Secrets and dream


N/A: Sto lavorando alla mia puntualità, eheh 🐷🐷

-Puoi vedermi, Federico?- il suo sorriso innocente lo lasciava sconfortato, perplesso.

Non poteva essere lì, non lei, non in quel momento.

Si voltò in quell'immenso giardino verde, paragonabile a quello di un palazzo. Gli alberi ombreggiavano sul resto, le foglie riflettevano, anche se in maniera strana, la luce di quel sole tenue, che ne illuminava le gocce di pioggia rimanenti.

Il terriccio sotto i piedi era visibilmente ancora umido, l'erba sembrava essere stata appena tagliata, tutto intorno a lui dava al normale.

Quando si voltò, nuovamente, notò che gli alberi fossero aumentati, che era comparso un vasto bosco, e che stava scendendo la neve.

La neve? Lì? Non nevicava da quando Federico ne aveva memoria, ma non vi badò, qualcosa attirò la sua attenzione.

Una giovane ragazza dai capelli biondi correva a pochi passi da lui, s'affrettava silenziosamente a scappargli, ma quando il sio bianco vestito si impigliò nelle spine di qualche rosa profanata dal bianco, il suo esile corpicino fu visibile allo sguardo del demone dagli occhi color blu.

Il cuore si spezzò, vedendola lì, che tentava di scappare.
Strappò il tessuto del leggero abito, apparentemente di seta, muovendosi nel bosco.

Era sclaza ed i suoi piedi nudi lasciavano piccole orme nella neve visibilmente aumentata, mentre correva.

Federico si mosse, nei suoi semplici jeans, e nella tshirt nera, cercando di raggiungerla.

Dalla sua bocca usciva un respiro freddo che all'aria si vedeva, i suoi polmoni sembravano cedere e le sue ginocchia bruciavano per l'enerme sforzo fatto.

La giovane, l'eterna giovane, si fermò nel mezzo del bosco, dove sembrava non aver nevicato.

Lui si fermò con lei, notando che si fosse calmata, che non stesse sighiozzando come ricordava.
A volte é proprio vero che i ricordi non salvano il presente, nulla é come il passato.

-Tu eri perfetto,- parlò, tracciando qualche altro passo verso il perfetto centro, come le sue parole. Le sue mani vagavano nell'aria e sembravano catturarla con i movimenti. -Tu eri il mio principe azzurro,-

Federico fece qualche passo per raggiungerla, ma lei lo fermò con un cenno disgustato, mentre tentava di formulare una frase che lo uccidesse, come lui aveva fatto con lei -Tu eri quello che mi doveva salvare.-

Lui dischiuse le labbra amareggiato al ricordo di quei sentimenti, al ricordo di quello che le aveva fatto. Lui e Zoe. Mostri, probabilmente li vedeva così.

-Ma tu...- un sussurro le uscì dalle labbra, e prima che se ne rendesse davvero conto, si era voltata verso di lui, e i suoi occhi erano come il ghiaccio, non come li ricordava, più freddi, più vuoti, più ciechi. -Tu mi hai fatto tanto male, tu hai usato tutto il mio amore contro di me!-

Lo attaccò, gli riversò addosso parole forti, parole crudeli, parole vere. Odiava vedere piangere Federico, ma pensandoci, per colpa sua non poteva più vedere.

Federico abbassò lo sguardo, non aveva la forza di connettere il suo sguardo agli occhi di lei, bianchi.

-Abbi il coraggio di guardare cosa mi hai fatto!- lo colpì con le mani, tentando di fargli male, ma lui era impassibile a quel tocco, non significava più nulla.

-E lo farai anche a lei, illuso!- rise amaramente, alzò il volto, spalancando gli occhi ciechi, spalancando quelle orme di dolore che un semplice gioco avevano lasciato in lei -Non vincerai il Broken, la perderai.-

Il luogo attorno a loro rabbuì, ritornando alla luce tenue del sole, ma innevato. Completamente ghiacciato.

Ogni foglia era paragonabile alle vittime del titanic in mare, ogni respiro che soffocava, ai loro gemiti.
Cosa aspettava?
Che quel demone uscisse da lui.

