♫ ~26. ꜱᴄʀᴇᴀᴍ ᴀᴛ ᴍᴇ ᴜɴᴛɪʟ ᴍʏ ᴇᴀʀꜱ ʙʟᴇᴇᴅ


Are you locked up in a world that's been planned out for you?
Are you feeling like a social tool without a use?Scream at me until my ears bleed
I'm taking heed just for you
Green Day
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Che io sia una persona impulsiva, mentalmente instabile, dannatamente irascibile e spropositatamente stronza, è risaputo.
Quando sono stato creato non hanno proprio badato a nulla. Chiunque sia lo stronzo responsabile della mia creazione, non si è risparmiato niente.

Ho passato due interi e fottuti giorni incollato al telefono in attesa di ricevere un messaggio da parte Blue che mi dicesse che suo nonno fosse stato dimesso.
Immagino che sia ancora ricoverato, però un cazzo di messaggio poteva inviarmelo!

Tornando alla mia impulsività e la tendenza a prendere decisioni troppo affrettate, questa mattina mi sono alzato più presto di un gallo – l'ho battuto sul tempo quel bastardo- e ho preso l'impulsiva decisione di presentarmi in ospedale. Perché? Non lo so, se qualcuno lo sa è pregato di farlo sapere anche al sottoscritto.

Adesso eccomi qui, a chiudere lo sportello della mia Alfa e dirigermi a testa alta verso le porte scorrevoli del St Thomas Hospital.

Oggi c'è un pessimo tempo. Da questa notte non smette di piovere.
Faccio il mio ingresso nell'atrio dell'ospedale manco fossi Brandon Lee nelle vesti del Corvo. Mi avvicino alla signora che sta seduta alla reception e levo gli occhiali da sole – anche se sole fuori non ce n'è-, ma li ho messi per nascondere il fatto che ho due occhiaie grandi quanto il buco nero nello spazio e che mi sono distrutto questa notte. La tipa mi osserva con fare circospetto. Si sistema gli occhiali sul naso. «Posso esserle utile?»

Se la signora è in grado di; farmi uscire dal tunnel della droga, risolvere la fame nel mondo, farmi dormire come si deve per almeno otto ore di fila. Darmi la forza di sopportare Noel e le sue continue frecciatine sulla felicità che proverebbe nel vedermi schiacciato sotto un treno, allora sì. Può essermi d'aiuto.
Ma può esserlo anche se mi indica la stanza in cui si trova Elvis Cat Weller.
Avrebbero dovuto arrestare i genitori per questo nome.

Mi schiarisco la gola. Ho appena fumato una sigaretta e ho un saporaccio di merda in bocca. «Sto cercando la stanza del signor Weller. Elvis Cat Weller.» É persino imbarazzante dirlo ad alta voce.

Mi scruta con più curiosità, o forse è ostilità, non lo so. «È un parente?»

Parente? Se fossi parente di Elvis Weller significa che ho commesso un incesto. «È mio zio», borbotto.

Serra appena le labbra e abbassa lo sguardo sul display del computer. «Stanza numero dieci, quarto piano.» Nella mia mente risuona la voce del folletto orrendo della Gringot. " Chiave prego. Attendere, prego". Un po' così.

Le rifilo uno dei miei sorrisi suadenti e mi incammino verso l'ascensore.
Premo il bottone e aspetto.

Aspetto. Aspetto. E aspetto. Quel bastardo è fermo al decimo piano da quasi cinque minuti.

Che cazzo.

Lascio perdere l'ascensore e prendo le scale.

Quattro piani dopo, e aver quasi rischiato una crisi respiratoria, arrivo al quarto piano. Dovrebbero decisamente mettere a portata di mano delle bombole di ossigeno a ogni rampa di scale.

Imbocco il lungo corridoio e cerco la stanza numero dieci.
Ironia della sorte; è l'ultima stanza.

La porta è chiusa, e dalla piccola finestrella vedo che il nonno di Blue – spero che sia lui- è da solo ed è impegnato a leggere un fumetto di Dylan Dog. Anche mio nonno leggeva sempre quei fumetti.

Ora non so come comportarmi. Non posso di certo piombargli in stanza come un pazzo. Neanche mi conosce.

Ho giusto il tempo di pensare se fare dietro front o meno, quando lui solleva lo sguardo su di me e mi fissa con curiosità.
L'uomo davanti ai miei occhi ha un viso pallido, tendente al giallognolo. I capelli che gli stanno ricrescendo sono per lo più bianchi. Gli occhi sono leggermente infossati e stanchi. L'occhio sinistro tende un po' a essere storto. Sono di un intenso verde smeraldo. Mi chiedo da chi abbiano preso Blue Jean e suo padre ad avere l'eterocromia.

Solleva una mano e mi fa cenno entrare. Cazzo, mi sento un cretino.
Abbasso la maniglia ed entro. Lui posa il fumetto sulle sue gambe e continua a osservarmi. Più che altro sembra interessato ai miei capelli.

I suoi occhi poi si posano nei miei e un sorriso amichevole gli incurva le labbra.

«Buongiorno signor Weller» bofonchio, con ancora una mano posata sulla maniglia. «Sono William, un amico di Blue Jean.»

Lui mi sorride in modo sghembo. Ho la sensazione che da giovane dev'essere stato un vero rubacuori. «So chi sei. Mio figlio non fa altro che parlare della tua band. Entra e accomodati pure, gli altri non sono ancora arrivati. Probabilmente si stanno facendo in quattro per trovarmi i fumetti di Tex», ridacchia.

Muovo qualche passo e vado a sedermi sulla poltrona sotto alla finestra che da sul parcheggio. «Mio nonno leggeva Tex.»
«Lo so», sorride.
Inarco un sopracciglio. «Conosceva mio nonno?»

Annuisce debolmente e tenta di afferrare il bicchiere da sopra al comodino. Lo manca un paio di volte e poi riesce a prenderlo. Afferra la cannuccia e beve. «Conoscevo eccome Dave Gilmour, anche l'incantevole Eloise. Somigli molto a tuo nonno» dice, perdendosi in chissà quale vecchio ricordo.

Invece io mi ritrovo a stringere i braccioli della poltrona. Non riesco ancora a parlare dei miei nonni senza che mi venga quella strana sensazione alla bocca dello stomaco. Loro erano la cosa più vicina a un genitore che io abbia mai avuto. E tutt'ora mi mancano. Anche se sono stato un bel grattacapo per loro, combinando le mie solite cazzate. Cazzate un po' grosse e decisamente lontane dalle marachelle adolescenziali. Li ho fatti dannare.

