♫ ~ 16. ᴡʜᴇʀᴇ ɪꜱ ᴍʏ ᴍɪɴᴅ?

Way out in the water
see it swimmin'?-
Pixies
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L'odore famigliare di casa mia mi provoca una strana sensazione alla bocca dello stomaco. Sono più di otto mesi che non metto piede qui dentro. Non è cambiato niente. Tutto è rimasto come lo avevo lasciato. Eppure non posso fare a meno di sentirmi come se fossi un'estranea nella casa che mi ha vista crescere e poi perdermi. Fremo dalla voglia di salire al piano di sopra per controllare la mia stanza, per vedere se anche lì è tutto come lo avevo lasciato. Non lo faccio però. Non me la sento. Potrebbero riaffiorare ricordi che è meglio lasciare nel passato.

Papà è intento a preparare il pranzo e non si è ancora accorto del mio arrivo.

Vederlo dietro ai fornelli mi provoca una miriade di sensazioni. Prima che perdessi la testa, cucinavamo sempre insieme, accompagnati dalle note di qualche vecchio vinile che lui metteva nel giradischi.

E ora mi sento ancora come se quella parte della mia vita, il mio passato, facesse parte solo di un sogno. Ora la mia vita è cambiata drasticamente, è diventata quasi irreale.

Papà indossa un paio di jeans scuri e una maglietta dei Pink Floyd. I capelli rossi, sempre scompigliati ad opera d'arte.
Solleva appena lo sguardo e smette di mescolare il ragù che borbotta dentro la pentola. Per un momento, anche il mio mondo smette di girare. Trattengo il respiro.

Afferra un telo da cucina per pulirsi le mani. Raggira l'isola della cucina e si avvicina a me. Non so bene come comportarmi, dato che l'ultima volta... be', non è finita bene neanche con lui. Le ricordo ancora le parole che sono uscite dalle sue labbra. So che è ancora arrabbiato. Infatti non so per quale motivo mi abbia invitata a pranzo.
Si ferma davanti a me. Non mi abbraccia. Però sul suo viso compare un mezzo sorriso.

I suoi occhi mi scrutano con attenzione dalla testa ai piedi. Casualmente oggi siamo vestiti quasi identici. Anch'io indosso una maglietta dei Pink Floyd, ma la mia non è nera, è grigia. Anch'io indosso dei jeans scuri e le Dr Martens.

Forse è questo il motivo per cui riporta gli occhi nei miei e ridacchia, quasi impercettibilmente.

Poi parla. La sua voce mi arriva dritta dentro al cuore, che per un attimo perde un battito. «Come stai?»

Ancora persa.
Stranamente ancora viva.
Cerco di sopravvivere ogni giorno.

«Bene», mormoro « Tu?»
«Potrebbe andare meglio», alza le spalle. Ritorna dietro ai fornelli senza darmi quell'abbraccio che tanto desidero. Lo vorrei più di ogni altra cosa il suo abbraccio. Ma non lo riceverò.

Avanzo dentro la cucina e prendo posto sullo sgabello di fronte a lui. Il silenzio tra noi due si fa sempre più fitto, soffocante.
Non so che dire e a quanto pare nemmeno lui.

Perché mi ha invitata allora, se non riesce quasi a guardarmi negli occhi?

Sto per chiederglielo ma vengo interrotta dalla porta di casa che sia apre e dalle due persone che hanno appena varcato la soglia.
Per poco non scoppio a piangere appena vedo mio nonno. Ormai non ha quasi più capelli. Ha un colorito un po' giallognolo e il viso un po' scavato. Nonostante tutto però, appena mi vede mi regala uno dei più bei sorrisi che abbia mai ricevuto da qualcuno. Scendo dallo sgabello e gli vado incontro.

Non m'importa se il mio cervello mi dice di non farlo. Neanche se mi sento irrigidire. Non do retta a quello che mi dice il mio corpo. Mi tiro sulle punte dei piedi e lo abbraccio, affondando il viso nel tessuto della polo a maniche corte che indossa. Il familiare profumo dell'ammorbidente misto a quello della sua colonia, mi dilania il petto, mi squarcia il cuore riducendolo in piccoli pezzi rotti.