-Non c'é nessun demone in te, tu lo sei, Federico.- lo indicò, esordendo ciò che lui più temeva -E nessun angelo ti starà mai accanto, nessuno.-

Delle risate malate eccheggiarono nel grande prato, lui era incapace di parlare e per quanto si tappasse le orecchie quei suoni lo profanavano, lo distruggevano.

La più forte era quella della bionda che portò avanti a sé il riflesso esile di B, che sorrideva quando guardava degli occhi color mare, infinito. -Questo sorriso, Federico, te lo porterai all'inferno!-

Altre risate eccheggiarono e il volto di Blake nello specchio si incupì, le sue labbra rosee si dischiusero ed i suoi occhi piansero lacrime, il suo viso perfetto rimase distrutto.

Federico urlò, cercando di scacciare quelle voci che lo giudicavano, ma ciò che ottenne fu solo un costante aumentare e profanare.

Non poteva farci nulla, era un demone.

Ma altrettanto, c'era un angelo venuto così bene che lo avrebbe salvato.

-Basta!- urlò agitandosi sotto il caldo piumone blu marino, alzandosi di scatto e lasciando che le mani si parassero sulle sue orecchie, per salvarlo da quel dannato incubo.

Gocce di sudore e paura scendevano dalla sua fronte aggrottata e delle lacrime gli penetravano gli occhi, facendoli pizzicare.

Si alzò di scatto, notando che fossero già le otto del mattino. Chiuse le mani tra loro davanti alla bocca, sospirandoci accanto, come sollievo.

Si guardò attorno furtivo, sperando di convincersi che fosse solo un sogno, che tutto quello era davvero solo finto.

Lanciò un ringhio arrabbiato che rieccheggiò nella fredda stanza, mentre con le mani tirava il piumone, cercando di star meglio.
Il suo respiro era irregolare, il petto si alzava e si abbassava senza darsi contegno, i suoi occhi cominciarono a piangere mentre si stendeva come un bambino sul letto ancora caldo e cercava di darsi forza.

Come aveva fatto a diventare un tale mostro?
Il suo passato lo aveva segnato a tal punto?

Deglutì più volte, passandosi nervosamente una mano nei capelli corvini umidi, e le lentiggini sul suo viso sembrarono comparire con la scesa delle lacrime.

Tracciava linee colorate sul piccolo block notes che la signora Rosa gli aveva gentilmente regalato per il compleanno, il terzo in quella struttura.
Prese un pastello colorato dal portapastelli e mordendosi deciso il labbro disegnò la casa in cui avrebbe voluto vivere.
Sfumò la linea come faceva in ogni disegno, quasi per far trasparire che fosse solo un sogno.

Che tutto quello fosse irrealizabile.
Ma chi l'aveva mai detto?
Lui era un angelo venuto male, glielo diceva sempre la sua mamma, prima di picchiarlo.

La porta dell'enorme camera fu aperta, mostrando la dolce Caterina camminare verso di lui, ancora concentrato a disegnare.

Lei si incantò nel guardare quel bambino di quattro anni che sperava in un futuro migliore, in qualcuno che lo amasse per quello che era e non per quello che poteva dimostrare.

Lui non si accorse di lei, era intento nell'appendere alla spalliera del letto il piccolo, nuovo disegno, ammirandolo come ogni grande artista guarda la propria opera.

I grandi trovavano i suoi disegni banali e gli stessi signori gli raccomandavano di non disegnare mai quegli obrobri da piccolo demone quando una famiglia lo voleva conoscere.

Ma lui niente, lui desiderava che anche i grandi capissero quello che aveva da dire. Ma i grandi si sa, non capiscono mai nulla.

Quando si allontanò dal disegno, si impegnò a mettere tutto a proprio posto, accorgendosi solo allora della presenza della ragazza.

La guardò, era raro parlasse, ma i suoi occhi dicevano tutto quello che c'era da dire -Federico,- gli sorrise entusiasta -Ti hanno adottato.-

Quella fu l'ultima volta che disegnò, ma si sa, anche i demoni hanno bisogno di parlare.

Corse in bagno per sciacquarsi velocemente la faccia, per far si che quel rimurginare sparisse dalla sua anima, macchiata di inchiostro.

