♬ ~6.2 ɪ ᴄʟᴏꜱᴇᴅ ᴍʏ ᴇʏᴇꜱ ᴀɴᴅ ɪ ꜱʟɪᴘᴘᴇᴅ ᴀᴡᴀʏ
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Lungo il costato ha lo stesso identico tatuaggio che ho io sul polso. Il Prisma dei Pink Floyd. Ma non è quello a farmi agitare. È la scritta. La stessa scritta.
Ora capisco perché quella volta in negozio ha guardato il mio tatuaggio con così tanto interesse: perché sono uguali. Identici.
Istintivamente nascondo il mio posandoci sopra l'altra mano. Lui nota il mio gesto e sul suo viso compare una di quelle tante espressioni indecifrabili.
Torna a sedersi sull'asciugamano dandomi le spalle.
Anche la sua schiena è costellata di tatuaggi. Alcuni sono anche un po' tetri.
Sulla spalla destra ha tatuato l'angelo morte che impugna la sua falce in groppa a un cavallo scheletrico. L'angelo è bello però, sfoggia le sue enormi ali con fierezza. Sotto ha incisa una scritta in quello che a me sembra tedesco.
Mi viene la malsana voglia di tracciarne il contorno con la punta del dito.
Al centro della schiena ha un altro angelo con due ali molto più grandi dell'altro e con uno sguardo meno inquietante.
Forse è un tipo ossessionato dagli angeli.
Guardandoli meglio però, capisco che siano connessi tra loro. L'angelo e il suo cavallo indirizzano proprio verso l'altro angelo. La falce è sollevata a mezz'aria e sembra pronta a colpire l'altro. Invece, l'angelo con le ali più grandi, tiene in una mano una bilancia e nell'altra una spada.
Sono affascinanti, e non riesco a smettere di guardali.
«Mi stai ancora fissando» dice lui, con lo sguardo rivolto verso la riva del mare.
Sussulto colta alla sprovvista e distolgo subito lo sguardo.
«Non ti sto guardando», borbotto.
La sua schiena trema appena, segno che sta ridendo. «Lo stai facendo eccome. Sento il tuo sguardo.»
«Senti male, allora», replico.
Si volta appena e mi guarda da sopra la spalla, assottigliando quegli occhi letali. «Ti piacciono i miei tatuaggi?»
Mi agito sull'asciugamano e continuo a guardare altrove. «Non ti stavo guardando», insisto.
Con la coda dell'occhio lo vedo sorridere. «Va bene, farò finta di crederci. Ma se hai delle domande a riguardo; falle pure.»
Sbuffo. «Non ho niente da chiederti.»
Ce l'ho eccome, invece. Fremo dalla voglia di chiedergli il significato di quella frase in tedesco, ma la tengo per me. Non gliela darò vinta.
Poco dopo vengo colpita da un tubetto di protezione solare. Alzo lo sguardo e lo guardo male. «Sei pazzo? Potevi cavarmi un occhio!»
Arriccia il naso in un modo carinissimo. «Quanto sei drammatica. Mettila, altrimenti ti bruci.»
Gliela tiro a mia volta. «Non mi brucio se sto sotto l'ombrellone!»
Il tubetto gli atterra proprio in mezzo alle gambe. Contrae l'addome e si piega leggermente in avanti rifilandomi uno sguardo assassino. «Questa è la seconda volta che cerchi di farmi diventare sterile» sibila tra i denti, il viso contratto dal dolore.
«Il mondo non ha bisogno di altri Gilmour dai capelli biondo platino» lo prendo in giro, guadagnandomi un'altra occhiataccia da parte sua.
«Su questo lato non c'è pericolo. Però mi serve ancora per scopare» dice, secco.
Sento subito le mie guance scaldarsi e prego che lui non ci faccia caso.
Fa per aprire bocca ma Joel si sveglia di scatto e si guarda intorno con gli occhi sbarrati.
Si mette a sedere e si porta istintivamente una mano sul petto. Anche lui è davvero pallido come Noel e William. Al contrario di quest'ultimo, non ha neanche un tatuaggio.
