventa troppo piccolo. Le lacrime che stavo cercato di trattenere abbattono la diga dei miei occhi ed escono furiose. Era da tanto tempo che non piangevo in questo modo. Sono così furiose che mi smorzano il respiro e mi offuscano la vista. «No... non è vero», singhiozzo.
Mi stringe a sua volta la mano. «Mi dispiace, amore. Ora dovremmo solo aspettare i risultati.»
«Che cosa è successo questa notte?»
Con la mano libera si scompiglia i capelli e poi la posa di nuovo sul volante. «È svenuto mentre andava in bagno e nonna non riusciva a svegliarlo in nessun modo. Si è ripreso solo quando lo hanno caricato dentro l'ambulanza.»
Mi sento una persona orribile in questo momento. Non è stata affatto una buona idea allontanarmi da casa. Sto perdendo tantissime cose, momenti che forse non avrò mai più indietro. E se mio nonno... no. Non me lo perdonerei mai.
«Papà, io...»
Mi interrompe subito. «Lo so, ma non è colpa tua. Vedrai che sistemeremo ogni cosa.»
In questo preciso istante desidero un suo abbraccio. Di quelli da farmi mancare l'aria nei polmoni. Quelli che mi dava solitamente quando il mondo sotto ai miei piedi iniziava a sgretolarsi. Quando tutto iniziava a farmi paura.
Arriviamo al pronto soccorso, cammino dietro lui. Ho paura della reazione di mio fratello, anche se so che non farebbe scenate in un ospedale e non davanti a nostra nonna.
Lo seguo fino alla sala d'aspetto, dove seduti uno accanto all'altro ci sono Thomas e nostra nonna. Poche volte l'ho vista così distrutta. Non ha il solito aspetto impeccabile. I capelli rossi le ricadono in ciocche ondulate e scompigliate sulla schiena. Indossa ancora il pigiama di seta color perla e gli occhiali da vista che usa solo a casa.
Ha l'aria stanca, gli occhi gonfi sicuramente per le lacrime che ha versato.
Thomas non mi degna nemmeno di uno sguardo quando vado a sedermi accanto alla nonna.
Le prendo una mano nella mia e gliela stringo.
Lei solleva appena lo sguardo e abbozza un flebile sorriso. «Sei qui.»
Annuisco lentamente, sentendo la seconda ondata di lacrime inumidirmi gli occhi. «Sì, sono qui.»
Thomas si agita sulla sedia prima di puntarmi quegli occhi smeraldini addosso. Mi guarda come se davanti agli occhi avesse il suo peggior nemico. «Sei qui, mh? Ti vediamo solo quando succedono le disgrazie. Altrimenti, continui a spassartela per i cazzi tuoi a fare la p....»
«Thomas, smettila!» interviene subito papà. « Tappati quella bocca!», aggiunge trucidandolo con gli occhi.
«Sì certo. Lei si comporta da stronza e noi dobbiamo stare zitti» sbotta, tagliente. «Perché non dici a papà come spendi i tuoi soldi, mh?», mi sfida con lo sguardo.
«Thomas, basta», lo redarguisce papà.
«Lo dico io?» ignora nostro padre e continua a sputarmi contro la sua frustrazione.
Inumidisco le labbra. «Thom, non è il luogo adatto», mormoro. Mi trema così tanto la voce che faccio fatica a pronunciare questa frase.
Alza le spalle. «Quando sarebbe il momento giusto, eh? Se non ti vediamo mai!»
Nonna gli posa una mano sulla spalla. «Basta così tesoro, lasciala in pace. Non accanirti su di lei in questo modo. Non è colpa sua se il nonno si trova qui. Okay? È sempre tua sorella e devi portarle rispetto», contro ogni previsione la sua voce suona calma.
«Cazzo, vi prende tutti per il culo e neanche ve ne accorgete!» sbotta, alzandosi in piedi, attirando l'attenzione di un signore e della guardia giurata. «Fin tanto che lei sarà così», mi indica con disprezzo. « Non sarà più mia sorella», dice prima di voltarsi e uscire dal pronto soccorso a grandi falcate.
Sento le spalle afflosciarsi e gli occhi riempirsi nuovamente di lacrime. Ma non sono arrabbiata con lui. Non lo sono perché so che ha ragione.
Papà si siede accanto a me, mi mette il braccio sulle spalle e mi attira a sé. «È solo arrabbiato, lo sai che quando è arrabbiato dice cose che non pensa.»
No, lui quelle cose le pensa eccome. Nessuno si è accorto del modo in cui mi ha guardata. Quello era odio puro. Poso la testa sulla spalla di papà e continuo a tenere la mano di mia nonna. È lei, che in questo momento ha bisogno di più attenzioni. Non io.
Non lo ha chiesto lei di ritrovarsi in questa situazione. Mentre io, mi ci sono cacciata da sola.
