♫ ~ 36.2 ʏᴏᴜ ɢᴏᴛ ᴍᴇ ꜱᴏ ɪ ᴅᴏɴ'ᴛ ᴋɴᴏᴡ ᴡʜᴀᴛ ɪ'ᴍ ᴅᴏɪɴ'

🔥SCENE ESPLICITE (😆)🔥

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All'inizio non capisco di chi si tratta, dato che indossa una felpa nera e il cappuccio sulla testa. Però mi basta abbassare lo sguardo sulle sue mani per capirlo. Non so che cosa ci fa davanti alla porta di casa mia. Ma c'è qualcosa che non va. Il modo in cui tiene la testa inclinata non è tanto naturale. Mi inginocchio davanti a lui, lo scuoto appena dal braccio ma lui non si muove. Non emette nessun suono. 

Vado subito nel panico. Gli sollevo il viso e mi rendo conto che è più freddo del ghiaccio. Ha le labbra un po' cianotiche e cosa più importante: non si muove.

Lo scuoto con più forza. «William!» la mia voce inizia a tremare.

Che cavolo ha? Perché non risponde? 

Cerco di tirarlo su ma è impossibile, non ce la faccio da sola. «William», lo richiamo.
Gli accarezzo la guancia e il suo corpo risponde con un flebile tremito. Gli poso due dita sul polso, anche se non so nemmeno che cosa sto facendo. Riesco a sentire il suo battito, sembra debole, non ne ho idea.

Accidenti, non sono un medico e non so che cavolo ha!

Sto andando nel pallone e non mi sembra il momento di farmi prendere dal panico.

Tiro fuori il telefono dalla tasca della giacca di pelle. «Chiamo l'ambulanza.»

Si muove appena, penso che stia per svegliarsi, invece vomita. Mi vomita addosso. In un'altra occasione mi sarei infuriata. Ora... voglio solo che mi dica che cavolo gli prende. Non l'ho mai visto in questo stato e inizio seriamente a farmela sotto.

Un pensiero che si fa strada dentro la mia testa, mi fa accapponare la pelle.

È in overdose? 

Che cosa dovrei fare?

Chiamare l'ambulanza sarebbe la cosa ideale, che ne dici?

Lui però si accascia ancora di più, rischia persino di strozzarsi con il suo stesso vomito. Cerco di sollevarlo e di non pensare al fatto che mi stia vomitando tutto il vestito. Dio mio. 

Lo tengo leggermente sollevato e lui si lascia totalmente andare tra le mie braccia facendomi cadere a terra.

«Ti prego, dimmi che cos'hai», lo supplico. Sento gli occhi pizzicare, la voce mi si incrina. Ho paura. 

William trema tra le mie braccia, è scosso da violenti tremiti e non la smette di vomitare. Con una mano cerco di reggerlo, con l'altra prendo di nuovo il telefono. Cerco di comporre il numero delle emergenze ma lui mi colpisce la mano facendomi scivolare il cellulare dalla mano.

Abbasso lo sguardo su di lui. «Smettila», lo supplico. «Devi andare in ospedale, io non so che cosa ti sta succedendo!» alla fine scoppio a piangere. 

Scuote il capo, debolmente, quasi un gesto impercettibile. «No... niente... niente ambulanza...» farfuglia. 

È impazzito per caso? Morirà!

«Stai male, lo capisci?» sbotto tra le lacrime.

Scuote di nuovo la testa. Per lo meno, ha smesso di vomitare. «Sto... sto bene.»

Ha anche il coraggio di dire che sta bene? Ma che cavolo gli dice il cervello a questo ragazzo? 

«No, non stai bene. Stai tremando e hai vomitato. Hai vomitato anche sopra di me!» tiro su col naso. Non riesco a reggerlo in questa posizione. È pesante e mi sta schiacciando. 

«Scusa... Pudding...» mormora. 

Sospiro, sollevando lo sguardo verso il cielo grigio. Fa freddo e ci ammaleremo entrambi, lui anche di più, dato che sta sudando come se fosse piena estate.

«Non fa niente, per favore, lasciami chiamare l'ambulanza», infilo una mano sotto al cappuccio e gli accarezzo i capelli. Sono fradici. 

Scuote di nuovo la testa. «No, tra poco starò bene», sussurra. 

«Che cosa hai fatto?» chiedo, anche se è più che ovvio quello che ha fatto. 

Non risponde. Per un breve momento sembra anche che stia russando. Allora io lo scuoto per impedirgli di farlo. «Non dormire», lo supplico. « Ti prego, dimmi che cosa devo fare. Ho paura», scoppio di nuovo a piangere. 

Lui posa una mano gelida sulla mia, cerca di stringerla ma non ne ha nemmeno le forze. «Non piangere, piccola.»

Certo, perché è normalissimo trovarsi un ragazzo davanti alla porta di casa in queste condizioni. 

Vederlo così mi destabilizza. Forse ho dato poco peso alla sua dipendenza, ora però mi è chiaro che quando ha detto di essere un tossico dipendente non stava mentendo. Lui lo è, a tutti gli effetti. Dovrei chiamare l'ambulanza e lasciare che lo portino via. Chiamare i suoi amici, i suoi fratelli e lasciare che ci pensino loro. Magari lasciare che lo rinchiudano in un centro di disintossicazione. Sarebbe la cosa giusta da fare, no? 