«Già, me lo dicono spesso.» In realtà non me lo ha mai detto nessuno. All'infuori di Joey e Sid forse, che mi prendevano in giro dicendo che da vecchio sarei stato uguale a mio nonno. Le altre persone purtroppo dicono che io sia uguale alla donna che mi ha messo al mondo.

Nella stanza cala il silenzio. Non so che cosa dire e probabilmente lui si sta chiedendo che cosa ci fa un ragazzo troppo biondo nella sua camera. Se lo sta pensando, non lo dice. «Se vuole posso darle i fumetti di mio nonno» dico, rompendo il silenzio.

Scuote appena il capo. «No, non serve. Sono ricordi quelli. E poi un domani varranno una fortuna», ridacchia. «E non darmi del lei, non sono così vecchio. Chiamami Elvis e basta.»

Un sorriso mi tende le labbra a ripensare al suo secondo nome. Cat. Come Cat Stevens. Bizzarro. Mi sistemo sulla poltrona. «Com'è che tutti voi avete dei nomi che riportano a qualcuno di famoso?» Glielo dovevo proprio chiedere. Solo lui può darmi una risposta in quanto capo famiglia.

Alza una spalla e una smorfia di dolore gli distorce i lineamenti. «Non c'è un vero e proprio significato. Ci piace solo farlo. Niente di strano. Ti basti pensare che a James lo volevo chiamare Bobby. Come Bobby...»

«Darin», concludiamo la frase insieme.

Annuisce. «Esatto. Ginger però non ha voluto. Lei adorava James Dean», alza le spalle.
«Sua moglie si chiama Ginger?» Sul serio, è uno scherzo?

Ridacchia. «Sì, credo che i suoi genitori le abbiano dato questo nome per via dei suoi capelli rossi.»

Ah ecco. Quindi la stirpe dei Weasley di Newham è partita dalla signora Weller. Anche lei ha gli occhi di due colori diversi o solo James e Blue? Non lo so, lo scoprirò a breve.

Elvis si sistema tra i cuscini. A ogni movimento che fa sembra che gli provochi dolore. Lo capisco dalle smorfie. «Chissà se troveranno mai i fumetti», ridacchia.
«Be', se andranno nei negozi appositi...»
Lui ridacchia. «Non li troveranno», dichiara.

Okay, adesso sono un po' confuso. «Perché no?»
«Sono difficili da trovare. E chi li ha, non li cede così facilmente. Tuttavia, gli ho incaricati di andare a cercarli perché così la smettono di volteggiarmi attorno come delle trottole impazzite. Aspettando al mio capezzale che io esali l'ultimo respiro.»

Scoppio a ridere. Non c'è niente da ridere, ma proprio un cazzo. Capirà che sono fuori di testa. «Bella mossa. Ovviamente loro non lo sanno, giusto?»
Scuote il capo. «Assolutamente no. Ma conoscendo mia moglie andrà a svegliare il fumettista dall'oltre tomba.»

Ridacchiamo entrambi. Dev'essere proprio strano – non è la parola corretta- sapere che ti restano pochi mesi o giorni di vita. Insomma, vivi aspettando che arrivi quel giorno. È un po' triste. Soprattutto se ne sei consapevole. Ma Elvis Cat Weller non mi sembra poi così spaventato di lasciare questa terra. Dopotutto una volta che muori sei morto, no? Sono gli altri che restano a soffrire e a portare avanti il tuo ricordo.

Tranne io, che non metto piede in cimitero da quando abbiamo sepolto i nostri nonni. Non ce la faccio e non mi piace andarci. Però ogni tanto li ricordo. Quando la mia testa non è troppo affollata da altri pensieri.

«Quindi te la fai con mia nipote?»

Per poco mi strozzo con la mia stessa saliva. «No, certo che no. Siamo amici.»
Serra appena le labbra. «Uhm, e io sono sano come un pesce!»

Ora capisco da chi abbia ereditato il sarcasmo Blue Jean; dall'uomo che ho davanti. «No, davvero. Siamo solo amici, più o meno. Qualcosa del genere. Ed è piccola.» Non so effettivamente se siamo amici o meno.

Si passa una mano sul viso stanco. «L'età è solo un numero. Io e mia moglie ci passiamo quasi undici anni di differenza», sorride. «Mi sembri un bravo ragazzo», insinua. «Ti chiedo gentilmente di starle accanto quando io non ci sarò più. Qualcosa mi dice che soffrirà parecchio per la mia assenza. E la conosco abbastanza bene da sapere che si sentirà in colpa per non aver passato più tempo con me. So che cosa le sta succedendo ultimamente. Capita a tutti di brancolare nel buio prima o poi. È solo che lei...», fa una pausa per bere un po' d'acqua prima di riprendere a parlare. «Non se lo merita. È una giovane donna meravigliosa. Solo che ancora non se ne rende conto. Non merita nemmeno di essere trattata in quel modo dal fratello. Ma a lui, penserò io. Se avrà qualcuno al suo fianco che la sorreggerà, diventerà incredibilmente famosa. Ha tutto il potenziale per esserlo. Dopotutto è mia nipote», strizza l'occhio.

Sospiro. «Lo so. Ma è molto testarda e non si lascia avvicinare. Alcune volte sembra un gatto diffidente sempre pronto a graffiare. E – scusami il gergo- a volte è una stronza.»

Lui ridacchia. «Mh, lo so. Una parte del suo carattere lo ha ereditato dalla madre. Stessa linguaccia pungente. Ma Blue è migliore di lei. E so che avrà il successo e la vita che si merita. Ora è ancora troppo giovane. A vent'anni siamo stati tutti dei ribelli imbecilli.»

Ah, doveva finire a vent'anni la fase di ribellione? Buono a sapersi. Lo avrà eccome il successo che merita. Se solo si levasse quei prosciutti dagli occhi e ascoltasse di più suo nonno o suo padre. «Com'era la madre di Blue?» E a te che importa? Fatti i cazzi tuoi.

Arriccia il naso come se avessi nominato qualcosa di ripugnante. «Era bellissima. Una vera bellezza da mozzare il fiato. Peccato che il suo essere stronza era proporzionato alla sua bellezza. È scappata via con un altro uomo...» si interrompe e mi guarda negli occhi. «Se dici di essere suo amico, perché non sai queste cose?»

Eh. «Non parliamo molto del nostro passato.» Sono il primo a non farlo.
Annuisce. «Ti riferisci ai tuoi genitori?»

