Tears
Più volte le era stato detto di non cedere al destino, di non piegarsi in una danza dolorosa con esso.
A volte, vi svelo, ci credeva davvero di essere capace di non perdersi in quelle lacrime, in quei sentimenti ripugnanti per le menti.
Perché innamorarsi diventa uno di quei miti antichi.
E lasciò un respiro, non capiva neppure dove fosse diretta, quale fosse il suo scopo, se mai ne avesse avuto uno.
Si passò una mano tra i capelli biondi, umidi per le piccole gocce che cominciavano a cadere dal cielo, con lentezza.
Rabbrividì, essendo a mezze maniche, esposta al freddo ed esposta ai tormenti.
Tirò a sè un po' di colpe, comprò della consapevolezza e barcollò, guardandosi attorno.
Lo sguardo era pressappoco perso nel vuoto, proprio come si addice ad un povero e miserabile vagabondo.
La strada, in quella fredda e calda sera, era per niente affollata, il silenzio confortava la notte, che si sa essere per i vagabondi, le puttane e gli innamorati afflitti.
E lei, in quei momenti, libera da una gabbia di menzogne, desiderava così tanto rinchiudersi lì ancora per un po'.
Perché, nonostante tutto, si sentiva protetta tra le bugie che l'avevano affiancata per tutto quel tempo.
E sentì un peso sulla coscienza, vide una panchina e vi sedette, portando le stanche ginocchia al petto.
Si sentiva una dannata lurida, qualcuno di talmente esposto da poter essere deriso a migliaia di metri di distanza.
Si percepiva insana, con fin troppe gocce nascoste e tutti quelli che dovevano essere dei segreti, erano stati regalati a chiunque.
E pianse, cazzo, lacrime piene di consapevolezza. Diavolo, se lo aspettava, aveva semplicemente osato sperare che non facesse troppo male.
Le sue unghie tirarono il tessuto nero dei suoi leggins, il venticello gentile la sfiorò, le provocò dei brividi ed accompagnò un pianto insaziabile.
-Potremmo ubriacarci della vita, se mai ti andasse.-
E tutte quelle sensazioni, tutti quei dolori, tutte quelle sicurezze. Le erano rimaste solo delle luride lacrime.
Una donna sulla quarantina si affacciò al balcone di fronte al marciapiede, osservò per un po' e bofonchiò.
Poi rientrò e riuscì con un cesto di abiti da stendere, che bizzarra. Quando mai si è visto sistemare i panni, per lasciarli asciugare, di sera?
Si guardarono, si consumarono di sguardi, un gatto fastidioso prese a miagolare, e loro si osservavano.
Si spogliavano e si rivestivano, come se una sapesse tanto per età, l'altra per destino. Come se volessero capire.
E la donna aveva i capelli raccolti con un mollettone, i suoi zigomi erano scavati e le occhiaie coperte con del correttore troppo evidente per i gusti di Blake.
E finì di stendere i panni, prese sotto il braccio quel dannato cesto e si voltò per rientrare, ma si morse il labbro, immagino, non potrei dirlo con esattezza, e riguardò la bionda.
Così, come qaundo ci si accorge che vivere equivale a morire a rilento. Così, come quando la vita ti ha preso troppo per accettare uno scusa per perdonarla.
Lei, accarezzata dal duro destino, sotto un albero dalle foglie secche, l'inverno si impossessava di tutto. Lei, accovacciata su una panchina, le guance rosee e marchiate, le labbra rosse. Lei, il mento poggiato sulle ginocchia. Lei, con un'aura così ferita da non riuscir a mettere a tacere quella donna maldestra.
-Cosa ci fa qui? Fa freddo, signorina.- la voce era accesa, si percepiva che fosse felice. Magari il figlio aveva preso un bel voto a scuola.
-Farà freddo-
-Ci penseranno i tuoi baci a farmi sparire i fottuti brividi.- e la baciò.
Blake non rispose, giocò con delle ciocche e la donna si avvicinò alla ringhiera, accigliandosi ad un rifiuto. Odiava che le persone non parlassero.
-Cos'é signorina, vuole cessare di vivere proprio oggi?- poi si voltò, ad un ennesimo silenzio e chiuse la porta di vetro, uscendo poco dopo dalla porta d'ingresso.
Portava un vestito rosa con dei fiori, calze pesanti ed indossava pantofole con dei gatti disegnati sopra.
Si avvicinò alla panchina e posò sulle spalle, della biondina confusa, un pile viola, sorridendole.
Si sedette accanto a lei e cominciò a dondolarsi, cantando canzoni in inglese, sbagliando le parole e ridendo di sè.