Invece mi ritrovo a stritolarlo tra le mie braccia cercando di scaldarlo come meglio posso. Perché ho appena realizzato, seduta con lui sopra di me, tra il vomito e con l'aria fredda che ci sta congelando entrambi, che io tengo a questo ragazzo. Gli voglio bene. Il solo pensiero che lui possa farsi talmente male fino a morire mi logora dentro. 

Io ci tengo più del dovuto a questo coglione. 

Lo cullo tra le mie braccia fregandomene di stare singhiozzando come una bambina. «Ti prego William... promettimi che non lo farai mai più. Ti prego. Promettimelo.»

Accarezza le mie nocche con il pollice, lentamente. «Non posso promettertelo, Blue. Lei mi ha in pugno e io non sono abbastanza forte...» sussurra con un filo di voce. 

Lo stringo più forte, a un certo punto credo anche che gli manchi il respiro. «Tu sei forte, lo sei, cazzo! Ti prego, non farti più del male. Ti supplico, io... io ci tengo a te, okay?» quasi glielo urlo in faccia.

Emette un suono simile a una risatina. Anche in questo pessimo stato ha il coraggio di ridere. È proprio pazzo.
«Lo so che ci tieni a me. Ormai non puoi fare a meno di me...» fa una pausa e io per paura che stia svenendo lo scuoto dalle spalle. Inizia a tossire forte, sputa tantissima saliva. Io non so che fare.
Poi smette, improvvisamente. «Ci tengo anche io a te... più di quanto vorrei davvero.»

Sicuramente quando tornerà lucido nemmeno si ricorderà di queste parole. Ma io sì. 

Inspira bruscamente e poi butta fuori l'aria. Sembra che stia facendo una gran fatica a parlare. «Tu mi stai entrando dentro Blue. E io lo odio. Ti odio per questo. Mi odio. Odio anche il fatto di sapere che esci con altri ragazzi, cazzo», sussurra. Il cuore prende a sbattermi furiosamente contro le costole. «È tutto sbagliato. Dovrei solo starti lontano... ma non ci riesco. Io non voglio starti lontano, ma devo. Perché non voglio trascinarti nella mia vita di merda...», sospira. «Sei l'unica amica che ho avuto e di cui mi fido ciecamente. Anche se mi fai incazzare.»

Amica. Ha detto che sono sua amica? Allora perché gli da fastidio se esco con altri ragazzi?
Dio, sono confusa.
Ma ora non voglio neanche pensarci. 

Ignoro le sue parole. Non sa neanche quello che sta dicendo adesso. «Riesci ad alzarti? Se non vuoi andare all'ospedale almeno entriamo dentro casa. Fa freddo e tu sei sudato», mormoro. 

Annuisce solamente e capisco che sta acconsentendo a entrare dentro casa. 

Ci impiego un'infinità di tempo a tirarlo su. Lui si accascia su di me e per poco non cadiamo tutti e due dalle scale. Per fortuna riesco a tenerlo. Non so nemmeno come, riesco ad aprire la porta di casa. Lui barcolla da una parte all'altra, rovescia alcune cose a terra facendo spaventare il gatto. Farfuglia delle scuse che nemmeno voglio. Sono infuriata con lui. Ma ne parleremo domani.

«Devi fare un bagno, siamo ricoperti di vomito», dico. Lo reggo a malapena e le braccia stanno per cedermi. 

«Scusa... scusa...» lo ripete svariate volte. Ed è davvero esilarante sentire William Gilmour chiedere scusa. In un altro momento, avrei tirato fuori il telefono e avrei immortalato questo momento per avere delle prove. Ora invece voglio solo che si riprenda. 

Quando accendo la luce del bagno mi prende un colpo. È pallidissimo e le labbra sono completamente blu. Il mio cuore perde un battito. Credo di non averlo mai visto così vulnerabile e spero di non vederlo mai più.  Lo preferisco quando si comporta da stronzo lunatico.

Riesco a levargli i vestiti e lui, con la poca forza che ha, mi aiuta a infilarlo nella vasca. Apro subito l'acqua calda e spero di riuscire a scaldarlo. Sta tremando davvero tanto, non ho mai visto una persona tremare in questo modo. Sto seriamente rivalutando le mie pessime abitudini con la droga. Non voglio arrivare a questo punto. È spaventoso. 

Essere succube della droga fa paura. 

I miei occhi si posano sulle sue braccia. Ci sono tantissimi nuovi buchi e altri su cui si sta formando una crosta.
Piango di nuovo davanti a questa vista orribile. Ha le vene letteralmente martoriate. 

Guardo lui, tiene la testa appoggiata contro il bordo della vasca, gli occhi chiusi e un espressione per niente serena sul viso. Credo che gli stia facendo male qualcosa, ma non saprei dire che cosa. 

Gli accarezzo il braccio e lui rabbrividisce. «Non farlo più, ti prego.»

Cerca di aprire gli occhi ma non ci riesce. Ci rinuncia e sospira. «Dovrai abituarti...» sussurra. 

