♬ ~10.2 ʏᴇꜱᴛᴇʀᴅᴀʏ, ᴀʟʟ ᴍʏ ᴛʀᴏᴜʙʟᴇꜱ ꜱᴇᴇᴍᴇᴅ ꜱᴏ ꜰᴀʀ ᴀᴡᴀʏ
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Non so per quanto tempo resto in questa posizione ad aspettare che William venga a prendermi. Forse si è tirato indietro e ha deciso di lasciarmi qui, di voltarmi le spalle anche lui. Dopotutto perché dovrebbe importargli qualcosa di me?
Invece poco dopo sento i passi di qualcuno calpestare il cemento bagnato dalla pioggia.
«Sei una fottuta stronza» la sua voce, anche se arrabbiata, fa vibrare ogni particella del mio corpo.
Sollevo lo sguardo su di lui. Ha i capelli bagnati dalla pioggia e uno sguardo di fuoco. Scommetto che vorrebbe vedermi prendere fuoco come la Torcia Umana.
«Scusa, non avrei dovuto chiamarti» sussurro, abbassando lo sguardo. Il suo è troppo intenso, troppo infuocato. Non riesco a restituirglielo.
Sbuffa rumorosamente e poi si piega sulle ginocchia, mettendo i nostri visi alla stessa altezza. «Che cosa è successo?» Mi chiede, sforzandosi di mantenere un tono calmo. Qualcosa nel suo sguardo, mi dice che invece vorrebbe sbranarmi viva.
Sento le spalle afflosciarsi. «Mio padre non vuole più vedermi. Ha scoperto quello che ho fatto» biascico, ancora troppo fuori di me per avere un tono di voce normale. «Mi sono ubriaca fino a vomitare ripetutamente. Ho ingerito tante pillole e cazzo...» abbasso la voce in un sussurro. «Sono ancora qui. Ancora qui a farmi scopare da ragazzi che nemmeno rivedrò mai più. Sono una puttana.» Sento gli occhi riempirsi di nuove lacrime.
Serra la mascella e sposta lo sguardo altrove. «Non sei una puttana. Sei solo un po' persa. Succede a tutti.»
No, non gli credo. Lui sembra sempre così sicuro di sé. Mentre io non sono più sicura di niente.
Scuoto il capo. «Lo so che anche tu pensi che io sia una puttana. E hai ragione. Scopo con i ragazzi solo per cercare di colmare quel maledetto vuoto. E indovina un po'? Non provo niente. Lascio che mi scopino senza pietà mentre io mi dissocio.»
Se fossi stata sobria, non avrei mai parlato così liberamente con lui. Ma non sono sobria, quindi...
Si inumidisce le labbra. Sicuramente non sa neanche che cosa dirmi. «Devi smetterla di svalutarti in questo modo, okay? I ragazzi sono solo dei bastardi. Si approfittano di te quando sei strafatta. E tu, dovresti seriamente smettere di assumere droghe.»
Alzo le spalle. «Io non so più che cosa fare. Lo capisci?» Sbotto, alzando il tono di voce. «Io non riesco a uscirne. Nessuno lo capisce, tutti pensano che io lo stia facendo di proposito. Ma non è così, cazzo! Io sono stanca di andarmene in giro come se fossi un fottuto fantasma. Un guscio vuoto che gli altri usano solo per svuotarsi! Io sono stanca di non provare più emozioni che non siano rabbia o angoscia!» Urlo, la voce mi si rompe. «Sono stanca, William. Stanca. Vorrei solo chiudere questi maledetti occhi per sempre.» Infine, scoppio a piangere. Abbasso lo sguardo per nascondermi dai suoi occhi. Non voglio piangere davanti a lui, ma è impossibile reprimere le lacrime.
