♫ ~29.2 ᴡʜᴏ ᴄᴀʀᴇꜱ ᴡʜᴇɴ ꜱᴏᴍᴇᴏɴᴇ'ꜱ ᴛɪᴍᴇ ʀᴜɴꜱ ᴏᴜᴛ

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«Blue...» papà sospira mentre si passa una mano tra i capelli. È esausto. Lo siamo tutti. «Non è per questo.»

Alzo le mani per aria. «Allora per cosa?»
«Perché sei emotivamente instabile, Blue. Hai bisogno di supporto», risponde Thomas. «Altrimenti ti perderai di nuovo.»

Mi sono già persa. Vorrei dire. Lo guardo. «Hai cambiato idea su di me, Thom?»
Così, di punto in bianco?

Serra la mascella. Il modo in cui mi sta guardando mi fa rivoltare lo stomaco. «Può darsi.»
Mi sfugge una risata. «Può darsi?»

Annuisce. «Sì, può darsi. Abbiamo avuto delle divergenze ma non ti lascerò, non ti lasceremo affrontare questa cosa da sola.»

Bene. Pensano che io non sia in grado di farlo?
«Tranquillo Thomas. Non ho nessuna intenzione di chiudermi in bagno e di tagliarmi le vene» sputo acida.

Mia nonna sussulta sul posto. Allarmata cerca gli occhi di tutti. No, lei non lo sapeva e cazzo, non avrebbe dovuto saperlo. «Come, scusa?» mormora.

L'odio è tornato negli occhi di mio fratello. Ora si che tutto ha più senso. «Sei una stronza.»

Annuisco. «Tanto quanto te. Vuoi riavvicinarti a me solo perché hai paura che io possa uccidermi?» sbotto, sollevando la voce di qualche nota. «Non succederà. Quindi puoi tornare a odiarmi come sempre. La tua coscienza sarà comunque pulita.»

Dovrei solo tapparmi la bocca. Non è il momento di litigare, cazzo. Non lo è.

«Blue», mi ammonisce mio padre. Ora ha smesso di fissare la tv e guarda me.
Alzo le spalle. «Non ho bisogno di attenzioni okay? È lei che ha bisogno di noi», indico mia nonna. Sto per scoppiare a piangere come una pazza. «Io», mi indico battendo l'indice con forza contro il petto. «Non ne ho bisogno. Nemmeno me lo merito!» Oh no. Sto per dare di matto. Respira Blue.

«Tesoro...» sussurra mia nonna.

Non riesco neanche a guardarla negli occhi adesso. Mi sento in colpa. Ogni fottuta cosa deve sempre ruotare intorno a me. E io non voglio. Non è me che devono aiutare.

«Scusa nonna» dico, senza guardarla in faccia.

Attraverso il salotto e mi rifugio nella stanza dove c'è mio nonno.
L'ossigeno e il suo respiro affannato sono gli unici rumori che si sentono. Mi siedo sul letto. Vorrei essere più forte adesso. Ma le lacrime che premono per uscire lo sono molto di più.
Mi lascio andare a loro. Le lascio uscire e lascio che mi annientino.
Mi rannicchio accanto a mio nonno e gli prendo la mano sempre più gelida.

«Mi dispiace per tutto nonno. So che avrei dovuto rimediare prima alle mie cazzate. Ora è troppo tardi e tu...» un singhiozzo interrompe le mie parole. «... e tu stai andando via e io non posso evitarlo. Non posso rimediare agli errori che ho commesso con te. Mi dispiace da morire. Vorrei proprio venire con te», gli bacio la mano. «Portami con te, ti prego. Così potremmo passare tutta l'eternità insieme. Ti voglio bene e non voglio che tu te ne vada, ti prego resta qui. Ti scongiuro. Spero che tu possa perdonarmi.»

Il saturimetro che ha attaccato al dito dell'altra mano, inizia a suonare come se fosse impazzito. Mi sollevo di scatto. L'ossigenazione è scesa al settantanove per cento mentre i battiti sono schizzati a duecentoquaranta. Mi agito.

