♬ ~5.2 ꜰʀᴇᴇ ʙɪʀᴅ
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Io che mi sto scervellando per aiutarlo e lui che se ne fotte beatamente mentre infila la sua lingua nella bocca di una ragazzina mezza nuda.
« Che. Cazzo. State. Facendo?» La vena sul mio collo pulsa così tanto che temo che possa scoppiare da un momento all'altro e imbrattare il muro di sangue arterioso.
Entrambi sobbalzano e la ragazzina si appresta a coprire quel corpo ancora acerbo. Dio Mio.
Noel si agita e mentre si alza in piedi, inciampa e cade a terra.
Che scena tristemente ridicola, cazzo.
Gli punto un dito contro. «Tu, vai immediatamente in salotto» sibilo, mi sto trattenendo parecchio, non voglio spaventare troppo la ragazza. «E tu», mi rivolgo alla ragazzina che sussulta . «Torna a casa tua.»
Esco dalla stanza e raggiungo il salotto. Mi siedo sul divano e aspetto che la mia preda mi raggiunga.
Poco dopo, la ragazzina corre così velocemente verso la porta che a stento riesco a vederla. Noel invece, entra in salotto con un sorriso compiaciuto sulle labbra e con i capelli scompigliati. La tentazione di prenderlo a pugni e di cacciargli via quel sorriso è tanta. Mi trattengo però. Ricorrere alla violenza non serve a niente. Per il momento.
Si siede sul divano e mi osserva in modo strano. «Che cos'è tutta questa scenata?»
Una fitta mi trafigge da parte a parte. «Scenata? Noel, prima di tutto sai benissimo che non devi portare nessuna ragazzina a casa», puntualizzo. Ci manca solo che mi accusino anche di farmela con le ragazzine minorenni. Così siamo proprio a posto. «Secondo, dimmi che cosa è successo a scuola, subito.»
Mi guarda come se fossi impazzito. «In che senso?»
Il mio cuore fa del suo meglio per non saltarmi fuori dal petto a furia di martellare. Ho già mille cose per la testa, in più, devo anche pensare e capire a come cazzo comportarmi con Noel.
Inspiro bruscamente. Sto cercando davvero di non dare di matto. «Che cosa è successo a scuola?» ripeto scandendo bene le parole.
Si agita sul divano e poi si passa una mano tra i capelli. «Billy, non so di cosa stai parlando.» Sembra sincero, ma col cazzo che gli credo.
Non può mentire a me. A me cazzo.
Le mie labbra si stringono l'una all'altra in una linea dura. « Ok. Ti rinfresco la memoria allora. Si da il caso che la tua scuola, mi abbia chiamato questa mattina, dicendomi di aver trovato della cocaina nel tuo armadietto. E io, sto cercando sul serio di pensare che sia stato un errore. Perché da dove potresti averla presa la cocaina, se non da me?» Cazzo, adesso parlo anche come uno psicopatico, sembro JigSaw dell'Enigmista.
Il viso di mio fratello impallidisce ancora di più, sembra un fantasma adesso. «Cosa?» Sussurra più a se stesso che a me.
Con lo stomaco che sprofonda, cerco di mantenere la calma, anche se il mio tono di voce si fa ancora più inquietante e cupo. «Hai capito bene, non farmi ripetere le cose mille volte. Allora: o mi dici la verità, oppure giuro che ti mando a calci in culo in una casa famiglia.»
Sussulta al suono delle mie parole dure. «Billy, te lo giuro. Io non faccio uso di quella merda. Lo sai. Io voglio giocare a calcio, ce la sto mettendo tutta per rigare dritto. Ho voti alti e mi comporto bene, cazzo.» Il rossore gli accende le guance. «Devi credermi» è sull'orlo delle lacrime e lo capisco dal modo in cui i suoi occhi si inumidiscono.
E sono sicuro che vorrebbe precisare che lui non è come me.
«Allora che cosa ci faceva nel tuo armadietto?» la testa sta per scoppiarmi. Premo le dita sulle meningi cercando di non farmi venire un ictus.