Mi paralizzo sulla poltrona. Come fa a saperlo? «Sì. Come lo sai?»
«William, tuo nonno parlava molto con me. Mi ha raccontato un po' di cose spiacevoli. Era parecchio disperato per la situazione a casa dei suoi nipoti. Vi voleva un gran bene.»

Già. Mio nonno ci voleva bene eccome. Ero io quello sempre restio a dirgli quanto bene gli volessi e a ringraziarlo per tutto quello che ha fatto per noi. Invece mi sono comportato da coglione. E ora è troppo tardi. Non ho mai ricambiato un abbraccio, mi irrigidivo come un blocchetto di ghiaccio ogni volta che lo facevamo. Ora a essere sincero, me ne pento.

Non voglio che Blue faccia il mio stesso errore. «Già. Comunque, io e tua nipote vogliamo organizzarti un piccolo concerto» dico, anche per cambiare argomento. Questa conversazione inizia a starmi un po' stretta.
Inarca un sopracciglio. «Ah, sì?»

Annuisco. «Sì, appena ti dimetteranno da questo posto di merda, lo faremo. Voleva scriverti una canzone, ma non è mica così semplice.» A meno che non abbia un Luke che le sta col fiato sul collo, allora forse ci riuscirebbe. Noi abbiamo concluso un disco in pochissimo tempo.

«Be', non vedo l'ora», sorride. «Così avrò l'occasione di vedere come se la cava il nipote di Dave Gilmour.»

Ovviamente bene. Non voglio essere troppo modesto però.

«Comunque, dicevo sul serio: stalle vicino, anche se alcune volte ti verrà voglia di mandarla a quel paese.»
Ridacchio. «D'accordo, te lo prometto.» Prometto anche di non farmi più toccare il pisello da lei.
Chissà che cosa direbbe James se lo venisse a sapere. Lui si fida di me. E fa male. Lo ha detto anche Sid che non mi affiderebbe nemmeno una piantina finta.

La porta si apre e il resto delle famiglia Weller entra nella stanza. Mi guardano tutti come se fossi un fantasma spuntato dal nulla per infestare le loro case. Thomas mi sta guardando come se mi avesse appena beccato a iniettare veleno nella flebo di Elvis. Blue e suo padre sono solo sorpresi.

Da dietro loro spunta Ginger Weller, e porca vacca è una bellissima donna. Alla faccia del cazzo!
Capelli rosso fuoco. Fisico niente male per avere l'età che ha e due occhi azzurri come oceani tropicali. Cosa più importante: si veste meglio della nipote. Che oggi indossa una felpa nera che le arriva quasi alle ginocchia, jeans dello stesso colore – ai piedi le sue inseparabili Dr Martens- e un chiodo di pelle pieno di borchie appuntite. Chissà se è venuta a cavallo di un Harley Davidson.

Avanza nella stanza e punta verso di me. «Che ci fai?» Perché sta arrossendo? Ha paura che possa aver detto quello che abbiamo fatto a suo nonno terminale?
«Non mi hai più cagato di striscio», alzo le spalle. «Quindi eccomi qui. Ho fatto una chiacchierata con tuo nonno.»

Thomas mi sfila davanti prima di sedersi sull'altra poltrona libera. Pensavo fosse un ragazzo più in gamba. Adesso vorrei solo prenderlo a pugni per come tratta la sorella – senti chi parla-, dopo tutto quello che sta succedendo.

Blue guarda suono nonno. «Non abbiamo trovato i fumetti che ci hai chiesto.»
Aveva ragione, sono introvabili. «Posso darglieli io» mi intrometto, ignorando l'occhiataccia torva di Elvis. Che me ne faccio? Non mi piace leggere e chiaramente non ho bisogno di soldi.

Blue mi guarda, quegli occhi bellissimi vengono illuminati da una scintilla di allegria. «Davvero?»
«Sì, davvero», borbotto.

La nonna, dopo avermi esaminato dalla testa ai piedi, si avvicina a me con la mano tesa. «Piacere, sono Ginger.»

Ed è anche molto bella, signora Ginger. Stringo la sua mano a mia volta. «William.»

Il suo sguardo si illumina. Guarda la nipote e James e poi di nuovo me. «William, William?»

Cosa? Non so cosa intenda ma annuisco.

«Mio figlio è ossessionato da te e dalla tua band. Non fa altro che nominarti. Mi sorprenderebbe se non ti fischiassero in continuazione le orecchie», ridacchia. Con la grazia di un cigno – di cui Blue è sprovvista- si sistema una ciocca rossa dietro all'orecchio. Dove ai lobi ci sono due orecchini di perle.

«Non è vero, non parlo così tanto di loro», brontola James.

Sia Ginger che Elvis lo guardano con il sopracciglio sollevato. Persino Thomas, e ora anche Blue. Alza gli occhi al cielo. «È vietato essere felice per aver trovato una band eccezionale? Con tutta la merda musicale che circola al giorno d'oggi...»

Sorrido al mio manager. Sono contento che lui abbia tanta fiducia e che creda in noi. È confortante. «Grazie James.»

Thomas schiocca la lingua in modo annoiato. Lo ignoro. Prenderlo a pugni davanti alla sua famiglia non rientra nei miei piani di oggi.

La piccola svitata dai capelli rossi si siede sul letto accanto al nonno e lo imbocca con delle cucchiaiate di budino al cioccolato. È una scena un po'... triste. È triste vedere che un uomo come Elvis non riesca neanche più a mangiare da solo. E lei... è così carina mentre gli tampona le labbra con un fazzoletto.

A quanto pare non sono l'unico ad avere mille e più personalità. O forse molto semplicemente, non la conosco bene come credo. – O forse- lei vuole solo in qualche modo riscattarsi e farsi perdonare dalla sua famiglia.

Verso l'ora di pranzo ci cacciano via e fanno restare solo Ginger.
James mi ha praticamente obbligato ad andare a mangiare qualcosa con loro. Thomas ha inventato una scusa patetica e se n'è andato – spero a fare in culo-. Giuro che mi viene voglia di sputtanarlo davanti a tutti. Dire a suo padre che ci serviamo dallo stesso pusher e che non è il ragazzo tranquillo che sembra. Vorrei anche dirgli che una volta ci siamo ritrovati nella stessa stanza, strafatti a farci succhiare il cazzo da due ragazze diverse. Ecco chi è Thomas Weller. E si permette di giudicare Blue Jean. Patetico.