Lui però me lo impedisce. Posa due dita sotto al mio mento e mi obbliga a sollevare il viso. «Ascoltami bene» sibila, arrabbiato. «Hai solo ventuno anni, cazzo. Smettila. Tu non sei un fantasma, non sei vuota. E questi maledetti occhi, devono ancora vedere tante cose prima di chiudersi per sempre. Devono ancora brillare. Te l'ho già detto: hai degli occhi troppo belli per averli così spenti», con il pollice cattura una lacrima. « E tuo padre non ti odia. Vuole solo il meglio per te.»
Scuoto il capo, non gli credo. «Tu non hai visto come mi ha guardata.» Rivolgo lo sguardo al cielo per impedire ad altre lacrime di uscire.
«Magari è arrabbiato solo perché non sa come aiutarti. So che cosa stai provando, lo so davvero. E posso assicurarti che facendo così non risolverai niente», diventa serio.
Abbasso lo sguardo nei suoi occhi. Ci guardiamo per qualche breve secondo in silenzio. Vorrei credere alle sue parole. Il mio cervello però non me lo permette. L'autodistruzione è stata attivata e niente potrà evitarla.
Afferra le mie mani e mi tira su con facilità. Barcollo un po' e lui mi afferra dalle spalle per impedirmi di cadere a terra. «Sei fatta come una pera.» Non è ironico, sembra ancora un po' arrabbiato. Non lo so. Sono ancora troppo sballata per capire quale sia il suo stato d'animo.
«Ti porto a casa.» Afferra il mio polso e mi trascina via da quel posto.
La pioggia cade sulle nostre teste, i miei capelli si bagnano di nuovo, così come i miei vestiti.
Apre lo sportello del passeggero e mi aiuta a salire. Si tende in avanti e mi infila anche la cintura.
«Grazie. Sei l'unico che mi sopporta» mormoro, accasciandomi contro il sedile.
«Questo lo dici tu» dice, prima di chiudere lo sportello. Fa il giro ed entra al lato guida. Accende il motore e parte.
Chiudo gli occhi e forse, perdo i sensi.
Mi addormento. Ma non ne sono sicura.
Dura pochissimo, perché un conato di vomito interrompe il mio sonno. Sgrano gli occhi. «Will... devo vomitare», biascico.
«No, cazzo. Non dentro la mia macchina!» Inchioda di colpo. Più veloce della luce scende e viene ad aprire il mio sportello. Mi aiuta, anzi, mi trascina fuori dalla macchina giusto un attimo prima che vomiti.
Lo sento imprecare qualcosa mentre raggruppa i miei capelli in una coda che tiene nella mano.
Non voglio che mi veda in questo stato.
Dio, che imbarazzo.
«Che cazzo ti sei bevuta?»
«Non me lo ricordo neanche più», piagnucolo.
Vomito ininterrottamente per un paio di minuti. Credo anche di aver vomitato il pranzo di natale del duemiladiciannove.
Lui per tutto il tempo mi ha tenuto i capelli per impedirmi di sporcarli. «Ti senti meglio?»
Annuisco. Mi aiuta a tirarmi su e mi fa appoggiare contro la macchina. Sicuramente vuole esserne sicuro. Ha l'aria di uno che mi potrebbe staccare la testa se gli vomitassi i tappetini dell'Alfa.
Sollevo una mano e asciugo la bocca.
Lui arriccia il naso in una smorfia schiaffata. «Wow, proprio una principessa.»
Cerco di colpirlo sulla spalla ma lo manco. Lui mi afferra dai fianchi impedendomi di spiaccicarmi a terra. «Stai zitto», borbotto.
«Dai principessa Fiona, posi le sue chiappe da orchessa nella mia carrozza», continua a prendermi in giro.
Emetto un verso strozzato, che non somiglia neanche lontanamente ad una risata. Sono distrutta. Ho bisogno di una doccia, di dormire e tante altre cose. Sono troppe le cose di cui ho bisogno.
Mi siedo di nuovo in macchina e poso la testa che pesa come un macigno contro il finestrino.
William mi sveglia scuotendomi leggermente dalla spalla. Apro gli occhi ritrovandomi davanti una porzione di patatine e un hamburger. Aggrotto la fronte, sono un po' spaesata. «Che cos'è?»