Si lecca le labbra. « Non lo so, davvero. Ma ti giuro sulla mia vita che non è mia. Deve avermela messa qualcuno, magari Casey Fletcher», aggrotta la fronte. « Quel ragazzo mi odia, dice che sono entrato nella squadra solo perché sono un raccomandato, solo perché faccio pena agli insegnanti. Conosce il nostro passato come tutti in quella scuola, quindi dev'essere stato lui.»
Potrei anche credere alle sue parole. Ma non è questo il momento. La rabbia offusca il mio giudizio. «Sono stato a scuola, ho parlato con la tua preside, non hanno ancora deciso se espellerti o meno. Fino a quando non prenderanno una decisione, tu ; hai smesso di uscire con i tuoi amici. Farai da casa a scuola, da scuola a casa e così via, per tre settimane. Non voglio sentire lamentele a riguardo. Mi odierai, probabile. Ma credimi sto cercando di non farti annegare nella merda che ci trasciniamo dietro da quando siamo nati.»
Mi rifila un'occhiataccia truce carica d'odio. «Sul serio vuoi mettermi in punizione?» sbotta balzando dal divano. «Non sono un bambino! Non è mia quella robaccia!» La sua voce si incrina e i suoi occhi si riempiono nuovamente di lacrime. « Tanto valeva dirti che fosse mia, visto che mi metti in punizione senza un cazzo di motivo!»
Mi schiarisco la voce. «Lo sto facendo per te. Per tenerti lontano dai casini.»
Il suo sospiro è come un sussurro. «Sai, alcune volte odio essere tuo fratello. Avrei preferito mille volte che mi avessi lasciato in quella maledetta casa a morire, piuttosto che vivere, anzi, non vivere una vita di merda con te», si alza dal divano e se ne va lasciandomi qui da solo come un imbecille.
Le sue parole riecheggiano nella mia testa, nel salotto, ovunque. Voglio solo che lui capisca che lo sto facendo per lui, per proteggerlo dalla merda e per impedirgli di commettere i miei stessi cazzo di errori. Su una cosa però ha ragione: non dovevo portarlo a casa con me. Sarebbe stato meglio affidarlo a persone con una vita meno incasinata della mia.
Quando esco di casa per accompagnarlo a quella stupida seduta, Noel non mi degna neanche di uno sguardo. Mi sta ignorando ed evitando come la peste, e io glielo lascio fare.
Parcheggio l'auto davanti allo studio del dottor Colvin e Noel scende rapidamente sbattendo lo sportello, di proposito, ovviamente. Sa quanto mi fa incazzare quando sbatte lo sportello. Alcune volte si comporta proprio come un bambino capriccioso. Per certi aspetti, lo è ancora.
Non ho nessuna intenzione di schiodarmi da qui e rischiare che Noel scappi di casa come fanno tutti gli adolescenti incazzati con il mondo. Così apro lo sportello e scendo dall'auto.
Qualcosa, o meglio un suono attira la mia attenzione. Sento della musica ma non riesco a capire da dove proviene.
Il suono di una chitarra raggiunge le mie orecchie. È la versione acustica di Free Bird dei Lynyrd Skynyrd. Qualcuno sta suonando quella melodia in modo impeccabile.
Resto impalato ad ascoltare ancora un po'. Poi qualcosa mi fa alzare lo sguardo sulla terrazza del palazzo. La musica proviene proprio da lì.
Senza rendermene conto sto camminando verso il palazzo, dato che Noel ha lasciato la porta aperta in segno di ribellione.
Salgo le scale e ad ogni mio passo, la musica diventa sempre più vicina.
La porta della terrazza è semi aperta, lasciata apposta così da chiunque ci sia all'interno per non essere disturbato.
Sbircio dalla fessura tra la porta e il montate e realizzo che a suonare quella chitarra in quel modo impeccabile è Blue Jean.
La ragazzina cresciuta da un musicista e che nasconde il suo talento come se fosse uno sporco segreto.
Ha mentito.
Ma certo, perché mai avrebbe dovuto dirmi la verità?
Sento l'impulso di arrabbiarmi, ma il suono mi distrae.
Mi si rizzano i peli sulle braccia mentre apro un po' di più la porta. È brava. Cazzo se lo è. Il suo stile è accattivante.
Vorrei tanto avere una chitarra in questo momento per suonare insieme a lei e vedere che altro sa fare.