Siamo andati a mangiare in un ristorante non molto lontano dall'ospedale. Blue, ovviamente, scarta qualsiasi cosa dentro il suo piatto. Sta facendo di nuovo la fame? Giuro che se è così la imbocco io stesso. Anche James sembra non avere molta fame e lo capisco, capisco se non hanno nessuna voglia di mettere qualcosa nello stomaco.

In realtà non ho neanche tanta fame nemmeno io. Non faccio parte della loro famiglia e non so molto di loro. Però mi dispiace tanto per quell'uomo che è costretto a morire. Mi ha fatto uno strano effetto parlare con lui. Potendo levarmi qualche anno di vita, lo darei a lui. Visto? Non sono poi così senza cuore.

James si pulisce la bocca con il tovagliolo prima di parlare. «Blue mi ha detto quello che volete fare. Lo apprezzo molto e non vorrei che ti sentissi obbligato.»
Obbligato? L'ho proposto io. «Nessun obbligo. Mi va», lo rassicuro.

Si alza dal tavolo quando riceve una chiamata.

Guardo Blue che fissa con aria assente il piatto davanti a sé. «Cosa ti frulla dentro quella bella testolina, nana malefica?»
Solleva appena lo sguardo. «Sono solo un po' stanca e... spaesata», sospira.
«Vuoi sfogarti? Conosco un modo per farlo.»

Le sue guance si accendo, si guarda intorno per assicurarsi che suo padre non sia nei paraggi e bisbiglia. «Non mi sembra il caso di farmi proposte indecenti!»

Scoppio a ridere, così rumorosamente che attiro l'attenzione di quelli seduti accanto a noi. «Non è una proposta indecente! Volevo proporti di sfogarti suonando qualcosa insieme.»

Si accascia contro la sedia e si massaggia la fronte. «Ah, be'. Se è così allora okay.»
«Sei tu che hai la mente perversa, Pudding» la prendo in giro, solo per vedere quelle belle guance arrossarsi e quelle lentiggini farsi più evidenti.

Si acciglia. «Non ho la mente perversa.»
«Se lo dici tu», dico con un ghigno.

Apre la bocca per replicare ma si ammutolisce quando James torna da noi, guardando il sottoscritto. «Forse siamo riusciti a farvi ingaggiare in qualcosa di grosso», sorride ampiamente. «Ma non ti dirò nulla fino a quando non ne avremo la conferma.»

Dai però! Prima mi mette la pulce nell'orecchio e poi fa così! «Un piccolo spoiler?»
Scuote appena il capo e mima di chiudersi la bocca a chiave.

«Dai papà, ora voglio saperlo anche io!» si intromette Blue. Vediamo se con quegli occhioni riesce ad ammaliare anche il padre.
«Non mi caverete una parola di bocca», sorride beffardo.

Che palle. «Vabbè, tieniti pure i tuoi segreti», borbotto.
«Quando sarà il momento ve lo dirò. Ora devo proprio scappare. Il conto lo pago io, restate pure qui», si alza di nuovo in piedi.

Blue lo guarda in modo confuso. «Scusa, dove vai così di fretta?»

James non sa più dove guardare. «Affari di lavoro.» Uhm, il nostro James nasconde qualcosa.
Blue storce il naso. «Avete trovato un'altra band?»
Lui si tocca i capelli in imbarazzo. «Uhm sì, forse», si china su di lei e le bacia la fronte. « A dopo, fate i bravi.» Corre via, lasciando la figlia senza parole.

«Credo proprio che tuo padre abbia trovato un buco in cui infilare il suo uccello», dichiaro.

Lei che aveva appena iniziato a bere l'acqua, la sputa. Sulla mia faccia e sulla mia maglietta. «Che cazzo», sollevo una mano per asciugarmi il viso. «Potresti essere più aggraziata? Tipo tua nonna?»
Sgrana gli occhi. «No, ti prego. Non fare pensieri sconci su mia nonna!» mima un conato di vomito.
Rido. «È una gran bella donna!»

Afferra la forchetta e me la lancia contro, sporcandomi la maglietta con il sugo. La guardo malissimo. «Cosa hai appena fatto?»

Alza le spalle con fare innocente. «Non fare pensieri sconci su mia nonna. E non insinuare che mio padre scopi con qualcuna!»
Pulisco la maglietta con il tovagliolo. «Tuo padre ha tutto il diritto di svuotarsi le palle. È ancora giovane.» Insomma, cos'ha quaranta e qualcosa anni? Ne deve vedere ancora di passere!

Arriccia il naso. «Vuoi uomini pensate solo con il pene.»
«E voi ragazze con la vagina», replico.

«Maleducato», prorompe la signora accanto al nostro tavolo.
La guardo con sufficienza. «Non dovrebbe ascoltare le conversazioni altrui.» Che gente impicciona, cazzo.
Lei mi rifila un'occhiata disgustata e si volta di nuovo a guardare la sua amica tardona.

«Sei veramente maleducato», commenta Blue.
Scrollo le spalle. «No, dico solo quello che penso. Tuo padre è giovane. Tu e tuo fratello ormai siete grandi – di età, non di cervello- quindi, ha tutto il diritto di sbattersi chi vuole.»
Arriccia le labbra. «Non voglio pensare a mio padre che...» scuote la testa come se volesse scacciare via quell'immagine dalla sua testa.
«Che sventra passere?» la stuzzico.
«William!» strilla.

Ridacchio. «È la natura Pudding! Altrimenti come pensi di essere venuta al mondo? Tramite la cicogna? Non ti hanno trovata sotto un cavolo.»
La mia affermazione la fa ridacchiare. «Sei un cretino.»
«Un cretino che ti fa ridere.»

Alza gli occhi al cielo. «Sì, ma non vuol dire che tu mi stia simpatico. Ti tollero. A quanto pare stai simpatico a mio nonno.»
«Io sto simpatico a tutti», mi impettisco. Ovviamente so che non è proprio così. La maggior parte delle persone che mi conosce vorrebbe ammazzarmi nel sonno o avvelenarmi lentamente.

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Alla fine la porto nel nuovo studio di registrazione che la Blue&T Records ci ha fornito.
Si guarda intorno come se fosse una bambina dentro un negozio di giocattoli.
Accarezza la mia chitarra con il polpastrello e poi si volta a guardarmi. «Non ne sapevo niente di questo posto.»
Alzo le spalle. «Ora lo sai.» Prendo la mia chitarra e senza preavviso inizio a suonare una canzone dei Rolling Stones. Era una delle band preferite di mio nonno. È grazie a lui se sono entrato a far parte del magico mondo del rock. È stato lui a regalarmi la mia prima chitarra. Quella povera chitarra che ho quasi spaccato in testa a quella sottospecie di merda di mio padre. Alla fine, l'avevo schiantata contro il muro.