Si specchiò, notando dietro di lui, una esile figura dolce, che lo guardava mordendosi il labbro. Nei suoi occhi non c'era compassione, solo affetto.

Gli si avvicinò, non aveva bisogno di parole, conosceva Federico, sapeva quello che provava anche senza che dalla sua bocca uscisse un semplice sospiro.

Lo abbracciò, come non faceva da tempo. La larga felpa che indossava si strinse attorno al busto di Federico, lasciando che i loro odori si mischiassero, che i loro pensieri scomparissero.

Rimanevano solo loro.

Lui, esitante, ricambiò l'abbraccio, desiderando non risvegliarsi mai da quel momento, era il più bello dei sogni.

Quando lei gli toccò la guancia, lui si allontanò, per paura di bruciarle quella purezza, odiava marchiare negativamente tutto ció che gli si avvicinasse.

Lei si accigliò, prima, poi sembrò sorridergli, non evitando il contatto -Restiamo solo noi, solo io, solo tu. Perché respingerci?-

A quelle parole l'abbracciò, ma quell'abbraccio gli fece capire che mostro fosse, e capì che doveva salvare almeno questo angelo.

Quel segreto doveva essere rivelato.

****

Camminava sull'asfalto, digitando con le unghie finte sullo schermo del suo smartphone decorato, mentre rabbrividiva per le temperature rigide, ma meno basse rispetto a quelle di Oxford, a cui era abituata.

Girò l'angolo, trovandosi di fronte all'immenso edificio che le ricordava tanto la sua infanzia in quel posto, da cui era stata felice di scappare appena ne aveva avuta la possibilità.

Aggiustò con le sottili dita alcune ciocche brune rese ribelli dal freddo e dall'umidità, leccandosi gli angoli della bocca.

Si appoggiò, nell'attesa, al muretto dell'immensa struttura in cui le aveva chiesto di incontrarsi, giocando con alcuni fili del suo maglione di lana.

Sbuffò un paio di volte, desiderando capire il motivo di quell'incontro ed in cerca del motivo per cui aveva dannatamente accettato. Immaginava quello di cui le avrebbe parlato, ma sperava con ogni cellula del suo corpo di sbagliarsi.

-Tu sei sicura non sia pericoloso?- la bionda la guardò, pizzicando tra loro le sue unghie, mentre lei le rideva quasi in faccia.
-Oh andiamo, rischia un po'!- rise lei, mettendosi il casco che i suoi compagni le avevano porso, mentre la piccola ragazza dagli occhi azzurri la guardava indecisa.
-Dai!- la richiamò la mora, roteando gli occhi per la fifa dell'amica.
-Meraviglia, hai paura?- il ragazzo dai capelli neri la richiamò, sorridendole spavaldo, mentre le porgeva il casco.
Era iniziato il gioco, e lui avrebbe vinto, doveva vincere.

Se solo avesse saputo.

Quando scorse il suo ciuffo corvino tra la folla, si irrigidì, ritornando dai ricordi da cui desiderava scappare, alzando l'assente sguardo mentre i pensieri sui perché, quei dannati perché che condizionano la vita di tutti, si impossessavano della sua mente, rendendola offuscata.

In breve tempo, il ragazzo dai capelli neri le fu davanti, e i suoi occhi blu la guardarono complice, un sguardo pieno di segreti e piani, qualcosa che lei temeva.

-Perché mi hai chiamato?- passò subito al dunque, odiava i mezzi termini. Di certo non voleva fare una passeggiata amichevole, e voleva il dunque, per mettere a tacere le sue paure profonde.

-Si tratta di Sirya.- a quel nome, un tuffo al cuore, per entrambi.
Rabbrividirono, odiavano ricordare, in questo erano molto simili.

-Non dire il suo nome,- lo ammonì, alzando quel suo sguardo truce, come per avvertirlo che era una cosa che non doveva ripetersi.
Volevano avere entrambi il comando, anche in questo erano simili.

Si guardarono interminabili minuti, entrambi incentrati nei loro dannati ricordi, nei loro demoni.