William gli rivolge un'occhiata interrogativa. Si guardano per qualche secondo ed è come se stessero avendo una conversazione silenziosa con gli occhi.
Poi Joel si volta nella mia direzione e nota che ancora non mi sono levata i vestiti. «Ci vai sempre così, al mare?» indica i calzoncini e le scarpe che ancora non ho levato.
Abbasso lo sguardo sulle Vans e le levo. «Ora va meglio?»
«Intendo i vestiti.»
Vado subito nel pallone. Per una semplice frase il mio cervello si è inceppato. Guardo Joel con la bocca aperta ma non ne esce mezza parola.
«Fatti i cazzi tuoi, Jo» lo fredda William, puntandomi subito addosso i suoi occhi.
Joel alza le mani per aria a mo' di scusa. «Stavo solo chiedendo.»
«Be' tienile per te le tue domande del cazzo» replica secco, William.
Sbatto le palpebre per riprendermi dallo stato di trance in cui sono piombata. «Non c'è bisogno che lo tratti così. Era solo una domanda!» sbotto, prendendo le difese di Joel che mi sorride.
Ma William è stronzo fino al midollo. Sul suo viso compare un sorriso diabolico. «Non credo che a lui gli avrebbe fatto piacere se tu gli avresti chiesto per quale motivo ha il cazzo piccolo.»
Mi va la saliva di traverso e inizio a tossire.
Joel si alza in piedi e guarda il fratello in cagnesco. «Sei proprio un coglione», si volta e va verso la riva.
William ridacchia come se niente fosse. Ha la strana tendenza o mania di mettere in imbarazzo le persone con semplici frasi. Sembra che sappia sempre quali tasti toccare per annientarti.
«Ha ragione: sei un coglione», dico.
Lui non si scompone molto. «Oh, certo. È così che mi ringrazi per averti risparmiato di rispondere a una domanda scomoda? Be', non c'è di che» Arrogante. Stronzo.
«Non te l'ho chiesto» replico, indispettita. «Ce l'ho una bocca per rispondere alle domande.»
Mi guarda negli occhi. L'espressione da stronzo sempre stampata in faccia. «Dici? Eppure lo stavi fissando con la bocca aperta.»
Istintivamente afferro una manciata di sabbia e gliela tiro sulla schiena. «Sei fastidioso, oltre che coglione. Ricordami di non accettare mai più un invito da te.»
L'espressione che gli compare sul viso mi fa venire i brividi lungo tutta la schiena. Con una mossa scatta in piedi. Non ho nemmeno il tempo di realizzare quello che sta per fare e nemmeno di scappare dalle sue grinfie.
Mi agguanta dai fianchi e con una facilità assurda mi issa sulle sue spalle.
Comincio a dimenarmi, a scalciare contro il suo addome ma tutti i miei colpi sembrano non scalfirlo neanche un po'.
Quando realizzo che sta camminando verso l'acqua, strillo come una pazza.
«Mettimi giù!» strillo, andando nel panico.
Non ho paura dell'acqua, so nuotare. Ma ho espressamente detto che non avrei indossato il costume e che non avrei fatto il bagno. E poi, da questa altezza mi sento male. Vedere il mondo a testa in giù non è tanto piacevole.
Continuo a scalciare e a strillare come una pazza furiosa attirando l'attenzione di alcune persone. «William, mettimi giù», sibilo. Il panico sta per prendere il sopravvento.
«Chiedimi scusa, allora» dice, appena i suoi piedi toccano l'acqua.
Aggrotto la fronte anche se lui non può vedermi. Per risposta lo colpisco con un pugno al centro della schiena. Ma è come colpire una statua di marmo. «Neanche per sogno ti chiederò scusa. Sei tu che ti sei comportato da stronzo con tuo fratello!»
Mi pizzica leggermente sulla natica che spunta dai calzoncini. «Risposta sbagliata, Blue.»
Non c'è niente di divertente. Se solo riuscissi a colpirlo più forte sulla schiena, riuscirei a liberarmi dalla sua presa.
Avanza ancora, fino a che l'acqua non gli sfiora i polpacci.
«Mettimi giù» ripeto, sull'orlo di una crisi di panico. O isterica.