Mi stringe anche lui. Per un momento mi lascio andare totalmente, facendomi reggere dalle sue braccia. Le stesse braccia che mi hanno cullata da neonata. Le stesse che mi hanno lanciata per aria da bambina.

Forse è il momento, la tensione e anche la mancanza dell'abbraccio da parte di mio padre, ma sento gli occhi inumidirsi  quando lui accarezza i miei capelli.

«Pudding», sussurra. La sua voce trema un po'. È un po' incerta, stanca. Eppure, il suo abbraccio è forte. Lo sento ovunque.

Dio, quanto avevo bisogno di questo abbraccio. Potrei rompermi in mille pezzi da un momento all'altro.

Sciolgo l'abbraccio e sollevo il viso per guardarlo negli occhi. Anche i suoi sono lucidi. Ma so che lui non piangerà mai. Non l'ho mai visto farlo.

Solleva una mano dalle estremità un po' pallide e fredde e mi accarezza dolcemente una guancia.

«Ti vedo un po' meglio», sorride.
«Sto bene», lo rassicuro.

Accanto a lui mia nonna si fa avanti per stringermi in un altro abbraccio. Meno potente di quello con mio nonno, ma non meno apprezzato. «Sono felice di vederti qui, amore.»

Prima di sciogliere l'abbraccio, le poso un bacio sulla guancia. Sto per piangere, ma non voglio farlo.

Ci pensa Thor però a scacciarle via, entrando a casa con la stessa esuberanza di Taz il diavoletto. Mi salta letteralmente addosso e per poco non cado a terra, sotto il peso dei suoi quarantacinque chili. Prende a leccarmi con foga il viso e io non posso fare altro che ridere e cercare di liberarmi dalla sua lingua molesta. Lo accarezzo e gli piazzo un bel bacio sulla testolona.
Forse lui è quello più felice di tutti nel vedermi. È sincera la sua felicità.
Lui è l'unico che forse non mi avrebbe mai giudicata, neanche se avesse avuto il modo di parlare. A lui non importa chi sei, l'importante è che lo accarezzi e che gli passi cibo di nascosto da sotto al tavolo.

Si sdraia a terra con la pancia all'aria, in attesa che io gliela accarezzi. Così faccio. Mi piego leggermente su di lui e lo accarezzo. È adorabile questo cagnolone. E sì, mi è mancato da morire anche lui.

Con la coda dell'occhio vedo mio padre e mio fratello scambiarsi alcune parole sottovoce. Stanno parlando di me. Lo so perché a mio fratello è sfuggita un'occhiata nella mia direzione.

Immagino che stia informando mio padre di quello che è accaduto questa mattina. Di me e di William – anche se non è successo niente-. Immagino anche ci metta anche un po' del suo per rincarare la dose.

È possibile che gli dica di avermi sorpresa a fare chissà quali porcherie con il biondo.
Quando vuole, mio fratello sa essere uno vero stronzo. Mettici anche un po' dell'odio che prova nei miei confronti. Per essere il fratello maggiore, alcune volte si comporta peggio di un bambino.

Torno a sedermi sullo sgabello interrompendo la loro silenziosa chiacchierata.

«Ti serve una mano?» chiedo, rivolta a papà.

Scuote appena il capo e continua a fare quello che sta facendo.

Capisco che dall'ultima conversazione che abbiamo avuto, il nostro rapporto si sia leggermente freddato. Lo capisco, davvero. Però così mi pare un po' esagerato.

Vorrei tanto sapere che cosa gli ha detto mio fratello. Sicuro avrà ingigantito la cosa solo per farmi passare per una poco di buono. Ormai tutti pensano che io sia una specie di puttana che nemmeno si fa pagare. Se non per qualche bustina di droga.

È normale che ogni tanto mi venga la voglia di prenderlo a schiaffi? A mio fratello, intendo. Capisco sia arrabbiato e tutto. Ma sta esagerando. So di star sbagliando, che ogni mio respiro è uno sbaglio. Però non accetto che mi metta contro papà. Questo non lo accetterei affatto.

