♬ ~ 4.2 ɪ ʜᴀᴠᴇ ʙᴇᴄᴏᴍᴇ ᴄᴏᴍꜰᴏʀᴛᴀʙʟʏ ɴᴜᴍʙ

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Per un momento penso di avere dei cuoricini al posto degli occhi. Lo sto fissando a bocca aperta, ne sono consapevole, non riesco a chiuderla però. Sono davanti ad una rockstar, ci sono stata dal momento in cui ha iniziato a cantare e suonare.

Suonare è un termine troppo superficiale per descrivere la bravura di William. Avvicina le dita alle corde della chitarra, apre bocca e l'intero mondo cambia. Il mio cambia. Tutti i miei problemi, le paure, il senso di oppressione al petto, il nodo in gola sono stati trascinati via. Ci sono solo suoni, musica, emozioni. Le sue emozioni. Malinconiche, bellissime e tormentate come le mie.

Dubito che quelli che sono sotto ai suoi piedi, si stiano rendendo conto di quello che sta succedendo dentro quel ragazzo. Ma io lo vedo. Lo vedo in tutto il suo malinconico splendore.

Ecco a cosa mi riferivo prima: alcune persone riescono a esprimere quello che hanno dentro attraverso la musica.

Dal vivo ha una voce ancora più meravigliosa. Non è montata o esagerata. È puro cioccolato, denso e morbido, una carezza soffice sulla curva del mio collo, il fremito di un milione di farfalle che mi svolazzano nello stomaco. William Gilmour canta come se ti stesse confidando un segreto, come se volesse confessarti il suo stato d'animo. Un segreto che solo tu hai la fortuna di conoscere.

Mentre canta smembra il mio mondo. Il mio cuore diventa una ferita esposta, e devo sbattere velocemente le palpebre per non piangere, di nuovo.

Lui però, non nota niente. È perso nel suo mondo. Solo suo. Tiene gli occhi bassi, le ciglia lunghe gli nascondono lo sguardo. E io in questo momento desidero tanto guardarlo negli occhi.
Suona con disinvoltura.  A ogni verso, ogni accordo, le dita mi affondano nella coscia, la gola si gonfia e diventa più stretta. Potrei essermi innamorata di lui in questo istante, in questo preciso, minuscolo, momento.

Innamorata perdutamente, dolorosamente.

So perfettamente che è solo un'illusione, la prova di quanto sia immensamente bravo.
So che appena smetterà quest'incantesimo si spezzerà. Ma questo, non lo rende meno intenso.

In questo momento capisco perché fosse così tanto importante per lui far ascoltare quel disco a mio padre. Mi sento davvero bene sapendo di averglielo recapitato.
Nonostante sia un po' persa, so ancora riconoscere un talento. E lui, lo è. Cazzo se lo è. Spero vivamente che anche mio padre senta e provi quello che ho provato io mentre l'ho ascoltato per la prima volta.

Arriva all'ultimo ritornello della canzone, una canzone che credo appartenga a loro, la voce diventa più rauca, le dita volano sulle corde, la musica si fa più concitata, veloce, disperata. Sta cadendo a pezzi e nessuno riesce a vederlo. Il sudore gli cola lungo il sopracciglio.
Faccio per alzarmi ma resto immobile, scaccio via quell'irrefrenabile voglia di salire su quel palco e stringerlo in un abbraccio. Mi prenderebbe sicuramente per pazza e, molto probabilmente mi lancerebbe giù dal palco come se fossi una di quelle groupie asfissianti.

Gli accordi strepitano, la sua voce si spezza. L'ultima nota si spegne in maniera goffa, aleggia nell'aria nonostante si sia interrotta bruscamente.
Lui resta immobile: non è più a pezzi. È tornato l'essere arrogante con tanto di ghigno stampato su quelle bellissime e peccaminose labbra. Nessuno sembra aver notato niente e lui sembra esserne felice.

Forse la sua parte vulnerabile emerge solo quando si perde nella sua musica.
Però noto che gli trema la mano mentre si passa le dita fra i capelli e lancia sguardi in ogni angolo della stanza, come se stesse cercando una via di fuga.

Ti ho visto William. Ho visto dove ti nascondi.

Il breve silenzio che è calato nella sala viene squarciato quando tutti iniziano ad applaudire, loro tre si inchinano davanti al pubblico e poi scendo dal palco, lasciandosi dietro una scia di applausi e fischi di apprezzamento.