«Abituarmi a vederti rischiare la vita?», sbotto. Scuoto la testa anche se non può vedermi. «Non potrei mai abituarmi a tutto questo, William.» Ed è assurdo che lui lo abbia detto. 

I suoi amici sono abituati a questo schifo? Anche i suoi fratelli? Be', io non sono disposta ad abituarmici. Cazzo. Come possono continuare a lasciargli fare queste cose? E se morisse? Perché non fanno niente per aiutarlo? 

«Allora è il caso che la smettiamo qui, Blue. Perché non ne uscirò mai e non ho nessuna intenzione di farlo», sussurra. 

Le sue parole mi colpiscono come se mi avesse dato un pugno sullo stomaco. Così tanto che mi ritrovo a sussultare. «Sei un egoista del cazzo, William!» strepito tra le lacrime. «Un bastardo egoista di merda!» le lacrime escono più furiose, tanto che mi manca persino il respiro. Scivolo a terra e nascondo il viso tra le mani.

Sto soffrendo, solo perché sono consapevole che lui ha ragione. Questa cosa è troppo grande per me e io non sono proprio nelle condizioni di stare accanto a una persona più persa di me. Non ce la faccio.  Nemmeno se lo volessi.

Si muove dentro l'acqua. «Cazzo, non piangere per me. Per favore...»

«Ti odio», dico con un filo di voce. 

«Non è vero. E forse, dovresti iniziare a odiarmi sul serio. Almeno così riuscirei a starti alla larga.»

Caccio via le lacrime col dorso della mano con un gesto nervoso. «Stai zitto», sibilo. 

Sospira piano. «Dico sul serio...»

Lo interrompo alzandomi in piedi di scatto. «Ho detto che devi stare zitto!» strillo, scoppiando di nuovo a piangere. 

Riesce ad aprire gli occhi. Sono arrossati e vuoti. «Non voglio vederti piangere per me.»

Mi volto di spalle. Sto così male che non riesco neanche a spiegare perché sto così. Ho solo voglia di piangere e di sbraitargli contro adesso. 

«Blue...» mi richiama. 

Scuoto il capo violentemente. «Stai zitto... ti prego», cado di nuovo a terra. Non so che cosa mi sta succedendo ma so che cosa sta per venirmi. Lo sento. È bello potente. Inspiro ed espiro bruscamente con la bocca aperta. Il cuore martella furiosamente nel petto. Mi fischiano le orecchie e tutto intorno a me diventa confuso. Sento che mi richiama ma è come che sia lontano anni luce da me. Chiudo gli occhi e cerco di mandarlo via cullandomi da sola, con le ginocchia strette al petto. Sono ricoperta di vomito e nemmeno mi importa. 

Sento un tonfo sordo alle mie spalle ma non mi volto. L'attimo dopo William mi sta stringendo forte. «Perdonami... perdonami...» sussurra in prossimità del mio orecchio. 

Il mio pianto diventa ancora più disperato, lui mi stringe così forte che mi spezza il respiro.

«Non dirlo più», dico con un filo di voce. Per quanto sia sbagliata la nostra amicizia, io non voglio che si allontani da me. Anche se forse è la cosa più giusta da fare. «Mai più», ripeto. 

Quello che succede l'attimo dopo mi tramortisce al tal punto di pensare di essere finita in un sogno lucido. 

William sta piangendo.
Sta letteralmente singhiozzando.

L'estraneità della cosa mi costringe a voltarmi nella sua direzione e prendergli il viso tra le mani per accettarmi di non star sognando tutto. Lui però cerca di divincolarsi ma glielo impedisco. 

Apre gli occhi e vederli pieni di lacrime mi devasta. Mi logora l'anima. Mi spezza il cuore in mille pezzi. «Non nasconderti», piango anche io.

Sembriamo due idioti ma non mi importa. Questa sua versione è... non saprei neanche definirla, né spiegare che effetto mi fa. Vederlo così vulnerabile mi sconquassa. 

William Gilmour sta piangendo davanti a me. 

Con i pollici gli asciugo le lacrime, tenta lo stesso di allontanarsi ma glielo impedisco. L'attimo dopo lo abbraccio così forte che mi fanno male persino i muscoli delle braccia. All'inizio non ricambia, poi mi stringe a sé. Continuando a sussurrare che gli dispiace. Non so nemmeno che cosa gli dispiaccia in questo momento. 

Non ho idea di quanto tempo restiamo a terra ad abbracciarci. Non lo so e non mi importa. 

È lui a sciogliere l'abbraccio e a farmi sollevare il viso per guardarlo negli occhi. Ci fissiamo per qualche secondo senza dire una parola.

Mi asciuga le lacrime e posa un bacio sulla mia fronte. «Tu sei troppo per me», sussurra. 

Con un gesto automatico gli accarezzo le braccia, proprio dove ha i segni degli aghi. «Non è vero», sussurro a mia volta. 

Sospira, solleticandomi i capelli. «Sì invece. Non ti meriti una persona come me nella tua vita, Blue. E lo sai anche tu.»

Potrebbe avere anche ragione, ma non voglio ascoltarlo. «Decido io quali persone tenere nella mia vita, non tu», borbotto. 

Sento che scuote appena la testa. «Sei proprio testarda», lo dice come se gli desse fastidio. 
Annuisco. «Sì, lo sono.»