«Queste, dici?» Sventola le patatine «Ma, vedi le persone le chiamano patatine fritte. Tu puoi chiamarle come ti pare», abbozza un sorriso ed è così bello. L'espressione arrabbiata è sparita. Adesso, i suoi lineamenti si sono addolciti.
Farfuglio un grazie e, con poca grazia inizio a divorare le patatine. Dalle labbra mi sfugge un gemito di piacere.
Quand'è stata l'ultima volta che ho fatto un pasto normale? Neanche lo ricordo. So solo che queste patatine e questo hamburger in questo momento sono la cosa più buona che abbia mai mangiato.
Sento i suoi occhi accarezzarmi un lato del viso. È girato completamente nella mia direzione. Mi guardo intorno e noto che ci siamo fermati in un parcheggio deserto.
«Posso farti una domanda?»
Annuisco, continuando a mangiare con gusto.
«In realtà ho tante domande da farti. Ma non voglio essere invadente. Te ne farò solo una. Chissà, magari è anche la risposta delle altre.» È serio, mentre mi guarda negli occhi. Le sue schegge di ghiaccio sono fisse nei miei.
«Spara» bofonchio, leccando via un po' di ketchup dal labbro.
«Perché non mi hai fatto entrare a casa tua?»
La sua domanda mi lascia spiazzata. Smetto persino di masticare. Poso il panino nel suo involucro e abbasso lo sguardo. «Perché vuoi saperlo?»
«Perché sì» replica, secco.
Sospiro e sposto lo sguardo altrove. «Non volevo farti vedere il casino che c'è dentro. Dentro di me. Quel posto è diventato un porcile. Per un po' era la mia bolla di pace e ora», mando giù il groppo amaro che mi si è formato in gola. «Ora anche quel posto è invivibile. Io non ho più un posto dove mi sento al sicuro. Al sicuro dal mondo, dai miei pensieri. Da me stessa. Non ho più un posto dove nascondermi. E non volevo fartelo vedere perché così avresti capito il caos che ho nella mia testa. Qui dentro», picchietto il dito contro la tempia. « C'è il fini mondo, William. E io, non voglio più vivere così. Capisci?»
È serio in volto. «Ti capisco. Ed è per questo che ti ho detto che facendo così non risolverai niente. Devi essere più forte della depressione Blue. So che è impensabile in questo momento per te, pensare di riprenderti la tua vita in mano. Ma ce la puoi fare», i suoi occhi sono pieni di stelle in questo momento.
Dio, quanto è bello. È così bello che fa male persino guardarlo. Ma a me, non importa. Voglio guardarlo. Voglio farmi male.
Prendo una patatina solo per rifuggire al suo sguardo. «Tu perché lo sai?»
Si passa una mano tra quei frammenti lunari che lui chiama capelli e sospira. «Perché ci sono passato. Perché anche io ho cercato rifugio nella droga e nell'alcool.»
La sua confessione mi fa contorcere lo stomaco. E io che pensavo che uno come lui fosse inscalfibile.
«Mi dispiace», sussurro.
Alza una spalla. «Perché dovrebbe dispiacerti? Non è colpa tua. Come non è colpa tua se ti senti così. Per guarire, devi volerlo davvero.»
Come se fosse facile. Come se a me piacesse sentirmi così. «Io voglio guarire. Non ci riesco. Sicuramente c'è qualcosa di sbagliato in me.»
Alza gli occhi al cielo, scocciato. «Non c'è niente di sbagliato in te», puntualizza. «Tutti ci perdiamo prima o poi. Ma devi essere brava a trovare il tuo punto fermo. Il tuo faro che ti aiuta a tornare a casa. E sono certo che un punto fermo ce l'hai...»
«La musica», diciamo insieme.
Lui annuisce, un sorriso gli tende le labbra. «Esatto. Ti ho sentita suonare. E forse è lì che si nasconde la vera Blue Jean, no?»
