♫ ~28.2 ɴᴏ ᴏɴᴇ ꜱɪɴɢꜱ ʟɪᴋᴇ ʏᴏᴜ ᴀɴʏᴍᴏʀᴇ


Stella vive da tutt'altra parte della città. E io ci sono arrivata a piedi. Vive in un quartiere che sembra Privet Drive.
Mi accerto per l'ennesima volta di non aver sbagliato casa. Non vorrei fare figure di merda.

Percorro il vialetto con la familiare erbetta inglese ben curata e con dei fiori troppo belli per essere veri. Mia nonna ama i fiori e se ne prende cura. Ma questi... sembrano finti. Non lo so.

Premo sul citofono e per poco non perdo dieci anni di vita quando questo emette un suono che ricorda un rapace notturno.
«Ma che cazzo?» borbotto lanciando occhiate ovunque.

La porta si apre e una signora con addosso una vestaglia leoparda e dei ridicoli bigodini in testa , appare davanti ai miei occhi. Sembra pronta per andare a dormire eppure è truccata come se... stesse per uscire? Non lo so. Deduco sia la madre di Stella. Se è così; capisco da chi abbia preso a essere così dannatamente strana.

Mi guarda dalla testa ai piedi. «Ti sei persa?»
«Sembro una che si è persa?» rilancio. «Sto cercando Stella. Sono una sua amica.»

Smette di guardarmi con quell'aria diffidente e mi concede un sorriso. Pur non volendo i miei occhi si posano sui suoi denti. Ingialliti e seghettati. Fa un tiro di sigaretta e si fa da parte per farmi entrare. «Le ragazze sono di sotto» canticchia, lasciandomi sola non appena entro. Ora capisco anche quello a cui si riferisce Colvin. La nostra casa rispecchia la nostra mente e la nostra personalità.

Questa casa è tutta strana, sbagliata. Dall'odore di erba a qualcos'altro di chimico. Alle pareti ognuna di diverso colore all'arredamento decisamente troppo... non so neanche come definire quel divano con stampa leoparda. E non so nemmeno se quel tappeto che sembra la pelliccia di un ghepardo sia vero o meno. È raccapricciante.

Qualcosa mi tocca le gambe. Abbasso lo sguardo pensando di trovarmi un ghepardo o qualche altro animale maculato. Invece, mi ritrovo un cane. Un cane molto strano. È del tutto privo di pelliccia, tranne per qualche ciuffetto sparato in testa. I denti sporgenti all'infuori e la lingua che penzola da un lato della bocca.

«Che cazzo di strano incrocio sei?» mi chino per accarezzargli la testa. Oltretutto indossa un cacchio di maglioncino in lana – ovviamente maculato-. Povero animale.

«È un cane nudo cinese», la voce di Stella mi fa sobbalzare.

Mi guardo intorno ma non riesco a vederla. Poi abbasso lo sguardo e lei è lì. Sulle scale che portano al piano di sotto. Dio, quanto è inquietante.

«Ah», borbotto.
«Si chiama CinCin», mi informa.
CinCin? No, non farò domande. «Bello», sorrido.
Lei annuisce. «Vieni, seguimi.» Scende le scale e io la seguo. Spero solo di non essermi cacciata nella casa di una serial killer che maltratta i cani. CinCin mi passa accanto scendendo rapidamente le scale. Dal mondo in cui scodinzola non mi sembra poi così maltrattato.

Stella si ferma davanti a una porta scura su cui sono attaccati un mucchio di adesivi di varie band punk. Da dietro la porta, le note di Goo Goo Muck raggiungo le mie orecchie. Immagino che una volta che aprirà la porta, mi ritroverò Rebel ballare come Mercoledì nella serie tv. Ormai mi aspetto di tutto.

Invece contro ogni previsione, appena Stella apre la porta vengo accolta da una nuvola di fumo, che sembra scappare via appena trova un modo di uscire dalla stanza. Risale persino lungo le scale.

«Vieni.»

La seguo. La stanza puzza di erba. Le pareti sono letteralmente tutte dipinte di nero e tappezzate di poster di altre punk rock band. Sid Vicious è il soggetto principale. Rebel e stravaccata su un pouf nero a fumare indisturbata da un bong.

Aspira a pieni polmoni e poi butta fuori il fumo che si disperde in un grosso nuvolone. Ora si spiega la foschia che c'è qua dentro. Posso stare tranquilla, non sono finita per sbaglio a Silent Hill, nessun uomo con il corpo sexy e la testa a forma di piramide mi ucciderà.