Mio nonno era un grande fan degli Stones e degli Who e aveva anche una sorta di fissa per Marc Bolan e David Bowie. I due grandissimi del Glam Rock.
Ma il suo amore platonico era Elton John. Oh, quante volte mi ha fatto ascoltare i suoi vinili. Mentre io camminavo sempre di più verso il punk o il metal, lui insisteva nel farmi ascoltare Elton. Alla fine è riuscito a farmelo apprezzare. Quando avevo tipo dieci anni mi aveva inscritto a una scuola di pianoforte. Soldi buttati. A me piaceva strimpellare la chitarra. Però ricordo ancora qualche canzone al piano. Ovviamente di Elton.

Blue si siede sul divanetto di pelle nera e mi guarda con un sorriso stampato sul viso.
«Ti stai godendo il tuo concerto privato del grande William Gilmour?»
Sbuffa una risata. «Sì, di quel gran coglione di William Gilmour. Suona e stai zitto, va'.»
«Ti ho portata qui per suonare con me, non per fare da spettatrice.»

Alza gli occhi al cielo. «Adesso non mi va.»

Poso la chitarra a terra e vado verso di lei. Le afferro entrambe le mani e la tiro su. «Fila a suonare. Puoi provare tutti gli strumenti se vuoi. Vediamo quale altro talento nascondi», la stuzzico.

Lei sogghigna. «Oh, potresti restarne stupito.» Cammina spedita verso la tastiera. Mi aspetto che inizi a suonarla come Rick Wakeman degli Yes, invece, preme un tasto e storce il naso. Riprende a camminare e si ferma proprio vicino alla batteria. Ironico.

Spero che storca il naso anche adesso, invece distrugge tutti i miei sogni sedendosi sullo sgabello. «Sai suonare la batteria?»
Annuisce. «Prima di diventare stronzo, mio fratello suonava con noi. Lui suonava la batteria e mi ha insegnato qualche canzone.» Thomas cazzone.
« Mh vediamo cosa sai fare», borbotto.

Afferra le bacchette con decisione. «Guarda e impara Gilmour dei miei stivali.» Batte il tempo con le bacchette e poi inizia a suonare. Riconosco subito le note di Moby Dick dei Led Zeppelin. Non so se essere impressionato o spaventato da questa ragazzina che ha l'arte musicale che le scorre nelle vene al posto del sangue.

Ci metto qualche secondo per andarle dietro con la chitarra. Lei batte decisa sulla batteria muovendo anche la testa a ritmo. Alla fine smetto di suonare per guardarla.
È quasi più brava di Sid. Forse dovrei cacciarlo dalla band e prendere lei.

È normale che mi stia venendo duro? Mh, forse no.

Mi appoggio contro la tastiera e la osservo ammaliato. Mi ha letteralmente stregato.

Finisce e poi parte subito all'attacco con Holiday dei Green Day.
Potrei venire nelle mutande solo guardandola.

Mi da il colpo di grazia quando suona un pezzo di One dei Metallica. Porca puttana. Questa ragazza ha un milione di artisti dentro.

Solleva la testa rifilandomi un sorriso beffardo. «Allora?»

Allora adesso ti strappo i vestiti e ti scopo sulla batteria di Sid. No, fai da bravo.
«
Niente male.» Non voglio dirle che c'è l'ho duro.
Arriccia il naso. «Niente male?» sbuffa una risata. «Il tuo amico lì giù dice tutto il contrario.»

L'ha visto. Era inevitabile. Non passa di certo inosservato. Forse dovrei seriamente andare a farmi controllare.

Scrolla le spalle, ignorando la mia erezione stratosferica. «Conosci Highway Star
«Deep Purple?» Con chi crede di parlare? Sono un Juke Box umano. Pivella.
«Sì», afferra la chitarra e mi guarda. «Preparati a venire nelle mutande, bello!»

Ha perso decisamente il controllo. Ma a me va benissimo così. Quanto prende il controllo è meravigliosa.
Aggrotta la fronte con aria di sfida. «Stammi dietro, se ci riesci.»
Sogghigno. «Se ti umilierò, non piangere.»

Alza gli occhi al cielo. «A volte dimentico di quanto tu sia egocentrico e illuso.» Tocca delicatamente una corda che vibra appena. Vibra anche il suo corpo e i suoi occhi si accendono all'istante. Sorrido compiaciuto. La musica è l'unica cosa che ti tocca senza farti male. Lo so perfettamente.

Rido mentre accendo il microfono. «Dai, non temporeggiare. Voglio vederti fallire.» Ovviamente la sto solo prendendo in giro. È bravissima e so le capacità che ha e fin dove può arrivare.
Sbuffa una risata. «Inizia tu, e vedi di non far apparire Blackmore incazzato nero per avergli rovinato l'assolo.»

Ridacchio e sollevo il dito medio. «Vedi di non farlo apparire tu, quando farai una pessima figura.»
Il naso le si arriccia mentre tenta di non scoppiare a ridere. «Taci e inizia.»

Suono gli accordi iniziali, Blue mi guarda con gli occhi assottigliati ma quando sente il suono ricco e forte della mia chitarra riverberarsi per tutta la stanza, i suoi occhi si accendo come due stelle nel cielo. «Dai, muovi quelle belle dita», le dico.

Sicura di sé stessa, inizia a suonare. Mi viene dietro con facilità. E io mi sento diventare più leggero, più sicuro a ogni movimento. È questo l'effetto che ha la musica su di me e spero che per lei funzioni nello stesso modo. Ma dal modo in cui chiude gli occhi e si abbandona al suono della sua chitarra: so che è così anche per lei. L'ho già vista suonare e l'ho vista trasformarsi completamente.

Le nostre voci si mescolano, le nostre chitarre vibrano nello stesso modo. Porca merda, non mi sono mai sentito così tanto connesso con qualcuno in vita mia. Con gli altri è diverso, suoniamo da una vita insieme e abbiamo trovato la nostra armonia ormai. Ma con lei... cazzo. È tutta un'altra storia. Il mio corpo viene assalito da violenti brividi, sono eccitato da morire e la sto solo guardando suonare la chitarra.

Si dondola insieme alla chitarra mentre tira indietro la testa, i denti conficcati nel labbro inferiore, come se ci stesse persino scopando con quella dannata chitarra.

Quando raggiungiamo la parte di uno dei più belli assoli di chitarra, del grande Ritchie Blackmore, smetto di suonare e mi incanto a lei. Mi inginocchierei  a lei per venerarla.