Quando tutti e tre raggiungono il bancone del bar, lui sembra ancora un po' scosso, ma riesce a camuffarlo passandosi una mano tra quei frammenti di luna e indossando un'espressione arrogante.
Sono poco distanti da noi. Lui però solleva lo sguardo e mi guarda. Passa a rassegna tutto il mio corpo mentre me ne sto seduta sullo sgabello e i miei piedi ciondolano a mezz'aria. Istintivamente stringo le dita attorno al bicchiere e distolgo lo sguardo. Non mi stava guardando come se gli piacessi. In qualche modo sembrava che volesse a tutti i costi leggermi dentro, spolparmi.

A quanto pare però lui non accetta che io abbia distolto lo sguardo. In un batter d'occhio me lo ritrovo a pochi centimetri di distanza in tutta la sua possente altezza.
Sento il suo sguardo pungermi su un angolo del mio viso. Non ho bisogno di guardarlo per vedere che sta sogghignando in quel modo beffardo. Lo sento, lo percepisco in ogni muscolo del mio corpo.

Si avvicina ancora un po', il suo fianco sfiora il mio ginocchio e mi ritraggo come se mi avesse appena punto.

Quando mi sfiora ancora una volta, di proposito, mi decido ad alzare la testa.

«Allora, come siamo andati?» Mi chiede, guarnendo quella domanda con un sorriso ammaliante che gli fa spuntare quelle bellissime fossette ai lati della bocca e ridurre me e le mie budella in gelatina.
Sono certa che non abbia bisogno di sentirmi dire quanto bravi siano stati o quante sensazioni mi abbiano fatto provare. Lui sa di avere tutte le carte in regola per diventare una rock star.

Raddrizzo la schiena. «Perché me lo stai chiedendo se sai già la risposta?»
Si appoggia al bancone e piega la testa da un lato. «Vorrei sentirtelo dire.»
«Per far accrescere il tuo ego già spropositato?» Replico, spiritosa.

Quelle labbra si piegano leggermente all'insù in un sorriso che però non vuole concedermi. «Può darsi. Andiamo, dillo, Blue.» Il modo in cui pronuncia il mio nome mi fa venire la pelle d'oca. «L'ho visto con i miei occhi, l'effetto che ti ha fatto la mia voce» sussurra, in prossimità del mio orecchio.

Muoio dalla voglia di mantenere il mio atteggiamento ribelle e sprezzante, ma sono certa di non poter reggere il suo strano giochetto. Non oggi. 
Bevo subito un altro sorso e spero che mentre il liquido fresco scivola nella mia gola, io riesca a trovare una frase di senso compiuto.

Questo ragazzo è un genere di figo nel quale dubito fortemente che mi potrei imbattere di nuovo.  La sua padronanza di sé mi innervosisce e mi affascina al tempo stesso. Con quegli occhi è in grado di incasinarmi ancora di più i sensi e mi sembra anche di sentire roventi lingue di desiderio lambirmi lo stomaco.

«Non siete male» bofonchio, ricordandomi che stava aspettando una risposta da parte mia.
Lancia un sorriso spazientito nella mia direzione sembra già averne avuto abbastanza di me. È un po' strano e scostante il suo atteggiamento. Mi fa capire che gli da fastidio avermi qui. Eppure, è stato proprio lui a invitarmi.

Lui si china su di me invadendo il mio spazio personale, solleva una mano e con il pollice sfiora una borchia che spunta dalla collana che indosso. Ovviamente sfiorando la mia pelle di proposito. Basta questo stupido tocco e il mio corpo prorompe in brividi violenti.

Sono troppo abituata ad avere un approccio sbagliato e malsano con i ragazzi. Ammetto che per un momento mi balena l'idea di andarci a letto. Per fortuna riesco a riprendermi e a scacciare via questo pensiero malato e innaturale dalla mia testa.

Lui si sporge in avanti, le labbra sempre in prossimità del mio orecchio, e sussurra: «Ti va di fare un tiro con me?»

Un tiro di cosa? Un tiro a canestro? Un tiro al bersaglio?

È una semplice domanda. Eppure a me sembra la proposta più sconcia del mondo. Che problemi ho?