Nota la mia presenza e solleva pigramente una mano. È fatta come una pigna. Indossa una gonna di jeans tutta sfilacciata, calze velate giallo fluo e un maglione nero e giallo tutto bucherellato. Ai piedi, indossa degli anfibi consunti. I capelli gialli  oggi non sono pettinati a mo' di cresta, ma li porta lisci. Solo ora noto che ha un piercing al naso come il mio, uno al sopracciglio e uno sull'attaccatura del naso. Rebel è la tipa che potrebbe avere un piercing sulla patata. È ribelle, proprio come il suo nome. È stramba, però mi piace.

«Ciao Rebel», la saluto.

Intanto Stella saltella verso un altro pouf prima di sprofondarci sopra. Lei indossa un vestito colorato che le arriva fino ai piedi. Sembra più una vestaglia, sinceramente.

«Siediti pure, Blue», parla cercando di sovrastare la musica.

Prendo posto su un altro pouf. Ci sprofondo dentro come se fosse una nuvola. Persino questo coso è più comodo del letto di casa mia. Rebel sventola il bong in mia direzione. «Vuoi?»

Ho decisamente bisogno di rilassarmi. «Sì, grazie. Che cosa c'è dentro?»

Come la volta scorsa in bagno, ridacchia. Deve avermi preso proprio per scema, non lo so. «Fai troppe domande, tesoro» si sdraia, non so come sul pouf e incrocia le braccia dietro la testa.

Non ne ho mai usato uno in vita mia. Però non voglio sembrare una scema. Lo poso sulle mie cosce e lo osservo.
Vado proprio a intuito. Alla fine ci riesco. Il problema è che il fumo è troppo forte e mi intossica i polmoni. Cerco di non tossire ma sento che stanno per esplodermi gli occhi – e anche i polmoni-. Tossisco come un cane asmatico e loro due ridacchiano. Poso quel coso che per poco mi ammazza a terra. «Allora», inizio con il fiato corto. «Di cosa volete parlarmi?» Cazzo, mi stanno andando a fuoco il polmoni, la gola. Tutto.

Rebel mi guarda attraverso i suoi occhi offuscati. «Ti vogliamo nella nostra band, Blue Jean. Sei... pazzesca.»

Sorrido. «Grazie...» Entrare a far parte di una band in questo momento non mi sembra proprio il caso. Però forse potrebbe servirmi a distrarmi. In più queste due sembrano trafficanti di droghe di ogni tipo, potrei averne una quantità infinita gratis.

Strofino le mani sulle cosce. «D'accordo, ma dovrete cambiare nome», chiarisco subito. Essere denunciate per plagio non mi sembra proprio il caso.

«Tu che nomi proponi?» mi chiede Stella, attorcigliandosi una ciocca arancione alle dita.

«Non lo so, ci devo pensare.»
«D'accordo, potremmo anche cambiare nome», Rebel si mette a sedere in modo più composto e mi guarda. «Tu riusciresti a procurarci una serata da qualche parte?»

Ecco, sapevo che c'era qualcosa sotto. «Dipende.»

«Da cosa?» chiedono entrambe.
«Da come suonate!» dico ovvia. Non le ho sentite e non so come se la cavano.

Rebel si alza e prende un basso tra le mani. Fa un cenno del capo a Stella che si alza e prende posto dietro la batteria. Con un altro cenno del capo indica la chitarra. «Proviamo allora. Perché aspettare?»

«Non daremo fastidio alla madre di Stella?»

Ridacchiano. «Janis a quest'ora dev'essere già distrutta.»

Mh, bene. Mi alzo in piedi e mi avvicino alla chitarra. Per poco non mi prende un colpo quando vedo lo stato in cui si trova. Sistemo le corde – ovviamente scordate- e sistemo la tracolla sulla spalla.

Rebel mi sorride in modo beffardo. «Avanti, parti. Noi ti verremo dietro.»

Da come parla, sembra che sappiano il fatto loro. Non mi resta che scoprirlo.

La prima canzone che mi viene in mente è Cherry Bomb. Rebel e Stella mi vengono subito dietro senza problemi.
Sorprendentemente siamo sincronizzate. Non so come, dato che è la prima volta che suono con loro.
Come sempre, quando prendo una chitarra in mano, tutti i miei problemi spariscono.