-Cosa riguardo lei?- sussurrò la mora, passandosi le unghie lungo la mascella, per puro nervosismo.

Le sue adidas bianche erano impuntate al terrano, ma sembravano essere pronte a portarla via dai ricordi laceranti, dai demoni del passato.

-L'ho sognata,- spiegò, leccandosi le labbra screpolate dal vento, -Nuovamente-

Lei rise amaramente, come se la faccenda non le riguardasse, come se tutto quello le fosse completamente indifferente.

-Giochi ancora, vero?-

-Sai che non si puó uscire, solo perché tu sei scappata, non vuol dire che le regole siano cambiate.- lei scosse la testa, lasciando che i capelli mossi le adornassero il gentile viso, marchiato di gravi sbagli.

-Non mi interessa più,- se ne uscì, sapeva bene a cosa Federico si riferisse, a cosa Federico alludesse.

-Zoe!- la richiamò, mentre era intenta nell'andare, non voleva più avere niente a che fare coi demoni di quel ragazzo. -Se cado io, cadi tu.-

Lei si eresse, aveva paura di quelle parole, aveva paura di quel gioco. Di quello che aveva saputo provocare.

-Cosa devo fare?- lui sorrise, compiaciuto.

Aveva vinto nuovamente, quella volta avrebbe vinto tutto.

E quella volta non avrebbe sbagliato.

*****

-Quindi mi stai dicendo che ha un senso studiare la storia dell'arte?- storse il naso il moro, mentre Blake sorrideva a quella sua espressione buffa, concentrata nell'imparare gli appunti -Prendermi in giro non ti rende migliore!-

Quando quelle parole, in tono fanciullesco, lasciarono la bocca del ragazzo e una matita le fu puntata contro, lei non poté trattenersi, e scoppiò in un'altra fragorosa risata, l'ennesima quel pomeriggio.

Marco tenne il broncio, mentre lei rideva come una bambina, guardandolo così innocuo.

-Ripetiamo dai!- lei gli diede un dolce pugno, ovviamente scherzoso, sulla spalla facendolo ridacchiare, per la delicatezza di quella piccola ragazza.

Poco più di mezz'ora, il moro decise di riprendere un discorso che aveva fatto molto spesso negli ultimi periodi, come se con le parole l'avesse potuta salvare.

-Con Federico?- alzò lo sguardo dal testo, per osservarla scuotere dubbiosa le spalle, mentre con la matita sottolineava l'essenziale, lasciando vagare gli sul testo.

I suoi capelli biondi erano raccolti in una crocchia delicata, proprio da lei, osservò dentro di sé, mentre le sue gote erano rosee, quasi come se il freddo le toccasse, profanandole.

-A volte va, altre sembra che sia un casino.- farneticò, alzando finalmente lo sguardo da quel testo, gesticolando con in mano un semplice matita -A volte sembra che a me ci tenga, altre che sia tutto un gioco della sua mente, o solo Dio sa cosa.-

Marco si irrigidì a quelle parole, facendo aderire la schiena al tessuto della poltrona della camera di Blake, completamente vissuta, ormai.

Il suo sguardo vagò, quasi per non incontrare quello della dolce e piccola bionda, fuori la finestra, dove il vento batteva forte, lasciando un vuoto al suo passaggio, come i suoi sentimenti per Blake facevano col cuore.

-Che genere di gioco?- si morse l'interno guancia, per non esporsi troppo, e per far apparire quella domanda più innocente possibile.

-Non so, Marco,- si sedette bene sul letto, incrociando le gambe, fasciate dai leggins rosa, davanti a lei -Qualcosa che solo la sua mente concepisce, magari sarà solo una mia impressione.-

-O forse no.- desiderò picchiarsi per quelle parole, come dannatamente aveva fatto a farsele uscire?
A volte é proprio vero che l'amore parla da sé.

-Che intendi?- gli occhi di Blake emanavano innocenza pura, lei non capiva molto di quello che le accadeva attorno, era solo un angelo capitato nell'inferno.

-Magari sta solo giocando, Blake, non sottovalutare Federico solo perché..- quanto potevano fargli male quelle parole? -Provi qualcosa per lui.-

Lei arrossì, e solo Dio sa quanto lui avrebbe dato affinché lei prendesse colorito sulle lisce gote per lui, ma si tenne quei pensieri per lui.