Si ferma quando l'acqua gli arriva al bacino. «Tu chiedimi scusa e io mi fermerò.»
Bastardo. E stupida io. Orgogliosa di merda. Be' se c'è una cosa che mio padre mi ha insegnato, è quella di non chiedere scusa se non ho commesso nessun errore. Il sangue sta iniziando ad arrivarmi al cervello facendomi venire la nausea. «Tu dovresti chiedere scusa a tuo fratello!»
Joel ci raggiunge e osserva la scena con uno sguardo divertito. «Perché non la lasci in pace?»
Per tutta risposta, William con la mano libera lo spinge di nuovo dentro l'acqua. «Fatti i cazzi tuoi.»
Riprendo a colpirlo sulla schiena con più forza, sperando che almeno un colpo gli provochi dolore. «Giuro che se mi butti in acqua ti ammazzo. Ti ammazzo con le mie stesse mani.»
Il suo corpo vibra sotto il mio, sta ridendo. «Oh, che paura. Me la sto facendo sotto», mi schernisce.
Avanza ancora. Questa volta, i miei piedi sfiorano l'acqua fredda e vengo attraversata da un lungo brivido sulla schiena.
«William», lo redarguisco. «Non farlo», quasi mi esce come una supplica questa frase.
«C'è solo un modo per fermarmi: chiedermi scusa per avermi tirato la sabbia come una bambina capricciosa» dice, serio.
Scuoto il capo. «Non ti chiederò scusa!»
«Okay» dice, un attimo prima di avanzare ancora dentro l'acqua che adesso gli arriva allo stomaco.
I miei piedi entrano ancora una volta in contatto con l'acqua e rabbrividisco di nuovo. Anche le punte dei miei capelli si bagnano.
«Sei un maledettissimo stronzo!» strillo.
Lui rafforza la presa sulle mie ginocchia. «Spero per te che l'acqua salata ti piaccia.»
Schiudo le labbra per rispondere ma non faccio in tempo perché si tuffa dentro l'acqua trascinandomi con lui.
L'impatto con l'acqua gelida mi smorza il respiro. I vestiti che indosso aderiscono al mio corpo come una seconda pelle.
Per un momento temo di perdere il cuore, che batte come un pazzo.
Lui mi afferra per i fianchi e mi riporta in superficie. Inizio a tossire perché ho bevuto un po'. Mi battono i denti per il freddo.
Mi stacco di malo modo da lui e vado di nuovo sott'acqua rendendomi conto solo dopo di non arrivare a toccare con i piedi.
Mi acciuffa dal polso e mi riporta su. «Ops, mi sono dimenticato di chiederti se sapessi nuotare» sorride, in quel modo beffardo.
E mannaggia a lui è bello da mozzare il fiato, con tutti i capelli bagnati e quelle piccole goccioline incastrate tra ciglia. I suoi occhi sono diventati ancora più azzurri, più immensi, più belli.
Allunga una mano sul mio viso e mi leva una ciocca di capelli che si è incagliata tra le mie labbra. «So nuotare» borbotto, staccandomi da lui.
C'è qualche secondo di silenzio. E posso giurare che mi sta guardando intensamente.
Pagherei oro per leggere i suoi pensieri in questo momento. Mi guarda in un modo che mi riduce le budella in poltiglia e rivoltare lo stomaco come un calzino. Inspiegabilmente, il cuore prende a battermi come un pazzo furioso nel petto.
Poi quello strano scambio di sguardi elettrici si spezza quando Noel posa le mani sulle spalle di William e lo spinge sotto l'acqua, ridendo come un pazzo.
Rido anche io nel vedere questa scena. Anche sé, non appena riesce a divincolarsi e riemerge dall'acqua, smettiamo tutti di ridere.
Afferra Noel dalle gambe e, come se non pesasse niente lo solleva per aria e lo lancia in acqua abbastanza distante da noi. Cioè, lo ha lanciato come se fosse una leggerissima pallina.
Noel riemerge poco dopo dall'acqua e nuota verso di noi. «Non vale giocare così!» si lamenta, sputacchiando acqua. Anche gli occhi di Noel, hanno incanalato tutta la lucentezza dell'acqua baciata dal sole. Anche Joel. Com'è possibile che abbiano degli occhi così ipnotici? Sono meravigliosi.