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«Mi passeresti l'insalata, per favore?» dice mio nonno, mentre siamo tutti seduti a tavola. Afferro il contenitore e gliela passo.

Siamo già al secondo e io non ho quasi toccato cibo. Tutto quello che ho nel piatto, lo faccio scivolare sotto al tavolo per darlo a Thor. Non ho fame e mai in vita mia ho pregato così tanto che un pranzo con la mia famiglia possa finire il più presto possibile.

E poi non riesco a togliermi dalla testa William e il modo di merda in cui l'ho trattato questa mattina. L'ho praticamente cacciato via da casa mia.
Senza dare nell'occhio, tiro fuori il telefono dalla tasca e lo appoggio sulla sedia, tra le mie gambe.
Sblocco lo schermo e invio un messaggio a William.

Io: Mi dispiace per stamattina. Spero che tu capisca la situazione... non volevo cacciarti via.

Passano alcuni minuti e non ricevo nessuna risposta. Non lo ha neanche letto. Eppure il suo ultimo accesso risale a pochi minuti fa.

Non sei un po' stalker?

Mi sta ignorando? Sì.

Riporto l'attenzione a quello che mi circonda e afferro alcune parole di mio padre. Sta parlando degli Overdrive e non vede l'ora di vederli in esibizione al loro primo concerto. Anche io non vedo l'ora. Sto aspettando quel giorno manco fosse il giorno di Natale.
È solo che non vedo l'ora di rivedere il vero William. Quello che per il momento, riesco a vedere solo io quando suona. È lì che si nasconde.

«... Appena pubblicheremo il disco, io e Luke organizzeremo il tour. Per il momento ci limiteremo solo a quello europeo. Vedremo se uscire totalmente dall'Inghilterra. Magari potremmo ottenere qualche data in Francia o in Italia. So già che questi ragazzi raggiungeranno vette altissime. Si parla di fama mondiale», sorride. « E io sono super fiducioso» conclude, bevendo un sorso di vino rosso.

Mi fa davvero piacere che anche lui riesce a vedere il potenziale che hanno questi ragazzi.

«Si, tutto molto bello. Peccato che William giri intorno a Blue Jean», irrompe mio fratello.

A tavola cala il silenzio. La forchetta che tenevo tra le dita mi scivola e va a sbattere contro il piatto facendo rumore.
Sollevo lo sguardo di scatto verso mio fratello. «Non mi gira intorno. Smettila di dire cose non vere!» sbotto.
«Ah no? Allora perché ha dormito a casa tua questa notte? Pensi che io non lo abbia visto mezzo nudo?» Certo che l'ha visto. A lui non sfugge mai niente.

Stringo il pugno sotto al tavolo. Sono arrabbiata. Vorrei urlargli contro ma non ci riesco. Apro la bocca ma non riesco a dire nulla. L'unica cosa che riesco a fare è cercare gli occhi di mio padre.

Li trovo. Li osservo. Osservo la sua reazione. Non sembra arrabbiato. Ma neanche sorpreso. Si limita a bere un altro bicchiere di vino e poi taglia un altro pezzo di carne.

«Chi è William?» chiede mio nonno, confuso.
«Il cocco di papà», risponde stizzito Thomas.

Ma che gli è preso? Non sarà mica geloso di William? Neanche lo conosce!
No. Aspetta. Questa mattina William ha fatto allusioni a qualcosa, facendomi capire che i due si conoscevano anche prima. Che cavolo nascondono?
E di quale giro "strano" parlava mio fratello?

Papà fredda Thomas con un'occhiataccia. «Tua sorella e William sono solo amici», dichiara.

Sgrano gli occhi. Non me lo aspettavo. Non mi aspettavo che prendesse le mie difese.

Thomas ridacchia. «Dici? Hanno dormito insieme, mezzi nudi.»
Perché deve rigirare il dito nella piaga?

Papà però continua a essere troppo... tranquillo. «Okay. Io però mi fido di Billy. Non farà niente di stupido con Blue. Sono solo amici» ripete, sempre con più convinzione.

Okay. Che succede?

Perché papà è così sicuro che tra me e William non succederà mai niente?