Quando attacca con la prima strofa il mio cervello va in cortocircuito. La sua voce è come burro fuso. Non è per niente accattivante come il suo modo di suonare. È piena di nostalgia, morbida.
Sono fuori sulla terrazza ancora prima di accorgermene. Mi sale un groppo in gola.
Blue continua a cantare. È così presa dalla sua canzone che non si rende neppure conto della mia presenza.
La sua voce mi fa battere il cuore. E per me, questa è una strana sensazione.
Se ne sta rannicchiata ai piedi del muro. Come se volesse nascondersi dal mondo intero dentro quella piccola bolla invisibile che si è creata. I suoi occhi sono chiusi, il corpo curvo con fare protettivo sulla chitarra.
Il fatto che la sua voce sia così potente in una posizione così scomoda, è impressionante. Ma è l'espressione persa eppure serena sul suo viso che mi colpisce.
Riesce a sentire la musica, a possederla con facilità creando qualcosa di unico.
Mi diventa duro solo per la vicinanza con lei.
Sento le palle ritirarsi quando attacca con uno dei più celebri assoli di chitarra. Uno tra i più belli del mondo del rock.
La voce che si alza mentre attacca l'ultimo potente ritornello. Giuro di aver smesso di respirare per qualche secondo.
Penso di essermi innamorato di Blue Jean. In questo preciso istante.
Ovviamente so che è solo la cosa del momento.
Lei però si accorge della mia presenza e sussulta, spezzando improvvisamente l'ultima nota.
«Mi hai spaventata a morte» dice, quando riesce a ritrovare la voce.
Tu mi hai appena riportato in vita.
Rimango qui in piedi come un idiota, il petto che si alza e si abbassa a fatica.
Il rossore le risale il collo e le guance. China il capo come se si vergognasse.
Neanche per sogno le permetterò di nascondersi.
«Sei bravissima» borbotto, superando il groppo che ho in gola.
Mi rendo conto in questo preciso istante, che non vedrò mai più niente e nessuno di più incredibilmente bello in vita mia. Ovviamente parlando di musica.
Blue si alza da terra e posa la chitarra contro il muro. È pallida.
Devo proprio averla spaventata a morte.
I capelli corvini sono un nido scompigliato come al solito. Indossa una maglietta oversize dei Green Day che le arriva fino alle ginocchia.
Noto che inizia a storcersi le dita e a mordersi in modo insistente il piercing al labbro.
«Non volevo spaventarti e giuro che non ti stavo spiando. Ho accompagnato Noel e poi ho sentito la musica...» improvvisamente sento il bisogno di vomitarle addosso una marea di scuse e spiegazioni.
La sua espressione muta. Aggrotta la fronte e mi punta addosso quegli occhi letali. Raddrizza la schiena e si scosta una lunga ciocca dal viso. «Lo spettacolo è finito. Ora puoi anche andartene.»
Perché si comporta così? Okay che non sono la persona più simpatica del mondo. Sono consapevole di essere antipatico e alcune volte – il più delle volte- insopportabile. Ma in questo momento non mi sembra di averle detto niente di male.
«Qual è il tuo cazzo di problema?» sbotto, cogliendola alla sprovvista.
Le sue labbra si serrano in una linea retta e dura. « E tu che problemi hai invece? Ti presenti qui dal nulla facendomi complimenti? Sei fatto?»
La sua domanda mi fa prudere le labbra. Ma col cazzo che le concederò un sorriso. « No, non sono fatto. Ora non posso neanche fare un complimento sulla tua bravura?»
«No» risponde, prontamente. «Per quanto mi riguarda non saresti dovuto essere nemmeno qui a spiarmi.»
«Non ti stavo spiando», ribadisco. «Ti ho detto il motivo per cui mi trovo qui.»
Batte le mani sui fianchi con fare esasperato. «D'accordo. Ora che me lo hai detto puoi andare via e dimenticare tutto questo», indica lei e la chitarra che giace a terra.
Dimenticare? Impossibile. «Perché ti nascondi? È come se ti vergognassi del tuo talento. Sei brava Blue, non hai niente per cui verg...»