La porta si apre di scatto e mia nonna corre da noi. Osserva il saturimetro. Sta tremando come una foglia ma io non riesco ad alzarmi da questo letto per andare a sorreggerla.
Entrano anche mio padre e Thomas, che resta in disparte.

Sta morendo?
No, per favore. No.

Sono così scioccata che non mi sono nemmeno resa conto di star andando in iperventilazione. Me ne rendo conto solo quando mio padre cerca di trascinarmi via dalla camera da letto. Io non voglio andarmene però. Voglio restare qui.

Nonna cerca di chiamare qualcuno ma le sue mani tremano così tanto che il telefono le scivola via e cade a terra. Thomas lo raccoglie al posto suo. Chiunque mia nonna stava cercando di chiamare, lo chiama mio fratello. Esce dalla stanza e si chiude la porta alle spalle.

«Blue», mio padre posa le mani sulle mie spalle e mi obbliga a guardarlo negli occhi. Lo guardo. «Esci fuori di qui, per favore. Fallo per me.»

Scuoto il capo. Improvvisamente ho dimenticato persino di come si fa a parlare.

«Sì, devi uscire di qui. Subito.» Non me lo dice in un tono tanto cordiale. Anzi, sembrava che me lo volesse urlare in faccia.

Mentre io continuo a scuotere la testa lui mi afferra dalle spalle, mi fa alzare e mi trascina via dalla stanza anche se cerco di opporre resistenza. Mi spinge in corridoio e chiude la porta davanti ai miei occhi. Sbatto le palpebre. Mi sembra di essere finita in un mondo parallelo. Non so più che cosa sia reale o meno.

Thomas torna in corridoio. Guarda prima me e poi la porta chiusa.

«Chi stavi chiamando?» gli chiedo, fissando la porta davanti ai miei occhi.
Si passa una mano sul viso. «Il medico. Dobbiamo sedarlo.»

Il mio stomaco si contorce così in malo modo che mi risale un conato di vomito su per la gola. «Sta morendo?»
«Sì.»

Ora più che mai capisco quando qualcuno dice che il mondo gli sta crollando addosso. Ora lo capisco.

«Blue», la figura di mio fratello compare davanti ai miei occhi impedendomi di guardare la porta chiusa.
«Thomas», sussurro. O forse, non lo ho neanche pronunciato il suo nome. Non ne sono sicura.

Succede tutto così in fretta che per un momento il mio respiro si arresta. Non so chi dei due abbia fatto la prima mossa. Fatto sta che mio fratello mi sta stringendo così forte che mi manca l'aria nei polmoni. «Perdonami», sussurra tra i miei capelli.
«Non hai niente da farti perdonare. È solo colpa mia», lo stringo a mia volta. Vorrei che mi inglobasse dentro di sé.

Lo sento annuire tra i miei capelli. «Sì, invece. Anziché aiutarti ti ho allontanata.»

No, sono stata io ad allontanare tutti dalla mia vita. Gli accarezzo la schiena. «Non fa niente, Thom. Io ti voglio bene lo stesso.»
«Te ne voglio anche io.»

L'abbraccio di mio fratello è servito a non farmi rompere in mille pezzi. Mi sento protetta, anche se tutto il mondo intorno a noi sta tremando e si sta sgretolando.

Lui però tiene me. Io tengo lui. Fino a questo momento non mi ero resa conto di quanto mi siano mancati i suoi abbracci. Il suo profumo. Lui. Ero distratta dal fatto che lui mi odiasse a morte per rendermene conto. Sì, mi mancava, questo è ovvio. Ma sino a ora non sapevo quanto.

Non so per quanto tempo ci reggiamo uno all'altra. Ci stacchiamo solo quando qualcuno suona al citofono. Thomas si allontana e va ad aprire. Poco dopo alle sue spalle compare una dottoressa. Non ha nessun camice bianco. Indossa un paio di jeans e una felpa nera e delle scarpe sportive. Ha i capelli castani raccolti in una coda e degli occhiali rettangolari sul naso. Mi saluta con un cenno del capo che io nemmeno ricambio.

