♫ ~24.2 ᴊᴜꜱᴛ ᴛᴀᴋᴇ ᴛʜɪꜱ ꜱᴏɴɢ ᴀɴᴅ ʏᴏᴜ'ʟʟ ɴᴇᴠᴇʀ ꜰᴇᴇʟ ʟᴇꜰᴛ ᴀʟʟ ᴀʟᴏɴᴇ
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Gli trema un po' la mano quando lo afferra per rispondere. «Mamma?» fa un'espressione strana e io mi sento morire. «Oh, papà», tutti i nervi di mio padre sembrano rilassarsi. «Come stai? Perché chiami a quest'ora?»
È mio nonno al telefono?
Papà ascolta quello che gli dice, poi annuisce. «Okay, sono contento che ti senti meglio, ma dove li trovo io adesso dei muffin al limone e dei fumetti di Dylan Dog?» si morde il labbro per non ridere.
Faccio cenno con la mano per farmi passare il telefono. Lui me lo passa. «Ehi nonno!»
Dall'altra parte sento la sua voce un po' fiacca. «Pudding! Potresti convincere tuo padre a portarmi dei muffin al limone? Almeno quelli, poi per i fumetti di Dylan Dog ci penserà la nonna domani.»
Ridacchio, anche se sento le lacrime inumidirmi le ciglia. «Vedrò cosa posso fare», sussurro. Non voglio fargli sentire che mi trema la voce.
«D'accordo, aspetto i miei muffin. A dopo Blue Bean.»
«A dopo, nonno. Ti voglio bene.»
Ridacchia. «Io di più. Ed è troppo tardi per fare una gara all'ultimo sangue per questo. Mi raccomando i miei muffin», chiude la chiamata senza neanche farmi rispondere.
Sbatto le palpebre. «Dovremmo per forza cucinare i muffin. Altrimenti chi lo sente?» Ci alziamo da terra e poso la chitarra contro il muro.
«Proviamoci. Poi se lo avveleneremo non è colpa nostra», dice papà uscendo dalla stanza.
Alla fine non è andata poi così male. Abbiamo bruciato solo una teglia di muffin mentre gli altri sono venuti bene e anche abbastanza commestibili. Concludo con una spruzzata di zucchero a velo e poi li sistemo in un contenitore di plastica.
«Bene, possiamo andare adesso» dico, guardando la nostra opera con soddisfazione.
«È quasi l'una di notte, Blue», mi fa notare papà. «Magari adesso è addormentato. Glieli portiamo domani. Vai a letto.»
Ho completamente rimosso il fatto di essere a casa di mio padre e non nella mia. È tardi, non posso chiedergli di accompagnarmi a casa mia. Andarci a piedi è fuori discussione. Sono stanca.
«Va bene...», mormoro. «Per qualsiasi cosa non esitare a svegliarmi.»
Annuisce e mi bacia sulla fronte. «Vai a dormire», mi scompiglia dolcemente i capelli.
Raggiungo il corridoio con le gambe che tremano un pochino e il cuore agitato. Sono passati tantissimi mesi dall'ultima volta che ho dormito qui nella mia stanza.
Mi fermo davanti alla porta bianca e tentenno un pochino. La mia stanza si trova proprio accanto a quella di mio fratello. Per un momento mi viene la malsana voglia di andare da lui. Ma so che sarebbe una pessima mossa. Mi caccerebbe via in malo modo o potrebbe tranquillamente lanciarmi fuori dalla finestra.
Sospiro e abbasso la maniglia aprendo la porta. Vengo scaraventata improvvisamente indietro di qualche mese. Qui dentro è tutto come l'ho lasciato. I miei poster. Il mio giradischi. Quasi tutti i miei vestiti. È ancora tutto qui. Come se non me ne fossi mai andata. Come se tutte queste cose stessero aspettando il mio ritorno.