Non che debba succedere per forza qualcosa, sia chiaro. Solo che è troppo sicuro di sé stesso. È strano.
Lo ha minacciato? Gli ha detto di nuovo che gli avrebbe strappato il contratto davanti al naso e tante altre paroline intimidatorie?

Che cavolo, papà si è trasformato in un mafioso e non lo so?

Thomas non è affatto contento dello schieramento di mio padre dalla parte di William. Infatti, dopo averlo fulminato con lo sguardo, abbassa lo sguardo e riprende a mangiare in silenzio. Ignorando tutti come se fosse seduto da solo a questo tavolo.

«Be', io ancora non ho capito chi è questo William» continua mio nonno, cercando risposte.
Papà si pulisce la bocca con il tovagliolo prima di rispondere. «È il front man della band a cui ho offerto un contratto discografico.»

Nonno però sembra ancora confuso. «Ha un cognome?»
«Ha importanza? Tanto non lo conosci papà. È piccolo», risponde paziente mio padre.
Nonno alza le spalle con fare disinvolto. «Magari conosco i genitori o i nonni.»

Questa cosa suscita una certa curiosità anche a me.
Magari papà conosce altri dettagli della vita di William.

«Il suo cognome è Gilmour, non parla mai della sua famiglia.»

Ecco, nemmeno lui sa niente.
È come se non volesse farsi conoscere troppo dalle persone che lo circondano.
Maledizione.

Mio nonno però ci pensa su. «Gilmour...» dice tra sé e sé. Poi il suo sguardo si illumina. «È di Stanmore, per caso?»

Il «Sì», mi esce così veloce che per un momento penso di non averlo detto nemmeno io. La mia risposta riporta tutti gli occhi dei presenti su di me. Schiarisco la voce. «Sì, vive a Stanmore» farfuglio, sentendomi a disagio.
«Conoscevo Dave Gilmour, era di Stanmore» spiega nonno, « E anche sua moglie Eloise. Abbiamo fatto un sacco di partite a poker insieme. Un brav'uomo. Ho saputo che è venuto a mancare, anche sua moglie. Sono stati un po' sfortunati, poverini...»

«Perché?» chiedo, ignorando gli sguardi di fuoco di mio fratello.
« Hanno una figlia, ora non ricordo come si chiama... be', diciamo che li ha fatti dannare un po'. Era nel giro della droga, ha abbandonato i suoi figli ed è scappata via rubando un mucchio di soldi ai loro genitori. Ora che ci penso, alcune volte si portava dietro un ragazzino biondo, aveva sempre il broncio e non c'era verso di farlo parlare», ridacchia. «Quindi Jamie», si rivolge a papà. «Lo conosco eccome! L'ho visto quando era solo un ragazzino, però lo conosco», sorride beffardo.

A quanto pare, il mondo è davvero piccolo.

Non è cambiato di una virgola William. Imbronciato lo è sempre. Anche se adesso parla. Anche troppo. Anche se più che parlare lui lancia frecciatine pungenti.

«Giusto», ridacchia papà. «L'hai conosciuto quando pensavi di saper giocare bene a poker», lo prende in giro.
Nonno si impettisce. «Io so giocare a poker», puntualizza. «Ho perso pochissime partite. E quelle che ho perso, le ho perse solo perché il Whisky mi dava alla testa.»

Io di tutto questo, non ne sapevo niente.

Nonna posa una mano su quella di mio nonno. «Io ricordo bene tutte le litigate, Elvis», ridacchia. «Soprattutto quando perdevi le partite e anche un mucchio di sterline.»

Nonno le stringe la mano a sua volta. Sono così adorabili che potrei stare ore ed ore a guardarli. «Ma eri felice tutte le volte che vincevo», rincalza.

Nonna nasconde una risatina dietro la mano. È bello vedere che riesce ancora a farla sorridere come una ragazzina dopo tutti questi anni.

Il telefono vibra e io sobbalzo sulla sedia. Abbasso lo sguardo e controllo chi è. Una punta di delusione mi punge la bocca dello stomaco quando leggo che è Scar. Per un brevissimo momento speravo fosse William.