Bussa contro la porta, papà la apre e la lascia entrare prima di richiuderla davanti agli occhi miei e di mio fratello. Thomas mi raggiunge di nuovo e senza che io gli dica niente, intreccia le nostre dita e mi stringe la mano.

Dopotutto è anche suo nonno. Ovvio che abbia bisogno di conforto. Solo che io non sono sicura di poterglielo dare.
Mio nonno sta morendo. Un parte di me se andrà con lui. Una parte di tutti noi, se ne andrà con lui. Potranno passare mesi, anni ma niente sarà più come prima. Lui non ci sarà più e vorrei proprio sapere come ci si "abitua" a questa cosa. Come si fa ad abituarsi a non vedere più una persona, a sentire la sua voce? Non si può. Chi dice il contrario è un bugiardo. Oppure lo fa solo per darsi forza. Il tempo non guarirà proprio un cazzo.

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Elvis Cat Weller ha smesso di esistere il ventotto settembre. Il suo cuore ha smesso di battere alle quattro del mattino. Si è spento accompagnato dai suoi cari.
Io e tutta la mia famiglia siamo morti con lui. O almeno una parte di noi.


Nessuno di noi ha chiuso occhio stanotte. Siamo stati tutto il tempo a osservare il corpo privo di vita di mio nonno dentro la bara. Dopo che la dottoressa lo ha sedato, sono passate all'incirca due ore e poi lui è semplicemente morto. Mio padre ha chiamato alcuni uomini dell'agenzia funebre che lo hanno vestito con un abito elegante, gli hanno sistemato le mani poggiandogliele sulla pancia e poi, prima di metterlo dentro la bara, lo hanno chiuso dentro un sacco nero per trasportarlo. Ovviamente io non ho assistito a tutto questo. Non mi andava proprio di vedere mio nonno chiuso dentro a un sacco nero. Neanche per scherzo.

Credo anche che l'ultima rotella dentro il mio cervello si sia rotta. Ho passato settimane a piangere. Invece quando mi è morto davanti agli occhi, non ho versato una lacrima. Nemmeno adesso che ce l'ho qui davanti sdraiato in una bara. O sono totalmente impazzita oppure non ho realizzato proprio un cazzo.

Da questa mattina le persone non fanno altro che entrare e uscire da casa dei miei nonni. Alcune di loro si fermano davanti alla bara, lo osservano in modo inquietante e poi gli toccano una mano gelida. Poi guardano noi familiari, sorridono e ci fanno le condoglianze. Alcune amiche di mia nonna non smettono di pizzicarmi le guance come se fossi una bambina, o Thor, che ne approfitta a farsi toccare da chiunque.

Chissà se lui ha capito che il suo compagno di vita non c'è più. A giudicare da come si ferma alcune volte accanto alla bara e la guarda con gli occhioni tristi, immagino di sì.

Da quando ho visto mio nonno morire, un pensiero strano si è insinuato nella mia testa. Dirlo ad alta voce sarebbe davvero inopportuno quanto orribile.

Però appena è morto, il mio corpo si è rilassato, non so, ho tirato un sospiro di sollievo. Sono cattiva oppure ho perso letteralmente il senno? Dentro di me però penso che sia normale. Nel senso, lui stava soffrendo, quindi sarebbe stato da egoisti volerlo ancora qui, no? Non lo so, non sono neanche più padrona dei miei pensieri. Ho una confusione in testa che non saprei nemmeno da dove cominciare a riordinare i miei pensieri.

Tutto questo via vai di persone mi confonde ancora di più. Vorrei solo che la smettessero di vorticarmi intorno come trottole impazzite, di pizzicarmi le guance e di farmi le condoglianze. Vorrei che andassero tutti via ma non posso cacciarli. Sarà così per almeno una settimana, credo. Domani ci sarà il funerale e poi verranno tutti a casa nostra per il rinfresco.