-Perché é uscita fuori?- Blake non aveva cessato di piangere, le lacrime le contornavano il viso e sentiva il cuore morire pezzo dopo pezzo.
-Sa, signorina, mio figlio é morto quando aveva quattordici anni.- si mise in posizione eretta e andò per scusarsi, ma la donna le pose un dito dinanzi le labbra, pregandola di farla continuare, prima che piangesse.
C'era una sola fine per quelle storie, lo sapevano.
-Io credevo fosse finita, credevo che non ci sarebbe stata speranza, per me.- la ragazza dagli occhi verdi guardò quelli grigi ed azzurri della donna, lasciandosi cullare un po' dalla storia, un po' dall'autunno incostante.
So perfettamente d'avervi detto che fosse inverno, ma vedete, per certe storie ci sono stagioni e stagioni.
Stagioni per il cuore, stagioni per la scienza.
-Ma poi, sa, la vita continua. Non c'é mai una fine abbastanza convincente che possa spingerci a lasciarci andare.- passò le sue mani sulle ginocchia scoperte, una fede davvero bella circondava il suo anulare -Non so cosa sia capitato a lei, ma diavolo, in quegli occhi vedo della morte. Vuole parlarne?-
Scosse la testa e riportò lo sguardo alle sue scarpe, dondolando i piedi e chiedendosi come tutto si
fosse perso in delle lacrime incessanti.
-É innamorata?- impicciona, pensò, ma scosse la testa. Poi annuì e la scosse nuovamente.
-Solo chi ha il cuore impegnato in un amore, può avere questo tipo silenzio.- sorrise e, come una madre, circondò le spalle della ragazzina.
-Che tipo di silenzio?- le si ruppe la voce.
-Asfissiante, ricco di ricordi maldestri.- Blake s'accese di risentimento. -Ascolti, signorina,- poi continuò la donna -non so cosa il destino o il karma possano averle fatto, sappia semplicemente che la vita è troppo breve per spenderla in delle lacrime meschine.-
-Non credo nel destino- si limitò a rispondere, bagnando le labbra con la lingua. Spostò una ciocca di capelli dietro l'orecchio e sospirò.
-Sarà il fato- scherzò.
-Non ci credo in quello che non vedo.-
-E in Dio?-
-Quando si farà vedere, magari, ci crederò.-
-Diavolo, ragazza, non ti ho detto di crederci.- ghignò la donna, passandò le mani sul vestito e spingendo via le briciole di disinteresse.
Si guardarono ancora, sapeva perfettamente che quella giovane volesse solo del silenzio. Pensò bene d'aspettare che i fatti facessero il loro corso.
-Vorrei stare da sola- deglutì ed osservò la donna. Aveva un ambiguo neo sul naso, rise. Era buffo.
-Anche io, potremmo star sole; insieme.- ripeté una frase.
-L'ho letta in un libro-
-Può essere che l'abbia letta anche io.-
-Senta, signora, con tutto il rispetto, non ho spiegazioni che le possano interessare- si alzò, ma la donna le prese la mano e la strinse con la sua.
-Non voglio spiegazioni per le emozioni che ti struggono, ma forse le dovresti a te stessa- sorrise e Blake si sistemò accanto alla donna dai capelli raccolti col mollettone, che guardava oltre la figura della biondina.
-Non bastano le parole-
-Le urla?-
-Non ho una voce adatta agli schiamazzi.- le lacrime le facevano uscire una voce talmente roca, da essere devastante per l'udito.
-Ho detto urla,-
-Fa lo stesso.- sospirò e la donna rise.
-Quanti anni hai, ragazzina?-
-Diciassette-
-Mi sa anche il ragazzo dietro di te- Blake non capì e si voltò -penso che tu, ora, possa stare da sola; con lui.- si alzò e toccò la guancia alla biondina, sorridendo amorevole e camminando verso casa, borbottando imprecazioni per il freddo.
Era bizzarra. Persone bizzarre come lei erano rare.
Blake fece per alzarsi, Federico si avvicinò.
I suoi occhi erano rossi, le sue nocche ferite e le sue dita stringevano una bottiglia di alcol. Lo guardò, la guardò.
Si risedette, si strinse nel pile e lui l'affiancò, nel lato opposto della panchina, non si toccavano.
La disgustava, il suo cuore era pietra e lei lo odiava.
-Sai dare un senso a quello che facciamo?- il suo fiato era caldo, si sentiva l'odore forte di alcol e lei percepì i conati di vomito.
Prese quella bottiglia dalle mani del ragazzo e la gettò via, nonostante lui si ribelasse.