Lascio fare tutto a lei. Ed è maledettamente bella in questo momento che il mio respiro si spezza. È fottutamente brava e mi viene davvero la rabbia al solo pensiero che lei pensi di non esserlo abbastanza. Con quelle piccole mani è in grado di far vibrare quelle corde, di incendiarle sotto il suo tocco.
La sua gioia nutre la sua musica. Se solo Ritchie Blackmore potesse vederla rimarrebbe a bocca aperta, proprio come lo sono io adesso.

Mi sento il ragazzo più fortunato del mondo in questo momento. È come se davanti agli occhi avessi il mio idolo in carne e ossa. Lei invece è tutta per me. Lei che suona per me è un privilegio che non ho mai saputo di volere o necessitare.

La canzone finisce e lei è tutta sudata, un'aria selvaggia le aleggia negli occhi ed è fottutamente sexy, cazzo. L'unica volta che mi sono eccitato guardando una donna suonare, avevo all'incirca quindici anni e stavo guardando un video di Joan Jett. Senza nulla togliere a lei, ma la Blue che ho davanti adesso è un milione di volte meglio.

Si accascia sulla seduta della batteria, ha il fiatone ed è tutta rossa. «Be', Gilmour, ti ho stracciato. Nessuno può battermi con questo assolo. Lo conosco a memoria e lo suono da quando ero un piccolo spermatozoo con il pannolino.»
Ridacchio per il paragone. Inizio ad adorare i suoi paragoni idioti. «Ti ho lasciata vincere. Comunque tranquilla, Blackmore non si arrabbierà affatto.»

«Dici?»
Annuisco. «Credimi, anche a lui sarebbe venuto duro vedendoti suonare il suo assolo.»

Giuro. Ha trasformato questa canzone in qualcosa di maledettamente eccitante e ora non riesco a levarmi dalla testa il pensiero di scoparla con sottofondo questa canzone.

Alza gli occhi al cielo rossa come un pomodoro. «Dai, ora fai tu.»

Senza esitare parto subito con una canzone che avevo già in mente. Una canzone dei Green Day. Drama Queen.

Lei si alza e salta giù dal palco e balla per tutto lo spazio, le braccia alzate, il corpo che volteggia. Non segue nemmeno il ritmo della canzone. Decisamente non si balla così. Forse nemmeno si balla questa canzone. Ma non importa. Lei è felice. È felice.
Ed è anche grazie a me.

Lei è una piccola Drama Queen.

Smette di ballare quando le vibra il telefono nella tasca della felpa. Smetto di suonare e un po' mi sento agitato quando la osservo sbiancare come un lenzuolo.

Inspira bruscamente e risponde. «Nonna...» ascolta e si tormenta il piercing al labbro. Poi si rilassa, gettandosi di peso sul divanetto. «È una bella notizia. Okay, ci vediamo a casa», chiude la chiamata e tira un sospiro di sollievo.
Poso la chitarra e mi avvicino a lei. «Tutto bene?»

Annuisce, premendosi una mano sulla fronte. «Domani dimettono mio nonno. E tu sei invitato a pranzo perché poi vuole il concerto personale di William Gilmour e... mio», borbotta.
Rido divertito. «Visto? Sei famosa anche tu per lui!»
Leva la mano dalla fronte solo per rifilarmi un'occhiataccia. «Vattene a fanculo.»

Eccola. È tornata la solita Drama Queen scorbutica e sboccata.
Inizia a piacermi anche questa sua versione da scaricatore di porto. In senso amichevole, ovviamente – detto con il tono di voce di Piton-.

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Come previsto mi trovo davanti a casa dei nonni di Blue. Vivono praticamente attaccati a casa di James. A separare le due case, c'è solo una siepe alta.

Questa mattina mi sono alzato presto solo per cercare qualcosa di decente da indossare. Non potevo mica presentarmi da loro vestito come uno che sembra uscito da un video musicale rock degli anni 80. Quindi sono stato costretto a prendere in prestito una di quelle stupide – e discutibili- camicie di Joel. Ora devo evitare di respirare troppo per non strapparla. Mi sta stretta e potrebbe strapparsi anche solo se respirassi in un certo modo. Infine ho indossato un paio di jeans scuri e gli anfibi. A dirla tutta sembro una rock star che sta cercando di ripulirsi dalla droga.

Prima di venire a casa loro, mi sono fermato in un negozio per comprare una bottiglia di vino. Non potevo presentarmi a mani vuote. Mia nonna diceva sempre che non ci si presenta mai a mani vuote quando qualcuno ti invita a pranzo. Ho preso la bottiglia più costosa.

Batto un colpo contro la porta con il manico della mia chitarra e aspetto che qualcuno venga ad aprirmi.
Poco dopo sento dei rumori provenire da dietro la porta e poi si apre, rivelandomi la presenza della signora Weller. Anche oggi è vestita in modo impeccabile. Indossa un vestito lungo fino alle ginocchia grigio perla e un paio di scarpe con il tacco nere. I capelli sono sistemati in morbide onde rosse. Si è anche truccata. Dimostra molti meno anni così.

Se non fosse la nonna di Blue e la moglie di Elvis, ci avrei fatto decisamente un pensierino. Non sarebbe la prima volta che andrei a letto con un donna più grande di me. Ma devo abbandonare questo piccolo desiderio perverso.

«Buongiorno, William», si fa da parte per lasciarmi entrare.
Salgo l'ultimo gradino ed entro dentro casa. « Giorno, signora Weller.»
Ridacchia mentre chiude la porta alle mie spalle. «Chiamami solo Ginger. Mi fai sentire vecchia altrimenti.»

E non lo sei affatto, Ginger. «D'accordo, Ginger», le rifilo un sorrisetto.

La smetti di fare il coglione con la nonna di Blue?

Le sue gote si tingono di un rosa inteso, si schiarisce la voce e mi guida verso un ampio salotto. Rispetto a casa di James, la loro è più sul classico. A quanto pare li piace lo stile anni 60/70.

Seduto su in divano di pelle marrone, c'è Elvis che legge uno dei suoi fumetti. Questa volta sta leggendo quello che a me sembra... oddio, non lo so. Sulla copertina del fumetto c'è un ragazzino biondo con una strana fascia in testa. Io non me ne intendo di queste cose, quello che a casa legge i fumetti – o Manga- è Noel.

