♬ ~ 12.1 ᴛᴀᴋᴇ ᴛʜᴇꜱᴇ ʙʀᴏᴋᴇɴ ᴡɪɴɢꜱ ᴀɴᴅ ʟᴇᴀʀɴ ᴛᴏ ꜰʟʏ

Blackbird singing in the dead of night
Take these sunken eyes and learn to see
All your life
You were only waiting for
this moment to be free
Blackbird fly, blackbird fly
Into the light of a dark black night
The Beatles
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Manca davvero pochissimo al giorno in cui gli Overdrive si esibiranno per la prima volta all'inaugurazione del nuovo teatro. 
Io e William in questi ultimi giorni abbiamo passato davvero tantissimo tempo insieme. 

Lo sto aiutando con l'album che dovrebbe esordire tra poco meno di due mesi. 

Quando sto con lui, a suonare le nostre chitarre, il mondo intorno a me sembra fare meno schifo. Non lo so, lui ha lo strano potere di portare un po' di luce e spensieratezza nella mia vita. Ed è davvero buffo, dato che, per il novantanove per certo del tempo, lui sembra perennemente scazzato e arrabbiato con ogni essere vivente sul pianeta. Eppure con me sta iniziando a comportarsi in modo diverso.

Mi spaventa da morire il modo in cui mi sento accanto a lui. 

Ho paura.
Paura di attaccarmi a una persona per tentare disperatamente di stare a galla. Non vorrei mai aggrapparmi a qualcun altro. Non fa parte di me cercare di sopravvivere grazie a un altro essere umano. 

Ormai sono più che abituata a vagare come un fantasma solitario. E tutto questo mi fa uno strano effetto alla bocca dello stomaco. 

Questa mattina mi sono presentata a lavoro e ho chiesto scusa a Roxy. Il mio giudizio è offuscato, così come la mia ragione. Ma so ancora capire quando c'è bisogno di chiedere scusa. 

Oggi sarà l'ultimo giorno di lavoro prima delle ferie. Sta per arrivare Ferragosto.
Ammetto che fremo impaziente per assistere all'esibizione dei ragazzi. Ma al tempo stesso non voglio incontrare mio padre.
Ed è ovvio che lui sarà lì. È la sua band. La band che io stessa gli ho fatto conoscere, ma lui non lo sa. 

Non voglio perdermi quel giorno, così ho già deciso di andare e di tenermi in disparte. 

Ormai sentire cantare William è diventato una sorta di medicina.
Una medicina da cui sto diventando pericolosamente dipendente. 
Lui è in grado di toccare corde nelle mie profondità, che non sapevo nemmeno di avere.
E io non voglio assolutamente privarmi di queste sensazioni. Anche se non glielo dirò mai. 

Ammetto di aver sospettato che lui passi del tempo con me solo perché gli faccio pena.
Lo so. Ma fingo che lo faccia perché siamo davvero amici. 

Da quando ho smesso di parlare con papà mi tengo in contatto con mia nonna per sapere le condizioni di mio nonno.

L'ultima chiamata è stata davvero tosta. Ha detto che aveva iniziato i cicli di chemio e che, dopo quelli dovrebbe fare anche la radioterapia. Sto perdendo tutto. Sto rinunciando a momenti che forse, non avrò più l'opportunità di passare con mio nonno. 
Quando mi fermo a pensare al fatto che lui non possa sconfiggere quella malattia, scoppio a piangere. Ho paura. Paura di non poter più rimediare ai miei errori con lui. Non me lo perdonerei mai. Il senso di colpa mi divorerebbe fino alla fine dei miei giorni.

William schiocca le dita davanti al mio viso. «Torna sul pianeta terra, Sailor Metal!» Da un po' ha preso questa strana abitudine di chiamarmi in quel modo. Lo adoro, ma non glielo dirò. 