Solleva la mano per aria azzittendomi. «Non credo che siano cazzi tuoi. Sai, io nemmeno ti conosco. Non sono tenuta a parlarti della mia vita o dei miei problemi. Per questo esistono gli psicologici. E tu», mi squadra dalla testa ai piedi. « Non lo sei.»
Okay, forse me lo merito, visto come mi sono comportato con lei. Ma c'è qualcosa di strano in lei.
La guardo di nuovo negli occhi e capisco finalmente di cosa si tratta.
In questo momento, nel suo organismo sono presenti antidepressivi e cocaina. Ha gli occhi arrossati e le pupille così dilatate che il meraviglioso colore delle sue iridi è quasi del tutto scomparso, lasciando spazio a due pozze nere.
Come lo so? La cocaina la conosco fin troppo bene. L'effetto degli antidepressivi, lo stesso.
Ma non è questo il punto. Questa stramba ragazzina dagli occhi magnetici sta cadendo a pezzi e pare che nessuno se ne renda conto.
E tu che vuoi fare? Hai già abbastanza casini.
Non ricevendo nessuna risposta da parte mia, mi oltrepassa ed esce dalla porta della terrazza. La raggiungo sulle scale con quattro semplici falcate e le afferro il polso.
Ogni suo singolo muscolo si tende sotto le mie dita avvolte attorno a quell'esile polso. Mi rendo conto per la prima volta di quanto sia magra.
Con una lentezza disarmante solleva lo sguardo infuocato su di me. «Lasciami andare.»
Mollo subito la presa e arretro di un passo. Per qualche secondo ci guardiamo negli occhi. Lei che vorrebbe vedermi prendere fuoco come un grosso falò. E io che cerco delle risposte, a domande che neanche conosco, nei suoi occhi.
«Devo andare», interrompe il contatto visivo e si volta per scendere le scale.
La seguo.
Non vola nemmeno una mosca in questo momento. Il silenzio viene smorzato soltanto dai nostri passi che scendono le scale. Non so neanche il motivo per il quale le sto andando dietro.
Una volta raggiunto l'esterno devo fermarmi per non andarle a sbattere contro, dato che si ferma di botto.
Mi guarda oltre la spalla, così male che temo che mi possa saltare alla gola da un momento all'altro. «Per quale cazzo di motivo mi stai seguendo?» strilla, rossa dalla rabbia.
Non lo so nemmeno io, sinceramente. Infatti, vado subito a pescare qualche cazzata dal cervello, che si sta riprendendo lentamente dopo averla vista suonare. «Ti va un caffè?»
Questa frase stupisce entrambi. Infatti lei inarca un sopracciglio con scetticismo. «Perché?»
«Ci dev'essere per forza un motivo per invitare qualcuno a bere un caffè?» rispondo, con calma.
«Sì», ribatte. Dio, è davvero fastidiosa. Un gattino arruffato e incazzato. E a me nemmeno piacciono i gatti.
Alzo gli occhi al cielo. «È solo un caffè, giuro che non ho secondi fini. Non voglio infilarmi tra le tue cosce» anche se, dopo averla sentita suonare in quel modo, me la sarei scopata senza pietà anche in mezzo alla strada.
Il suoi muscoli si distendono appena. «Okay, ma facciamo presto.»
Sorrido in modo malizioso. «Io sono uno che dura molto.»
Mi concede l'ombra di un sorriso. «Non m'interessa saperlo.»
Attraversiamo la strada e andiamo al bar che si trova proprio all'angolo della via. Entriamo dentro e prendiamo posto ad un tavolo libero.
Su di noi cala subito il silenzio. Lei è persa chissà dove con lo sguardo rivolto verso la finestra. Mentre io continuo a chiedermi per quale stracazzo di motivo le ho chiesto di prendere un caffè insieme. Un caffè poi... che ridicolo.
Approfitto della sua distrazione per guardarla meglio. È bella, nonostante le due occhiaie più grandi di lei sotto gli occhi. Nonostante le guance scavante e il candido pallore della sua pelle.
Improvvisamente sento dentro di me il bisogno di saperne di più su di lei.
Non lo so, qualcosa mi dice che oltre quell'espressione corrucciata e quegli occhi persi ci sia molto di più. Ma non ho nessuna intenzione di spingermi oltre, non ne vedo il motivo. Ha la strana abitudine di nascondere il suo corpo sotto vestiti decisamente troppo grandi per il suo corpo. Da l'impressione di non essere poi così sicura di sé stessa, che si vergogni del suo aspetto.