Cercano di prendermi contro piede suonando un'altra canzone. Ovviamente le seguo senza nessun problema. E poi io amo gli Sham 69.

Devo ammettere che la voce di Rebel che mi fa da eco, ci sta benissimo con la mia. Lei ha un timbro di voce che mi ricorda quello di Siouxsie sioux.

«Be', siamo andate alla grande!», dice Stella super euforica.
«Già» concorda Rebel, sedendosi di nuovo sul pouf.

Le imito e mi siedo anche io. «Già, è andata bene. Hai una bella voce, perché non fai la prima voce?» chiedo rivolgendomi a Rebel.
Arriccia il naso. «Non mi sento a mio agio. Preferisco fare la seconda voce e impegnarmi con il basso», alza le spalle.

Be', è un vero peccato. Ha davvero una bellissima voce. «Okay. Comunque cercherò di procurarci una serata... da qualche parte.»
«Al Rocktail? Mi è sembrato che tu conoscessi i proprietari», propone Stella.
Arriccio il naso. «No, tranne che in quel locale. I due proprietari sono dei deficienti», borbotto.

Rebel inarca un sopracciglio. «Eppure si mormora che te la fai con tutti e due.»
La mia testa scatta nella sua direzione. «Scusa, chi lo dice?»
Alza le spalle. «Non lo so esattamente. Ma abbiamo sentito delle voci. Allora, smentisci? Ovviamente noi non ti giudicheremo. Insomma, sono gli Overdrive! Li seguiamo da quando erano ancora un branco di sballoni imbecilli. Siamo davvero contente che siano arrivati sino a qui.»

Sprofondo nel pouf. «Be'...» mi tocco il mento con fare imbarazzato. «A dirla tutta sono stata a letto solo con Sidney. Con William ci siamo solo... toccati.»

Sul serio? Non ne ho parlato con la mia migliore amica e mi sto confidando con queste due sconosciute? Sono davvero un'amica di merda. Scar sapeva di Sid. Ma solo della prima volta. Non della seconda. E non sa niente di William.

«Hai capito la ragazzina», ridacchia Rebel.
Le mie guance si scaldano. «Non è niente di serio. Mi piace... fare sesso», alzo le spalle. Perché cazzo l'ho detto?

«Come a tutti gli esseri umani», concorda Stella. «A me piacciono tutti. Non ho preferenze. Che sia maschio o femmina, a me non importa.»

Rebel alza gli occhi al cielo. «È un modo carino per darsi della zoccola.»
Le sopracciglia di Stella si aggrottano. «Non sono una zoccola. Sono innamorata di tutti, dell'amore!»
«Quindi automaticamente sarei una puttana anche io, dato che la do a chiunque come se fosse una caramella» borbotto, sentendomi offesa.

«No, ti piace solo il cazzo, tesoro. Come a me» ridacchia Rebel, strizzando un occhio.

La sua teoria non ha senso. Perché se Stella va con uomini e donne è una puttana, e noi che scopiamo come dannate solo con uomini no?

Bah, alla fine che ragionamenti posso aspettarmi da una perennemente in trip?

Intanto Rebel si infila una pasticca a forma di cuoricino in bocca e la succhia. «Anche io mi sarei voluta accalappiare uno di loro. Sono dei fighi assurdi. Peccato che quelle come noi non le guardino nemmeno.»

Be', sei sempre persa nel tuo mondo!
«Non dire così. Sei bella. Loro sono degli stronzi.»
Fa una smorfia. «Parli così solo perché sei una strafica.»

Io strafica? Dove? Sono perennemente vestita come una barbona. Non ho fatto altro che vomitare in presenza di William e calarmi qualsiasi cosa in gola. Chi mi trova attraente è cieco – o strafatto-.

Schiocco la lingua. «Ti sbagli.»
Alza gli occhi al cielo. «Sei una di quelle che dicono di essere cesse per sentirsi rispondere che non è vero?»

Apprezzo la sua schiettezza. «No, affatto. Lo dico perché è così.»
«Se lo dici tu», alza le spalle e cerca di offrirmi una pasticca a forma di cuore. Rifiuto. Questa non mi piace. Ed è meglio che mi avvii verso casa.
«Bene», batto le mani sulle cosce. «Io ora devo proprio andare», mi alzo in piedi.

«Dove vivi?», mi chiede Stella.
La guardo. «Per ora sto a casa di mio padre. Mio nonno sta... male. Quindi momentaneamente sto a Newham.»
Fa una smorfia. «Bel quartiere.»
Alzo le spalle. «Non è male. Se ti fai i cavoli tuoi, vivi bene.»