Schiudo del tutto la porta e avanzo. Accarezzo con l'indice il mio giradischi. Non c'è neanche un granello di polvere. Mio padre ha fatto pulire la mia stanza come sempre. Anche lui con la speranza che io ci tornassi.
Il solito copriletto nero con i teschi è ancora lì. Le lenzuola viola. Le pareti bianche con le strisce nere dietro la testata imbottita del letto. È tutto come prima.
Vado a sedermi sul letto. Cavolo, nemmeno ricordavo quanto fosse comodo. Sembra di stare su una morbida nuvola.
Sul comodino c'è ancora la mia lampada notturna che proietta delle stelline colorate. Quando sono andata via né ho comprato una uguale per la casa nuova. Alla fine qualcosa della vecchia Blue Jean me la sono portata dietro.
Apro il cassetto. Tutte le pillole, le cartine... non c'è più niente. Qui hanno ripulito tutto.
Mi sdraio sul letto senza neanche disfarlo. Senza neanche togliere le scarpe. Voglio tenerle per ogni evenienza, non si sa mai.
Allungo la mano e accendo la luce notturna.
Il mio sguardo si incatena a quelle stelline che volteggiano sopra la mia testa. Ho sonno, ma non riesco a dormire.
Sussulto quando il mio telefono vibra accanto a me.
Lo prendo. È un messaggio di Scar.
Scar♥: Blue Bean... ho saputo di tuo nonno. Come sta? Tu come stai?
Sicuramente glielo ha detto mio fratello. Il suo tromba-amico.
Io: Sembra che si sia ripreso... io sto bene.
Scar♥: Vuoi che venga a farti compagnia?
Io: Non serve, grazie. Sono a casa di papà...
Scar♥: Oh, davvero? Sicura di stare bene?
Io: Sì, sto bene. Lo giuro.
Lo giuro sulla bugiarda che sono.
Compare anche la notifica di un altro messaggio.
Le persone non dormono? Hanno avuto tutti la stessa idea di cercarmi a quest'ora?
È Sid.
Scar♥: Va bene. Per qualsiasi cosa cercami. Buonanotte ♥
Io: Okay, grazie. Notte ♥
Leggo quello di Sid.
Sid: Ciao Blue... Luke ci ha detto che cosa è successo a tuo nonno. Spero sia tutto okay. Tu come stai?
Ci ha detto. Quindi lo sa anche William.
Io: Ciao. Per il momento è tutto okay. Grazie per l'interessamento. Notte.
Sid: Tu come stai?
Io: Bene.
Vorrei chiedergli di William. Non so perché, ma non è nemmeno una buona idea.
Sid: Se hai bisogno di compagnia, posso venire... in amicizia.
In amicizia. Certo.
Io: Non ho bisogno di compagnia. Non sono a casa mia. Grazie lo stesso. Buona notte.
Sid: Dove sei?
Io: Devo darti delle spiegazioni? Non sei mica mio padre o il mio ragazzo.
Buona notte Sidney.
Sid: Okay... notte.
Lancio il telefono sul materasso rischiando di farlo cadere a terra.
So di essere stata un po' acida nei suoi confronti. È solo che... non lo so. Voglio essere lasciata in pace.
Anche se in questo momento ammetto che vorrei vedere comparire una notifica con il suo nome. Ma immagino che lui sia impegnato a fare altro, di certo non sta pensando a me come invece sto facendo io. Sbuffo e mi giro su un fianco, provando a spegnere il cervello e a chiudere gli occhi.
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Il mio risveglio è stato un po' traumatico. Quasi simile a quando mi risveglio dopo una sbronza colossale. Aprendo gli occhi mi sono ricordata di non essere nel mio minuscolo appartamento ma a casa di mio padre. In quella che è stata anche casa mia.
Mi sono concessa una doccia nel grande bagno – che in confronto al mio sembra il bagno della famiglia reale- e poi ho indossato dei vestiti che ho lasciato qui nella fretta di abbandonare questa casa.