«No» sorrido, rivolta a quel che resta del mio cocktail alla frutta.
«So che lo vuoi» sorride, sicuro di sé. « E poi, devo parlarti. Quindi alza quel bel culetto e vieni con me.» Questo ragazzo riesce ad essere  laconico, brusco e distaccato nello stesso momento.

Per qualche strano motivo, non riesco a trovarlo maleducato. Solo un po' fastidioso.

Poso il bicchiere sul bancone e scendo dallo sgabello, sperando di non sembrare un bradipo che scende pigramente da un ramo. «Ci stai provando con me, oppure vuoi farmi fuori e poi sbarazzarti del mio corpo?»

Lui sorride. Un sorriso che non ho mai visto su un volto umano. Talmente predatorio che sento le pareti del mio sesso contrarsi a vuoto. «Vieni e lo scoprirai.»

«D'accordo, andiamo a farci un tiro» borbotto, sperando di fargli capire che non sono del tutto contenta di allontanarmi insieme a lui.
Gli spunta un sorriso trionfante sulle labbra. «Bene, seguimi.»

In silenzio, e sotto lo sguardo sorpreso di Roxy e degli amici di William, lo seguo. Ci facciamo strada tra le persone. Anzi, è lui che apre un varco in mezzo alla gente, che si fanno da parte come se stesse passando una divinità. Come quando Mosè aprì le acque.

Mi conduce in quello che immagino essere il suo ufficio. Apre la porta e si sposta di lato per farmi entrare, poi la richiude alle mie spalle.

«Perché non andiamo fuori?» Chiedo, mentre lui si siede sulla poltrona nera dietro la scrivania. Questo ufficio è piccolo e molto, molto claustrofobico.

Solleva appena lo sguardo, intento a trafficare con qualcosa dentro al cassetto. «Perché fuori fa caldo. Qui almeno c'è fresco» risponde, distaccato.

Davanti a me c'è una sedia. Vorrei sedermi, ma per qualche strano motivo non riesco a schiodarmi da qui.

Lui solleva la canna e fa guizzare la lingua per leccare la cartina. I miei occhi seguono il gesto mentre lui mi guarda dritto negli occhi.

Cazzo, è sexy anche mentre lecca una cartina.
Lo sa di essere così attraente? Certo che lo sa. Trasuda illusione e sicurezza da ogni poro del suo corpo perfetto.

«Non ti siedi?» Dice, facendo scattare l'accendino. La fiamma gli accende gli occhi in un modo che quasi mi mozza il fiato. Un bellissimo ed intrigante mix tra ghiaccio e fuoco. Paradiso e inferno.

Mi siedo e accavallo le gambe. Lo becco in pieno a guardarmi le cosce. Istintivamente abbasso l'orlo della maglietta cercando di coprirmi il più possibile.

Mi passa la canna e io ne faccio subito un tiro, sperando che riesca a calmarmi. «Tuo padre sa che fumi?»
Aggrotto la fronte. «Siamo qui per parlare di questo? E poi, sono maggiorenne. Anche lui si è fatto le canne alla mia età.»
Credo, non ne sono sicura, dato che quando aveva la mia età, aveva già Thomas e anche me.

Mi osserva attraverso un velo di indifferenza. «Tu non ti fai solo le canne» dichiara in tono asciutto.
Inarco un sopracciglio. «Che fai, mi spii?»
Lui resta impassibile. «No. Non ti spio. Ma riconosco una persona che fa uso di droghe.» Usa le parole come un'arma. Ogni sillaba un attacco spietato.

Alzo le spalle. «Quindi? Lo fanno tutti», mi difendo. «Poi, non vedo come possa interessarti di quello che faccio.»

Per qualche secondo su di noi cala il silenzio, ma io per poco non annego nel casino dentro la mia testa. Inizio a pensare che sia stata una pessima idea quella di chiudermi con in questo spazio troppo ristretto, con una persona tanto ingombrante.

Si sporge in avanti e mi strappa di mano la canna facendone un lungo tiro prima di buttarmi il fumo in  faccia. «Perché lo fai? Sei così giovane.»

Sento la mia anima ribelle morire un po'. «Tu neanche mi conosci, William. E per la cronaca; quando dovrei farle queste cose, a ottant'anni? E smettila di parlare come se fossi un uomo vissuto. È fastidioso.»

Lui ignora la mia nota sarcastica. «La droga ti brucia il cervello.»