Che cosa ridicola. Chi cavolo ha inventato queste cose? Come gli è saltato in mente? Soprattutto chi ha voglia di mangiare e bere quando muore una persona? È una specie di festa del cazzo. A me non sembra proprio una festa. Apprezzo che a modo loro ci stanno vicini, però dovrebbero anche capire che siamo esausti. Ci si legge in faccia che abbiamo bisogno di dormire e di essere lasciati un momento in pace. Ma funziona così. A quanto pare non abbiamo voce in capitolo.

I miei occhi saettano subito dalla bara alla porta d'ingresso. Il mio cuore prende a sbattere furioso contro le costole. Sapevo che sarebbero venuti anche loro. Era ovvio, mi ero diciamo... preparata. Solo che non mi ero preparata a vedere William fare il suo ingresso nel salotto dei miei nonni con accanto Vicky.

Sul serio? Che cazzo significa? Ci hanno messo tre giorni per fare coppia fissa? Non che importi. Solo che lo trovo di cattivissimo gusto.

Anche i suoi occhi glaciali si posano su di me. Indugiano sul mio viso fino a quando io non distolgo lo sguardo per portare di nuovo la mia attenzione a quella cassa di ciliegio scuro, dove dentro si trova il corpo privo di vita di mio nonno. Papà si alza in piedi e va ad accogliere la sua band. Lo abbracciano a turno, tranne William, che si limita a posargli una mano sulla spalla e a stringere appena. Nonostante non lo stia guardando in modo diretto, sento i suoi occhi perforarmi l'anima.

Non voglio vederlo. Men che meno parlarci. Non deve neanche provarci ad avvicinarsi a me con il suo cagnolino.
Thor invece, appena nota la presenza del biondo, corre nella sua direzione e gli salta addosso. Dovrei fare un discorsetto al cane. Ma lui ci venderebbe tutti per un po' di carezze e qualche salatino passato di nascosto.

Mio fratello nota il mio... disagio? Non so come chiamarlo. Afferra la mia mano. Lo guardo negli occhi. «Va tutto bene? Non vi parlate più?»

Ci sono un mucchio di cose che non sa mio fratello. Davvero tante. Forse neanche gliele dirò mai. «No, non ci parliamo più.» Dovrebbe non so, esultare dalla felicità, invece serra appena le labbra e sposta lo sguardo su William.

Vicky ha intrecciato le sue dita a quelle sue. Si tengono per mano come se fossero loro ad avere bisogno di conforto. Ridicoli.
Per non parlare di come cacchio si è vestita lei. Sembra pronta per andare a un matrimonio, e non per andare a dare le condoglianze – che nemmeno voglio da loro-. Sul serio, perché l'ha portata qui?

Quando noto che si stanno avvicinando a noi mi alzo subito in piedi. «Devo andare in bagno» dico a mio fratello.

Non voglio le loro le condoglianze. Anzi, non vorrei proprio che fossero qui.

Mi faccio strada tra le persone che popolano il salotto come dei funghi ed esco in giardino. Almeno qui c'è solo il fratello di mio nonno. La loro somiglianza mi provoca un tonfo al cuore.
È seduto sulla poltrona di vimini a fumare una sigaretta. Solleva lo sguardo appena nota la mia presenza. Sorride. Anche il loro sorriso è uguale. «Ehi, piccola.»

Abbozzo un sorriso. «Ehi zio Rog.»

Il fratello di mio nonno si chiama Roger. Ovviamente come Roger Waters, il bassista dei Pink Floyd. Forse abbiamo davvero qualche problema con i nomi.

Mi siedo sul divanetto.

«Vuoi una sigaretta?» mi chiede.
Annuisco. « Sì, grazie. Avvisami se vedi la nonna.» Anche se dubito fortemente che gliene importi qualcosa se fumo o meno in questo momento.
Allunga il pacchetto di sigarette verso di me e io ne prendo una. L'accendo e ne faccio subito un lungo tiro. «Com'è stato il viaggio?»