I loro capelli diventano un po' più scuri da bagnati. Sono bellissimi, tutti e tre.
Di certo madre natura non si è risparmiata niente con loro. Gli ha donato un aspetto perfetto. Sono degli angeli mandati sulla terra.
«Oh certo, perché prendermi alle spalle non è scorretto?» gli risponde William, scuotendo la testa per levarsi quel ciuffo dagli occhi.
Solo Dio sa, quanto mi prudono le dita in questo momento, dalla voglia di levarglielo io.
Noel lo scimmiotta. «Sì, ma non è comunque leale! Sei più forte.»
William rotea gli occhi al cielo. «Se non la smetti, ti affogo.»
«Mh, così poi ti farai di nuovo galera, ma non saranno solo pochi mesi», lo prende in giro.
Le mie orecchie si soffermano su quel particolare. È stato in carcere?
William e Joel invece, si scambiano un'altra di quelle occhiate che possono capire solo loro due. Ma non ridono, affatto.
Il piccolo Gilmour si rende conto di aver parlato troppo e, con nonchalance si allontana da noi nuotando e raggiunge la riva. Poco dopo, lo segue anche Joel e rimaniamo solo io e William.
In questo momento mi sembra che stia facendo di tutto per non guardarmi in faccia. Pensa forse che lo possa giudicare? Non lo farei mai. Non spetta a me il giudizio.
Mi schiarisco la voce e con le mani carezzo l'acqua. «Quindi, sei stato dentro?»
La sua mascella si serra e lo sguardo che mi lancia mi fa capire che non sono affari miei. «Sì» risponde, secco.
«Perché?» Perché invece non ti fai gli affari tuoi?
Rivolge il viso al cielo e chiude gli occhi beandosi dei baci del sole che gli accarezzano la pelle. «Perché è quello che succede quando prendi decisioni del cazzo. Comunque, non sono affari tuoi.»
Mi acciglio. «Allora tu perché la prima volta che mi hai vista mi hai chiesto quale fosse il mio disturbo?»
Mi guarda in tralice. «Io non ti ho chiesto mica quale peccato avessi commesso», sibila. « E mi pare che ancora tu non mi abbia dato una risposta. Quindi, perché dovrei parlarti di me? Non siamo amici.» Ed eccolo che cambia completamente atteggiamento facendo riemergere il suo lato da stronzo.
È pazzesco il modo in cui si chiude in sé stesso quando si parla di lui.
Come posso biasimarlo? Reagisco esattamente nel suo stesso modo.
Mi sento ferita dalle sue parole. Lo so benissimo che non siamo amici, anche se ancora non capisco lo strano interesse che ha lui nei miei confronti. Perché mi ha invitata se la pensa in questo modo?
Fanculo, nemmeno io ho intenzione di essere amica di uno stronzo come lui.
Si allontana ancora e nuota fino alla riva. Gli vado dietro, in silenzio. Stare dentro l'acqua da sola, è impensabile. Non nelle condizioni in cui mi trovo in questo periodo.
Esco dall'acqua con tutti i vestiti che grondano e gocciolano a ogni mio passo. Mi ricordo, dopo aver notato alcune occhiate ambigue, di non avere il reggiseno sotto al top. Porca vacca.
Si possono intravedere benissimo i piercing che ho sui capezzoli. Maledico la me diciottenne per averli desiderati così tanto.
Con nonchalance porto entrambe le mani sui seni e li nascondo da occhi indiscreti. Essere guardata da persone che potrebbero essere miei nonni, non è affatto piacevole. Anzi, mi fa uno strano effetto, per niente lusinghiero.
Torno a sedermi sul mio asciugamano, William mi guarda da sotto quelle folte ciglia nere. Guarda le mie mani che tengo ancora sul seno e inarca un sopracciglio. «Hai paura che ti possano scappare?»
Afferro gli angoli dell'asciugamano e me lo metto sulle spalle a mo di coperta. «Tu perché stai guardando?»
«Forse perché sei l'unica persona al mondo che fa cose strane?»