Sbuffa una flebile risata. «Spogliati ed entra nella vasca con me.»

Obbedisco, lo aiuto ad alzarsi in piedi e prima di rientrare nella vasca lui afferra il tubetto del dentifricio, ne spreme un po' sull'indice e si lava i denti. Dopo che ha finito, lo aiuto a rientrare nella vasca. Poi mi spoglio. 

Nonostante sia ancora debole, e io abbia un aspetto di merda e puzzo del suo vomito, mi guarda in quel modo che mi fa tremare le gambe. Allunga una mano per aiutarmi a entrare nella vasca, continuando a guardarmi negli occhi. Mi siedo dal lato opposto e lo guardo anche io. Ha gli occhi gonfi per il pianto, arrossati anche per quel veleno che gli scorre nelle vene. Ha un aspetto orribile, ma ai miei occhi è sempre bello da mozzarmi il fiato. 

«Non dirlo a tuo padre, per favore», dice rompendo il silenzio. 
«Non lo farò», lo rassicuro. 

Abbozza un mezzo sorriso e poi si accascia contro la vasca. Ora che sembra stare meglio, posso chiederglielo. «Che cosa sei venuto a fare?»

Continua a tenere gli occhi chiusi. «Non sapevo dove altro andare», confessa. «Avevo bisogno di un posto dove nascondermi, ma tu non c'eri.» 

So che non dovrei sentirmi in colpa. Non ho fatto niente di male e lui non dovrebbe neanche dirle queste cose. Eppure, non riesco a ignorare il modo in cui le sue parole si attorcigliano alle mie viscere.

«Lo sapevi», mi difendo. 

Serra le labbra. «Lo so. Com'è andata la vostra cena del cazzo?»

Dobbiamo parlare di questo proprio adesso? Dopo che lui sembrava che stesse per morire?

Sospiro. «Bene.»
Forse, non lo so nemmeno io. 

Mi inchioda con quegli occhi di ghiaccio. «Ti ha baciata?»

Distolgo lo sguardo. Non devo sentirmi a disagio per questa domanda. Dopotutto, non stiamo mica insieme. Solo che il modo in cui mi guarda è strano. O forse, è tutto nella mia testa.

Sollevo di nuovo lo sguardo e annuisco. «Sì, mi ha baciata.»

Non so spiegare esattamente l'espressione che ha dipinta sul volto in questo momento. Annuisce una volta, con un gesto secco. «Okay. Lui ti piace, vero?»

«Sì», dico sincera. 

Sbuffa una risata per niente allegra. «Lo sai vero che è un drogato anche lui?»

«Fa uso di cocaina», dico. 

«No, non solo di quello Blue», sbotta secco. «Dove pensi che ci procuravamo l'eroina quando eravamo ragazzini?» dice tra i denti. «Non lo sai? Te lo dico io: da Chet Liddell. È un eroinomane del cazzo, proprio come me. Se vuoi saperla tutta, anche tuo fratello si rifornisce da lui», sorride in modo sprezzante. «Chet Liddell è un pusher del cazzo, Blue. Ma tu a quanto pare sei attratta dai pezzi di merda, non sai proprio come rovinarti la vita, vero?»

Le sue parole mi feriscono, ma cerco di non darglielo a vedere. Non capisco nemmeno perché si stia comportando così adesso.

«Thomas si droga?» è l'unica cosa che riesco a dire. 

«Non si buca, se è questo che intendi, però fa uso di cocaina. Dove pensi che ci siamo conosciuti sennò? In un club per tennisti?»

Deglutisco bruscamente. Non ne avevo idea. Da Thomas non me lo sarei mai aspettato. Sopratutto perché accusava me, quando anche lui fa uso di droghe.

Lo guardo negli occhi. Sento la rabbia scorrermi nelle vene come un bollore. «Chet si è comportato bene con me», sbotto. «E se non si fosse tirato indietro dopo che mi ha baciata, ci sarei anche andata a letto, perché lui mi piace!» il tono della mia voce si solleva di qualche ottava. Sono cieca dalla rabbia e voglio che ci resti male, cazzo. 

Lo vedo stritolare il bordo della vasca. «Ti userà», dichiara in tono asciutto. 

Sbuffo una risata. «Come hanno fatto tutti, no? Come stai facendo tu.»

Si incupisce, i suoi lineamenti diventano più duri. «Io non ti sto usando. Sei più che consenziente», sputa acido. 

«Lo sono stata con tutti quelli con cui sono andata a letto», replico altrettanto acida.

Sospira rumorosamente e con un gesto rapido si avvicina a me, mi afferra dai fianchi e li stringe. «Non devi permettere a nessuno di usarti» sibila, affondando le dita contro la mia pelle fino a farmi male. 

«Neanche a te?» sussurro. 

Serra la mascella. «Io non ti sto usando.»

«Lo fai anche tu, non negarlo», cerco di girarmi ma lui mi afferra la mascella e mi obbliga a guardarlo negli occhi. 

«Non ti sto usando», quasi lo ringhia « Io a te ci tengo», mi strattona il viso premendo le dita ai lati della mia mandibola. 