Scar: Blue Beaaaaaaaan! Che fai? Dove sei? Con chi sei?
Usciamo stasera? Solo noi due ( anche perché Dylan ha una cena insieme alla famiglia di Noah). Che ne dici?

Io: Sono a pranzo da papà. Sono a Newham. Con la mia famiglia. Comunque, dove vorresti andare?

Scar: Non lo so ancora. Da qualche parte finiremo. Bene, allora passo a prenderti a casa tua. Ti prego: vestiti in modo decente!

Alzo gli occhi al cielo e digito rapidamente una risposta.
Quando capiranno che ormai non cambierò modo di vestirmi?

Lei mi conosce da una vita, mi ha sempre vista vestita così e continua imperterrita a sperare in un mio possibile cambio di stile – che mai avverrà-.

Mangiare la torta alle carote di mia nonna è un tuffo al cuore. Mi è mancata persino una torta. Ad ogni morso, sarei potuta scoppiare a piangere.

Prima di andare via, ne ha messo la metà dentro un contenitore per farmela portare a casa. Quel pezzo di torta sarà il mio unico pasto per almeno un paio di giorni.

Ora siamo solo io e mio padre. Seduti nella sua auto mentre mi accompagna a casa mia. Non abbiamo spiccato parola da quando ci siamo seduti e la cosa inizia a darmi particolarmente fastidio.

Sembra leggere i miei pensieri perché rompe il silenzio, dopo essersi schiarito la voce. «Allora, quindi tu e Billy siete amici?»
Arriccio appena le labbra. «Qualcosa del genere.»
Ovviamente non posso mica dirgli quello che stavamo per fare stamattina. Neanche parlare di tutte quelle volte che lui fa allusioni sessuali. Se glielo dicessi non credo che continuerebbe a fidarsi di lu.

«È un bravo ragazzo», dice.
Forse quando dorme. O nemmeno in quel caso.

«Già. Un po' lunatico ma non è male», borbotto.

Dove vuole andare a parare con questo discorso?
«Siamo tutti un po' lunatici», ammette.

Sì, ma mai come William Gilmour. Lui è il re dei lunatici. Detiene il Guinness dei primati per il più lunatico essere umano sulla faccia della terra.

«Deve piacerti molto.»
«Lavorativamente parlando, sì. Ho grandi progetti per loro. Personalmente, non è un tipo che si sbilancia molto. Però vedo il modo in cui si impegna con la sua band. Quel ragazzo è nato per essere una star, per stare sul palco e per essere un leader.»

Spero con tutto il cuore che mio padre non le abbia dette anche a lui queste parole, altrimenti chi lo regge più il biondo e il suo ego?

«Sì, è un bravo front man», decido di non sbilanciarmi troppo con le parole. Non con mio padre.

Quello a cui sto pensando adesso, mi spedirà dritta all'inferno. Un posto assicurato accanto a Lucifero in persona.

Appena arriviamo davanti a casa mia, slaccio la cintura e senza pensarci molto, mi sporgo verso mio padre per baciargli una guancia. Finalmente, da parte sua, ricevo quell'abbraccio che tanto desideravo. «Vorrei che venissi più spesso a casa» sussurra, prima di posarmi un bacio tra i capelli.

«Lo farò», sussurro a mia volta. Sono sincera, lo farò. Voglio passare il più tempo possibile con mio nonno. Non ho ancora avuto il coraggio di chiedere a papà come stanno andando le cure. Non me la sento. Non saprei come reagire a delle brutte notizie in questo momento. Mi affido solo a quello che ho visto. Nonostante tutto, non sembrava così messo male mio nonno. Spero solo che riesca a combattere questo brutto male e ad uscirne vincitore. So che può farcela, lui è forte.

Saluto mio padre ed entro nel mio appartamento troppo piccolo e terribilmente silenzioso. Tutto questo silenzio sta iniziando a opprimermi, non mi piace più.
Non fa altro che ricordarmi quanto io sia sola. Quanto sola ho voluto stare. Non mi piace più.

Ignoro tutto e mi metto a sistemare un po' casa. Apro di nuovo il divano letto per sistemare le lenzuola.