Scendo al piano di sotto e trovo già mio padre e mio fratello che fanno colazione. Thomas non solleva lo sguardo dalla sua tazza di caffè neanche per sbaglio. Io semplicemente lo ignoro.
Saluto mio padre con un bacio sulla guancia. Proprio come ai vecchi tempi.
Dopo aver preso un caffè al volo ci avviamo tutti insieme verso l'ospedale.
Mio nonno è stato spostato in reparto quindi ci è concesso fargli visita.
Quando entro nella sua stanza, la numero dieci, lo trovo a mangiucchiare dei biscotti che sembrano pezzi di carta. Dal sacchetto che ho in mano, tiro fuori il contenitore con i muffin dentro. «Questi hanno decisamente un sapore migliore» dico, avvicinandomi al letto.
Papà saluta nonna con un bacio sulla guancia e poi posa una mano sulla gamba di mio nonno che tiene piegata. «Hai finito di farci prendere degli spaghetti? Mi hai già levato all'incirca vent'anni di vita.»
Mio nonno ridacchia debolmente. «Ogni tanto mi piace agitare le acque. Lo sai come sono fatto», poi guarda me. «Avanti, dammi quei muffin. Questi biscotti sanno di sottobicchiere», muove una mano verso di me.
Apro il contenitore e lui allunga una mano per prenderne uno. Noto che fa fatica a centrare un muffin. La sua mano sta letteralmente afferrando il nulla.
Sollevo lo sguardo allarmato verso mia nonna. Lei mi risponde serrando le labbra. Che cosa gli sta succedendo?
Lo prendo al posto suo e glielo poso sul palmo della mano.
Fa fatica anche a portarlo alla bocca, sbaglia mira e si colpisce il mento. «Credo proprio che sia arrivato il momento di mettermi gli occhiali», ridacchia.
Ride solo lui, perché nessuno di noi altri lo fa. Anzi, siamo come paralizzati mentre lo guardiamo. Nonna distoglie lo sguardo cercando di nascondere il fatto che stia per scoppiare a piangere. Con una scusa inutile si alza dalla poltrona ed esce fuori. Mio fratello e mio padre le vanno dietro.
Resto da sola con mio nonno che lotta ancora per infilarsi il muffin in bocca.
«Posso aiutarti?» mormoro, compiendo un altro passo verso di lui.
Mi guarda negli occhi. Solo adesso noto che il suo occhio sinistro è leggermente storto. «Vuoi imboccarmi, Pudding?» ridacchia.
«Sì», dico sincera. «Tu lo hai fatto almeno un milione di volte con me quando ero piccola» aggiungo, sforzandomi di sorridere.
Batte una mano sul materasso invitandomi a sedermi accanto a lui. «Oh be', se la metti così, allora okay.»
Mi siedo sul letto, prendo il muffin dalla sua mano e inizio a tagliarlo a pezzetti non troppo piccoli con le dita. «Vuoi che ti faccia l'aereo planino?» lo prendo in giro, cercando di passare oltre al groppo che ho in gola.
Ride. «No, quello credo che non serva.»
Lo imbocco fino a quando non mangia tutto il muffin. Me ne chiede un altro e io lo accontento.
Mi lacera l'anima vederlo così. Non poter fare niente mi uccide. Il non sapere che cosa sta realmente succedendo, mi devasta.
Gli altri rientrano dentro la stanza. Si nota lontano un chilometro che nonna stava piangendo. Ha gli occhi gonfi e il naso arrossato. Vorrei tanto abbracciarla in questo momento. Però non voglio al tempo stesso far preoccupare nonno, che adesso si è sdraiato a letto e cerca di leggere il fumetto di Dylan Dog che mia nonna gli ha procurato non so nemmeno dove.
Esco dalla stanza per andare alla ricerca di un distributore. Ho un po' di fame e decisamente bisogno di un caffè – anche se quelli delle macchinette sembrano cianuro spacciato per caffè di qualità-.