-E cosa dovrei fare?- rise interiormente per il fatto che Blake si fidasse totalmente di lui, come solo di un fratello ci si può fidare, e gli faceva male.

-Magari solo vedere come prosegue,- doveva darsi contegno e non rivelare altro, o quel gioco malato gli si sarebbe ritorto contro. -Magari tenerti questi pensieri come un segreto, fin quando i segni non si mostreranno da soli-

Lei annuì, tornando a perdersi negli appunti, mentre Marco si perdeva in lei.

Quella situazione sarebbe dovuta giungere ad una conclusione, troppi segreti incoffessati, troppe lacrime tenute nascoste.

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-Cosa ti salvò? Sai, dal broken.- le feci questa domanda senza una vera motivazione, senza il fine di scrivere, solo di sapere.

Lei era davvero persa in quelle storie, gli occhi vuoti e segnati si impossessavano della sua anima, i ricordi, come terremoti, distruggevano quella corazza in cui da anni si proteggeva.

Lei rise, come fosse la cosa più ovvia al mondo, o forse solo disperazione. Toccò i suoi capelli, lasciati liberi sulle spalle, portandoseli avanti, mentre coi tacchi camminava nervosamente.

-Hai presente quando tira il vento e lascia il vuoto? Quando la pioggia ti bagna e non ti copri? Quando le parole volano ma non riesci ad afferrarle?-

Guardava dinanzi a sé, sguardo perso in chissà quale ala del suo passato, la voce sussurrante, guance riempite di lacrime, rosse nuovamente.

Annuii, sapevo che lo percepiva, lei era cambiata, lei percepiva ogni respiro che la vita concedeva.

Tutti avvertimenti, diceva, e come darle torto?

-É quello che é successo, ho scordato di dimenticare Federico, ho dimenticato però il male che poteva fare ad un essere vivente.- odio nel cuore e negli occhi, per la prima volta -E non fui capace di prendere gli avvertimenti che il vento mi sussurrava.-

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Mise le mani in tasca, soffiando fiato caldo nello scaldacollo, come se potesse riscardarlo in quella fredda domenica di novembre.

Lo zaino dondolava contro la sua schiena mentre camminava, il suo sguardo era al vuoto, e i suoi capelli nascosti in un berretto, come la sua anima negli sbagli.

Accellerò il passo quando notò che fosse ormai buio e i lampioni in strada si fossero accese.

Era da poco andato via da casa di Blake, o come dire, di Federico e doveva sbrigarsi, in quei giochi il tempo era sempre contro di lui.

Affondò la testa nello scaldacollo, raggiungendo il parco che era il suo obiettivo in quel momento.

Un paio di persone commentarono la presenza di quel ragazzo bizzarro nel parco, che sembrava non volersi farsi vedere o riconoscere, come se fosse il demone in persona.

Ma era stanco di sbagliare, di essere ricoperto di un inchiostro che lo avrebbe marchiato a vita, tali gli sbagli.

L'anima pesava più di una piuma, ventuno grammi che sarebbero stati condannati presto all'inferno.

Ma non se giocava bene le carte, e lui poteva.

Doveva.

Si fermò davanti alla porta della casa che gli interessava di quel desolato parco, e si guardò intorno.

Una volta che avrebbe bussato, era una corsa contro il tempo, una corsa alla salvezza.

Era stanco di tenere tutto per sé, quel segreto che gli faceva tanto male, quegli sbagli che si impossessavano dei suoi sogni, ed un amore sbagliato, ma che desiderava ad ogni costo.

Quando si decise, bussò, rabbrividendo per una ventata fredda che soffiò improvvisamente.

La porta si aprì in poco tempo, e si ritrovò davanti l'unica persona che avrebbe dovuto incontrato, bene, pensò, senza mezzi termini.

Lei sapeva di cosa le avrebbe parlato, ma non immaginava lontanamente a chi sarebbe toccata quella volta.

-Dobbiamo parlare,- soffiò, quasi entrando senza invito, -Bea.-

Martina.♡☆

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