Scoppio a ridere come una pazza. Forse lo sono diventata davvero. «Tu non ci tieni a me, William. Tu vuoi solo scopare con me come fai con tutte le altre. Non sono niente per te», pronuncio queste parole con un nodo alla gola.

Sono io che gli sto permettendo di usarmi, allora perché mi fa male sapere che per lui valgo quanto le altre con cui va a letto?

«Te l'ho detto che possiamo solo scopare. Non ho niente da darti, e nemmeno tu.»

Forse ha ragione. Non ho niente da dare a nessuno, se non il mio corpo. Ma non spetta a lui dirlo. Mi libero della sua mano e mi allontano. Sapere che lui mi trovi vuota mi ferisce, e tanto. 

Con un ringhio, mi afferra dai fianchi fino a farmi ricadere sulle sue gambe.

Scuoto la testa. «Lasciami andare», avrei voluto che suonasse più convincente la mia richiesta.

«Puoi andartene quando vuoi», dice secco. 

Lo guardo negli occhi, tra di noi sento già la sua erezione. Come fa a essere così arzillo dopo che ha vomitato anche l'anima? Su di me.

«Okay», faccio per alzarmi aggrappandomi al bordo della vasca ma lui rafforza la presa sui miei fianchi impedendomi di alzarmi. Lo guardo male. «Hai detto che potevo andarmene quando volevo.»

Fa una smorfia. «Io però speravo che non lo facessi.»

Sospiro e mi rilasso sulle sue gambe. Abbozza un sorriso trionfante e mi accarezza lentamente la schiena facendomi venire la pelle d'oca. Allaccio le braccia dietro il suo collo e gli accarezzo i ciuffi vicino al collo. Ci guardiamo negli occhi per qualche secondo senza dire una parola. 

Si schiarisce la voce. «Ti va di farlo?»

Che domande... 

Annuisco. «A quanto pare sei più padrone tu del mio corpo che io stessa», dico con sarcasmo. 

Mi afferra dal sedere e mi attira di più a sé. «Questo è perché mi vuoi più di quanto tu voglia ammettere», dice prima di inclinare la testa di lato e baciarmi sul collo. 

Ogni giorno che passa mi sembra di diventare sempre più dipendente dalle sue labbra, dai suoi baci mortali. Dal sesso con lui. 

Mi morde la pelle facendomi fremere e strusciare su di lui. Poi però mi blocco. «Ho ancora quell'affare», mormoro. 

«E io ti ripeto che a me non importa», sbuffa. 

«Va bene, hai un preservativo?»

Ridacchia contro il mio collo. «Che domanda del cazzo, Pudding.»

Lo schiaffeggio sulla schiena. «Allora prendilo. E smettila di chiamarmi Pudding, cazzo. Altrimenti non riuscirò più a guardare mio padre in faccia quando mi chiamerà così» dico, sentendomi le guance calde. 

«Penserai a me», alza le spalle. « Così come penserai a me tutte le volte che qualcuno si spingerà dentro di te senza farti venire. Perché io sono l'unico che ci riesce.»

«No, anche Sid» mi sfugge, mi mordo la lingua ma ormai è troppo tardi. È chiaro che lui abbia sentito. Lo capisco dal modo in cui si paralizza sotto di me e da come affonda i polpastrelli nella mia carne. 

Immagino che adesso mi scacci via in malo modo, invece, passa una mano dietro la mia nuca e mi obbliga a guardarlo negli occhi. «Nessuno, nessuno riuscirà a farti urlare come farò io.»

Credo di aver appena ammaccato un po' l'orgoglio di questo ragazzone dai capelli argentati. E la cosa mi eccita parecchio.

Le sue dita percorrono la mia schiena come se stesse suonando uno strumento e io la inarco all'indietro per bearmi di questo tocco.  Adoro il modo in cui mi tocca.

Una cosa è certa: nessuno mi ha mai toccata come fa lui. Sembra conoscere tutti i miei punti più sensibili. O forse, siamo tutte uguali noi donne. Non lo so. 

Come succede sempre quando ci guardiamo negli occhi, tutto scompare. Restiamo solo io e lui, e le sue schegge di ghiaccio che le persone comuni chiamano iridi.

Per un brevissimo momento l'idea di farlo senza preservativo mi solletica la mente. Per fortuna rinsavisco subito. 

«Dai», lo supplico. « Vai a prendere il preservativo», la mia voce suona proprio da disperata. 

Mi scosta delicatamente e si alza in piedi. È ancora un po' instabile, ma sembra che qualsiasi cosa avesse prima sia scivolata via insieme alle lacrime.

Schizza via dal bagno per poi tornare a gran velocità. Si infila il preservativo e poi entra nella vasca. Mi agguanta di nuovo dai fianchi e con una mano indirizza l'erezione tra le mie pieghe già vergognosamente umide. Si fa strada dentro di me lentamente, senza nessuna fretta. Riempiendomi fino in fondo e guardandomi aprirmi a lui. I nostri occhi restano incastrati. Quando provo a chiuderli me lo impedisce stringendomi il fianco. 

Poi esce del tutto e un attimo dopo si spinge brutalmente dentro di me. Inizia a colpirmi forte e io mi dimeno sopra di lui e il suo corpo imponente. Mi prende mentre i miei tessuti si sforzano per restare interi, ma ho comunque l'impressione che lui voglia spezzarmi in due. 