Noto che mio padre mi segue. So che lo sta facendo perché ha qualcosa da dirmi. In questo momento però io non voglio sentire niente. Dentro me so che la condizione di mio nonno è grave, molto grave. L'ho visto con i miei stessi occhi.
Recupero qualche spicciolo dalla tasca dei pantaloni e li infilo nella macchinetta.
Mio padre mi raggiunge, si appoggia con una spalla contro la macchinetta e mi guarda. Io guardo dritto davanti a me. Non riesco neanche a vedere quello che c'è perché i miei occhi si stanno lentamente riempiendo di lacrime. Poso una mano contro il vetro e inspiro bruscamente. Mio padre mi posa una mano sulla spalla e io esplodo. Piango così canto che scivolo a terra. Non mi importa se le persone penseranno che sono pazza. Il dolore che sento in questo momento mi sta uccidendo. Mi pizzica la gola. La testa sta per scoppiarmi.
Si inginocchia accanto a me. «Mi dispiace.» La sua voce si affievolisce, come disperdendosi nel vento. È pur sempre suo padre, cazzo. E posso anche solo immaginare quello che prova. Se ci fossi stata io dalla sua parte, sarei morta.
«Quanto... quanto...» non riesco nemmeno a dirlo, cazzo.
Mi attira a sé e mi abbraccia. «Non lo sanno neanche loro. Possono essere mesi, settimane, giorni. Purtroppo ha metastasi in tutto il cervello.»
Mi sfugge un singhiozzo. «È per questo motivo che non riesce ad afferrare le cose? Che non riesce a mangiare da solo? Hai visto il suo occhio?»
«Sì è per questo, Blue», conferma.
Scuoto il capo, non lo accetto. Non posso accettarlo. «Papà... no... lui non può», un altro singhiozzo mi impedisce di finire la frase. Mi accascio contro mio padre e lascio che mi consoli. Anche se in questo momento niente potrà consolarmi e alleviare il dolore che sento fino all'anima.
Come farà mia nonna a sopportarlo?
Noi come faremo ad andare avanti sapendo che lui non ci sarà più?
No. Non voglio pensarci. Non deve accadere.
Se questo è un brutto sogno qualcuno venga a svegliarmi. Per favore.
Mi sento persino egoista a farmi consolare da lui. È suo padre, cazzo. Dovrei essere io a consolarlo.
Le mie lacrime stanno bagnando tutta la maglietta di mio padre. A lui non importa però. «Non farti vedere così. Lui adesso ha bisogno di serenità. Perché non prendi un po' d'aria prima di tornare dentro? Anzi, perché non chiami di nuovo William?»
Mi pietrifico tra le sue braccia.
Chiamare William? È impazzito?
Giusto, lui non sa che cosa è successo. Non dovrà saperlo.
Mi scosto appena e asciugo le lacrime. «Non credo sia il caso. Sicuramente avrà da fare.» Tipo rotolarsi tra le lenzuola con quella Vicky.
Mi aiuta ad alzarmi da terra e mi sorride.
«Vado un po' fuori», dico.
«Okay, mi raccomando torna con un bel sorriso, okay?»
Annuisco.
Vado a prendere l'ascensore e mi imbatto in una ragazza dai capelli arancioni.
È Stella?
Be' sì è lei. E sta spingendo un carrello delle pulizie. Indossa un camice azzurro e non sembra la ragazza che ho conosciuto nei bagni del Rocktail.
Anche lei nota la mia presenza e per qualche secondo ci fissiamo negli occhi e basta.
Poi la lampadina nella sua testa si illumina. «Blue Jean?» Non è strafatta, ma ha comunque i modi di fare del personaggio migliore di Harry Potter.
Annuisco. «Che ci fai qui?» le chiedo. Una domanda stupida, dato che è palese che lavori qui.
Indica il carrello. «Passo acidi ai vecchietti, per questo motivo sono tutti allegri», ridacchia.
Okay, questa era decisamente una pessima battuta.