Gli restituisco il sorriso. «Be', anche io ho visto il vero William, quella volta al Rocktail.»
La sua espressione muta. Serra appena le labbra. «Stiamo parlando di te, non di me» dice, freddamente.
«Okay, scusa», mormoro. A quanto pare non è uno a cui piace parlare di sé. Ed è davvero strano, dato che è dotato di un ego smisurato. O forse, è solo un modo per nascondere le sue insicurezze. Però, non vuole lasciarmi entrare. E io non ho nemmeno intenzione di insistere.
Prendo il mio telefono dalla tasca per controllare che ora è, il bigliettino da visita che mi ha dato Vincent scivola fuori dalla tasca attirando l'attenzione di William. Lo afferra e lo osserva arricciando il naso. «Figo, perché non ci ho pensato anche io di farmi dei bigliettini da visita da dare alle ragazze che mi scopo?» È sarcastico. Lo stringe nel pugno accartocciandolo, poi lo getta dal finestrino.
«Ehi!» Lo rimprovero.
Mi guarda male. «Non hai bisogno di questi stronzi, Blue. Devi smetterla di pensare di non valere niente. Questi coglioni ti scopano e basta, si approfittano di te e posso assicurarti che non hanno nessuna intenzione di rivederti!»
«Oh, grazie tante» dico, sentendomi offesa.
«Dico solo la verità. Gli uomini sono così. Sono attratti da quelle facili, ma solo per una scopata. Quello che cercano veramente è una donna vera. Con quelle facili si svuotano solo i co...»
Senza preavviso, scoppio a piangere facendolo azzittire.
«No, non piangere. Non volevo offenderti» dice, cercando di calmarmi.
Scuoto il capo. «Vaffanculo! Prima dici una cosa e poi ne dici un'altra. Mi hai detto che non sono una puttana mentre ora mi hai fatto chiaramente capire il contrario!» Tiro su col naso. Cazzo, il mio umore è più instabile del meteo a Londra.
«No, non ho detto questo», ribatte secco. «Senti, mangia che ti riporto a casa. Non capisci un cazzo.»
Come sempre ho il super potere di infastidire e allontanare le persone da me.
Non ho più fame, così sistemo tutto dentro il sacchetto, infilo la cintura e mi appoggio al finestrino. «Puoi andare, così puoi liberarti di me», dico secca.
«Taci» sibila, in modo freddo.
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Galleggio nella semi incoscienza devastata da un mal di testa pulsante e con un saporaccio in bocca.
Vorrei poter dire di non ricordare quello che è successo stanotte, ma lo ricordo eccome.
Le parole di mio padre galleggiano ancora nella mia testa, attorcigliandosi al cuore e pugnalandomi lo stomaco.
Succedono un po' di cose che mi destabilizzano quando apro gli occhi. Al tal punto da interrompere il flusso dei miei pensieri.
La prima è che questo su cui mi trovo non è il mio letto. Le lenzuola son troppo morbide e profumate per essere le mie.
Non è la mia stanza. Le pareti sono bianche e pulite, nessuna traccia di umidità. Il cuscino sotto la mia testa è una nuvola soffice, non è chiaramente il mio.
La seconda cosa è che due occhi artici mi stanno guardando divertiti e incuriositi. La persona dai capelli color platino se ne sta appoggiata contro lo stipite della porta con le braccia incrociate sul petto.
Mi agito sotto il bozzolo di lenzuola profumate, che durante la notte si sono attorcigliate alle mie gambe come delle radici di edera.
«Buongiorno Blue.» Il suo tono è divertito.
«Noel» bofonchio, con ancora la bocca impastata. «Che ci fai qui?»
Lui inarca un sopracciglio in modo divertito. «Questa domanda dovrei fartela io, dato che questa notte mio fratello mi ha buttato giù dal letto per cederlo a te.»
No. Oddio. Ti prego.
Passo una mano tra i miei capelli aggrovigliati. «È camera tua?»