«Ti accompagno io, tanto vivo a Westham.» Si alza anche Rebel. Si avvicina alla sua amica e la bacia sulle labbra. Chissà da quanto si conoscono. Sembrano molto amiche.

Saluto Stella e la ringrazio per l'ospitalità. Saluto anche CinCin. Quando torniamo al piano di sopra non c'è più traccia della mamma di Stella.

Rebel segue il mio sguardo. «Non la troverai. Sarà nella sua stanza strafatta come una pera...» apre la porta e la tiene aperta per me.

«Oh... mi dispiace», mormoro.

Rebel ridacchia. «Per cosa? Ci sballiamo anche noi! Altrimenti come pensi che ci procuriamo tutta la roba?»

Alzo le spalle. Intanto lei apre una Mini Cooper nera con il tettuccio a scacchi. Ci sediamo entrambe. Sono un po' sono agitata. Insomma si è presa poco fa quella specie di caramella. «Te la senti di guidare?»

Infila la chiave e ridacchia. «Tranquilla, ci mette quasi venti minuti per fare effetto.»

Mh, bene. Credo. «Che cos'era?»

Ingrana la marcia e ci allontaniamo da casa di Stella. «Ecstasy. O MDMA», spiega. Come se io fossi un'esperta. «Tu hai provato qualcos'altro?»

«Be', una volta un ragazzo mi ha dato dell'eroina dicendomi che fossa cocaina. E poi oltre qualche striscia di cocaina, solo canne. E quell'acido che mi avete dato al locale.»

Ridacchia. «Però ammetti che è stato un bel viaggio.»
«Sì», dico senza esitazione. Ammetto che vorrei fare un altro di quei viaggi. Lì era tutto più bello. «Non è che ne avresti un'altra?» Sei pazza?

Annuisce, tenendo lo sguardo fisso sulla strada. «Dopo te ne do un paio.»

«Gratis?» chiedo, giusto per sapere.

Scoppia a ridere. «Vuoi dirmi che la figlia di James Weller non ha una sterlina?»

«Esattamente. Non vivo con lui. Lavoro in un negozio di vinili», borbotto. Perché le persone pensano che io viva sulle spalle di mio padre?

«Figo. Sei proprio una tosta, Blue Jean. Mi piaci!» sorride rivolta verso la strada. «Comunque sì, gratis. Vedilo come un regalo di benvenuto.»

Sorrido, anche se non mi sta guardando. «Grazie, Reb.»

«Reb?» si volta a guardarmi.

Annuisco. «Sì, più corto e più accattivante.»
Ridacchia. «D'accordo. Piccola svitata.»

«Quanti anni avete tu e Stella?» chiedo, ignorando quel nomignolo che mi provoca la pelle d'oca.

Apre il finestrino e noto che sta iniziando a sudare. Bene. Non siamo nemmeno a metà strada. «Io ne ho venticinque. Stella ventidue. Tu?»

«Ventuno» mormoro, guardandola in caso che possa svenire da un momento all'altro.
«Piccolina», ridacchia. «Come ci sei finita a essere amica o tromba-amica degli Overdrive?»

Oddio, ancora?
Le racconto la storia, di me e Sid che scopiamo completamente strafatti. Ometto il fatto di aver conosciuto William durante una seduta da Colvin, non è necessario che sappia che soffro di depressione.

Lei mi racconta di come si sono conosciute lei e Stella. Ovviamente si sono conosciute in una struttura di disintossicazione – a quanto pare, non è servita a molto-. Inoltre scopro che Stella ha un leggero spettro dell'autismo. Ovviamente non è un problema. Suona quella batteria come una vera e propria professionista. Infatti quando lo dico a Reb, lei dice che è un modo che ha Stella per calmarsi.

Però una domanda mi sorge spontanea: tutte quelle droghe non le fanno male?

Alla fine arrivo a casa sana e salva.

«Grazie per aver accettato, Blue», sorride.

Ricambio il sorriso. «Figurati.» Prima che possa allontanarmi, mi richiama e tende una mano verso di me. Apro il palmo e ci posa tre francobolli uguali a quelli dell'altra volta.

«Mi raccomando, uno alla volta. Se li prendi tutti e tre insieme non tornerai più da quel viaggio. Dico sul serio. Solo uno», si acciglia.