Eppure, a detta di Sid, non gli è sembrata così timida.
Sapere che uno dei miei migliori amici ci è andato a letto, mi da fastidio. Ma non per chissà quale romantico motivo. Semplicemente perché ci è andato mentre lei non era in sé. E poi, cazzo, è una ragazzina.
Da quando Sid se la fa con le ragazzine? Non è una cosa da lui. A meno che lei non abbia mentito sulla sua età.
Schiarisco la gola attirando la sua attenzione. I suoi occhi si posano su di me. Ha un po' l'aria stanca, fiacca, come se non dormisse da mesi. Gli occhi un po' calati per via degli antidepressivi e le pupille ancora leggermente dilatate per via della cocaina.
Per un attimo mi sembra di rivedere me stesso nei suoi occhi spenti. Anche se io ho iniziato da ragazzino a fare uso di droghe.
Giuro che mi da un fastidio pazzesco vedere quegli occhi così belli spenti in questo modo. Mi da fottutamente fastidio. «Immagino che sia stato tuo padre a insegnarti a suonare la chitarra.»
In un primo momento mi aspetto una sfuriata o un "fatti i cazzi tuoi" da parte sua. Invece, annuisce. «Sì, da quando ero piccolissima», i suoi occhi si perdono ancora una volta.
Che cosa ha questa ragazza? È così giovane eppure sembra aver perso la spensieratezza di quelli che dovrebbero essere i suoi anni migliori. Io a vent'anni facevo cose disumane insieme ai miei amici. Lei... mi da l'impressione di essere sola.
E io devo smetterla con questa curiosità. Non è un mio problema. Ho già abbastanza cazzi a cui pensare.
«Gli somigli molto, sai?» dico, pentendomene subito, dato che aggrotta la fronte.
«Non voglio parlare di mio padre o della mia famiglia», taglia corto.
Al nostro tavolo giunge la cameriera che prende le nostre ordinazioni. Per un momento ne sono persino sollevato. Invitarla è stato un grosso errore.
Non so come prenderla e né tanto meno di cosa parlare. Sembra che qualsiasi cosa le dica, le susciti una reazione esagerata.
Ma a quanto pare io sono un coglione, il re dei coglioni e continuo indisturbato a non farmi i cazzi miei. «Ho conosciuto anche tuo fratello.»
«Interessante» risponde, sarcastica.
Non parla nemmeno con lui? Che cazzo ha combinato di così grave?
La curiosità mi ucciderà prima o poi. « È simpatico.» Lo conoscevo già da un po' in realtà. Ovviamente non le dirò in che modo ci siamo conosciuti io e Thomas.
Annuisce, visibilmente disinteressata. La mia presenta l'annoia? Sul serio? Nessuna ragazza ha mai reagito in questo modo davanti a me.
La cosa mi da parecchio sui nervi.
Forse sono solo indispettito e non accetto di non piacerle. Non sono simpatico, di questo ne sono consapevole. Ma mai nessuna mi ha guardato come se fossi l'essere umano più inutile e noioso sulla faccia della terra.
Arrivano i nostri caffè, lei ne beve subito un sorso e riprende a guardare fuori dalla vetrata. Ignorandomi completamente.
Stringo la tazzina stizzito dal suo comportamento. «Ti sto così sul cazzo?» sbotto.
Lei mi guarda con sufficienza. «Non sei di certo la simpatia fatta a persona. E poi, ti ricordo che mi hai dato della puttana. È già tanto che io ti stia dedicando un briciolo del mio tempo.»
Che piccola stronza.
Un sorriso mi tende le labbra. «Non ti ho dato della puttana. Quello che ho detto era tutt'altro. Stai forse cercando di farmi sentire in colpa?»
Sbuffa una risatina asciutta. «No, non sto proprio facendo niente. Non vorrei neanche essere qui, figurati», beve un altro sorso di caffè, nascondendo dietro la tazzina un sorriso beffardo.
Più fa così mi intriga. Ha qualcosa che mi attrae come la luce attira i moscerini d'estate. Più mi respinge, più io ci vado a sbattere. Sicuramente deve averlo notato e ci prende gusto nel prendermi per il culo. Be', mi piace.