Una vampata del suo profumo mi investe come un treno in piena corsa. Realizzo solo in questo momento che lui ha davvero dormito con me, per la seconda volta. Per la seconda volta da quando ci conosciamo, abbiamo dormito abbracciati come se ci conoscessimo da chissà quanto tempo.
Lo stomaco mi si contorce in modo strano e il mio cuore fa un'imbarazzante capriola all'indietro.

Mi sento persino ridicola a pensare a queste cose. Ad annusare il suo profumo che aleggia ancora nel mio appartamento. Mi sento anche un po' maniaca, a dirla tutta.
Nemmeno Joe Goldberg era così preso male in You.

Ho capito di aver raggiunto il picco massimo della follia quando, mentre mi stavo facendo la doccia, ho provato a masturbarmi pensando a William. Ringrazio il cielo che nessuno potrà leggermi i pensieri. Perché sul serio, sono letteralmente da internare in psichiatria. Oltre al danno, anche la beffa di non essere riuscita ad avere un orgasmo. Ci sono andata molto vicina però. Ho sentito qualcosa muoversi nel mio basso ventre. Una scarica che mi ha trapassata dalla testa ai piedi come se fossi stata colpita da un fulmine.

Esco dalla doccia ancora più accaldata di prima. Con il cuore che batte all'impazzata e le gote accese come due semafori rossi.

Mi guardo lo specchio e per la prima volta dopo tanto tempo, rivedo i miei occhi brillare. Sono accesi dal desiderio, forse anche un po' dalla follia che mi ha preso in questo momento.
Però brillano, e sono bellissimi. Così belli che non riesco neanche a riconoscerli come miei. Così belli che potrei seriamente piange anche per questo.

Tutto questo perché mi sono toccata pensando a William Gilmour?
Potrebbe essere più folle e assurdo di così?

Devo darmi una cazzo di calmata e smettere di pensare a lui.

Si sa però che quando sei decisa a fare una cosa, il mondo ti mette i bastoni tra le ruote.
Ed eccola lì, la canzone nel mio telefono che si interrompe all'arrivo di un messaggio.
È lui. Ha risposto al messaggio che gli ho inviato questa mattina a pranzo.

William: Non sono arrabbiato. Spero che tu abbia risolto con quel cazzone di tuo fratello. Com'è andato il pranzo?

Io: È andato tutto bene. Ho visto i miei nonni anche...

William: Come sta tuo nonno?

Io: Sembra stare bene.... Ha iniziato a perdere i capelli...
William: Sono sicuro che andrà tutto bene :)
Io: Lo spero anche io.
Senti... Riguardo a stamattina... Non sarebbe dovuto succedere.

Il cuore riprende a battere così veloce che sono obbligata a sedermi sulla tazza del water per non rischiare di crepare da un momento all'altro. Sullo stomaco sembra essermi caduta una palla di piombo gigantesca. Ho persino la nausea, mentre aspetto una sua risposta.

Quando arriva però, non è quello che mi aspettavo. Il disagio viene immediatamente sostituito dalla rabbia. Avendo un altro telefono a disposizione non avrei esitato a lanciare questo dalla finestra.

William: Riguardo a cosa? Non è successo niente. Mi stavo solo divertendo un po'. Non ti avrei mai toccata davvero. Non mi sarei mai spinto oltre. Non lo hai ancora capito che non ci sarà mai niente tra me e te? Se quello che vuoi da me è scopare, mi dispiace ma non accadrà MAI.

È uno stronzo. Un grandissimo coglione. E io lo sono di più. Cazzo. Quando lo capirò che lui si prende gioco di me e basta?
Alcune volte sono così ingenua che potendo mi prenderei a schiaffi da sola per darmi una fottuta svegliata.
E lui... avendolo davanti lo strozzerei con le mie stesse mani. Come se non avessi capito che quello che stava facendo piaceva anche a lui.

O ha qualche problema all'uccello, oppure era eccitato anche lui.

Io: L'ho capito chiaro e tondo. Non voglio proprio un cazzo da te. Nemmeno quello. Ciao.

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