Gli rivolgo un sorriso forzato. «Ne sai qualcosa, vero? Oppure lo dici solo perché ti senti in diritto di fare la parte dell'adulto? Be', lascia che ti dica che tu hai ben poco di "adulto". Ti comporti come un ragazzino irritante e annoiato. Questo non è di certo il comportamento di una persona che si reputa tanto cresciuta.»

Dalla sua gola risale una lenta risatina, per niente divertita. «Lo dico per te», alza le spalle. «Potresti incappare in qualche guaio, se continui a calarti di tutto.» La sua attenzione si sofferma sulle mie labbra e quel sorrisetto sghembo torna a farsi vedere.

«Stai parlando di te stesso, per caso? Mi stai mettendo in guardia da quelli come te?» lo stuzzico, quando invece dovrei solo tapparmi la bocca.
Scuote pigramente il capo, mentre tiene la canna tra le labbra. «No, non da quelli come me. Però io so quello che fai.»

Il calore mi divampa sulle guance e mi ritrovo a guardarlo storto. «Di cosa stai parlando?»
L'espressione di William rimane impassibile. «Lo sai benissimo.»

«No, non lo so, dato che io non ti mai visto prima d'ora in vita mia», sputo acida.
«No, hai ragione. Io e te non ci conosciamo affatto. Ma tu e Sid, sì.»

Okay, sono confusa. «Chi cavolo è Sid?»
Mi rifila un sorrisetto beffardo. «Il mio batterista. Davvero non lo ricordi?»

Gesù. Qualcosa mi dice di non fare altre domande. «No, non so di cosa stai parlando.»
Alza gli occhi al cielo. «Okay, ti rinfresco la memoria; avete scopato, Blue Jean. E tu eri completamente e totalmente devastata.»

Cosa? Per un attimo penso che mi stia prendendo in giro, ma dal suo sguardo serio, capisco che non lo sta facendo.

Alzo comunque le spalle con disinvoltura. «Okay, e quindi? Vuoi venire anche tu a letto con me?» Mi infliggo uno schiaffo mentale per convincermi a smettere di fare l'idiota.

Piega leggermente le labbra in un ghigno. Si sporge in avanti e i nostri nasi quasi si sfiorano.« Sono un gran figlio di puttana, ma non scoperei con te nemmeno se fossi l'ultima ragazza sulla faccia della terra. Sono certo che non me lo faresti venire duro in nessun modo.»

Sbatto le palpebre sorpresa dalle sue parole. È volgare, grezzo e stronzo.

Mi allontano leggermente da lui nascondendo ai suoi occhi il fatto che le sue parole mi abbiano leggermente ferita. Non del tutto, solo un po'. «Chi ti dice che io verrei a letto con te?» sbotto. « Te l'ho già detto: non sei il mio tipo. Sai, i biondi non mi hanno mai attratto. A meno che quel biondo non sia Billy Idol, ma lui, non è biondo naturale» sorrido, contenta di aver risposto a tono, con la stessa arroganza.

Sogghigna. «Quindi ti piacciono i vecchi? Ti ci vedrei bene a lavorare in geriatria nelle vesti di una infermiera sexy.»
Il mio cuore sussulta appena. «Hai appena detto... Com'è che ora mi trovi sexy? »

Scuote il capo, mentre spegne la canna – che solo lui ha fumato- nel posacenere. «Non ti trovo affatto sexy. Sei strana e sciatta. Scopare con una che resta inerte sotto di me, non sarebbe piacevole.»

Sento la rabbia ribollirmi dentro le vene e propagarsi su tutto il mio corpo come un prurito incandescente. «Te l'ha detto il tuo amico?»

Inclina il viso da un lato e mi rifila uno di quei sorrisi beffardi. «Sincero? Sì. Anche noi maschi parliamo di queste cose, sai?» Fa una pausa. «Comunque, volevo parlarti di un altra cosa, questa era solo una piccola parentesi.»

«Dimmi», ringhio tra i denti.

«Tuo padre vuole vederci. Ha ascoltato il cd e gli siamo piaciuti. Volevo solo come dire, pregarti di non aprire bocca con lui su quello che hai fatto con il mio batterista.»

Le sue parole mi piombano addosso come una secchiata di acqua gelida. «Tranquillo, non dirò nulla.»
Poi perché dovrei sbandierare ai quattro venti cosa combino quando sono fuori di me? Provo già una vergogna assurda, tanto che mi viene persino una nausea pazzesca.