Il nostro "rapporto" è strano. Io non faccio altro che usare il sarcasmo e insultarlo. Lui ridacchia e risponde nell'esatto modo. 
È una strana amicizia la nostra. L'importante è che non mi soffermi troppo a guardarlo altrimenti, il mio stomaco si contorce in un modo strano, del tutto anormale per una come me, non abituata a provare queste strane sensazioni sconosciute.

Sbatto le palpebre. «Sì, ci sono.»
«No, non ci sei. Non prendermi per il culo. Ormai ho imparato a capire quando ti perdi dentro la tua testolina da schizzata», sbuffa. 

Non mi offendo quando mi da della svitata o della schizzata. Lo sono. Lui lo è tanto quanto me. Forse è per questo motivo che riusciamo a sopportarci a vicenda. Siamo due folli. 

Poso la chitarra a terra e mi siedo sul divano, sprofondando tra i soffici cuscini. È  tutto così comodo a casa sua. Mentre casa mia... lasciamo stare. 
Non abbiamo più parlato di quella notte. Continuiamo a fingere che non sia mai successo. Fingiamo che lui non sia mai piombato a casa mia alle quattro del mattino, che non mi abbia infilato le dita in gola per farmi vomitare e che non abbia dormito tra le sue braccia. E a me, va bene così. Non saprei dirgli niente a riguardo. Sono ancora imbarazzata.

«Scusa, sono distratta» mormoro, mordicchiandomi l'interno guancia. 
Solleva entrambe le sopracciglia. «Ma non mi dire! Non me ne ero reso conto.»

Ci siamo segregati dentro questa stanza da non so nemmeno quante ore. Sono stanca, mi fanno male persino le dita. Mentre lui si concentra sui testi io lo aiuto con le melodie. Siamo a buon punto, ma ho bisogno di una pausa. Una pausa che il mio cervello interpreta in modo totalmente sbagliato. 

«Facciamo una pausa», propongo. 
Ma l'occhiataccia che mi rifila, mi fa capire che lui non la pensa allo stesso modo. «Una pausa? Glielo dici tu a Luke e a tuo padre?»

Al sentire nominare mio padre le spalle mi si afflosciano e lui se ne rende conto. «Scusa», borbotta. 
Scuoto il capo. «Non fa niente. Prima o poi troverò il coraggio di andare da lui e chiarire», sospiro. «Comunque anche tu hai bisogno di una pausa. Hai l'aria stanca e sei più pallido del solito», lo stuzzico. 

Posa la sua chitarra a terra e solleva le braccia per aria, flettendo quei muscoli da capogiro. 
Purtroppo non sono immune alla sua sfacciata e ingiusta bellezza. William è come il sole. Bello e accecante, provoca dolore agli occhi ma nonostante tutto, continuo a guardarlo. 

«Okay, prendi la tua chitarra» dice, afferrando la sua e dirigendosi verso la porta. 
Obbedisco, afferro la chitarra e gli vado dietro. «Che cosa hai in mente?»
Parla senza nemmeno voltarsi. «Ti fidi di me?»
«Assolutamente no» dico, senza neanche pensarci.
Ridacchia. «Perfetto allora. Fai bene a non fidarti. Ma oggi farai un piccolo sforzo.»

Lo seguo fuori casa. Apre il portabagagli e infila le nostre chitarre dentro. Va a sedersi e io faccio altrettanto. Mette in moto ed esce da quell'immenso vialetto. 

Non ho la più pallida idea di cosa abbia in mente. In questo momento non mi importa nemmeno saperlo. Con lui... sto bene. Potrebbe anche portarmi in una discarica: starei bene comunque. 

Questo la dice lunga. Davvero lunga. Così lunga che mi fa paura. 

Non so ancora bene che cosa provo nei suoi confronti. Gratitudine? Non lo so. Il solo fatto che passi il suo tempo con me, ai miei occhi gli da tantissimi punti. 

Provo una strana attrazione nei suoi confronti. E non parlo solo di quella fisica. Lui è sfacciatamente bello, ne sono fin troppo consapevole. Ma... va tutto oltre la sua bellezza. Sento una strana e spaventosa connessione con lui. Soprattutto quando suoniamo o cantiamo insieme chiudendo il resto del mondo fuori. È una cosa così intensa che non riesco ad attribuirgli il giusto senso. Forse, neanche c'è un senso. 