Aggroviglia una mano attorno alla mia gola e stringe, ma senza farmi male. Anzi. 

Il mio cervello smette di funzionare, di pensare, si spegne completamente. Con l'altra mano agguanta il mio seno e mi trascina vicino a lui prima di baciarmi con foga. 
Subito i baci si mescolano ai morsi sulla pelle. Mentre io mi aggrappo con i denti alla sua spalla, le mani affondate sul suo torace, il suo uccello mi svuota e mi riempie a suo piacimento. È lui che ha il controllo. Lui mi ha, totalmente.

Prende di nuovo a baciarmi, la sua lingua stuzzica il mio palato e si attorciglia alla mia. Inizio a sentire l'orgasmo prendere il sopravvento, ma non voglio che finisca così rapidamente. 

Lui però se ne rende conto. «Non trattenerti», sussurra con voce roca.

William Gilmour è l'unico ragazzo sulla faccia della terra che sembra preoccuparsi del mio piacere. 

Una freccia mi incendia il basso ventre, mentre lui continua a spingersi dentro di me senza pietà. Non mi trattengo più, smetto di lottare. Non mi preoccupo nemmeno delle mie urla, mentre lui affonda di più, toccandomi in profondità. 

Una scarica elettrica mi attraversa per tutto il corpo, andando poi a concentrarsi nel ventre. La sua lunghezza continua ad abbandonarmi per poi riprendermi con sempre più decisione. Sono così piena che non mi curo neanche di mordergli la pelle delicatamente, non mi importa se gli sto facendo male. Lui però non dice niente, si limita ad accompagnare il mio orgasmo beandosi dei miei spasmi che lo risucchiano. Infila il naso tra i miei capelli facendomi venire la pelle d'oca. «Voglio che pensi a me ogni volta che qualcun altro che non sono io ti scoperà.»

«Lo farai anche tu?» sussurro flebilmente.

«Sempre.»

Lo stritolo tra le mie cosce e lo prego di continuare, voglio spremere questo momento sino all'ultima goccia. 

Quando riprende a muoversi piagnucolo perché lì sotto è tutto indolenzito e sensibile. A lui però non importa, non si ferma. Questa volta credo proprio che siamo andati ben oltre il semplice sesso. Questa volta è diverso, e so che lo è anche per lui.

Mi stringe di nuovo il collo e solo adesso realizzo quanto mi piaccia quando lo fa. «Più forte, stringi più forte.»

E lui non se lo fa ripetere due volte. Mi stritola così forte da farmi mancare l'aria. Potrei andare seriamente in asfissia, ma non accade. Quello che invece succede è che vengo una seconda volta. Lui continua a spingere talmente tanto in profondità che riesco a sentire parti del mio corpo che non sapevo nemmeno di avere. 

«Resisti.»

Il suo uccello si gonfia in modo esasperato dentro di me e io chiudo gli occhi per un attimo chiedendomi se non voglia spezzarmi sul serio. 

Mi rivolge uno sguardo carico di rabbia e piacere mentre continua a sbattermi contro il suo corpo con forza. Incastra i suoi occhi nei miei.

Percepisco le sue pulsazioni e poi lo sento svuotarsi dentro di me. Il suo respiro si riduce a un rantolo affannato. Si aggrappa al mio corpo come se ne valesse della sua stessa vita. Il mio respiro si spezza di nuovo e una nuova ondata di piacere mi stordisce così tanto da farmi tremare le gambe. Dalle mie labbra esce un verso strozzato mentre vengo per la terza volta.

William continua a prendersi tutta me stessa, ogni centimetro. Poi mi da due colpi più brutali e infine rallenta fino a fermarsi del tutto, si paralizza sotto di me che gli sto avvinghiata per paura di svenire. 

La sua mano scivola via dal mio collo e si posa insieme all'altra lungo i miei fianchi. Si accascia contro il bordo della vasca e mi trascina con sé. Restiamo immobili, lui ancora dentro di me. 

Non so esattamente per quanto tempo restiamo in questa posizione e nemmeno mi preoccupo di saperlo con certezza.

Ho appena capito che il mondo, il mio mondo, tra le sue braccia fa un po' meno schifo. Per quanto sia sbagliato il modo in cui ci approcciamo uno con l'altro, lui che si presenta a casa mia strafatto - e mi vomita addosso-, non c'è nessun altro posto in cui vorrei stare in questo momento. 
È qui che voglio stare, anche se è sbagliato.
Il momento sbagliato, persino il mondo là fuori è sbagliato. Ma qui tra le sue braccia sto bene. 

Qualcuno bussa contro la porta d'ingresso, rompendo in mille pezzi questo momento che si è creato tra me e William. Vorrei fare finta di niente e continuare a tenere il resto del mondo fuori, ma chiunque stia bussando, non la pensa come me. Quindi mi allontano da lui, che riluttante scioglie l'abbraccio. 

Esco dalla vasca e mi avvolgo rapidamente un asciugamano intorno al corpo. Prego di non perdere sangue lungo il cammino. William resta dentro la vasca, perdendosi nei suoi pensieri. 