-Hai diciotto anni, smettila di ubriacarti.- gli disse, piatta, fredda, distaccata.
-Dì qualcosa-
-Ho parlato- Federico pianse ancora, si passò le mani sul volto ed accostò le ginocchia al viso. Tremò.
-Dì che non mi lascerai andare.- la sua voce era spenta, spezzata, tormentata e per nulla pentita -perché, io, di quello che ho fatto non cambierei neppure una virgola. Cazzo, urlami contro di essere un pezzo di merda.-
-E sappiamo entrambi che ti ferirò ancora, ma non posso impedirlo, posso solo dire che andrei dritto all'inferno per te.-
Perché certi sentimenti corrodono l'anima, la devastano.
Si consumavano con gli sguardi, le parole per loro non parevano abbastanza. Si rivestivano di ogni insicurezza e debolezza dopo aver fatto l'amore, cosicché le sensazioni che facevano restassero il loro segreto sussurrato.
Ma lui, pensò Blake, l'aveva distrutta, come si urla al vento di cessar di soffiare. Lui l'aveva lasciata a terra, così, come ci si abbandona lentamente.
Si guardarono negli occhi, si giurarono di amarsi. In quei pensieri si ripresero e si perdonarono, ritornarono a vivere e rimorirono, giusto perché il loro amore era di quelli veri, struggenti, devastanti.
Allontanò le ginocchia dal mento e la guardò. Gli occhi verso il vuoto, la bocca socchiusa e i capelli umidi lungo il petto, la sfioravano ed erano mossi dal vento.
Era stanchezza pura quella ragazza.
-Questo é ciò che sono, accettalo Blake-
-Non sono stato mai granché nel fare la cosa giusta- respirò, Blake prese una mano e la strinse fra le sue, avvicinandosi e baciandogli le labbra, prima di allontanarsi. Fremette e lei si distaccò maggiotmente, poi, completamente, riperdendosi nel vuoto.
Si sentiva lacerata.
-Voglio sapere tutto. Perché tremi al mio tocco- incastrò le loro iridi nella danza delle colpe, il nervosismo era palese nel loro muoversi, spostarsi, gesticolare. I loro respiri contenevano rabbia repressa, tristezza e troppa solitudine -Perché insieme siamo qualcosa, qualunque cosa. E vorrei capire cosa ti abbia spinto a distruggerla questa cosa. A trasformarla in lacrime.-
Lui deglutì, il suo pomo d'adamo si rigonfiò e trattenne un singhiozzo di dolore. Ma continuava a non pentirsi. La voce di Blake lo spiazzava, la sua freddezza lo demoliva.
-Mi sono immischiato in questo giro quando avevo appena quattordici anni, o forse qualcosa in meno. Trascinai con me anche gli altri. Chris già vi era dentro, ma questa é un'altra storia- prese, con le mani gonfie, il pacchetto di sigarette dalla tasca e ne posizionò una tra le labbra, accendendola e semplicemente inspirando. Lei lo guardava. Un po' lui, un po' i ricordi, un po' ció che sarebbe stato.
Non lo sapeva, ma la donna dai capelli raccolti con un mollettone li guardava, e sperava che la vita non se li giocasse troppo presto. Bizzarra ed impicciona, avrete pensato.
Era una abituata a vivere nei romanzi, potrei giurarci, quella donna. E miei cari, sono lieta di raccontare di speranze, dove pare esserci posto solo per le lacrime.
-Quando la mia lettera é stata pescata, é stata la seconda. Voleva dire un nome cominciante per la seconda lettera dell'alfabeto- tese le dita e la sigaretta venne scossa, e poi la riportò alle labbra. Desiderò bruciarsi -Devi sapere che le lettere sono raggruppate in tempi, e la B é stata pescata nel penultimo tempo. Voleva dire un cognome tra R e T. E tu eri lì.- spiegò e gettò via la sigaretta. Erano a quattro metri sopra il cielo, giusto perché a tre era troppo affollato. Sentivano di star per giungere all'inferno, senza spaccare il terreno -Eri la persona giusta, al momento sbagliato. Lorenzo mi spinse a scegliere te. Ed eri vergine, eri perfetta. Chiamalo destino.-
-Tu non ci credi.-
-Non da quando ci sei tu, qui, per davvero.- la spiazzò e lei scosse la testa.
-Desidererei che tu non fossi qui, che fossi distante, come qualche mese fa.-
-I desideri dovrebbero rispecchiare ciò che vogliamo davvero- gli lanciò un'occhiata e trattenne un sorriso. Si tenevano sul palmo di una mano.