«Non ti ho mica puntato una pistola alla tempia. Potevi rifiutare» adesso, è il mio turno di nascondere un sorriso dietro la tazzina.
Lei inarca un sopracciglio. «Mi avresti lasciata in pace?»
Scuoto il capo in segno di diniego.
«Ecco, appunto», posa la tazzina sul tavolo. « Non riesco ancora a capire il motivo del tuo invito. E non mi rifilare la stronzata che non c'è bisogno di un motivo per invitare una persona e bla bla bla», sventola il polso ossuto per aria.
«Perché mi sembri una persona sola» dico, ma me ne pento subito.
Cazzo Billy, hai proprio il tatto di un elefante. Idiota!
A lei però non sembra importare. Anzi, mi sembra di sentirla ridacchiare, mentre si scosta una ciocca di capelli dal viso. «Non ti sembro, lo sono», la sua espressione da dura vacilla appena pronuncia queste parole. Si schiarisce la gola e distoglie lo sguardo da me.
Decido di giocarmi la carta del giullare, ovvero: tentare di essere simpatico. « Immagino che le persone ti evitino perché te ne vai in giro in pieno luglio con le felpe, vero? Mi fa caldo anche solo guardarti.»
Arriccia il naso. «Ho freddo. Tutto qui. Non sono pazza né nascondo niente. Ho semplicemente freddo.»
«Freddo?» ripeto, stupito. «Ma fuori ci saranno almeno duecento gradi all'ombra!» Cazzo, quanto è strana. «Sei proprio stramba.»
«Lo so. Mi piace distinguermi dalla massa» ribatte, con calma.
«Un po' di sole non ti farebbe male, sai?» Perché inizio a parlare come un papà apprensivo? Gesù.
Mi lancia un'occhiataccia. «Disse Victor Van Dort dei poveri.»
Ma che cazzo?
Ridacchio. Glielo concedo. «Detto da Sally non è un offesa», sorrido.
Le sue labbra si incurvano appena all'insù. «Pensavo che non conoscessi questi film.»
Sgrano appena gli occhi. «Quando è uscito Nightmare Before Christmas, tu eri ancora dentro le palle di tuo padre. E nel 2005 avevi appena due anni. Che cavolo parli a fare?» la prendo in giro.
Questa volta, ride. Ride davvero. E la sua risata è dolce come il miele.
Gesù, ma che cazzo!? Da dove le tolgo queste frasi?
«Sei così sboccato, cazzo», si ammutolisce per poi scoppiare di nuovo a ridere. Forse ride solo perché è strafatta.
«Disse Biancaneve », continuo a prenderla in giro.
Scuote il capo, ancora ridacchiando. « No, Biancaneve no. È un chiaro riferimento alla mia tendenza da cocainomane?»
Merda. Potevo scegliere un'altra fottuta principessa? Dio, sono un completo disastro. «Non sono nessuno per giudicare, credimi. Io faccio di peggio.»
Ma sì, digli pure che ti inietti quantità spropositate di eroina nelle vene, dato che ci sei dille anche che hai avuto più overdose che orgasmi. Coglione.
Lei si schiarisce la voce. «Preferisco Merida.»
«Chi?»
Rotea gli occhi al cielo. «È una principessa. Ma forse sei troppo vecchio per poterla conoscere», mi canzona. «È quella con i riccioli rossi.»
«Perché proprio lei? Hai i capelli neri.»
«Noel è molto più sveglio di te, William», scuote il capo.
Ci metto qualche secondo per realizzare a cosa si stia riferendo. «Hai i capelli rossi?»
Annuisce. «Buongiorno...»
Come avrei dovuto saperlo? Ha i capelli neri e le sopracciglia... Le sopracciglia. Sono molto più chiare. Che idiota. Inoltre avrei dovuto intuirlo, visto che sia suo padre che suo fratello li hanno rossi.
Ora la mia attrazione per lei è schizzata alle stelle. Io ho sempre avuto un debole per le rosse.
Blocco in tempo la mia immaginazione prima che incappi in pensieri decisamente sconci. «Perché ti sei tinta di nero?»