Attraverso il salotto cercando di non scivolare sul parquet con i piedi bagnati. Intanto chi è fuori dalla mia porta, continua a bussare in modo incessante. 
Succedono varie cose quando apro la porta. La prima è che per poco non mi metto a urlare. La seconda è che Chet non mi ha quasi dato il tempo di aprire del tutto la porta, ha afferrato il mio viso tra le mani e senza dire di niente mi ha baciata. 

Lui mi bacia. Io lo guardo con occhi sgranati e con le mani strette sull'asciugamano. 

Che cavolo sta succedendo?

Cerca di infilarmi la lingua in bocca ma io lo spingo delicatamente via posandogli una mano sul petto. 

Mi guarda per qualche secondo con il respiro affannato. «Scusa, è che non riuscivo a stare tranquillo e sono tornato indietro per darti un bacio migliore di quello di prima», abbozza un sorriso. 

Io credo di essere sotto choc, o qualcosa di simile. Non riesco ad articolare una frase sensata. Porca vacca, ho appena finito di fare sesso selvaggio con William - sono venuta tre volte... tre- e ora questo piomba a casa mia per infilarmi la lingua in gola. Che cavolo succede? Vorrei mettermi a urlare, se solo ci riuscissi. 

Continua a guardarmi aspettandosi forse una reazione da parte mia. L'unica cosa che riesco a fare è serrare le cosce perché sento qualcosa di bagnato inumidirmi l'inguine. Merda. 

Lo guardo. «Sto perdendo sangue», è l'unica frase che riesco a dire. Gliel'ho praticamente urlato in faccia. Gesù. 

Aggrotta appena la fronte. «Scusa, cosa?»

Perché non si apre nessun varco nel salotto di casa mia che mi inghiottisca all'istante? 

La voce inquietante di William mi fa trasalire. «Che cazzo vuoi, Liddell? Che tempismo del cazzo che hai.»

Chet solleva lo sguardo su di lui accigliandosi all'istante. «Che cazzo ci fai tu, qui, Gilmour. E poi, perché sei nudo?»

Mi volto subito verso William. È totalmente nudo e sta sgocciolando acqua su tutto il pavimento.

Qualcuno mi aiuti. 

Sventola pigramente una mano per aria. «Non sono affari tuoi», nonostante tutto continua a guardarlo in cagnesco. 

Chet raddrizza la schiena, per qualche motivo adesso sembra più alto del solito. «Hai un aspetto di merda.»

Il biondo alle mie spalle schiocca la lingua. «Vorrei vedere il tuo aspetto dopo aver quasi avuto un overdose», il modo in cui ridacchia mi fa rabbrividire. E anche la tranquillità con cui lo dice. Questo ragazzo non ha proprio il senso del pericolo, se ne frega proprio. «E comunque, sono sempre meglio di te», conclude. 

Mi volto di nuovo a guardarlo, lui attraversa il salotto e si siede sul letto. Questa situazione è imbarazzante, sul serio. Non so davvero come uscirne. 

«Potresti metterti qualcosa addosso?» sbotta Chet fulminandolo con lo sguardo. 
William scuote la testa. «No», le sue labbra si incurvano formando quel solito ghigno. «C'ero prima io. E hai decisamente interrotto qualcosa.»

Un brivido gelido mi scivola lungo tutta la schiena. È ovvio che Chet ci sia arrivato da solo. Ma non doveva comunque dirlo, maledizione. Guardo Chet, lui abbassa lo sguardo su di me, la mascella serrata. «Non... non...» Non so che dire. La situazione è inequivocabile. Si capisce lontano un chilometro che abbiamo scopato come conigli. 

Il pomo d'Adamo di Chet si abbassa in modo brusco. «Avevi detto che non c'era niente tra te e lui!»

Oh no, mi sta guardando con quello sguardo. Leggo la delusione nei suoi occhi. Mi sento una merda. Lui è tornato indietro per baciarmi e io mi ero già dimenticata di tutto. 

«Infatti non...»
William si intromette di nuovo. « Non sono affari tuoi neanche questi, Lidl

Chet stringe i pugni lungo i fianchi. «Sto per spaccarti il culo, Billy. È meglio se chiudi quella fogna», sibila. 

William ridacchia, sicuramente è ancora strafatto, non lo so. Oppure è sadico e basta. «Vieni pure, ti sto aspettando.»

Chet fa un passo in avanti ma io mi metto in mezzo. Gli poso una mano sul petto e lo trattengo. «Ora basta!» sbotto esasperata. «Usciamo fuori», gli dico. 

Lui lancia un'altra occhiataccia a William poi si volta per uscire. 

«Sei nuda», mi rammenta William. 

«Taci!» gli urlo contro. Spingo fuori Chet e socchiudo la porta alle mie spalle. L'aria fresca mi morde tutta la pelle facendomi rabbrividire.
Guarda che cosa mi tocca fare. Rischiare di prendere una polmonite. Merda.

Si passa una mano tra i capelli scuri con un gesto nervoso, poi abbassa lo sguardo su di me. «Quindi? Che cosa dobbiamo fare, Blue? Esci con me, mi fai capire che ti piaccio, ti lasci baciare e poi?» sbotta. « Poi vai a letto con quel coglione? Fammi capire, Blue, perché o sono scemo io oppure sei stronza tu» conclude, passandosi una mano sul viso. 