«Bene, grazie ancora del piccolo aiuto» dice, i suoi occhi si increspano accesi da un crudele scintillio. «Ora, non abbiamo più un niente da dirci, ti consiglio solo di avere un po' più di rispetto per te stessa. Come hai visto, le voci circolano velocemente.»
«Perché non ti fotti?» Sbotto, incazzata alzandomi in piedi.
Devo uscire da questo maledetto ufficio.

Lui non smette di sorridere in quel modo irritante. «Vuoi fottere anche me? Andiamo Blue, te l'ho detto; non mi piacciono le ragazzine che la danno a tutti.»

Lo guardo in cagnesco, le labbra serrate. «Non te la darei neanche se fosse una questione di vita o di morte, stronzo!»

Alza le spalle, con indifferenza. «Tranquilla, se voglio scopare in modo noioso, potrei sempre comprarmi una bambola gonfiabile.»

Faccio qualche passo indietro pronta a scappare via da questa stanza che sembra diventare sempre più stretta. «Bene, buona fortuna, Gilmour.»

Ogni traccia di divertimento abbandona il suo viso. «Buona fortuna anche a te.»

Esco rapidamente dal suo ufficio e mi richiudo la porta alle spalle. Mi ritrovo a rilasciare un lungo respiro, come se lo avessi trattenuto per tutto il tempo che mi trovavo lì dentro con lui. Sono furiosa. Provo una vergogna assurda e soprattutto mi faccio ancora più schifo.

Ho la certezza che in questo periodo sto rasentando la pazzia pura e che dovrei darci un taglio con le puttanate. L'ultima cosa che voglio è che mio padre venga a sapere che sua figlia se la fa con tutti. Anche se ci ha pensato mio fratello a mettergli la pulce nell'orecchio.

Dovrei seriamente farmi internare in un manicomio di massima sicurezza con tanto di camicia di forza, almeno evito di combinare altri casini.

Torno da Roxy e fortunatamente sta parlando con Bree e non sembra aver bevuto alcolici in mia assenza, se la testa non mi sta giocando brutti scherzi, quello che sta tenendo tra le mani è un bicchiere d'acqua.

Le poso una mano sulla spalla per attirare la sua attenzione. «Andiamo? Sono stanca.»

«Wow, siete stati velocissimi» ridacchia, coinvolgendo anche Bree.
La guardo male. Non ho voglia di scherzare, non dopo che quella conversazione con William mi ha prosciugato l'ultima briciola di energia. «Voglio tornare a casa», sospiro.

Beve tutto d'un sorso il contenuto del bicchiere e lo posa sul bancone. Scende dallo sgabello. «Okay, andiamo.» Si volta verso Bree e la saluta. Anche io la saluto con un cenno della mano.

Mentre trascino Rox verso l'uscita, il mio sguardo incontra quello di un ragazzo. È seduto accanto a Joey, e deduco che sia proprio Sid. Mi sorride, e io devo frenare l'impulso di andare lì da lui e schiaffeggiarlo davanti a tutti i presenti. Come cavolo si è permesso di andare in giro a dire quello che abbiamo fatto? Dio, non ricordare è stressante. Io non lo ricordo proprio.

Gli lancio un'occhiataccia prima di proseguire verso l'uscita.

Appena raggiungiamo la nostra macchina, Roxy mi guarda con aria preoccupata. «Va tutto bene?»
«Sì» farfuglio, distrattamente.

Appena apre l'auto mi fiondo sul sedile.
Ma Roxy rimane seduta accanto a me a fissarmi con insistenza. «Blue, guardami», sospira.
La guardo, proprio come mi ha chiesto. «Che c'è?»
«Stai bene?»
Annuisco. «Certo, perché dovrebbe essere il contrario?»

Mi guarda un'ultima volta, poi si gira e mette in moto. «Cavarti le parole di bocca è impossibile. Alcune volte penso di esserti antipatica. Se così fosse, ti pregherei di dirmelo.»

Ed eccolo qui, il senso di colpa che mi schiaccia al centro del petto. «Ma che dici? Certo che non mi stai antipatica! È solo... un periodo strano per me.»

Vorrei tanto dirle altro qualcosa. Ma che cosa?
Se mi avesse conosciuta otto mesi fa, sarebbe stato tutto più facile.