«Lavoro qui, faccio le pulizie e ogni tanto mi tocca anche cambiare pannoloni ai vecchi», alza le spalle. «Tu che ci fai qui?»
«Una visita, a mio nonno...»
«Oh, in che stanza si trova?» Molla la presa sul carrello e si avvicina a me.
«Dieci.»
Annuisce, incurvando le labbra in un ampio sorriso. «Oh, il signor Weller», si batte una mano sulla fronte. «Ovvio che fosse tuo parente», ridacchia. «È simpaticissimo! Questa mattina mi ha incaricata di trovargli dei fumetti di Dylan Dog», scuote la testa divertita.
Oh, ecco da dove sono spuntati fuori.
Una domanda mi sorge spontanea: Stella sa che mio nonno morirà a breve?
Non glielo chiedo. Mio nonno non morirà. «Già, ieri notte ha chiamato mio padre esigendo dei muffin al limone.»
Lei ridacchia. «Spero che glieli abbiate portati. È così, vero?» si acciglia.
«Ovvio», mormoro. Anche da sobria è strana questa ragazza. Sembra perennemente in trip.
Si ricompone assumendo un espressione seria. Eccone un'altra dalla doppia personalità. «Hai pensato alla nostra proposta?»
«Riguardo a cosa?»
«Alla nostra band!» dice in tono ovvio.
Giusto, me n'ero dimenticata. «Ehm, no...»
Sbuffa, saltellando sul posto. «Devi essere dei nostri. Sei bravissima!»
Oppure vogliono che entri a far parte della loro band solo per ottenere un contratto discografico da mio padre?
«Come hai detto che vi chiamate?»
«Heartbreakers!» sorride felice.
Mi viene da ridere ma non lo faccio, mordo l'interno guancia per non farlo. «Rubacuori?»
Annuisce. «Sì, noi rubiamo i cuori degli uomini!»
Dovrebbero rubare cervelli, più che cuori. «Sbaglio o esisteva già una band con questo nome?» Potrebbero rischiare l'accusa di plagio, se mai dovessero diventare famose. Anche una canzone dei Led Zeppelin si intitola così, ma senza la S finale.
Scrolla le spalle. «Sì, Tom Petty and the Heartbreakers.»
Lo dice pure? Folle. «Okay, va bene. Comunque non lo so. Magari prima vorrei sentirvi suonare qualcosa.»
I suoi occhi si illuminano. «Sarebbe figo! Possiamo farlo anche subito, che ne dici?»
Al momento ho altre cose a cui pensare. Però potrebbe essere un buon modo per distrarmi. «Certo.»
In fretta e furia estrae il suo telefono con la cover psichedelica. «Dammi il tuo numero.»
Appena finisco di dirle il numero lei fa partire subito una chiamata. Il telefono vibra nella tasca dei miei jeans. Che c'è, non si fida? «Bene, ora devo andare» dico, premendo il tasto per chiamare l'ascensore.
«A presto, Blue Jean», torna saltellando verso il suo carrello – dove sospetto seriamente che nasconda degli acidi- e va via, canticchiando una canzone che solo lei conosce.
Appena raggiungo l'esterno, per allentare un po' l'ansia, accendo una sigaretta e prendo il mio telefono. Apro Instagram e sulla home mi appare una locandina del The WhiteBunny Wine Pub , un locale molto conosciuto a Soho. La locandina dice che questa sera avranno l'onore di ospitare gli Overdrive.
Dio, sono una persecuzione? Forse dovrei chiedere una percentuale dato che sono stata io a farli conoscere a mio padre?
Scherzo, non me ne frega niente.
Nonostante io abbia sviluppato una certa allergia al cantante e – più o meno- anche al batterista, mi sarebbe piaciuto andare a vederli. Ovviamente non lo farò.
Non farei altro che peggiorarmi l'umore se tra il pubblico ci fosse anche la fidanzata di Gilmour. O quel che è.