Annuisco. «Sì, tranquilla.» Non ho nessuna voglia di perdermi in un viaggio psichedelico. Mi basta quello in cui mi sono immersa senza prendere nessun acido. Anche se non è affatto tutto rose e fiori o colorato. La saluto e apro il cancello di casa dei miei nonni.

Quando entro a casa sono tutti a letto. Passo davanti alla stanza dei miei nonni dove c'è la luce notturna ancora accesa. Mio nonno dorme con la schiena leggermente sollevata da tanti cuscini. Al naso, come sempre ha gli occhialini per l'ossigeno. È pallido, più degli altri giorni.

Mia nonna sta guardando la tv a basso volume. Ma so che non la sta guardando davvero. La tiene accesa solo per avere un po' di compagnia. Sono giorni che non chiude occhio. Anche lei forse più di tutti, sta aspettando quel giorno. E non vuole rischiare di addormentarsi. Quando succederà, sono certa che dormirà per una settimana intera.

Sposta lo sguardo su di me. Abbozza un sorriso.

Sollevo una mano per salutarla. Lei batte una mano sul materasso accanto a lei per invitarmi ad andarle vicino. Puzzo peggio di un bordello, però entro lo stesso.
Mi sdraio accanto a lei senza dire una parola, rannicchiandomi in posizione fetale. Lei infila le mani tra i miei capelli e mi accarezza con dolcezza. «Dormi, bambina mia. Ci sono io qui», sussurra.

Non me lo faccio ripetere due volte. In men che non si dica mi addormento, sfinita.
Per la prima volta dopo tanto tempo, sono serena. Dormo bene. Il mio sonno non è tormentato.
Mi lascio letteralmente cullare tra le braccia di Morfeo.

Quand'ero piccola, ricordo che con mio nonno facevamo sempre uno stupido gioco. Ci sedevamo sulla sua poltrona, mi prendeva in braccio e facevamo una specie di lotta con le nostre dita. Ripensandoci era un giochino stupido. Ora pagherei oro per rifarlo anche solo un'ultima volta. Ma non si può.
Ricordo anche che, quando mi mettevo a disegnare seduta sul tappeto, mentre loro guardavano la tv, lui mi diceva sempre che i miei disegni erano bellissimi, che ero bravissima. Di continuare a farlo perché avrei potuto diventare una fumettista o qualcosa del genere. Io non la vedevo proprio così. I miei disegni erano carini, sì. Ma non a "quei" livelli. E poi disegnare non è mai stata la mia passione, era solo un passatempo.
Lui aveva capito che la mia passione fosse la musica, così un giorno tornò a casa con una Stratocaster bianca e azzurra.

Già, la prima chitarra della mia vita me l'ha regalata mio nonno. Altrimenti usavo sempre quelle di papà. Lui però ha insistito. Diceva che ogni singolo artista aveva bisogno della sua chitarra per creare un collegamento invisibile ed entrare in armonia.
Sono entrata talmente in sintonia con la mia chitarra che me la sono tatuata anche dietro l'orecchio.

Certo alcune volte ho rischiato di tirarla al muro dalla rabbia. Per fortuna, non l'ho mai fatto. È rimasta impolverata per otto mesi. Ora me la porto più o meno ovunque. È un po' ammaccata e scolorita, ma non importa. Quella chitarra la terrò con me fino alla fine. Se è possibile me la farò mettere dentro la bara insieme a me quando morirò.

Ovviamente mi aveva regalato anche un plettro azzurro – che non ho mai usato-. Preferisco usare le dita, non lo so, mi viene più comodo. Infatti è per questo motivo che i miei polpastrelli sono un po' callosi. 

Mio nonno è sempre stato uno dei miei pilastri. Alcune volte quando papà era troppo impegnato con la sua casa discografica, io preparavo il mio zainetto, oltrepassavo la siepe, e andavo a casa loro. Non che mio padre fosse un padre assente, assolutamente no. Però quando mi sentivo sola potevo sempre andare dai miei nonni e passare del tempo con loro. Mio nonno mi guardava suonare mentre nonna preparava uno dei suoi tantissimi e buonissimi dolci.

È stato così fino a otto mesi fa. Poi ho smesso. Mi sono persa. E ora è troppo tardi per poter tornare indietro e rimediare. Non c'è più tempo. Credo proprio che il timer della vita di mio nonno sia arrivato quasi allo zero.