Annuisce, sembra quasi... compiaciuto di vedermi nel suo letto? «Sì, Willy Billy non permette a nessuno di entrare nella sua stanza. Ed ecco perché ha cacciato me dalla mia. Ho dormito sul divano.»
No, non posso sentirmi in colpa anche per questo. «Scusa.»
Alza una spalle. «Fa niente, tranquilla. Che ti è successo? Hai un aspetto di merda.»
Viva la sincerità. «Ho bevuto» dico, in parte è la verità. Ma voglio evitare di dire ad un ragazzino che ho fatto uso di cocaina.
Dietro le spalle di Noel appare anche Joel. Bene. Due Gilmour su tre.
Mi sorride in modo amichevole. «Oh, vedo che abbiamo un ospite.»
D'istinto tiro il lenzuolo fino a coprirmi, anche se addosso ho una maglietta che sicuramente non appartiene a me. Ha il suo profumo.
Mi ha spogliata? No, ti prego Dio.
Forzo un sorriso che mi stiracchia il viso. «Eh...» Non so che dire.
Voglio solo eclissarmi da questa casa.
Dietro le spalle di Joel, imponente come un Dio greco, appare anche il terzo Gilmour. Per poco non cado giù dal letto quando si presenta a torso nudo con addosso solo un paio di boxer neri. Cristo Santo. È legale?
«Lasciatela in pace.» Ha ancora la voce roca dal sonno. Mi sento in colpa per avergli reso la nottata uno schifo. Ha il viso stanco e poca voglia di socializzare con il mondo.
Noel si volta a guardarlo. «Se permetti volevo avere chiarimenti, dato che sono stato sbattuto fuori dalla mia stanza.»
Sia William che Joel gli rifilano un'occhiataccia.
Per risposta lui allarga le braccia e si allontana dalla porta, seguito a ruota anche da Joel.
William, e il suo corpo fantastico, avanzano nella stanza. Distolgo lo sguardo e spero che non faccia caso alle mie guance che stanno iniziando a scaldarsi.
«Come ti senti?» Mi chiede, sedendosi ai piedi del letto.
Con la coda dell'occhio accarezzo ogni singolo muscolo presente su quel corpo divino. «Potresti metterti qualcosa addosso?» Gracchio.
Lo vedo sorridere. Stronzo. «Perché? Non hai mai visto... okay, lascia perdere.»
Aggrotto la fronte. «Sì, però è imbarazzante.»
«Non per me», dice, tranquillo. «Allora, come stai?»
«Viva.»
Sbuffa, alzando gli occhi al cielo. «Sei proprio drammatica, mh? Da oggi in poi ti chiamerò Drama Queen, ma devi contenderti quel posto con me. Sono io la regina dei drammi in questa casa.»
Ridacchio. È davvero... strano il modo in cui riesce sempre a strapparmi un sorriso. «Puoi tenerti il titolo. Comunque sto come una che ha bevuto come un pozzo senza fondo.» Mi metto a sedere e il lenzuolo scivola via, scoprendomi fino alle cosce nude.
I suoi occhi osservano la pelle nuda senza pudore, poi risalgono e si inchiodano di nuovo nei miei. Piega leggermente la testa di lato e un sorriso sghembo gli incurva quelle labbra assassine. «Non ho mai fatto indossare le mie cose ad una ragazza.»
«Wow, dovrei sentirmi lusingata?»
Scuote il capo. «No, anzi, dovresti proprio restituirmela. Tipo subito.»
Sbatto le palpebre. «Mi stai prendendo per il culo?»
«No», dice serio. «Sono geloso delle mie cose.»
È impazzito?
Presa dalla stizza, afferro l'orlo della maglietta e lo sollevo fino a scoprirmi le mutandine e il ventre. Lui scoppia a ridere. «Devi smetterla di spogliarti davanti ai ragazzi. Non sai mai chi ti trovi davanti.» Si sporge in avanti e abbassa di nuovo la maglietta. «Sei troppo ingenua, devo insegnarti un paio di cose.»