Getto la sigaretta a terra e rientro. Non mi sono calmata affatto, ma almeno ho smesso di piangere.
Appena torno in stanza mio padre mi informa della piccola esibizione dei suoi ragazzi. Come se non mi fosse apparsa appena ho aperto Instagram.
«Vuoi andarci? Usciamo io e te», propone.
Vuole uscire con me? Non dovremo tipo pensare a mio nonno, a suo padre?
«Non lo so, non mi sembra il caso», mormoro, sedendomi di nuovo accanto a mio nonno.
«Non vorrai mica stare a casa solo perché io sto per spiccare il volo?» interviene mio nonno lasciandoci tutti di stucco.
Lo guardo. «Non dire sciocchezze» lo rimprovero, sentendo di nuovo quel groppo amaro in gola.
Ridacchia. «Andiamo Pudding, io ci parlo con i medici. Non sono stupido. Significa che doveva andare così.»
Non piangere. Non piangere.
Respira. Respira.
«Elvis», lo ammonisce mia nonna.
«Ginger...» la rimbecca lui, facendola sorridere. «Non vorrete mica smettere di vivere le vostre vite? Thomas deve ancora mettere la testa a posto e trovare una donna come si deve, invece di infilare il suo pistolino ovunque. Blue deve ancora diventare una rockstar», mi guarda con dolcezza. «E spero proprio di esserci quando succederà.»
Gli prendo la mano. Qualche lacrima mi sfugge e non posso evitarlo. «Ovviamente ci sarai», sorrido. «Ti scriverò anche una canzone e tu la sentirai.»
Intreccia le sue dita alle mie. «Oh, non vedo l'ora di vederti spiegare quelle bellissime ali. Incanterai milioni di persone con la tua voce. Tu sei la figlia illegittima di Blackmore, Paige e Gilmour.» Dio, quel cognome.
«Fino a prova contraria, è mia figlia», borbotta in tono offeso papà.
«E io non ho un pistolino», prorompe Thomas facendoci ridacchiare tutti. «Se vuoi te lo faccio vedere, non è come te lo ricordi.»
«Thomas!», lo rimprovera mia nonna. «Non parlare così davanti a noi anziani!»
«Non siete anziani», rimbecca lui.
No, non lo sono. Infatti mio nonno è ancora troppo giovane per lasciare questo mondo.
Più lo guardo e più non riesco a capacitarmene. Perché proprio a lui?
«Quindi andrete a vedere quella band? Com'è che si chiama, Overmind, Nevermind?» dice mio nonno, toccandosi il mento.
«Overdrive», rispondiamo io e papà.
«No, non ci andremo», aggiungo categorica.
Papà si acciglia. «Si invece, verrà anche tuo fratello.»
Thomas mi scocca una rapida occhiata prima di guardare di nuovo nostro padre. «Neanche morto. Non ho nessuna voglia di vedere quel montato di Gilmour.»
Almeno su questo la pensiamo allo stesso modo. «Be' io devo tornare a casa mia per controllare Salem.»
«Gli darai da mangiare e poi usciremo. Non posso mancare, sono il loro manager!»
Alzo le spalla. «Vacci con Luke, no?» Ti prego, non mi obbligare.
«Ci sarà anche lui e sua moglie», assottiglia gli occhi. «E io non voglio andarci da solo come quello che li regge la candela.»
«Trovati una donna», ribatto.
La mia battuta fa ridacchiare persino Thomas, ma smette subito appena i nostri sguardi si incontrano. Ha sorriso, è già qualcosa.
«Dove la trovo una donna all'ultimo momento», borbotta papà.
Interviene mia nonna. «Oh basta aprirti un account su Binder, Ginder... insomma», sventola una mano per aria. «Hai capito.»
«Tinder», la corregge Thomas. Sicuramente lui lo usa per abbordare le ragazze. O loro abbordano lui.