Sbuffa una risata, fa un tiro e poi colpisce l'estremità del filtrino per scrollare via la cenere dentro il posacenere. «Il viaggio peggiore della mia vita, Blue Bean. Come altro sarebbe potuto essere? Stavo tornando a casa solo per vedere il mio unico fratello morto», si stringe nelle spalle. Gli leggo il senso di colpa dentro gli occhi azzurri. Non è colpa sua. In fin dei conti era lontano per lavoro. Per lavoro viaggia molto in tutto il mondo. Prima di tornare qui si trovava in Australia. Mia nonna lo ha avvisato circa una settimana fa di tornare. Purtroppo non ha potuto vedere suo fratello vivo.

Accavallo le gambe per farle smettere di tremare. «Com'era l'Australia?» chiedo, cambiando argomento per alleggerire la situazione.
«Bellissima. Credo proprio che mi trasferirò lì», sorride.

Zio Roger è uno spirito libero. Niente moglie, niente figli. Io e Thomas siamo gli unici nipoti che ha. «Mi piacerebbe visitarla. Anche se ho un po' paura dei ragni», arriccio il naso.
Lui ridacchia. «Sai che non ne ho mai visto nemmeno uno? Più che altro dovresti preoccuparti di guardare dentro il water, potresti ritrovarti letteralmente un serpente lì dentro.»
«Di male in peggio», ridacchio.

Mio zio è un bell'uomo, è più piccolo di mio nonno. Credo abbia un qualcosa come sulla cinquantina. Spero che sia una cosa ereditaria sembrare giovani e non avere nemmeno un mezzo capello bianco. Roger ha un fisico atletico ed è molto alto. «Tu come te la stai cavando con la musica? Sei diventata una rock star? Da piccola eri ossessionata da questo sogno.»

Scuoto il capo. «No, non sono una rock star...»
«Peccato, avevi un gran talento», sorride. «Come tuo padre. Sei tale e quale a lui sai? La vostra somiglianza è quasi inquietante.»

Ridacchiamo entrambi. «Anche tu somigli molto a nonno», mormoro.
«Lui era più bello e molto, ma molto con più cervello di me.»
«Solo perché non hai voluto mettere su una famiglia non significa mica che tu abbia meno cervello.»
«Certo che no», sorride. «Ma ora mi ritrovo da solo.»

Le persone dovrebbero decisamente imparare a stare da sole. Alcune volte è la cosa migliore. «Siamo noi la tua famiglia», dico. Anche se lo vediamo una volta all'anno – se va bene-. Ora che suo fratello non c'è più, forse smetterà anche di venire a trovarci.

Annuisce. «Lo so. Anche se senza Elv non sarà più la stessa cosa», si rabbuia. Immagino che anche lui si senta in colpa per esserci stato poco. Ma come poteva prevederlo che mio nonno sarebbe morto così presto? Nessuno lo aveva previsto.

«Lo so», dico in un soffio. «Magari qualche volta io e Thomas potremmo venire a farti visita in Australia, dov'è che andrai?» Non so con quali soldi ci andrò, ma non importa.
«Melbourne», sorride. «Mi farebbe piacere, sai? Lì si respira un'aria totalmente diversa.»

Immagino. Ora come ora mi accontenterei di cambiare aria andando anche a Liverpool.

Roger sposta lo sguardo sulla porta finestra. «Credo che qualcuno sia aspettando che io mi levi di torno», ridacchia.

Seguo il suo sguardo. William è lì che ci guarda, con una spalla appoggiata alla porta e le braccia incrociate sul petto. Mi agito sul divanetto e sposto lo sguardo. «Io non voglio parlarci, quindi resta.»
Mi guarda e ride. «Mh, qualcosa mi dice che lui non la pensa come te.» Si alza in piedi e io vorrei aggrapparmi alla sua gamba. «Ci vediamo dopo, bella.» Si china su di per me per lasciarmi un bacio tra i capelli.