-Ti penti?- sapeva cosa voleva sentire, sperò solo che non la deludesse per l'ennesima volta. Lo portava nel sangue, lo sentì nelle ossa. La sua passione era vera ed incontrollabile, non vi era spazio per il perdono.
Bruciavano di consapevolezze, quei due.
-Di niente. Mi sei capitata davanti, ti ho respirata, vissuta, consumata anche solo con delle parole di troppo.- la osservò e tentò di placare le lacrime, ma loro riscesero lungo le sue gote e si lanciarono nel vuoto. Vuoto, esatto, come si sentiva. La percepiva nelle ossa quella ragazza -E se non fosse stato il fato a porti davanti a me, ti avrei cercata, fino a trovarti.-
-Domani potremo parlare del volo lontano da qui; insieme-
-Mi sarei fatta trovare, credo-
-So che l'avresti fatto, come so che quello che siamo, ciò che facciamo, quello che creamo é più di ciò a cui avrei mai ambito. Non bastano le parole per spiegare al mondo ciò che é.- fu il dialogo più lungo che ebbero mai avuto, forse perché si sa, certi addii devono essere lenti, a volte sconfortanti, magari nella speranza che ci sia ancora da dire, scrivere, pronunciare.
-Sarebbe bello, sai, non avere paura e scappare via. Con te.-
-Mi abbandoneresti ugualmente se fossi pronto a sistemare le cose?-
-Ora cosa te ne farai di questa libertà?-
-Sarò ovunque sarai tu, lo sai.- lei schiuse le labbra e si alzò, tolse il pile dalle spalle e guardò Federico piangere, era così vulnerabile.
-Ogni pezzo di te si adatta perfettamente a me.-
-Sai perfettamente che è casa, ovunque siamo noi.- sorrise, amava tutto ciò che facevano insieme, ogni bugia, sentimento, parola giusta o di troppo, ogni sguardo ricco di segreti. Combattevano l'amore nel modo che desiderava.
Piegò il pile sulla panchina e lui posò un'altra sigaretta tra le labbra, l'ultima lacrima gli solcò lo sguardo oltremare.
-Stammi bene, Federico.- e si voltò, con un peso nel petto, si sentiva più donna di ciò che poteva sperare, più vera di quello che poteva essere. Ma le stava bene, ammettiamolo, portare delle menzogne in meno dietro di sé.
E lui era lì, la lasciava andare.
Un po' come si lascia andare la consapevolezza, un po' come ci si abitua ad essa.
-Cos'é questa cosa che viviamo?-
-Credo sia un amore senza casa.-
-Portami indietro nel tempo, quando sapevamo solo nasconderci.- le parve di sentirgli sussurrare, prima che si muovesse nella direzione opposta.
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Martina's pov
-E quindi?- quella donna, quella mia dannata immaginazione, stavo impazzendo e me ne rendevo conto poco per volta.
La ignorai, ignorai la follia che mi perseguitava e continuavo a scrivere il mio nome su ognuna di quei libri, desiderando che una fine arrivasse in prima possibile.
-Non é che se continuerai a firmare, potrai far finta di non ascoltare quello che ti sto dicendo.- cinguettò la donna, il suo seno prosperoso era fasciato da una vestaglia da casa, color latte. Si addiceva al suo viso, se non fosse stato mascherato da pesanti veli di trucco.
Perchè i silenzi, il viaggiare ed i quesiti a cui non ero pronta, mi davano non poco fastidio, soprattutto se ero intenta a riportare il mio nome su dei libri pieni di ricordi.
-Sai anche tu che lui é qui, e quando scoprirà cosa ha raccontato al mondo il suo amore eterno, si scazzerà.- alzai gli occhi al cielo e la sua figura danzò per un po', un senso di nausea si impadronì della mia gola e la donna rise. Bizzarra.
-Come cazzo parla?- risi, anche io, dopo un po'. Poggiai i palmi sul ripiano del tavolo e mi allontanai, lasciando che la sedia producesse un rumore stridulo strofinando con la superficie di legno.
-Allora scrittrice, ha parlato o no a quella testa gloriosa del cameriere?- la mia immaginazione la fece sedere, accavallando le gambe. Le sue ciabatte erano buffe, mi ricordavano quelle della donna del romanzo -Quel ragazzo non mi piace. Hai visto che capelli che c'ha? É uno da una botta e via. Secondo te che misure ha?-
Mi lamentai, posando le mani dinanzi agli occhi e scuotendo la testa, prima di alzare i capelli che ricadevano lungo le mie spalle, in una disordinata coda.
La ignorai, alzandomi e rabbrividendo per il contatto dei piedi col pavimento freddo, avvicinandomi alla cucina.