Lo guardo attonita. «Tu sei...»
«Bello da morire? Mh, lo so», strizza l'occhio.
Si lo sei, ma non te lo dirò neanche sotto tortura. «No, sei un coglione», ribatto.
«Eccola, sei tornata in te stessa. Bene, usa questo atteggiamento anche con chi ti abborda ai bar, okay?»
Afferro il cuscino e glielo tiro addosso, ma lui lo afferra con facilità. «Che cosa sei, una specie di coscienza ambulante? L'ultima cosa che voglio appena mi sveglio è vedere la tua faccia da schiaffi.»
Lui non si scompone più di tanto. Si alza in piedi dandomi un altro assaggio di quel corpo perfetto. Lo fa di proposito? «Dici? Eppure non riesci mai a staccarmi gli occhi di dosso.»
Sento il calore risalirmi dal collo. Distolgo lo sguardo e sbuffo. «Vai al diavolo.»
«Io sono il diavolo. E comunque, quando arrossisci, sei quasi carina.» Non perde mai tempo a ribadirmi che non gli piaccio affatto.
«E tu, quando stai zitto sei quasi sopportabile», sputo acida. «Comunque, perché sono qui e non a casa mia?»
Lui mi guarda negli occhi. «Perché fino a quando non vorrai mostrarmi il casino che hai dentro, lo rispetterò.»
Le sue parole mi stupiscono al tal punto da sgranare gli occhi. «Sul serio?»
Annuisce. «Certo, chi sono io per farmi gli affari tuoi? Comunque, se hai fame, la colazione è pronta. Se vuoi fare la doccia, il bagno è in fondo a sinistra. I tuoi vestiti sono sporchi. Quindi, metti qualcosa di Noel», dice prima di uscire dalla stanza, dandomi una bellissima visuale del suo sedere muscoloso.
Scuoto la testa e mi alzo dal letto, ignorando il senso di nausea.
Mi guardo intorno. La stanza di Noel sembra una reggia confronto al mio appartamento. Tutto è perfettamente in ordine. Tutto profuma di pulito. Apro la finestra per far uscire l'odore di distilleria che aleggia nell'aria ed esco dalla stanza.
Quasi mi cade la mascella a terra quando mi ritrovo davanti al bagno. È così lussuoso che mi sento persino fuori luogo. Lavandino in marmo nero con striature grigie. Una doccia così grande che dentro posso starci tranquillamente tre persone. Le piastrelle sono nere e lucide, con striature bianche e grigie. Il pavimento è in parquet nero.
Il Box doccia è trasparente. Quando apro l'acqua mi viene da ridere. Dal soffione della doccia escono raggi di colore che rendono l'acqua colorata. A quanto pare, i fratelli Gilmour si trattano bene.
Mi concedo una lunga doccia, utilizzo i prodotti costosi che erano già lì. Profumano di buono e subito mi ricordano l'odore che ha sempre William. Buonissimo.
Avvolgo un asciugamano nero al corpo e torno nella stanza di Noel. Apro l'armadio nero e vado alla ricerca di vestiti, sperando che al proprietario non dia fastidio. Alla fine, indosso un pantalone di tuta e una semplice maglietta che mi sta enorme.
Torno in bagno e sistemo gli asciugamani nella cesta dei panni sporchi. Poi, percorro il corridoio illuminato dai faretti, che lo fa sembrare una passerella, e mi ritrovo davanti ad un enorme salotto super mega ultra moderno. I colori primari sono il nero e il bianco. Persino il tappeto che si trova sotto ai divani di pelle bianca, è nero, con giochi geometrici bianchi e grigi. Un televisore di non so nemmeno quanti pollici, è appeso sulla parete nera.
Quello che mi lascia davvero senza parole è il lampadario enorme a forma di chitarra. Dove cacchio lo ha trovato?