È così e basta. 

Metto un braccio fuori dal finestrino e lascio che l'aria scivoli tra le mie dita. Mi ritrovo a socchiudere gli occhi e a respirare a pieni polmoni. Accanto a lui mi sento un po' meno invisibile, un po' meno vuota. Chissà se lui se n'é reso conto del bene che mi sta facendo. 

Mi imbarazzo per i miei stessi pensieri e mi ritrovo a guardare le mie guance arrossate nel piccolo specchietto. È da tempo che non vedevo sul mio viso un colorito apparentemente umano.

Come sempre lui guida come se avesse vite illimitate. Per qualche strana ragione non ho paura con lui. E c'è da averne, cazzo. Fa certi sorpassi spaventosi. Sembra sicuro di sé stesso però, e questo basta a tranquillizzarmi. 

Da un po' di giorni, è tornata anche la voglia di mettermi al volante. Sono andata persino nel parcheggio davanti a casa mia per provare a mettere in moto quell'ammasso di ferraglia che un tempo mi scarrozzava per le vie di Londra. Purtroppo non ha dato segni di vita.
È morta e piena di ragnatele. 

Ho provato a chiedere a William se mi fa guidare la sua macchina. L'occhiataccia che mi ha lanciato mi ha fatto rabbrividire. In più ha anche aggiunto: "Se dovessi mai guidare la mia macchina significa che sono morto. Levatelo dalla testa."

Non sono chissà quale guidatrice esperta, ma nemmeno a essere così diffidenti! 

Ferma la macchina davanti a un negozio, spegne il motore e si volta a guardarmi. I suoi occhi vengono attraversati da una strana scintilla. 

«Cosa ci facciamo qui? Hai voglia di fare shopping?» Lo prendo in giro. Adoro farlo. 
Scuote lievemente il capo. «Io no, ma tu sì», apre lo sportello e scende. 

Che cavolo ha in mente? Io non ho nessun bisogno di fare shopping! 

Gli vado dietro dato che continua a camminare lasciandomi indietro. «William, che cosa hai in mente?»
Alza una spalla con fare innocente. «Niente di strano, tranquilla.»

Apre la porta a vetri di quel negozio e le tiene aperta per me. Mi rendo conto, poco dopo, di essere appena entrata in un negozio che vende costumi da bagno. 
Divento di pietra, paralizzandomi sul posto.
Lui posa una mano sulla mia schiena e mi spinge in avanti. 

Pianto i piedi a terra. «Non ho bisogno di un costume.»
Mi guarda dall'alto, assottigliando lo sguardo. «Sì, invece. Adesso andremo al mare e non voglio vederti con i vestiti addosso. Ti prederanno per pazza. E io non ho nessuna intenzione di farmi vedere in giro con una pazza» sorride, in modo beffardo. 

Stronzo. È uno stronzo. 

Mi spinge verso una delle tantissime, troppe corsie, dove i costumi da bagno sono appesi. 

Tira fuori il commesso che c'è dentro di sé, e inizia a passare rapidamente a rassegna tutti quei costumi. Io mi guardo intorno spaesata. Se avessi saputo che la sua intenzione era quella di  portarmi al mare, mi sarei categoricamente rifiutata. 
Non mi sento più a mio agio con il mio corpo. Lui lo sa, cazzo.
Ma a quanto pare, non gliene importa un fico secco. 

Inizia a lanciarmi addosso vari costumi, prevalentemente tutti neri. Sono tutti dei bikini a due pezzi con il pezzo di sotto striminzito. Quello che mi lascia interdetta è come stia azzeccando la taglia. Ha una specie di metro da sarta negli occhi? 

Posa le mani sulle mie spalle e mi trascina al primo camerino disponibile. 

Provo a ribellarmi, ma lui è irremovibile.
«Provali tutti» dice, un attimo prima di chiudere la tenda. 