Mi rabbuio. «Non indosso niente sotto. E non dovrei nemmeno darti delle spiegazioni.»
Incurva appena le labbra ma non sorride. So che gli piace darmi fastidio. Ma gli piace di più quando gli rispondo a tono. «Ah, allora ti piace avere le tette al vento?»
«Dio, Billy, piantala» interviene Joel, anche se gli cade l'occhio proprio lì. Per fortuna l'asciugamano mi copre tutto.
Ho appena deciso che questa sarà stata l'ultima volta che verrò al mare con tre ragazzi. O per lo meno, proprio con loro tre.
William non risponde, si sdraia sul suo asciugamano e alcuni ciuffi ancora bagnati dei suoi capelli mi sfiorano il ginocchio nudo facendomi rabbrividire.
Lo sorprendo a guardarmi con un occhio aperto e a sorridere in modo beffardo.
La tentazione di affogarlo con il mio asciugamano è tanta. Ma non voglio macchiarmi di un crimine simile.
Per risposta aggrotto la fronte e distolgo lo sguardo.
«Bambina» lo sento dire, sottovoce.
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Prima di tornare a casa decidono di fare una passeggiata per il lungomare, dove Noel è voluto salire a tutti i costi sulla ruota panoramica. Nessuno di noi ha voluto fargli compagnia, così ci è salito da solo e noi ci siamo seduti sul muretto che da davanti al mare.
Sembriamo tre imbecilli che fissano quella ruota muoversi dannatamente troppo lentamente.
Voglio tornare a casa mia, levarmi il sale che tira da morire sulla mia pelle e mettermi a letto. In più, credo proprio di essermi scottata. Aveva ragione il Biondo Malefico che mi sarei bruciata, ma non gliela darò vinta.
A quanto pare però lui ha il potere di leggere nei miei pensieri. Con il dito preme leggermente sulla mia spalla accalda ed emette una lenta risatina. «Te l'avevo detto che ti saresti bruciata.»
Lo guardo di traverso e scaccio via la sua mano con fare stizzito. «Oh bravo, vuoi un applauso?»
Scuote il capo, mantenendo sempre quello sguardo divertito. «No, tanto lo so che ho sempre ragione io.»
Joel, seduto accanto a me borbotta qualcosa verso il fratello.
Lo guardo. «Io non so proprio come facciate a sopportarlo, sul serio.»
Joel abbozza un sorriso. «Purtroppo, i parenti non si scelgono. Tanto meno i fratelli.»
William, che è seduto dall'altro mio lato, schiocca la lingua. «In realtà mi adorate. Solo che non volete ammetterlo.»
Joel sbuffa. «Come no. Sai che spasso avere un fratello maggiore che per la maggior parte del tempo si comporta come un ragazzino? È una ficata», lo prende in giro. «Alcune volte penso di avere due fratelli adolescenti.»
William si sporge leggermente in avanti e lo spintona dalla spalla. «Ma sentilo. Si crede superiore solo perché pensa di essere il cervellone della famiglia.»
Joel gli sorride in modo beffardo. Tutti e tre hanno lo stesso sorriso, stesso ghigno. Ribadisco: è inquietante.
«Forse perché lo sono?»
«Ma fammi il piacere. Solo perché ti sei laureato in giurisprudenza, non significa che in automatico sei il più intelligente. Ne riparleremo quando affronterai il tuo primo caso», gli sorride. « Non vedo l'ora di assistere alla tua prima figura di merda in campo. Sarò in prima fila», gli strizza l'occhio.
Insopportabile. Guardo di nuovo Joel che è impegnato a fulminare il fratello con lo sguardo. «Quindi sei un avvocato o...»
«Avvocato», il sorriso gli torna sul viso illuminandogli anche gli occhi. « Ho preso la laurea ad aprile, ancora però non ho trovato uno studio che mi paghi a dovere», spiega. « Tu invece? Che fai?»
Sopravvivo. Arranco. «Al momento lavoro in un negozio di dischi» mi sento così... inutile mentre glielo dico.
Lui annuisce. «E cosa vorresti fare un domani?»