Qualcuno si schiarisce la voce alle mie spalle. Mi volto e mi ritrovo faccia a faccia con Noel. Mi guarda dalla testa ai piedi con aria contrariata. «Per quanto tu sia carina, non mi va che indossi i miei vestiti.»
Mi guardo i piedi ancora nudi. Non ho la più pallida idea di dove siano finiti i miei anfibi. «Oh... scusami.»
Ridacchia. «Sto scherzando. Per quanto mi riguarda potresti anche prenderti la mia anima.» Una mano tatuata vola sulla testa di Noel.
«Smettila, adolescente arrapato» lo rimprovera William, poi guarda me. «Vieni, mangia qualcosa.» Indica con un cenno del capo la cucina alle sue spalle.
«Oh, che tesorino premuroso», lo prende in giro Noel.
Li seguo in quella mastodontica cucina. I colori anche qui, sono sempre nero e bianco. La cucina è di ultima generazione. Un ampia isola fa da padrona alla stanza. Intorno ci sono alcuni alti sgabelli di pelle bianca, ricamati con delle borchie. Il frigo è di quelli che basta bussare sul display per vedere che cosa c'è al suo interno.
Hanno buon gusto, senza ombra di dubbio. È proprio la casa che avrei immaginato per William. Una casa che fosse alla sua altezza e che fosse in grado di contenere il suo enorme ego.
Mi arrampico sullo sgabello, chiedendomi per quale cazzo di motivo li facciano così alti, e subito Joel mi passa un piatto vuoto e poi uno pieno zeppo di pancake appena sfornati.
Noel mi mette davanti del miele e la Nutella.
Sono così gentili.
Il padrone di casa invece, mangia indisturbato i cereali da una tazza con il logo dei Black Sabbath.
Sto seriamente morendo di fame. Ma non voglio fare sgradita, così, prendo un solo pancake e ci spalmo sopra un po' di Nutella.
Joel mi versa un bicchiere di succo ACE e mi sorride in modo amichevole.
Non mi sentivo così coccolata da un sacco di tempo. Giuro che potrei seriamente scoppiare a piangere per questo. È passato troppo tempo dall'ultima volta che mi sono ritrovata a tavola a fare colazione con qualcuno.
Caccio via questi ricordi e inizio a mangiare.
William ogni tanto mi scocca qualche occhiata e sorride in quel modo antipatico ma al tempo stesso bellissimo.
«Tra poco verranno i ragazzi a provare. Se vuoi, puoi restare qui», mi informa.
Scuoto il capo. «No, torno a casa.»
Rischiare di rivedere Sid? No grazie. Ho già fatto il pieno di figure di merda. Dovrei svuotare il secchio per poterlo riempire di nuovo.
«Non ti mangiano mica», continua.
«Lo so... ma lo sai», balbetto.
«Sid non ti guarderà nemmeno. Sai, tuo padre è stato molto persuasivo», strizza l'occhio.
Giusto. Mio padre ha scoperto anche questo. «Io... non voglio.»
Il campanello che suona mi fa sussultare contro lo sgabello.
«Troppo tardi», mormora Joel.
Noel si alza e va ad aprire.
Io invece, inizio a guardarmi intorno cercando una via di fuga.
William ridacchia mentre io vorrei essere inghiottita dal terreno o dal tessuto dello sgabello. In questo momento vorrei diventare improvvisamente un soprammobile, un componente inanimato dell'arredamento.
I ragazzi si stanno avvicinando alla cucina, ridendo e scherzando. Io sento solo l'urgenza di darmela a gambe. Eppure rimango inchiodata col culo su questo sgabello.
Quando entrano in cucina e i loro occhi si posano su di me, come se fossi una cosa che stona con tutto il resto, mi agito.
Gli occhi grigi e tempestosi di Sid volano da quelli miei a quelli di William. Aggrotta la fronte e in silenzio, si dicono qualcosa che solo loro possono capire.
Joey mi sorride, solleva una mano per aria e mi saluta.
Devo scappare immediatamente. Non voglio creare altri problemi.
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