Infastidita dai suoi modi, getto tutto quell'ammasso di stoffa inutile sul pouf beige che si trova davanti allo specchio. 

Per qualche stramaledetto motivo, le luci di questo fottuto camerino hanno il potere di mettere in risalto ogni piccolo, microscopico difetto. Persino i miei stessi peccati più oscuri. Rimango qualche secondo immobile, impalata al centro di questo spazio ristretto. Fisso i miei occhi attraverso lo specchio e, per un breve momento, mi sembrano meno spenti, meno vuoti. Ma so che si spegneranno non appena leverò i vestiti. 

Prendo un bel respiro e levo la maglietta lunga che ho indossato a mo' di vestito. 

Sono pallida. Consunta. Scheletrica. Inguardabile.

Rabbrividisco alla vista di quel corpo che non riesco più a riconoscere. Abbasso lo sguardo, afferro il primo costume e lo indosso sopra all'intimo. È un costume nero, con il pezzo di sopra a forma di stella e il pezzo di sotto a perizoma. È bello, ma su di me fa letteralmente schifo. 

Lo scarto subito e ne provo un altro. Scoprendo che anche il pezzo di sotto di questo, non è altro che un filo interdentale che mi entra tra le chiappe. 

«Io non le indosso queste cose» mi lamento, convinta che lui non sia ancora lì. 

Invece, quando scosta appena la tenda, mi appresto a coprirmi come meglio posso. 

Lo guardo con gli occhi sgranati. «Sei pazzo? Chiudi!» Gracchio, sentendomi le guance avvampare. 
Lui mi rifila uno dei suoi tanti, fastidiosi ma bellissimi sorrisi sghembi. «Ti ho già vista nuda», mi guarda dalla testa ai piedi. 

Mi sento sempre troppo esposta sotto al suo sguardo di ghiaccio. Come se avesse il potere di scavarmi dentro. «Togli quelle mani», si lamenta. 

Scuoto il capo. Il viso continua ad andarmi a fuoco. «Non se ne parla!»
Rotea gli occhi al cielo. «Perché fai tutte queste cazzo di storie con me? »
Lo guardo male. « Di solito, quando mi spoglio davanti a un ragazzo, sono sempre strafatta», mi difendo. « Adesso sono fin troppo sobria. Esci di qui!» Lo spingo via posando una mano contro il suo petto solido. 

Lui ridacchia divertito. «Quindi se mai dovessi scopare con me, dovresti sballarti?»

È impazzito? Cristo. 

Mi sento improvvisamente ancora più accaldata.
Schiarisco la gola e rispondo, senza guardarlo negli occhi. «No, non ci verrei né da sobria né da strafatta.»

E sono anche una pessima bugiarda! Insomma, lui è dannatamente bello.
Qualsiasi ragazza farebbe i salti mortali per farsi un giro su di lui. O sotto. 

Io però non sono tra quelle ragazze. 

Certo, più di una volta mi sono ritrovata a fare pensieri sconci su di lui. Ma non andrei a letto con lui. Insomma, una come con uno come lui? Neanche in un universo parallelo potrebbe succedere. 
Lui quelle come me non le guarda neanche per sbaglio. Mi sento già abbastanza fortunata di essergli amica. Figuriamoci andare a letto insieme. Non diciamo sciocchezze.

Lui fa parte di quella categoria di persone inarrivabili. Lui siede al trono del suo olimpo fatto di Dei e Dee belli da far schifo. Io non sono altro che un inutile essere umano. 

Però pagherei oro per sapere che cosa gli passa per la testa ogni volta che mi guarda. Ahimè, morirò senza mai saperlo. Lui è impassibile sulle sue emozioni, per la maggior parte del tempo se ne sta con la fronte perennemente aggrottata e con l'espressione di chi odia il mondo intero. Non lascia trasparire niente. L'unica cosa che mi concede è il suo sarcasmo. O qualche commento poco carino, giusto per ribadirmi che non gli piaccio. 