Papà emette un verso scioccato. «Non ho nessuna intenzione di inscrivermi a un sito di incontri!» le sue guance si accendo mettendo in risalto le lentiggini. «Blue verrai con me. Fine della questione.»
Preferire nuotare nel Tamigi. Farmi inseguire da un branco di leoni affamati. Correre la maratona di New York a piedi nudi. Pettinare un puma con la rabbia. Gattonare lungo tutta la Muraglia Cinese. Tutto, pur di non andare in quel locale.
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◄ ││ ►
Sono stata letteralmente rapita da mio padre. Mi ha sequestrata. Obbligata ad andare a quel maledetto locale. Mi ha concesso una doccia e di dare da mangiare al gatto, che appena ho aperto la porta di casa, mi ha urlato addosso con un miagolio prolungato. Ha miagolato letteralmente per un lunghissimo minuto.
Papà è rimasto piantonato fuori dalla porta del mio bagno mentre fingevo di farmi la doccia e invece ero seduta sul water.
Ora eccomi qui. A saltare la fila una seconda volta perché sono la figlia del manager della band. Che culo.
Tra vari saluti ci fanno entrare dentro il lussuoso locale Del Coniglietto Bianco.
I ragazzi sono già sul palco a provare gli strumenti. Impongo ai miei occhi di non guardare nella loro direzione. Ora devo pensare a non spaccarmi l'osso del collo su questi trampoli che mio padre mi ha obbligata a indossare.
Ha persino rubato un vestito a mia nonna da farmi mettere. Rendiamoci conto che mia nonna ha più buon gusto e più stile di me nel vestire.
Per me ha scelto un vestito nero lungo sino ai piedi. Sul davanti sembra normale, ma dietro lascia tutta la schiena scoperta. Mi chiedo in quale occasione lo abbia indossato mia nonna. Le scarpe col tacco da capogiro mi stanno massacrando i piedi e, per non farmi mancare niente, la coda tirata con un mucchio di gel, mi sta tirando anche il cuoio capelluto. Ovviamente sotto consiglio di mio padre – il rapitore- ho messo anche un rossetto così rosso che è possibile vederlo anche dallo spazio.
Sto scomodissima con tutto quello che indosso. Abbandonare i mie abiti usuali è scomodo. Non mi sento proprio a mio agio con questi vestiti.
Mi fa accomodare a un tavolino riservato e si allontana da me per avvicinarsi ai ragazzi sul palco.
Dice qualcosa a William e poi mi indicano. Tutta la band mi punta gli occhi addosso. Io vorrei sparire o essere inghiottita da questa comoda sedia di velluto nero. I nostri occhi si incatenano per un mezzo secondo, fino a quando al palco non si avvicina anche lei, Vicky. Tocca la mano a mio padre e gli sorride con dolcezza. La odio. Solo perché è così carina.
Mi sporgo dalla sedia per rubare un calice di vino rosso frizzante dal vassoio che un cameriere vestito troppo elegante, sta servendo alle persone in piedi. Ne bevo subito un sorso e una piccola goccia mi cade sul vestito. Sono così goffa che non so neanche bere da un calice.
Non sono proprio fatta per questo genere di posti. Sarei più a mio agio in una discarica.
Papà torna al tavolino e si siede accanto a me, lisciandosi la giacca nera satinata che ha indossato prima di rapirmi. «Carina quella Vicky.»
Fastidiosamente carina. Insopportabilmente bella. Annuisco premendomi il calice alle labbra. «Già.»
Lei è ancora lì sotto al palco. Sembra essere a suo agio anche con il resto della band. Sicuramente lei non farà quello che ho fatto io: fare sesso con Sid e poi toccare William. No, lei sembra una ragazza seria con la testa sulle spalle.
Stanno insieme oppure è come aveva detto William, solo sesso?
Lui le sorride in un modo che a me non ha mai concesso. Il mio cuore si stringe dolorosamente nel petto.
Ha già perso la testa per lei?
Ne è innamorato?
Scriverà una canzone per lei?