Tutto il mio corpo prorompe in violenti brividi quando William cammina verso di me. Cerco di non guardarlo, nemmeno quando si siede di fronte a me, sulla poltrona che occupava mio zio.

Perché non se ne va e basta? Che cazzo vuole da me? Penso di essere stata abbastanza chiara quando gli ho detto che doveva starmi lontano. Forse avrei dovuto fargli un disegnino?

Restiamo in silenzio per un minuto che sembra durare un'eternità. Poi si schiarisce la voce e io mi ritrovo a trattenere il respiro. «Come stai?»

Lo vede come sto. A quanto pare lui è in grado di leggermi facilmente. La sua è una domanda di merda.

«Bene» borbotto, senza nemmeno prendermi la briga di guardarlo negli occhi. In realtà vorrei cacciarlo via e dirgli anche che è una grandissima testa di cazzo per essersi presentato qui con quella. Solo che... perché dovrei?

«Sei una bugiarda.»
«Allora non chiedermelo. È una domanda del cazzo!» sbotto.

Afferro un'altra sigaretta dal pacchetto che mio zio ha lasciato sul tavolino.
Segue un altro breve silenzio che io sento fin dentro le ossa. Prego che si stufi e che vada via. Invece continua a parlare. «Perché ti comporti così, Blue?»
Sbuffo una risata. «Così come? Come una che è stanca di farsi usare e di essere continuamente confusa da un rincoglionito come te? Be', dimmelo tu allora come dovrei comportarmi.»

Solleva una mano e si sposta quel ciuffo ribelle dagli occhi. Solo ora mi rendo conto che indossa una camicia nera e un paio di pantaloni dello stesso colore. Ovviamente gli anfibi sono onnipresenti. «Io non volevo prenderti in giro né niente. Ho promesso a tuo padre e anche a tuo nonno di starti vicino.»

Mi volto di scatto. Incontro i suoi occhi. Come sempre sono illeggibili. Molto più dei miei, dato che spero che capisca che il modo in cui lo sto guardando è ribrezzo. «Lo hai fatto perché te lo hanno detto loro?» Perché mio padre e mio nonno gli hanno chiesto una cosa simile? Sempre che stia dicendo la verità.

Scuote il capo. «In realtà no. Tuo padre me lo ha chiesto quando già eravamo... amici.»
Sbuffo una risata. «Non siamo mai stati amici, William. Lo sai anche tu. Non dire puttanate.»

«D'accordo, hai ragione tu.»
Scuoto il capo. «Non voglio nessuna ragione. L'unica cosa che voglio è che tu mi lasci in pace e che segua alla lettera quello che ti ho detto.»

La sua mascella si serra duramente. «Io non voglio starti lontano. Non ora.»

Forse in un altro momento, queste parole mi avrebbero provocato un'altra reazione. Ora no. Non credo a niente di quello che dice. «Non ora, perché? Pensi che abbia bisogno di te o di qualcun altro per affrontare il lutto?» sorrido. «Se la pensi così, ti sbagli di grosso.»

Noto che stringe appena i pugni che tiene sulle cosce. «No Blue. Non è così. Mi piace passare il tempo con te.»
Inarco un sopracciglio. «Ma non mi dire. Oppure ti piace quello che ti faccio, quando passo del tempo con te?»

Prima di rispondere ruba anche lui una sigaretta dal pacchetto di mio zio. Solleva lo sguardo verso il cielo e butta fuori il fumo. «Mi piaceva anche prima che ci avvicinassimo così tanto.»

«Non mi importa. Io non voglio essere una distrazione o qualcosa che usi quando sei giù di morale. Hai la tua ragazza, quella che ti sei portato dietro a casa dei miei nonni», sputo acida.
«È questo il tuo problema, Blue? Sei gelosa? Se è così, dillo!» sbotta.