Intravedo qualche emozione diversa soltanto quando impugna la sua chitarra. Altrimenti, è praticamente impossibile decifrare i suoi sguardi. 

«Sei una pessima bugiarda» risponde, prima di lanciarmi contro un costume intero. «Prova questo, dato che a quanto pare ti piace nasconderti.» Chiude di nuovo la tenda dandomi un po' di privacy. 

Osservo il costume e sospiro. 
Lo provo e fortunatamente mi sta abbastanza bene. Non è uno di quelli classici costumi interi. Lascia la schiena totalmente esposta e sul davanti copre il seno e le parte intime basse, lasciando tutta la pancia scoperta. È carino, e per la prima volta dopo mesi mi sento carina anche io. 

Levo l'intimo e lo tengo addosso. Ovviamente staccando l'etichetta così da poterlo pagare in cassa. Indosso la maglietta ed esco dal camerino. 

Lui è ancora lì, in una mano tiene un costume e nell'altra il telefono. Sorride davanti allo schermo e per qualche secondo mi sento di troppo. 
Tossisco per attirare la sua attenzione.

Sposta appena lo sguardo dal display del telefono per guardarmi. «Hai fatto?»
«Sì.»

«Bene, andiamo.» Si dirige verso la cassa. Posa quello che ha preso e poi mi strappa di mano il cartellino con il prezzo. 
«No, non ci pensare nemmeno, me lo pago da sola», sibilo. 

Mi guarda dall'alto con quell'espressione strafottente. «Stai zitta.» Passa l'etichetta alla commessa che nel frattempo, mentre noi battibecchiamo, è intenta a guardarlo con adorazione, come se avesse appena visto l'apparizione della Madonna Di Fatima. 

Arriccio il naso infastidita, William la ignora.
Come se fosse abituato a essere guardato in questo modo da una vita. 

Salutiamo e torniamo in macchina. Il fatto che stia iniziando a sentire caldo, non è così tanto piacevole. Fa davvero caldo oggi . Per fortuna lui aziona subito l'aria condizionata. 

«Quella cassiera avrebbe voluto saltarti addosso», lo stuzzico. 
Sbuffa. «Non era il mio tipo.»
Inarco un sopracciglio scettica. «Si può sapere qual è il tuo tipo?»
Mi scocca una rapida occhiata. «Perché vuoi saperlo?»
Alzo le spalle. «Pura curiosità.»
«Vuoi saperlo davvero?»
Sbuffo. «Sì, altrimenti non te lo avrei mica chiesto!»

Le sue labbra si incurvano appena. «Di solito esco con delle ragazze che hanno un gran bel fisico. Non m'importa molto il loro colore di capelli o degli occhi. L'importante è che siano ben dotate. Più che altro guardo il culo e le tette. Oh, è mi piacciono un po' alte.»

Bene. Nessuna descrizione combacia con la sottoscritta. 
Non sono alta. Non ho un sedere "ben dotato", dato che sono dimagrita tantissimo. Ho solo le tette. E basta. 

Ora capisco perché non mi guarda con altri occhi. Ai suoi sono solo una nana senza forme. 

«Il tuo?» Mi chiede, non ricevendo nessuna risposta da parte mia. 
Poso la testa contro il finestrino. «Non mi piacciono i biondi» dico, un po' per stuzzicarlo e un po' per farlo arrabbiare. Ma non ottengo il risultato che desidero. 
Ridacchia. «Ah no? Eppure non fai altro che guardarmi. Alcune volte ho paura che potresti saltarmi addosso alla sprovvista.»

Lo guardo stizzita. «Ti ho già detto che non lo farei mai. E poi non sono così disperata. Come hai visto anche io posso scopare quando mi pare e mi piace.»
Serra appena la mascella. «Sì, con dei ragazzi che nemmeno ti guardano in faccia.»
Mi indispettisco. «Tu che ne sai?»
Si volta a guardami. «Che ne so? Si sono mai fatti risentire quelli con cui sei stata? Rispondo io; no. No perché non ricordano nemmeno il tuo nome.»