Il senso di colpa si fa strada dentro di me aggrovigliandosi alle budella. Sospiro. «Non ti ho mentito. Non stiamo insieme, non c'è niente tra noi, davvero.»

Indica la porta con un gesto secco della mano. «Allora dimmi che cazzo ho visto! Oltre a quello di William Gilmour!» sbraita. 

Da dietro la porta sentiamo William dire: «Non urlarle contro, ti ammazzo.»

Sbuffo e chiudo la porta del tutto. 

Perché mi caccio sempre in queste situazioni?

Sistemo i capelli con un gesto nervoso. «Okay», sospiro. «Io e William facciamo sesso.»
«Ma non mi dire? Pensavo se ne andasse nudo a casa delle persone per hobby», strepita. 

Sarebbe capace di farlo. «Ma non c'è niente tra noi. Non stiamo insieme e solo sesso e... e niente, tutto qui.» Più lo dico ad alta voce più mi rendo conto che non ha nessun senso. 

Mi guarda come se fosse impazzita. Forse lo sono. «Quindi che cosa dovrei fare io? Uscire con te sapendo che poi vai a letto con lui?» scuote il capo. « Ma neanche per il cazzo, Blue. Non esiste.»

Qualcosa di strano si smuove dentro il mio stomaco, forse sono le budella, non ne sono sicura. Non sono più sicura di niente, nemmeno della mie stesse emozioni o delle decisioni di merda che prendo. Inoltre sta per scoppiarmi la testa. In questo momento non sarebbe male, almeno uscirei da questa situazione. «Se tu vuoi uscire con me, io... io smetto di fare sesso con lui» dico senza esitare, anche se il cuore sta per scoppiarmi nel petto come un petardo. 

Assottiglia gli occhi. «E lui lo sa?»

Annuisco. «Lui si vede anche con un'altra e forse non è nemmeno l'unica», farfuglio. 

Sospira, si strattona di nuovo i capelli e poi mi guarda. «Tu mi piaci Blue, ma non mi va proprio di dividerti con quel... con Gilmour», scuote il capo come se stesse scacciando via chissà quale pensiero. 

Io, lui e William? Non sarebbe male. Oddio, ma che problemi ho?

Sbatto le palpebre per cacciare via quell'immagine. «Non mi dividerai proprio con nessuno», mi affretto a rispondere. 

«Quando me andrò, lui resterà qui?»

Mi stringo nelle spalle. «Devo parlarci.»

Arriccia il naso, come se la cosa non gli piacesse affatto. «Okay, fanculo, va bene.»

Ora non so nemmeno che cosa dire a William. Non gli dovrei dare nemmeno delle spiegazioni, non stiamo insieme. Eppure mi sento in colpa anche con lui. Sono così confusa, cazzo. Ed è tutta colpa mia e delle pessime decisioni che prendo. Forse dovrei seriamente chiudermi per un anno in un convento di clausura. 

Si avvicina di nuovo a me, annulla la distanza e con un gesto di possesso, mi cinge dai fianchi e si impadronisce delle mie labbra. Impiego qualche secondo per ricambiare il bacio. 

La voce nella mia testa continua a ripetere una parola: puttana, puttana, puttana.
E io ora inizio a crederci davvero. Che cosa posso essere se non una puttana? Chi è che esce con vari ragazzi, finisce di fare sesso con uno - oltretutto lui è ancora dentro casa mia- e poi limona con un altro? Una puttana.

Sospira contro le mie labbra. «Ci vediamo domani», si allontana e scende rapidamente le scale lasciandomi qui con il cuore che pesa una tonnellata e lo stomaco sottosopra. 

Prendo qualche secondo per rientrare dentro casa. Quando racimolo un po' di coraggio, torno dentro. 

William è sdraiato a letto e ha già gli occhi puntati su di me. Dal suo sguardo credo che abbia sentito tutto quello che io e Chet ci siamo appena detti. Faccio un passo in avanti e lui si alza di scatto dal letto.
Torna in bagno, e io gli vado dietro.

Indossa i suoi vestiti così rapidamente che mi sembra quasi impossibile. Mi sfila accanto e mi colpisce con una spallata facendomi barcollare all'indietro. Esce in salotto e io lo seguo ancora.

È arrabbiato. Davvero tanto. Temo che possa scoppiare come una bomba se provassi a dirgli qualcosa. Ma non posso lasciarlo andare via così. 

«William», sussurro. Cerco di avvicinarmi ma lui si ferma di botto. Gli vado a sbattere contro la schiena e barcollo leggermente all'indietro. 

«Vai all'inferno, Weller», sputa con un tale disprezzo che mi fa contorcere lo stomaco. Raggiunge la porta di casa ed esce, sbattendola con forza. 

Resto immobile al centro del mio salotto. Il cuore che batte forte e le gambe che tremano. Non capisco la sua reazione, davvero, non la capisco. So solo che evitare le lacrime adesso è impossibile.
Mi sento come se andandosene via in questo modo, si fosse portato via anche un pezzo di me.
Quale pezzo non lo so, ma sento di aver perso qualcosa.


Non dico niente perché potrei venire linciata.

Ci vediamo lunedì 😂

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