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Stamattina mi sono svegliata e mi sono ritrovata i paramedici in stanza mentre aspiravano del liquido dai polmoni di mio nonno.

Non avrei mai voluto sentire quelle parole, ma ero lì in quella stanza.
Ci hanno letteralmente detto che a mio nonno restano tre giorni di vita. E hanno consigliato a mia nonna di sedarlo, così non proverà nessun dolore quando andrà via.
Mio nonno è sdraiato a letto nella stessa posizione in cui l'ho trovato questa notte. L'ossigeno è sempre attaccato, ma lui respira comunque in modo strano. Non so, sembra un respiro agonico. Nonna ha cercato di dargli le medicine e di fargli mangiare qualcosa, ma lui non ha nemmeno aperto gli occhi. Lui non è più qui. Il suo corpo è qui, ma la sua anima sta abbandonando lentamente il suo corpo.

Stranamente non ho pianto. Forse perché sono ancora traumatizzata per essermi risvegliata con i paramedici in stanza, non lo so. O forse non ho più lacrime da versare, non ne ho idea.

Inoltre ci hanno detto che tra non molto entrerà in coma.

Che cosa dovremmo fare noi? Attendere.
Aspettare che lui si spenga del tutto.

Sono arrabbiata. Davvero tanto arrabbiata con me stessa. Ho sprecato un sacco di tempo a perdermi e a sperare di ritrovarmi. E ora non posso più recuperare il tempo perduto con lui. Lui sta morendo. E io non posso farci niente.

Mia nonna mi ha consigliato di suonare per lui. Come farà a sentirmi? Non mi sentirà mai.

Tutta questa situazione non sta facendo altro che far calare di nuovo quel velo nero sui miei occhi. Con la differenza che quel velo adesso è molto, molto più grande.

Dovrò convivere con i sensi di colpa per non aver passato più tempo con lui? Probabilmente sì.

Ma io sono brava a scacciare via i sensi di colpa, i sentimenti, il dolore. Mi basterà lasciare che quel velo mi ricopra tutta come una coperta gelida e non sentirò più niente.

A quale costo però? Il prezzo più alto da pagare è quello di allontanarmi di nuovo da tutte le persone che mi vogliono bene. Darò dispiacere a mio padre, di nuovo. Thomas forse non mi parlerà più per il resto della mia vita. I miei amici? Be', loro andranno avanti e forse troveranno un'amica migliore di me.

Pensavo di essere più forte nell'affrontare i dispiaceri. Mi sbagliavo, non lo sono affatto. Preferisco semplicemente spegnere il cervello e non pensare più a niente. È più facile. Mi odieranno tutti. Ognuno però quel piccolo e bastardo pezzo dell'anima se lo salva come può, no?

Aspetterò che mio nonno vada via. Poi andrò via anche io. Comunque vada un pezzo del mio cuore se lo porterà con se comunque. E io tornerò a essere quel maledetto guscio vuoto che brancola nel buio.

Ho pensato che forse dovrei iniziare ad arredarlo il mio tunnel, dato che ci passerò un sacco di tempo lì dentro. Ho capito che non posso sfuggire a quel mostro che ho dentro. Forse sì, se io ci mettessi più grinta e indossassi un armatura. Ma io non lo voglio. Se mi arrendo niente e nessuno potrà farmi del male. Io non ce la faccio proprio a convivere con questo dolore che mi comporterà vivere sapendo che mio nonno non ci sarà più. Quindi tanto vale premere il tasto off e non sentire più niente. Sarà tutto più facile per me. Non per gli altri che mi vedranno diventare di nuovo il fantasma di me stessa. Lo sarà per me però, più facile.

Forse poi qualcuno la su si renderà finalmente conto che sto sprecando uno spazio prezioso e deciderà di farmi sparire per renderlo a qualcun altro migliore di me. Chi lo sa.

L'unica cosa che adesso so per certo è che dentro di me è tutto morto. Ogni mio fottuto organo e sepolto sotto strati e strati di neve e ghiaccio.

Pensavo di potercela fare, stavo migliorando. Invece mi sbagliavo. Era solo la quiete prima della tempesta. Questa tempesta che si sta per abbattere su di me è troppo forte per poterla superare e uscirne vincitori e vivi. Non mi resta altro che aspettare che incomba su di me e che mi porti via.

·¯·♩¸¸·¯· ·¯·♩¸¸·¯·♫¸¸¸¸♬·¯·♩¸¸·¯·

The end is near 🥺

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