Le sue parole hanno la stessa efficienza di un pugno in pieno viso. Il fatto che abbia ragione mi fa incazzare ancora di più. 
Nessuno di quei ragazzi si ricorda di me. Proprio come io non ricordo niente di loro. Né i loro volti, né i loro nomi. 

E cazzo... che cosa triste. 

«Vincent mi avrebbe cercata, se solo tu non avessi buttato via il bigliettino da visita», sibilo. 
Sbuffa una risata. «Non lo avrebbe fatto. Se n'è andato lasciandoti un po' di cocaina e un biglietto da visita, manco fossi una escort
Sento la mascella chiudersi con un click. «Sei uno stronzo.»

«E tu sei troppo ingenua e permissiva. Nonché un'idiota totale», risponde per le rime. 

Decido di non replicare. Indispettita mi volto a guardare la strada che scorre sotto ai miei occhi. 
Sul serio, mi da maledettamente fastidio che abbia ragione. Ma che altro potrei fare? 
Non ho mai avuto un ragazzo. Non so socializzare con i peni dotati da sobria. E posso anche solo immaginare le grandi conversazioni che ci faccio quando sono sotto l'effetto di qualche stupefacente. 

Di certo se continuo a comportarmi in questo modo, non avrò mai una relazione.

Oddio, neanche cerco una relazione! 

Forse devo smetterla di rimuginare troppo sulle parole che mi dice quel Biondo malefico. 

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Due ore dopo arriviamo al mare. Non ci siamo rivolti la parola per tutta la durata del viaggio. Sono arrabbiata con lui e non so neanche per quale motivo. 

Parcheggia l'auto e poi scende, apre il portabagagli e prende le chitarre. 

Mi rendo conto solo in questo momento che non abbiamo portato con noi nemmeno un asciugamano. Wow. Che persone intelligenti che siamo. 

Posso sentire la me del passato strepitare per questa mancanza. Prima ero molto più attenta alle cose, sempre organizzata. 

Lui non sembra neanche preoccuparsene. Indossa gli occhiali da sole scuri e si passa una mano tra i capelli, attirando l'attenzione di alcune ragazze che se ne stanno sdraiate in spiaggia a guardarlo come se fosse un bignè ricoperto di cioccolato. 

Prende a camminare a passo spedito, ma io non mi muovo. 

La sola idea di spogliarmi davanti a tutte quelle persone mi fa venire la nausea. 
Quelle ragazze sono belle in un modo quasi fastidioso. Mentre io non lo sono neanche la metà. 

Si volta notando la mia assenza. Attraverso gli occhiali lo vedo inarcare un sopracciglio arrogante. «Che c'è, adesso?»

Non potrà mai capire il mio disagio. Nessuno, se non io, posso capirlo. «Non mi va di andare in spiaggia. Non ci siamo neanche portarti degli asciugamani.»

Nonostante gli occhi nascosti dalle lenti scure, noto comunque che alza gli occhi al cielo. «Chi ha detto che saremmo stati in spiaggia? Non mi sembra di averlo detto.»

Apro e chiudo la bocca senza sapere come rispondere. Sbuffo e mi avvicino a lui. 
Passiamo in mezzo alle persone, le ragazze di prima, confabulano tra di loro e poi ridacchiano dopo avermi guardata. 
So di stonare come il Ketchup sulla pasta accanto a William. Lo so, e non è necessario che loro infilzino ulteriormente il dito nella piaga. 

Fingo di non sentire i commenti poco carini, e continuo a camminare a testa alta. 

Raggiungiamo gli scogli dove per fortuna non c'è anima viva. 

Resto imbambolata a guardarlo mentre si appresta a levarsi i vestiti. Come se niente fosse leva i jeans e indossa il costume che ha comprato. 

Senza pudore. 

I miei occhi accarezzano la sua pelle diafana. Sembrano insaziabili. Quella maledetta V è sempre lì. Sembra essere stata creata dal diavolo. È  una tentazione continua. È come se avesse una freccia lampeggiante che indica proprio in mezzo alle sue gambe. 