Sopravvivere. Alzo le spalle. «Ora come ora non lo so. Diciamo che ho messo in pausa alcune cose. Devo ancora capire che cosa voglio dalla vita» ridacchio, anche se non c'è niente per cui ridere. Anzi, c'è solo da piangere, che a ventuno anni non so ancora quale sia il mio posto nel mondo.
Ma che altro dovrei fare? Ero sincera, quando gli ho detto di aver messo in pausa tutto. Non ho la più pallida idea di cosa farne della mia vita. E, ad essere onesta: io non riesco neanche a pensare ad un futuro. Se ci penso, mi viene il panico perché io, un futuro, nemmeno lo vedo.
Ed è così triste, cazzo. Sono giovane e non ho ancora concluso niente. Forse, non mi sentirò mai realizzata. E la cosa, mi fa davvero male.
William tira le braccia dietro la testa e sospira. «In realtà Blue sa suonare la chitarra come una professionista. Ha una bellissima voce, ma a quanto pare preferisce tenerla nascosta.»
Giusto, mi ha sorpresa a suonare sulla terrazza. È stato abbastanza traumatico per me essere stata vista. Da lui poi. Ma da quel giorno non ne abbiamo parlato. Ho fatto finta che non fosse mai successo. Anche se non riesco a smettere di pensare al modo in cui mi ha guardata quel giorno.
«Lo faccio solo per hobby», bofonchio. « Non significa che solo perché mio padre possiede un etichetta discografica io debba per forza lanciarmi in quel mondo!» concludo.
«Chi è tuo padre?» chiede Joel.
«James Weller», risponde William al posto mio. «Uno dei migliori nel suo campo e, uno dei migliori a suonare la chitarra», conclude.
Giuro che mi si riempie il cuore di orgoglio sentirlo parlare così di mio padre. Ma io lo so, so che papà è uno dei migliori. Lui è il migliore.
Joel sgrana appena gli occhi. «Oh, davvero?»
Annuisco. «Sì. Be' siamo un po' diversi.»
«Cazzate», prorompe William.
Lo guardo male. «La pianti? Nemmeno mi conosci!»
«Ti ho sentita suonare però. E lo sai anche tu che cosa potresti fare con quelle manine.»
Il mio cervello si inceppa. Non so se ci siano doppi sensi nella sua frase.
«Non pensare male. Intendo con la chitarra» aggiunge, rispondendo alla voce dei miei pensieri.
«Ovvio», dico tra i denti. «Comunque, potrei essere anche mediocremente brava. Ma non è quello il mio posto», taglio corto.
«Se lo dici tu», sospira stropicciandosi gli occhi.
Dopo venti interminabili minuti, in cui nessuno ha più parlato, Noel scende da quella maledetta ruota panoramica.
Ormai il cielo si sta tingendo dei colori del tramonto che, incontrandosi con l'oceano creano un panorama bello da mozzare il fiato.
Sarei rimasta a godermelo, se solo non sentissi l'urgenza di tornare subito a casa mia. Sono stanca. A me il mare stanca da morire. E poi, non ho toccato cibo neanche oggi. Il mio stomaco sta iniziando a protestare.
Appena ci sediamo in macchina cerco inutilmente di placare i suoi borbottii bevendo un po' d'acqua, che è diventata così calda da farmi venire persino la nausea.
Come ha fatto anche all'andata, William solleva il volume della radio a palla, facendo imprecare Joel.
«Io non capisco proprio che cosa ci trovi di bello in questa musica. È solo chiasso», borbotta accanto a me.
In questo momento alla radio stanno passando una canzone degli Iron Maiden.
Mi sento obbligata a dire la mia. Mi volto verso Joel. «Che cosa avresti contro questa musica? Non è solo chiasso. Se senti solo chiasso è perché non ne capisci il testo e, a quanto pare, non capisci un cazzo di musica.»
Lui inarca un sopracciglio. «Non è questa la vera musica. Non fanno altro che urlare!»
Mi indispettisco ancora di più. Possono toccarmi tutto – nei limiti- ma non la musica. La musica, l'unica cosa in grado di farmi sentire ancora viva. «Se ascoltassi il testo, capiresti. Sono proprio curiosa di sapere che cosa ascolti tu.»