Alza le spalle. «Volevo cambiare», la sua voce si affievolisce leggermente.
Ma che cazzo nasconde? Non sapere mi sta facendo impazzire.
«Ora capisco perché tuo padre ti ha voluta chiamare come una canzone di Bowie», dico.
Lei solleva le sopracciglia dicendomi di continuare con la mia teoria. «Capelli rossi e occhi eterocromatici» dico, sicuro di averci preso.
Scuote il capo in modo divertito. «Uno, Bowie non aveva i capelli rossi. Secondo, aveva gli occhi così perché da giovane aveva ricevuto un cazzotto in un occhio» puntualizza, impertinente.
Sventolo una mano per aria. «Vabbé, 'fanculo. Allora perché ti ha chiamata così?»
Alza una spalla. «In realtà non lo so. Lui dice che gli piaceva, tutto qui. Niente di particolare che io sappia.»
«Be', il mio secondo nome è Azrael», borbotto.
Sgrana appena gli occhi. «In che senso Azrael? Come l'angelo della morte?»
Annuisco. «Sì, mia madre era decisamente una pazza furiosa», farfuglio e spero che non mi faccia altre domande a riguardo.
Lo so, io mi sono impicciato dei cazzi suoi per primo. Ma la mia situazione è un po' diversa.
Invece, non fa nessuna domanda scomoda.
Il telefono vibra nella tasca dei miei jeans facendomi vibrare anche le palle.
Infilo una mano nella tasca e lo afferro.
È Noel, ha finito la seduta.
Non mi sono nemmeno reso conto che fosse già passata un'ora. Il tempo con la ragazzina stramba è volato in fretta.
Io: Vieni al bar nell'angolo, sono qui.
La sua risposta arriva subito.
Noel: Perché dovrei venire lì? Voglio tornare a casa e vederti il meno possibile.
La voglia di andarlo a prendere a cazzotti è tanta. Mio fratello è peggio di una zecca, cazzo.
Guardo Blue che nel frattempo si è persa di nuovo. «Noel ha finito... come mai tu non hai partecipato?» In effetti lei sarebbe dovuta essere seduta in quel cerchio di strambi.
Scrolla le spalle. «Non avevo voglia. Quando succede così, vado in terrazza. Comunque okay, tanto stavo per andare via.»
Bugiarda.
Noel: Se entro cinque secondi non vieni qui, torno a piedi.
Impreco i peggiori insulti rivolti a Noel e mi alzo in piedi. Lei fa lo stesso. Prima di andare via, pago il conto. Ignorando la nana che insiste nel pagare lei.
« Non diventerò povero per aver speso cinque sterline, rilassati», prendo il pacchetto delle sigarette e ne offro una anche a lei. Stranamente accetta senza rompere il cazzo.
Camminiamo in silenzio fino allo studio.
Quando Noel ci vede arrivare insieme, strabuzza gli occhi. «Oddio, anche tu sei stata Williammizzata» dice, rivolgendosi alla nana da giardino accanto a me.
Entrambi lo guardiamo col sopracciglio inarcato.
Blue sbuffa il fumo. «Di cosa cazzo stai parlando?»
Mi fa piacere sapere che riserva lo stesso trattamento a tutti, nessuno escluso. Infatti sorrido sotto ai baffi. «Lascialo perdere» dico, rifilando un'occhiataccia a Noel.
Lei scrolla le spalle. «Vi lascio perdere entrambi adesso. Devo andare. Ci becchiamo.» Si volta e va via senza neanche darci il tempo di replicare.
Sia io che Noel la guardiamo svoltare l'angolo con la stessa espressione stampata sul viso. «È proprio schizzata», borbotto.
Noel schiocca la lingua. «Ma se si vede sin qui quanto vorresti sbattertela. A te se non sono schizzate non piacciono. Adesso apri questa cazzo di macchina che devo continuare a non rivolgerti parola» detto ciò, rimane sul serio in silenzio.
Non ha ragione. Non voglio sbattermela. O forse sì? No, assolutamente no!
È svitata come pochi quella ragazza.
Allora perché mi ritrovo a sorridere come un ebete mentre metto in moto la macchina? Forse perché sono svitato tanto quanto lei.
Ma no, non voglio scoparmela. Affatto.
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