Ogni volta che lo vedo a torso nudo sembra sempre più muscoloso. Ogni volta, ha i nervi sempre più visibili. Sempre maledettamente sexy. 

Si siede sullo scoglio e mi punta gli occhi addosso. 

Perché mi stai guardando così?

Inarco un sopracciglio. «Che vuoi? Perché mi stai guardando in questo modo? Sei inquietante.»
Lui ridacchia. «Ah, quindi sei l'unica che può fissare le persone? Non funziona così.»

«Vuoi uno spogliarello?» Lo punzecchio. 
Arriccia il naso facendomi capire che la sola idea gli provochi disgusto. «No.»

Coglione.

Abbasso lo sguardo, agguanto i bordi della maglietta e la levo. «Tanto non c'è niente da vedere», borbotto rivolta a lui. Sollevo lo sguardo per scoprire che mi sta ancora guardando. 

Mi sento così nuda. Nonostante il costume copra ogni mia parte intima. Eppure mi sento totalmente esposta.
William ha visto la sua bella dose di corpi femminili perfetti. Mi fa incazzare che io non possa farne parte. 

Sento l'urgenza di rimettermi la maglietta, invece, resto lì impalata come una stupida a farmi fissare da quei cubetti di ghiaccio. 

Incrocio il suo sguardo e l'aria intorno a noi sembra immobilizzarsi. Gli occhi chiari e cristallini di William si stringono, la sua espressione si rabbuia.

Chissà che cacchio sta pensando. 

Il mio cuore inizia a battere più forte mentre piccole scariche elettriche di calore mi mandano in cortocircuito il basso ventre. Non so per quanto tempo restiamo a guardarci come se fossimo due perfetti sconosciuti che si sono imbattuti l'uno nell'altra su questo scoglio. Probabilmente dura pochissimo, ma a me sembra un'eternità. 

Lui sbatte le palpebre spezzando il nostro scambio di sguardi, e si volta a guardare il mare. «Vado a farmi un bagno, vieni?»

«No, vai pure.» Qualcosa si stringe  con forza nel mio petto perché in questo momento mi sembra nervoso, come se volesse liberarsi di me. 
«Dai, facciamo un bagno e poi proviamo ancora.»
Scuoto il capo e mi siedo sullo scoglio. «No, vai senza di me.»

Mi guarda e libera un sospiro. «Allora non vado nemmeno io.»

Si lascia cadere accanto a me, abbastanza vicino che la sua coscia muscolosa quasi sfiora la mia troppo sottile, e posso sentire il calore del suo corpo. Guardo i tatuaggi sparsi lungo la gamba, quell'enorme teschio che ha tatuato sulla coscia. La leggera peluria chiara sulla sua pelle pallida. 

«Mi stai fissando, ancora» dice, con una cadenza divertita nella voce. 

Mi prendo a schiaffi mentalmente e sollevo subito lo sguardo, trovandolo a sorridere in quel modo irritante. «Cazzo, stavo solo guardando i tatuaggi. Scendi dal piedistallo, non sei l'unico cazzo- dotato!» sbotto, forse un po' troppo acida. 

Tira indietro la testa e scoppia a ridere. È un evento rarissimo sentirlo ridere in questo modo. E le poche volte che me lo concede, il mio cuore si incendia nel petto. Ha un bellissimo suono, la sua risata. «Rilassati, prima che rischi di andare in fiamme.»

Effettivamente sento le guance avvampare. Maledetto. «Perché non vai a farti il bagno e mi lasci in pace?»

Annuisce, come se anche lui stesse pensando a quello. «Hai propri ragione», sorride. Non piace affatto quel sorriso diabolico che gli incurva le labbra. 

Con una rapidità sovrumana si alza in piedi. Capisco subito quali siano le sue intenzioni.







☆ 𝕷𝖔𝖓𝖌 𝕷𝖎𝖛𝖊 𝕽𝖔𝖈𝖐'𝖓'𝖗𝖔𝖑𝖑 ☆

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