Scoppio a ridere, questa volta di pancia proprio. «Gelosa? E di cosa? Pensi che io sia una stupida, William?» schiocco la lingua. «Sapevo già che tra di noi non ci sarebbe mai stato niente. Altrimenti perché pensi che non ti abbia mai baciato? Non mi piaci. Ed è bene che tu te lo metta dentro quella testa ossigenata che ti ritrovi. Non sei l'ombelico del mondo, più che altro, tu sei il buco del culo.» Da dove la sto togliendo tutta questa cattiveria?

Annuisce, come se fosse rassegnato. «E chi ti piace allora, Sid?»
«Sì», rispondo senza esitare. «Ma tu hai rovinato tutto e non so neanche per quale cazzo di motivo. Forse perché vuoi sempre essere al centro di tutto.»
Spegne la sigaretta con rabbia. «Se vuoi stare con Sid sei libera di farlo.»
«Certo, me lo dici adesso, no?» Al momento non so nemmeno che cosa voglio. Figuriamoci se sono in grado di capire se voglio Sid o meno. Certo, mi piace, abbiamo scopato alla grande, ma non lo so.

«Sì, te lo dico adesso» ribatte, secco.
«Perché l'hai portata qui, William?» chiedo. Questa volta con meno cattiveria nella voce.

Si passa una mano tra i capelli scompigliandoli ancora di più. «Non lo so. È voluta venire lei.»
«Da quando prendi ordini da una ragazza? A quanto pare lei ti piace.»
«Mi piace», ammette. «Ma non è la ragazza giusta per me. Io nemmeno la voglio una ragazza o una relazione.»
Storco il naso. «Da come ti comporti fai capire tutt'altro.»

«Voleva salutare tuo padre», borbotta.
«Perché è una brava ragazza. Un po' irritante, ma è una brava ragazza. Forse ti farà bene averla accanto. Magari ti crescerà un cuore.»

Mi guarda con sufficienza. «A me le brave ragazze non piacciono.»

Quel maledetto del mio cuore inizia a tremarmi nel petto. Piantala, cretino. «Ah no? E quali ragazze ti piacciono?» Dovrei piantarla anche io.
Adesso i suoi occhi sono incatenati ai miei. «Mi piacciono quelle a cui non gliene importa un cazzo di essere sé stesse.»
«Parli di me?» chiedo, spiritosa.
Aggrotta la fronte. «No.»

Bugiardo. È un grandissimo pezzo di merda bugiardo.
«D'accordo», mi sistemo sul divanetto e lo guardo. Ci guardiamo. Il mio cuore continua a dimenarsi e vorrei che la smettesse di comportarsi in questo modo. Lo sa anche lui che non c'è spazio per nessuno. Tanto meno per William Gilmour.

Il nostro intenso contatto visivo viene interrotto proprio da quella che lui dice di non essere la sua ragazza. «William?» lo richiama. A lei non gliene importa un cazzo se le persone stanno parlando, lei si avvicina e basta.

Si ferma a pochi passi da noi. La guardo, lei guarda me con quello sguardo che ho dovuto subire per quasi tutto il giorno. «Mi dispiace per la tua perdita, Blue Jean.»
«Grazie» rispondo, secca. Anche a me dispiacerebbe farle saltare gli incisivi.

Sposta lo sguardo su William. «Andiamo? Non mi sento tanto bene.»

Osservo lui e la sua reazione. Ha la mascella così contratta che gli indurisce il profilo perfetto. Le mani strette a pugno. Però si alza in piedi. «Andiamo», il suo tono di voce è così cupo che mi fa rabbrividire. Prima di andare via si volta verso di me. «Stammi bene, Blue.»

Rispondo con un'alzata di mento. Li guardo andare via. Lei cerca di prendergli la mano ma lui sposta la sua in malo modo.

Perché se la porta appresso se poi neanche la sopporta?

Chi lo capisce è bravo. Io però, ho smesso di provarci, non voglio più capirlo.

Incrocio le braccia dietro la testa e guardo il cielo che incomincia a imbrunire. Lentamente, il buio sta inghiottendo la luce del giorno. Un po' come sta succedendo di nuovo dentro di me.
Domani sarà il giorno peggiore della mia vita.

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