Avanzo nel salotto ben curato e lo saluto. Poso la chitarra accanto alla poltrona uguale al divano e mi siedo senza che nessuno mi dia il permesso.
Elvis solleva appena lo sguardo dal suo fumetto e mi sorride. «Buongiorno, giovanotto.»
«Giorno a te, come stai?» gli chiedo.
«Per il momento ancora vivo», ridacchia. Sto già adorando la sua autoironia. Quest'uomo è troppo divertente. Ma so anche che forse è un modo per non pensare a quello che gli succederà a breve. Lo fa anche per non far preoccupare la sua famiglia, credo.

Non dev'essere per niente facile vivere con la morte che ti sta con il fiato sul collo e ti segue con la sua falce.
Poi chiama sua moglie per farci versare due bicchieri di qualcosa alla liquirizia.

Sono solo le undici e mezza del mattino! Però non me la sento di rifiutare.

Ginger entra in salotto con due bicchieri tra le mani. La ringrazio con un sorriso e dopo aver fatto un breve brindisi, sollevando il bicchiere a mezz'aria, ne bevo un sorso. È buono. Decisamente buono. È dolce.

Inizio a chiedermi dove cavolo sia la piccola svitata. Forse sono arrivato troppo presto. Alla fine non mi hanno dato nemmeno un orario prestabilito.
Vabbè, continuerò a bere questo liquore buono nell'attesa.

Ho giusto il tempo di finire il mio pensiero, quando la porta di casa si apre e Blue, seguita da un grosso cagnolone nero, varcano la soglia. La palla di lardo si accorge subito della presenza di un estraneo – la mia- e si ferma di botto facendo inciampare la nana che per poco gli cade addosso. Subito dopo, con la lingua di fuori e quella coda enorme che sembra un manganello, si fionda su di me. Mi salta addosso con tutto il suo peso e prova a slinguazzarmi la guancia.

Non sono molto amante degli animali, se proprio dovessi scegliere però, preferisco i cani e non quelle palle di pelo create da Satana che fanno le fusa.
Blue cerca di tirare via il cane da me, con scarsi risultati. Sono più che sicuro che pesi più lui di lei.

Alla fine se ne va da solo e si accuccia ai piedi di Elvis, posandogli una guancia bavosa sulla scarpa.

«Lui è Thor», mi informa Elvis.

Thor. Come il Dio del tuono. Chissà perché lo hanno chiamato così. «Sicuro c'è un motivo del perché si chiama proprio così» dico, ironico.
Blue sghignazza. «Certo, Thor è il Dio del tuono, dei fulmini eccetera. Il nostro cane è il Dio delle puzzette. Il rumore che producono somiglia a quello di un tuono.»

Non ci credo. Ma che problemi ha questa famiglia? Però non posso fare a meno di ridere. «Thor lo scorreggione» dico, tra le lacrime. Rido così tanto che mi fa male anche la milza.
Anche Blue e Elvis si trascinano nella mia risata. Sembriamo tre idioti.

Thor invece si guarda intorno con aria confusa, chiedendosi forse quali problemi abbiamo. È un Labrador, ma è decisamente sovrappeso.

Asciugo gli occhi con le mani e poi guardo la nana. Oggi indossa una minigonna di jeans un po' sfilacciata sui bordi. Un maglioncino nero che le lascia la pancia scoperta da cui si intravede un po' il tatuaggio. Ovviamente non mancano mai i suoi anfibi, infilati dentro a delle calze a rete. I capelli, sempre un groviglio scompigliato che le ricadono sulle spalle in ciocche ondulate e disordinate.

Non indossa nessun tipo di trucco. L'ho vista pochissime volte truccata. Certo, non ha bisogno di intonacarsi quel bel faccino. È bella anche senza. I suoi lineamenti, anche se è una giovane adulta, richiamano quelli di una bambina. È bella, e non deve nemmeno sforzarsi per esserlo. Lo è anche se non è per niente femminile e non ha nessun portamento da donna. Lo è e basta.
E più passano i giorni, più io la trovo attraente.

«Sei arrivato in anticipo» dice, sedendosi in modo sgraziato accanto a me.
Alzo le spalle. «Non mi piace arrivare tardi nei posti.» Forse è l'unico pregio che ho: essere sempre puntuale.

Sistema una gamba sul divano e si volta appena. Quel gesto le fa sollevare la gonna un po' troppo sulle cosce. I miei occhi cadono proprio lì in mezzo, dove vedo delle mutandine rosa con degli scheletri sorridenti disegnati.

Vorrei farle un'osservazione, ma evito. Non posso farlo davanti a suo nonno.
Risalgo il suo corpo minuto e mi soffermo sulle sue tette. Non porta il reggiseno. Cazzarola.

Non che mi dispiaccia, ovviamente. Ha delle belle gran tette. Morbide e belle sode. E quei piercing sono una cazzo di distrazione ogni volta. Solo che nessuno le ha spiegato che quando si ha un seno importante si indossa il reggiseno?
Chi sono io però per dirglielo? A me piace guardarle le tette. Conosco più le sue tette che i suoi occhi. No scherzo, anche quelli mi piacciono molto, sono ipnotici.

Lei nota il mio sguardo insistente e con fare protettivo, incrocia le braccia sul petto. Finalmente la guardo negli occhi, scoprendo che mi sta già guardando con la fronte aggrottata. So che anche lei vorrebbe fare commenti poco carini ma si trattiene perché ci sono i suoi nonni.

Sollevo un angolo della bocca per farle capire che sì, stavo proprio guardando le sue tette.

Borbotta un: «Pervertito» e si siede in modo composto, nascondendo alla mia vista anche le mutandine con gli scheletri.

Elvis si schiarisce la voce. «Tuo padre e tuo fratello dove sono?» chiede a sua nipote.

Thomas spero che sia andato a correre contro mano in autostrada. James, non lo so.

Blue si sposta i capelli di lato scoprendo la pelle del collo pallida e il tatuaggio della chitarra. «Thomas sta ancora dormendo. Papà è uscito presto» aggrotta la fronte, come se stesse pensando a qualcosa.

È palese che James si stia vedendo con una donna. Chi sano di mente uscirebbe presto sennò?

Tu. Per andare a pranzo dai nonni della tua "amica".

Elvis si tocca il mento con il dorso dell'indice. «Credo che tuo padre si stia vedendo con una donna.»
Blue arriccia il naso. «Anche tu?» sbuffa, sprofondando contro i cuscini.

Suo nonno la guarda in modo confuso. L'occhio sinistro sembra diventare sempre più storto. Lo è rispetto a ieri. Sembra che ogni giorno ci sia sempre qualche cambiamento in lui. «Be', Pudding, è normale, eh! Tuo padre è giovane... ha ancora tempo di trovare una donna come si deve e di rifarsi una vita.»