William mi sorride attraverso lo specchietto retrovisore. «Lascia perdere, non perdere tempo con uno che ascolta la Trap. Non ne vale la pena.»
Sgrano gli occhi rivolta verso Joel. «Ascolti la trap? Cazzo, allora non puoi neanche permetterti di aprire bocca!»
William e Noel ridacchiano. E per dispetto, alza ancora un po' il volume della radio.
Io per farlo apposta, avvicino la bocca in direzione dell'orecchio di Joel e canto insieme a Bruce Dickinson.
Scocciato, lui si tappa le orecchie e si allontana da me borbottando il suo disappunto.
Per la prima volta, da tanto tempo, scoppio a ridere di cuore nel vederlo strizzare gli occhi in quel modo e muovere la testa per mettere più distanza possibile dalla mia faccia. Sto ridendo, e l'estraneità della sensazione mi assale alla bocca dello stomaco. Avevo dimenticato il suono della mia risata.
Mi ammutolisco all'istante e torno a sistemarmi sul lato opposto del sedile. Sollevo appena lo sguardo e incrocio quello di William. Anche la sua espressione divertita è sparita. Ma come sempre, non riesco a capire il suo sguardo. Abbasso lo sguardo sulle mani che tengo in grembo e mi nascondo dai suoi occhi. Ogni volta che mi guarda in questo modo sembra sempre che mi voglia spolpare viva. Che voglia scavarmi dentro. E a me non piace il modo in cui mi fa sentire. Così vulnerabile, così fragile.
Mi sento vergognosamente nuda di fronte ai suoi occhi. Nuda, spogliata da qualsiasi cosa.
Ma è un'altra la sensazione che cattura la mia attenzione. Una che pensavo di non poter provare mai più: il sangue che scorre caldo e denso attraverso le vene. È una sensazione strana, devastante. Mi devasta.
Per tutto il tragitto non proferisco più parola. Rimango a fissare il cielo diventare sempre più scuro con la testa poggiata contro il finestrino.
Neanche loro, a quanto pare hanno più voglia di parlare. Joel si riaddormenta e Noel poi lo segue a ruota. William, guida concentrato sulla strada. I nostri occhi non si incontrano più.
Mi lascia davanti a casa, ringrazio tutti loro per la giornata e poi entro a casa, sentendomi gli occhi di William addosso bruciarmi la pelle.
Ho passato una giornata abbastanza piacevole. Sono riuscita a fare un passo in avanti. Accettare quell'invito ha risvegliato la voglia di continuare a vivere per vedere che cosa succederà domani.
Eppure da quando ho messo piede dentro casa mia, su di me cala di nuovo quella nuvola oscura. Quel senso di malessere e quell'inconfondibile oppressione al petto.
Penso che si tratti solo di stanchezza. Sono abituata che il mio corpo si stanchi facilmente.
Faccio una doccia per riprendermi un po' e poi, prima di sdraiarmi a letto mangio un po' di cereali che accompagno con un canna. Devo rilassarmi.
Ho quella strana sensazione che qualcosa di brutto stia incombendo su di me.
È così che funziona quando mi lascio andare. Quando penso che provare un po' di spensieratezza non comporti nessuna conseguenza.
La sento incombere su di me come uno spaventoso nuvolone che minaccia tempesta.
La gola mi si chiuse così tanto che alla fine smetto di mangiare. Non riesco nemmeno a bere un sorso d'acqua.
Perché devo sempre sentirmi così? Sono stanca, non ne posso più.
Quindi sono priva di sentirmi meglio? Be', forse devo smettere di provare a cercare un po' di luce nella mia vita, se dopo devo sentirmi in questo modo.
Poso la ciotola dei cereali e mi sdraio a letto. Spengo anche la canna a metà e allungo la mano per spegnere l'interruttore della luce. L'oscurità mi inghiotte e quell'orribile sensazione mi accompagna durante il mio sonno tormentato. Dormire, è l'unico modo per sfuggire alle cose. Posso rifugiarmi nei sogni. Ma questa notte, neanche quelli sono tranquilli.
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