Esce dal parcheggio e prende subito l'autostrada. «È che alcune volte... sei strana, persa chissà dove. So che non sono nessuno di importante per te, che ci conosciamo da poco. Ma...», sospira. «Non so niente di te ed è strano, capisci? Non conoscere chi lavora per me, è strano!»
«Mi dispiace, Rox», dico sincera. « É che non c'è molto da dire su di me.»

«Almeno posso sapere dove vai con la mente quando ti isoli da tutto quello che ti circonda? Pensavi che non lo avessi notato il modo in cui ti dissoci da tutto o quando ti presenti in condizioni pietose a lavoro?» Sbotta, ma non è arrabbiata. Sembra più preoccupata per me.

Mi pento nell'esatto momento in cui pronuncio queste parole. «Non siamo amiche e la mia vita privata non ti riguarda.»

Lei serra la mascella e continua a fissare la strada davanti a noi.

Perché cazzo continuo a comportarmi in questo modo con le persone che sembrano tenerci a me? Che cosa ho di sbagliato?

Sospiro. «Rox mi...»

«Non fa niente Blue Jean, ho afferrato il concetto», mi interrompe.

Decido di tacere. Rimediare in questo momento alla mia cazzata non avrebbe senso. Alcune volte dovrei soltanto mordermi la lingua e tacere. Invece no, devo sempre scaricare la mia frustrazione su gli altri. Perché non sono altro che una fottuta egoista del cazzo.

Spero con tutto il cuore che Roxy mi licenzi o che non mi rivolga più una parola. È quello che mi merito. Merito che ogni singola persona che abbia la sfortuna di imbattersi in me, mi volti le spalle lasciandomi sola.
Merito di stare sola per sempre.

Per tutto il tragitto restiamo il silenzio ed è chiaro che vuole liberarsi di me.
Appena ferma l'auto davanti a casa mia, resta con lo sguardo fisso sulla strada. «Buona notte», dice in tono distaccato.

Scendo dall'auto e mi chino per guardarla in viso. «Scusami tanto Rox. Notte.» Chiudo lo sportello ed entro dentro casa mia.

Poso lo zainetto sul letto e poi mi butto di peso sul materasso. Questa giornata non poteva che concludersi in modo peggiore.
E non posso neanche incolpare nessuno. È tutta colpa mia. Solo mia e delle mie pessime decisioni.
Mi deve servire da lezione. La prossima volta, ci penso due volte prima di andare a letto con uno sconosciuto.

Certo, non potevo immaginare che quello sconosciuto poi si sarebbe rivelato amico di William Gilmour. Non avrei neanche lontanamente immaginato di incontrare William stesso. Che coincidenza del cazzo.

Il mio è proprio un destino triste e ridicolo.

Il trillo del mio telefono mi desta dai miei pensieri.
Lo cerco a tentoni sul letto e guardo la notifica.

È William. Vuole ancora umiliarmi?

Giuro che voglio cancellare il messaggio senza neanche leggerlo. Ma la mia curiosità è troppa. Prima o poi mi ucciderà, la curiosità.

William: Spero che tu non te la sia presa per quello che ho detto.
Certo, forse ho sbagliato un po' i modi.

Sul serio, con quale faccia tosta ha avuto il coraggio di scrivermi questo messaggio?

Io: Okay. Non c'era bisogno che tu mi cercassi.
Notte.
William: Giusto, per un attimo mi ero scordato di quanto fossi acida.
Be', volevo e l'ho fatto.
Io: Non m'interessa!
Credo che tu abbia umiliata abbastanza, e ti sarei infinitamente grata se smettessi di cercarmi e di parlarmi.
William: Che ho detto di male?

È serio?

Io: Sei serio? Mi hai velatamente fatto capire che non mi vedi altro che come una puttana!
Seriamente, non voglio più avere niente a che fare con te.
William: Esattamente quando ti avrei dato della puttana? Ti ho solo consigliato di avere un po' più di rispetto verso te stessa.
Come hai potuto vedere, il mondo è piccolo e la gente mormora.
Io: Grazie del consiglio.
Ora lasciami in pace.
Notte.

Alla fine sicura che non mi lasci in pace, lo blocco all'istante.

Ha ragione però; il mondo è piccolo. E a quanto pare i ragazzi hanno lo stesso livello di pettegolezzo delle ragazze.

Annoto un promemoria per la futura me: non andare più a letto con nessuno e concentrati su te stessa, credimi: ne hai bisogno.

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