Molto probabilmente mi addormento su questa sedia scomodissima. Quando riprendo coscienza, Thomas è seduto di fronte a me con la testa china e lo sguardo basso. Vorrei tanto parlarci in questo momento, ma so che non ne uscirebbe niente di buono. È arrabbiato, e quando è in queste condizioni, è meglio lasciarlo perdere.
Papà è addormentato in una posizione innaturale accanto a me, mentre nonna si regge la testa con la mano mentre tiene il gomito posato sul bracciolo della sedia, con la mente persa chissà dove.
Immagino quanto sia difficile per lei vedere l'amore della sua vita su un letto d'ospedale.
I miei nonni erano giovanissimi quando si misero insieme. Sono cresciuti insieme e insieme hanno formato una famiglia. Per tutta la vita sono stati uno accanto all'altra, nella buona e nella cattiva sorte.
Prima di essere così, anche io desideravo conoscere un ragazzo e avere una relazione come quella dei miei nonni.
Ora... be', non è più così.
L'ultima cosa di cui ho bisogno è quella di tuffarmi a capo fitto in una relazione. Non ho le forze per farlo e ne tanto meno la testa.
Infilo la mano nella tasca dei jeans e prendo il mio telefono, lo sblocco che è ancora aperto sulla chat di Thomas. Esco dalla chat e vado a leggere il messaggio di William.
William: Hai un bel sorriso. È un vero peccato che tu lo tenga nascosto.
Sento il mio cuore compiere un imbarazzante capriola. Rileggo il messaggio almeno tre volte.
Sul serio, perché per messaggio sembra un'altra persona?
Io: E tu invece sei bipolare.
Mi sorprendo quando appare la scritta online. Ormai sono quasi le quattro del mattino. Che cosa ci fa ancora sveglio?
William: Un po', lo sono. Come mai sei sveglia a quest'ora?
Io: Sono all'ospedale... mio nonno è stato male.
William: Mi dispiace. Spero niente di grave.
Io: Lo spero anche io, ma ho i miei dubbi. I medici hanno detto che potrebbe trattarsi di un tumore al cervello. Lo hanno detto già dall'altra volta e a me, lo hanno tenuto nascosto.
William: Non so che dirti... solo che, se hai voglia di parlare, puoi farlo con me.
Io: Parlare adesso è l'ultima cosa che voglio.
William: Immaginavo che avresti risposto così. Allora, non parleremo...
Io: Che cosa stai cercando di dirmi?
William: Cazzo, pensavo fossi più sveglia e invece, sono sempre più convinto del contrario. Intendo dire che se hai bisogno, posso venire da te e staremo in silenzio. Ora hai capito?
Sgrano appena gli occhi davanti allo schermo. Dice sul serio? Perché?
Io: Lo faresti? Perché? Sono le quattro del mattino.
William: Lo so, lo conosco l'orologio. Comunque non c'è nessun perché. Tanto non riesco a dormire. Allora, mi dici in quale ospedale ti trovi?
Rispondo senza esitare. Dopotutto, non c'è niente di strano, no? Siamo solo... be'... amici, più o meno. O qualcosa di simile.
William: Arrivo.
Mi agito sulla sedia, manco mi avesse scritto chissà che cosa. Forse sono ancora sconvolta dal sogno che ho fatto.
Oddio, non posso mica provare attrazione per lui? No.
Questo non è il momento di pensare a queste cose stupide. Mio nonno è su un letto di ospedale e ancora nessuno è uscito da quella fottuta porta rossa a darci delle notizie.
Ammetto di aver pensato qualche volta di dire a William di non raggiungermi. Ma non l'ho fatto. Ho bisogno di evadere un pochino. Anche solo per restare in silenzio.
La tensione dentro quest'ospedale è così tanta che si potrebbe tagliare a fette con un coltello.
Se fossi stata ancora in rapporti normali con loro, non avrei esitato ad alzarmi da questa sedia e andare a sdraiarmi accanto a mio fratello e posare la testa sulle sue gambe, come facevo da piccola. Mi manca da morire il nostro rapporto di prima. Mi manca lui. È stato il fratello maggiore migliore del mondo. E io, ho rovinato tutto con le mie stesse mani.
Chissà se un giorno mi perdonerà per tutto quello che ho fatto.
Mi alzo dalla sedia con la schiena a pezzi e dico a mio padre che sto andando alle macchinette per prendere un caffè.
Mi allontano dalla sala d'aspetto e mi dirigo verso le macchinette. Frugo nelle tasche alla ricerca di qualche spicciolo. Ne trovo un paio e li inserisco nella macchinetta. Premo il simbolo della tazzina di caffè e fisso il liquido scuro che la riempie lentamente. Quando avvisa di essere pronto, prendo la tazzina, inserisco altri spiccioli e ne prendo un altro.