E se stasera gliene dedicasse una?
Sto per vomitare.
Le luci nella sala si abbassano e a essere illuminato è solo il palco.
Aprono la serata con un brano degli Aerosmith. William si avvicina al microfono, schiude quelle labbra assassine e mi infligge una coltellata al cuore quando inizia a cantare.
Mi agito sulla sedia sentendo l'urgenza di scappare via, ma rimango inchiodata su questa poltrona. Il tessuto leggero del mio vestito, inizia a prudermi la pelle dandomi fastidio. Vorrei strapparmelo di dosso.
Bevo un altro sorso di vino sperando che riesca a mandare giù anche il groppo che ho in gola.
Papà nota il mio disagio e aggrotta la fronte. «Va tutto bene?» chiede, avvicinandosi per farsi sentire.
«Sì, tutto bene», sorrido.
Adesso cantano una canzone del loro album. Mio padre accanto a me freme per l'eccitazione nel vedere i suoi ragazzi domare il palco e incantare tutto il pubblico.
Vicky è sempre lì, sotto al palco. Come se fosse una groupie appiccicosa in cerca di attenzioni. William sposta la sua chitarra su un fianco e si inginocchia davanti a lei. Le accarezza la guancia e l'angolo della bocca. Lei sorride ammaliata da quel gesto intimo da parte della futura rock star.
Io vorrei mettermi a urlare. A vomitare. A piangere. Mi sento un po' morire dentro.
Poi lui solleva lo sguardo su di me e per un secondo tutto quello che mi circonda svanisce come per magia. Spariscono le persone. Mio padre, Vicky e il resto della band. C'è solo lui. La musica risuona quasi lontana. Lui è illuminato da una luce che lo fa sembrare qualcosa di etereo.
La bolla mi esplode rumorosamente nelle orecchie quando lui si sporge verso Vicky e la bacia sulle labbra. Un ruggito vibrante di approvazione sommerge tutta la sala. Lei fa un sorriso radioso e lui si tira su, riprendendo semplicemente a suonare. Incurante del fatto che mi abbia appena lacerato lo stomaco.
Mi ha guardata dritta negli occhi per poi baciarla sulle labbra. Che gran figlio di pu...
«Sono... fantastici», sospira estasiato papà.
William è un fantastico pezzo di merda. «Io devo andare in bagno», mi alzo senza aspettare una risposta. Mi faccio strada tra le persone che si sono alzate in piedi per godersi al meglio l'esibizione della band.
Raggiungo i bagni quasi con il fiatone. Con lo stomaco in subbuglio e la voglia di spaccare tutto.
Non so che cosa mi prende. Non so perché sto reagendo così. Forse è tutto l'insieme di questa giornata che non vedo l'ora che giunga al termine. Forse ho perso la testa, di nuovo. Non lo so.
Con rabbia sciolgo la coda troppo stretta che mi sta uccidendo la testa. Getto l'elastico dentro il lavandino e mi guardo allo specchio.
Chi cazzo voglio prendere in giro? Non basterà di certo un po' di rossetto rosso e un bel vestito per poter competere con Vicky. Quella starebbe bene con addosso anche un sacco della spazzatura.
Oddio. Ma non è nemmeno una gara! Perché dovrei sentirmi in competizione con lei?
Io non voglio niente da William e nemmeno da lei.
Passo una mano per cercare di aggiustare i capelli che hanno preso la forma della coda. Bene, adesso sembro ancora più ridicola.
Bagno i polsi e li passo sul collo. Ho la pelle che sta per andare a fuoco. Scivolo fino a terra accasciandomi contro il muro. Attiro le ginocchia al petto e ci nascondo il viso in mezzo. Resterò qui per tutta la durata della serata. Sono disposta anche ad addormentarmi qui dentro pur di non rivedere nessuno di loro.
Voglio solo che questa giornata finisca.
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Come sempre vi ringrazio per il supporto🖤
A lunedì ✨
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