Blue borbotta qualcosa che non riesco a sentire e si acciglia, mettendo il muso. E io ancora una volta, vorrei mordergli quelle dannate labbra.

Passo una mano tra i capelli e li strattono. Devo smetterla di fare questi pensieri su di lei. Smetterla.

A pranzo ci sediamo uno di fronte all'altra. I nonni sono seduti a capotavola uno di fronte all'altro.

Thomas non è venuto, immagino che appena abbia saputo che ero presente anche io, ha preferito digiunare piuttosto che vedere me. Che si fotta.

Ginger ha cucinato come se dovesse sfamare l'intero quartiere di Newham. Io mangio tutto con gusto. Non mangiavo così bene da quando era ancora in vita mia nonna.

Si sa che le nonne hanno quel qualcosa in più in cucina.

Ho fatto il bis di pasta con i funghi, prosciutto cotto e panna. E ora sto riempiendo il piatto – per la terza volta- con delle scoloppine al limone.
Ho quasi scolato una bottiglia di vino da solo, ma con tutto quello che ho ingurgitato, non mi ubriacherei nemmeno se lo volessi.

La nana ha mangiato come un uccellino e sta bevendo solo Coca Cola.

Ogni tanto la vedo scoccare occhiate preoccupate verso suo nonno che fatica a mangiare. Ha provato a chiedergli se voleva aiuto, ma lui ha rifiutato. Più di una volta ha mancato la bocca e il cibo gli è finito sulle gambe, che prontamente Thor ha fatto sparire. È una specie di aspirapolvere con la coda quel cane.

Blue va in cucina con sua nonna per aiutarla con il dolce.

Elvis sospira attirando la mia attenzione. Mi allarmo all'istante. Sta male? Spero di no, non saprei che fare.
Invece si passa una mano sul viso e mi guarda. «Non ce la faranno mai questi.»
«A fare cosa?» chiedo, un po' timoroso di conoscere la risposta.

Indica le due sedie vuote. «Ad accettare la mia morte.»

Lo stomaco mi si contorce in modo strano, sento la pasta risalirmi su per la gola. Ovvio che non accetteranno la sua morte. Come si fa?

Avrei capito se fosse stato un pezzo di merda, allora sì. Ma Elvis è un uomo eccezionale. Quindi è più che ovvio che le persone che gli vogliono bene stiano soffrendo in questo modo. «È normale», dico.

Annuisce. «Lo so. Ma non voglio che soffrano. A volte è davvero dura non potermi lasciare andare. Qualsiasi cosa dica a Ginger, lei corre via e poi la sento piangere chiusa in camera o in bagno. Non posso permettermi neanche un po' di vacillare, altrimenti cadrebbe anche lei.»

La domanda mi esce spontanea. «Hai paura di morire?»
Scuote appena il capo. «Perché dovrei?» ridacchia. «Prima o poi sarebbe successo.»

Okay, ha ragione. Ma a mio parere è troppo prima. Non so che dire. Alla fine io non sono neanche riuscito a versare una lacrima quando sono morti i miei nonni. Credo di avere l'asticella delle emozioni rotta. Per tutta la funzione funebre sono stato fuori dalla chiesa a fumare canne con Sid. Forse era il mio modo per affrontare la perdita. Non lo so.

Fatto sta che adesso mi sento strano. Conosco Elvis da quanto, tredici ore? Eppure vorrei avere più tempo per conoscerlo. E non sapere quanto gli resta, mi urta parecchio.

Vengo distratto dal rumore di qualcosa che cade a terra. Sia io che Elvis ci voltiamo in quella direzione.

«Addio dolce» dice lui, reprimendo una risata.

Blue è caduta a terra come una pera cotta. Immagino che abbia inciampato sul tappeto. Anziché ridere come un coglione, dovrei alzarmi e andare ad aiutarla. Ma non ci riesco, è troppo buffa.

Le sue guance hanno assunto lo stesso colore dei suoi capelli che le ricadono davanti al viso. È in ginocchio... come dire... a pecora.
La torta si è spiaccicata a terra e alcuni pezzi le sono finiti tra capelli, altri pezzi si sono sparsi un po' ovunque.

Borbotta imprecazioni poco carine e si tira su. Soffia via i capelli dal viso e guarda suo nonno con mortificazione. «Sono inciampata», mormora.

Thor schizza ai suoi piedi come un razzo e tenta di leccare qualche pezzo di torta. Ginger lo fa uscire fuori dalla porta che da sul giardino e lui si siede davanti al vetro a guardarla con gli occhioni marroni feriti. Palla di lardo.

Elvis sventola una mano per aria. «Non fa niente Blue. Ci accontenteremo di mangiare un po' di budino» ridacchia per sdrammatizzare e rassicurare la nipote che sembra sul punto di esplodere.

Smetto di fare il coglione e mi alzo in piedi ad aiutarla. Mi chino per raccogliere il piatto ormai rotto e i pezzi di torta. Si china anche lei. «Faccio io», dice con un filo di voce.

Sollevo appena lo sguardo per guardarla. Ha gli occhi lucidi. Si sta trattenendo parecchio per non scoppiare a piangere. È solo una torta!

Ma so che non è solo per questo motivo che sta per piangere. «Ti aiuto», replico in tono deciso.

Annuisce bruscamente e nasconde il viso tra le ciocche di capelli che le ricadono sulla fronte.

Allungo una mano per levarle un pezzo di torta che le si è incastrato tra i capelli e lo assaggio. «Mh, era decisamente buona» dico, cercando di essere spiritoso.

Ovviamente lei non la pensa allo stesso modo. Scatta in piedi e senza dire una parola se la da a gambe.

Che ho detto di male?

Ginger sbuca dalla cucina quando vede sua nipote scappare via dalla sala da pranzo come una ladra.

Mi volto a guardare Elvis, che fissa il punto dove prima c'era sua nipote, con la bocca serrata in una linea dura e lo sguardo preoccupato.

E io ora che faccio? Sono qui in piedi, con alcuni cocci e pezzi  torta tra le mani.

«Lascia stare, William», dice Elvis. «Vai da lei, per favore», la sua richiesta risuona più una supplica.

Andare da lei quando è in questo stato e potrebbe sgozzarmi anche un pezzo di carta?

Vabbè, io sono nato per le sfide. «Okay», appoggio i cocci sul tavolo e seguo la nana in giardino.

Pronto a essere decapitato.

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