C'erano foto, ritraevano me e Blake, Blake e la madre, me e mia madre. Non mi importava. I ricordi dovevano restare tali, meno li riportavo a galla, meno agonia provavo.
Presi tra le dita la macchinetta del caffé e mi sporsi per trovare un tazzina, versando il liquido all'interno. E lo portai alle labbra e mi parve lei ridesse.
-La caffeina fa male, Martina.- rise, diavolo, rideva troppo. Mi bruciavano le meningi, provavo un senso di nausea ed odiavo avere pensieri persuasivi fino a quel punto.
-Ma lei non tace mai, Margot?- e scoppiò in una chiassosa risata, che zittii con imprecazioni più persuasive, di certo, delle sue parole filosofiche. Odiavo che ci fosse confusione nella mia vita, tutto doveva avere un ordine, non avrei più sbagliato.
-Le ha parlato quindi?- tornò seria, le sue iridi si scontrarono con le mie, fu una danza, troppe verità. Posai la tazzina viola sul davanzale della finestra semi aperta, grattai la nuca e tornai a sedere.
Lei, che intanto s'era alzata e mi danzava attorno, fece altrimenti.
-Gli-
-Nessun lieto fine, quindi?- mi venne da ridere di me stessa, mi ero ammattita, questo era certo.
-Nessun lieto fine.- confermai, però. Ebbi l'amaro in bocca ed un vuoto nel petto.
Diavolo, certi amori ti perforavano l'anima.
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-La pensi anche se sai che fa male- sospirò Michele, si scombinò i capelli biondi, tirò il labbro e guardò il fidanzato perdersi nel fumo, muovendosi fra le colpe, come nelle onde del mare.
La sua espressione si corrucciò quando non ricevette risposta dal rosso. Odiava essere ignorato, odiava non poter agire.
Sbuffò e Diego distolse lo sguardo, prese a piangere. In ghirigori la sua anima abbattuta si sollevò nella consapevolezza.
Lì, su quel letto, la finestra aperta e il venticello gelido che sfiorava le loro pelli. Si portavano nelle ossa, si consumavano con i silenzi, eppure si volevano bene, veramente.
-Non doveva andare così- il braccio cadde sul piumone, la sigaretta fu lasciata andare al pavimento ed i singhiozzi si fecero spazio fra le fessure del suo organismo.
Michele alzò il capo, delle occhiaie profonde contornavano i suoi occhi e le sue cellule furono scosse dal rancore verso quella ragazza.
Sollevò il busto, si tese e gattonò fino a letto, sedendosi accanto al fidanzato.
Le sue dita viaggiarono su quei lineamenti gentili, cortesi, così delicati che gli facevano provare eccitazione pura. Aldilà del sesso, sapeva che s'appartenevano.
-Potremmo guardare un vecchio film- si avvicinò al volto e baciò le lacrime, Diego lo spinse via, ringhiando malsano.
-Siete tutti uguali, cazzo, voi che vincete- urlò, portò le mani ai capelli, li tirò e, piangendo, camminava per la stanza disordinata. Al chiaro di luna, si sapeva che la notte fosse per gli innamorati afflitti.
-Vivete di vendetta e chi mi assicura che non finirò come Blake? Chi mi assicura che quest'attrazione non mi consumerà?- Michele teneva lo sguardo basso, si struggeva le mani e non lo ascoltava, o così pareva. Una lacrima scese dal suo occhio sinistro.
-Perché a consumarti saranno i miei baci- si scossero, il ragazzo biondo si alzò e si avvicinò, così, semplicemente.
-I baci?- Diego stava tremando, le sue dita scesero al volto e tirarono la pelle, era così vulnerabile.
-Un'illusione- si scostò ed indietreggiò, sorrise d'istinto e poi finse che quelle parole non lo avessero toccato o sfiorato.
-Lo sai già che il mio cuore é in fiamme- si appoggiò al comò, le lacrime arrivarono al tessuto della sua maglietta e i singhiozzi erano l'unico suono in quella stanza, tra i passi disperati di Michele e le suppliche silenziose di Diego.
-Ti ritirei nell'inferno con me, se fosse necessario- si scostò, poi si riavvicinò. Quegli occhi e quei capelli, quel piercing -Staresti bene, un angelo tra i demoni.-
Diego scosse la testa, si allontanò e parve non voler più capire e sentire, era solo con le sue convinzioni.
-E proverei a tenerti al sicuro- lo richiamò, entrambi avevano la testa bassa, macchiati dalle imprecisioni -E se questo non é amore, dimmi di quale peccato si tratterà mai-
Prese le sue spalle ed unì finalmente le loro labbra.
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