Con due tazze fumanti di caffè mi reco fuori dal pronto soccorso, attraverso la strada e vado a sedermi accanto a due enormi fioriere di gelsomino bianco. Quel profumo mi fa venire ancora più mal di testa. Così mi sposto. Vado a sedermi su una panchina che si trova vicino al gabbiotto della sicurezza.
Bevo un sorso del mio caffè e osservo le stelle in silenzio. Brillano ancora parecchio, nonostante tra poco ci sarà l'alba. Tremano così tanto che sembra che vogliano staccarsi dal cielo e venire giù.
«Quello è per me?» la sua voce mi arriva alle spalle e per poco non vengo colta da un infarto.
Sussulto e un po' del caffè mi cade sui jeans ustionandomi una coscia. «Sei pazzo?» strillo, voltandomi a guardarlo male.
Viene a sedersi accanto a me e mi strappa di mano la tazza di caffè. «Grazie, sei stata molto gentile», mi prende in giro prima di berne un sorso.
«E se non fosse stato per te? Che ne sai, magari volevo berne due di fila» borbotto, cercando di asciugare il disastro sui miei jeans.
Lui mi rivolge un sorriso sghembo. «Non sia mai che la temibile Blue Jean faccia qualcosa di carino per qualcuno», arriccia le labbra come se stesse mettendo il muso. Ed è così fastidiosamente adorabile.
«Fare qualcosa di carino, per te?» fingo una risata. «Ma fammi il piacere.»
Lui mi guarda inarcando un sopracciglio. «Sei proprio cattiva nei miei confronti. Io sono venuto qui per farti compagnia e tu mi ripaghi così?»
Alzo le spalle con fare innocente. «Hai detto tu che non riuscivi a dormire.»
Serra appena le labbra e annuisce. «Giusto, hai ragione», sprofonda con la schiena contro la panchina e alza lo sguardo verso il cielo. I suoi occhi si riempiono immediatamente di stelle e io, mi perdo a guardarli. «Mi stai fissando, di nuovo» dice, continuando a guardare verso l'alto.
Tossisco e distolgo subito gli occhi. «Non è vero.»
«Perché dici così tante cazzate? Ti becco sempre a fissarmi», sbuffa.
Sbuffo anche io. «Stavo solo guardando i tuoi occhi. Sono belli. Non c'è nessun secondo fine o malizia. Solo che trovo bellissimo il colore dei tuoi occhi.»
Abbassa lo sguardo e mi guarda. Di nuovo in quel modo indescrivibile. «Mi sembra una presa per il culo.»
Sgrano gli occhi. «Come, scusa?»
«Tu dici che i miei occhi sono bellissimi, ma a quanto pare non ti sei vista i tuoi» dice, serio. Terribilmente serio.
Deglutisco a fatica e distolgo nuovamente lo sguardo. «Sono normali. Molte persone li hanno così. Mentre il tuo colore, non l'ho mai visto prima se non su di un Husky.»
Ridacchia. «Oh, bello essere paragonato a un cane!»
Mi allungo verso di lui e lo spingo scherzosamente dalla spalla. «Non fare il cazzone, sai che cosa intendo.»
«Lo so, mi piace solo darti fastidio» sorride, mordendosi il labbro inferiore.
Roteo gli occhi al cielo. «Ma non mi dire! Non me n'ero accorta!»
Ridacchia ancora e poi, veloce come il vento, torna serio. «Hanno detto qualcosa, i medici intendo.»
Scuoto il capo e abbasso lo sguardo sulla tazza che tengo ben salda tra le mani. «No, ancora niente», mi sfugge un sospiro tremante. « Ed è maledettamente estenuante e difficile stare lì con mio fratello che non mi guarda neppure in faccia» aggiungo, sentendo la rabbia crescere dentro di me.
«Te l'ho detto; se vuoi parlare, sono qui. Altrimenti restiamo in silenzio e basta» dice, quasi in un sussurro.
«Sono distrutta», confesso. Sono più che distrutta.
«Dormi un po', se qualcuno esce a cercarti, ti sveglio», abbozza un sorriso.
In questo momento dubito che qualcuno uscirebbe da quella porta per venire a cercarmi. «Hai intenzione di restare qui tutta la notte? Tra poco spunterà il sole. Perché non vai a casa?» non lo sto cacciando via. Anzi, apprezzo moltissimo la sua compagnia in questo momento. Ma non voglio che resti qui impalato mentre io magari mi addormento.
Sbuffa. «Dormi.»
Mi sistemo come meglio posso su questa panchina di ferro, tiro il cappuccio sulla testa e mi rannicchio su me stessa in modo tale da potermi fare un cuscino con le mie mani e lasciare spazio anche lui.
«Grazie» mormoro, quasi sottovoce. Penso che non mi abbia neppure sentito, invece risponde.
«Non c'è di che.»
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